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Dottore, Panfago, Forca, Pirino.
Dottore. Panfago, non star piú nascosto: il pazzo è gito via.
Panfago. O a che periglio mi son oggi trovato d'esser strangolato e non poter piú mangiare! Or non poteva attaccarmisi piú tosto con i denti al naso, strapparmi l'orecchie o ficcarmi i diti negli occhi? Parve che il diavolo proprio gli drizzasse le mani alla gola per farmi dar in preda della disperazione, e che mi appicassi con le mie mani o fusse precipizio di me stesso.
Dottore. Una tempesta di pensieri non mi lascia riposare: ardo d'un doppio fuoco d'amore e d'ira: l'uno mi spinge a tor vendetta di costoro, l'altro m'incende d'amore; vorrei sfogar l'ira, ma l'amor mi tien ligato; l'ira m'inferma e il desiderio m'accende; e sí grande è l'una e l'altro, che la bilancia sta dubbia dove debba calare. Panfago, se non mi aiuti non posso riposare.
Panfago. Se prima non fo un poco di collazione e mi beva duo bicchieretti di vino, non arai ben di me tutt'oggi.
Dottore. Se mi darai modo che ricuperi Melitea e mi vendichi di costoro, ti darò tal mancia che non arai piú a morirti di fame mentre sarai vivo.
Panfago. Mi dá l'animo che la trappola che han tesa contro te scoccherá contro loro: gli faremo un tratto doppio, che avendola comperata per cinquecento ducati, l'abbi per cento, anzi per nulla.
Dottore. Tu mi curerai di due malatie, di amor, di gelosia: e dell'una risanandome, dell'altra riempiendomi di speranza. Fa' questo, ch'io non ti mancherò di quanto ti ho promesso.
Forca. (Giá espugnata la fortezza e soggiogati i nemici, potrai entrar in una casa e goder delle spoglie de tuoi nemici).
Pirino. (Taci, che gli inimici ancor sono in campagna. Veggio Panfago e il dottore a stretti ragionamenti).
Forca. (Chi sa se gli scuopre i nostri secreti?).
Pirino. (La fortuna comincia i suoi cattivi effetti: siam rovinati).
Forca. (Lo so: vorrei che dicesse cosa che non sapessi. Scostiamoci e ascoltiamo che dicono).
Panfago. Poiché costoro han tinto di carbone la faccia a Melitea e l'han fatta comprar da quel buon vecchio - e or è in casa sua, - andiamo a Filigenio, scopriamogli la veritá; essageraremo il negozio, che arderá di sdegno contro il figlio, porrá Forca in una galea, cacciará Melitea di casa sua per i capegli a bastonate.
Forca. (Intendo, sto attento; taci).
Panfago. Anzi lo crederá prima che s'apra la bocca, che i vecchi son di natura sospetti, e giá del fatto v'è in sospetto; e quando fusse restio a crederlo, della veritá ne potremo far veder subito l'isperienza: ché lavatole la faccia restará bianca e, se vuol toccar con mano se sia femina o maschio, le scalzi le brache e lo vederá.
Pirino. (O Dio, che odo, che veggio! o che fusse nato sordo e cieco! ecco disperate le mie speranze).
Forca. (Ecco rovinata l'occasione di condur ad effetto cosí bell'opera).
Dottore. Io non vo' che la cacci altrimente; ma diamela di buona voglia, ch'io gli rimborserò i suoi cento scudi.
Panfago. Se volete far questo, vo' che allegramente...
Panfago. ... vi porti a casa sua...
Pirino. (... porti te, e quanti sono de' tuoi pari).
Panfago. ... e te la consegni per la mano. Cosí gli faremo conoscere che, se la volpe è maliziosa, piú malizioso è chi la prende: ché uno pensa la volpe e altro chi ordina la tagliola.
Dottore. M'hai tirato nel tuo parere e m'hai posto in nuova speranza di riaverla. Orsú, andiamo a casa di Filigenio.
Panfago. Io l'ho visto or ora a' Banchi: andiam per costá, ché l'incontraremo per fermo. E sará bene che né Pirino né Forca ci veggia insieme; ma, mentre che stanno addormentati in tanta allegrezza né curan piú d'altro, non s'accorgano che vogliamo rovinargli e possano preveder l'apparecchio.
Pirino. O fortuna, sei piena d'aggiramenti! sperava da te mia madregna qualche effetto di madre, ma m'accorgo ch'ancor sono ammogliato con la disgrazia, perché non fo un disegno, che la fortuna non ne faccia un altro in contrario.
