Giambattista Della Porta
La Carbonaria

ATTO IV.

SCENA VII.   Dottore, Panfago, Filigenio.

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SCENA VII.

 

Dottore, Panfago, Filigenio.

 

Dottore. Sappiate, Filigenio caro, che non è brutto il fatto istesso, come il modo con che l'han fatto; perché si son serviti della vostra persona per intermedio della propria furfantaria, e farvi ruffiano di vostro figlio; e se nol credete, potrete or ora vederne l'esperienza, perché lavando la faccia a quello schiavo che avete in casa, diverrá bella, bianca e pulita, e se volete veder piú innanzi, la troverete femina in carne e ossa.

Panfago. E se ben, innamorato di quella puttana, la poteva aver con alcuni dinari, Pirino e Forca, per maggior vostra beffe e per ridersene fra loro alla sgangherata, se hanno voluto servir de' vostri dinari: eccoli scelerati contro voi, ingiuriosi contro me e profani contro Iddio.

Filigenio. So che tutto è vero quanto dite, e conosco che tanto eglino sono stati astuti quanto io sciocco. Ah Forca ribaldo, ah figlio iniquo, ah traditore Alessandro! cosí sono da tutti voi egualmente beffato! Quando io diverrò savio, se a capo di sessanta anni mi lascio beffar da giovani? Or m'accorgo che quello schiavo ch'io comprai avea piú fattezze donnesche che virili, e con un parlar delicato e toscano, anzi - o sciocco me! - con un scherzevol riso, con certe cerimoniose e oscure parole significava esser innamorata di mio figlio; e io sempliciaccio non me n'accorgeva. Ma che sciocchezza fu la mia a credergli cosí subito! Veramente, quando le stelle s'accordano alla ruina di alcuno, alla prima gli togliono la prudenza. Ma io ne farò ben vendetta! Contro la puttana mi saziarò ben di schiaffi, pugna e calci e tirare de' capelli; Forca porrò in una galea; al figlio darò perpetuo bando di casa mia. O che rabbioso sdegno! lo sdegno avanzará l'amore, la rabbia la pietade.

Dottore. Fermatevi, non bisogna alcuna di queste cose: l'error è giá fatto; delle strade cattive eleggasi la migliore.

Filigenio. Dite, di grazia, ch'io son cosí riscaldato dall'ira che dubito con qualche precipitoso consiglio non mi condur a qualche sproposito.

Dottore. Io vo' che voi non perdiate nulla: non scacciarete il figlio e non perderete i danari; anzi con un bel fatto resteranno scherniti dal lor scherno. Rendetemi lo schiavo e io darò a voi or ora gli cento ducati.

Filigenio. Io non mi curo di perderli per saziarmi di sangue e con un castigo barbaro vendicarmi d'ingiurie vituperose.

Dottore. Questo non vorrei io, ch'ella non patirebbe alcun male che non lo patisca io: ecco i vostri cento scudi.

Filigenio. Questi sono i cento scudi che vi ho prestati per man di Forca?

Dottore. Che Forca? che scudi? chi v'ha dato ad intendere una simil favola?

Filigenio. Me l'ha chiesti Forca da vostra parte.

Dottore. Ho sempre un par di migliara di scudi al mio comando, che pèrdono tempo al banco.

Filigenio. Misero me, che da ogni banda sono aggirato.

Dottore. Entriamo in casa e ve li contarò.

Filigenio. Entriamo.

Dottore. Panfago, va' a casa, apparecchia un banchetto a tuo modo, ché vogliamo tutti rallegrarci: to' gli danari.

Panfago. Sia benedetto Dio che pur m'è toccato di apparecchiare un desinare a mio modo e di far un pignato grasso.

 

 

 


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