Forca. Ma io, sciocco ignorante, come non avessi mai fatto altra truffa, ho avuto fede ad uno che ha mancato sempre di fede.
Pirino. O Forca, Dio tel perdoni! io te ne avisai prima, che costui ci avrebbe tradito, ché era uomo che parlava con tutti e d'ogni cosa che li vien in bocca; non essendosi saputo da lui, non si sarebbe saputo altronde.
Forca. Voi foste piú presto a esseguire ch'io a dirlo, e non mi deste tempo a mutar proposito.
Pirino. E quel che piú mi molesta è che l'impresa cominciata e proseguita con tanta gloria, or ci partorisca contrario effetto; e ci assassinano con l'astuzie imparate da noi.
Forca. Ho fatto quanto ho saputo e potuto, e v'è successo ogni cosa contra la vostra opinione: questo è vizio della imperfetta nostra umana natura, ché discorgendo un ingegno, per savio che sia, sempre suol restare ingannato.
Pirino. Ma cosa si ha piú astuta della disgrazia? Oimè, oimè!
Forca. Rincora te stesso e sta' in buon animo.
Pirino. Come starò di buon animo, se ho perduto l'animo? e togliendomesi Melitea, mi si toglie l'anima mia; con la perdita di costei io perdo tutte le mie speranze: o dolore insopportabile, ecco finita ogni cosa!
Forca. Io ti dico che non è finita ogni cosa: fa' buon cuore.
Pirino. Io son tanto atterrito dalle fortune passate e dalla disperazione delle presenti, che non oso sperar nelle cose avvenire. La nostra rappresentazione ha mutato faccia: rappresentiamo una favola contraria a quella di prima! Mio padre, in sentir questo, cacciará subito Melitea di casa, e io non arò piú animo di comparirgli dinanzi.
Forca. Ed a me bisogna far voto a san Mazzeo per la schena.
Pirino. Son in un mar di travagli; né per tanti travagli l'amor scema, anzi piú cresce: o disgrazia senza rimedio!
Forca. Dico che non è senza rimedio, né questo è tempo di consumarlo in lamenti.
Pirino. Il piangere è fatto mio famigliare.
Forca. Vo volgendo per l'animo molte cose. O bel tiro mi sovviene! facciamo cosí, ché racconciaremo l'errore e daremo miglior perfezione all'opra, anzi - o bel pensiero! - castigheremo l'ardir loro, e vostro padre ancora, per avergli dato credenza, e ci vendicheremo di Panfago, e io provederò alla mia schena: faremo tre servigi ad un tempo.
Pirino. Deh, conservator della mia vita, ritornami vivo con qualche speranza!
Forca. Andiamo a trovare il pazzo, che stará in casa di Alessandro, conduciamolo in casa tua, tingiamoli la faccia con carboni e vestimolo delle vesti che tien or adosso Melitea; e sbalziamo Melitea fuor di casa tua e conduciamola in quella di Alessandro. Qua verrá il dottore a lamentarsi con Filigenio, gli consegnerá il pazzo, pensandosi consegnargli Melitea; e se li laveranno la faccia, troveranno altro che pensano: restará l'uno e l'altro schernito, anzi verranno insieme a cattive parole. Poi troveremo un capitano di birri e faremo tor Panfago, con dir che ha rubato le vesti del schiavo e del raguseo ad Alessandro; e andaremo in casa sua, dove si troveranno, perché ivi se l'ha spogliate; e noi serviremo per testimoni: ché se non sará appicato, almeno lo faremo andar in galea in vita e ci vendicheremo di lui. Poi informaremo Alessandro del tutto e lo mandaremo a Filigenio per lo schiavo: ei gridará e gli dirá ingiurie. Alessandro gli dirá che è figlio di un gran signore; e che non s'accordi, se non gli cava di mano almen trecento scudi. E li faremo costar tanto l'aver creduto al dottore; voi ve lo restituirete in vostra grazia, ed io schivarò un maligno influsso di bastonate che mi sarebbon piovute dal Cielo.
Pirino. O Forca mio dolce, o Forca mio di zucchero, Forca che dái la vita a' morti e non la togli a' vivi, ho preso animo e giá con la speranza abbraccio Melitea; ma non perdiam tempo, ché potria venir mio padre.
Forca. Andate in casa, lavate la faccia a Melitea, fatele spogliar le vesti, e scampate per la porta di dietro; ch'io fra tanto vi condurrò il pazzo.