Remigio Zena
L'apostolo

I.   Novembre '87

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

I.

 

Novembre '87

 

Mancava un quarto a mezzanotte. Appena sceso di vettura sotto l'atrio della stazione di Genova e avviato il servitore a spedirgli il bagaglio, nell'andirivieni dei viaggiatori in partenza Marco Cybo si trovò faccia a faccia col senatore Tommaseo.

Senatore, che buon vento? anche lei sulle mosse?

– Per Roma. Sono arrivato stamattina da Parigi. Anche lei a Roma? bravo, faremo viaggio insieme. – Ha notizie della marchesa?

Scusi....

– Ha notizie della marchesa?

Eccellenti: è sempre a Beaumesnil con mia sorella; quest'anno pare che ci si trovino assai bene e non c'è verso che vogliano muoversi; andrò a raggiungerle tra quindici o venti giorni per portarle via. – Ma la prego, senatore, non si stanchi, dia a me quella valigia, senza complimenti.

Barcollante sulle gambe, e in mezzo alla folla che gli si stringeva addosso, impacciato da una parte a svincolare le falde eterne del pastrano, dall'altra un'enorme bisaccia di cuoio storicamente famosa, il senatore Tommaseo complimenti non ne fece o se ebbe l'idea di provarsi li brontolò così brevi da significare piuttosto un'accettazione altrettanto sollecita quanto grata. Giunto in cima allo scalone delle sale d'aspetto, nel mentre Cybo faceva vidimare dall'impiegato una larga tessera verde sulla quale spiccavano in nero due braccia ignude che sostenevano la Croce, ripigliò il discorso:

– Dunque anche lei a Roma: bene, bene. Spero che ci vedremo qualche volta. Sino alla fine del mese non mi muovo; il giorno 16 avremo l'apertura del Parlamento.... poi, più tardi, non so se farò una corsa a Napoli. A che albergo va, lei?

Perdoni....

– A che albergo va?

– Alla Minerva.

– Si capisce, l'albergo dei ben pensanti. Io, come buzzurro, vado al Milano in piazza di Montecitorio. Qualunque cosa le occorra, sono a sua disposizione; si lasci vedere, oppure mi scriva un biglietto al Senato.... al Senato, dopo le due, mi troverà sempre; ma già, ora che ci penso, ci vedremo in casa Marescalchi e dalla duchessa d'Olevano.

In quel momento, avviandosi verso l'intorno della stazione, passava un gruppo numeroso d'operai tutti in abiti da festa, tutti seri, senza clamori, quasi militarmente; taluni di essi salutarono Marco Cybo togliendosi il cappello con molto rispetto e accompagnando l' con un cenno o un gesto di riconoscimento, quasi massonico.

– Non capisco come questa sera ci sia tanta gente che partecontinuò il senatore, preoccupato dall'insolita comitiva di passeggeri – e non capisco che questa gente abbia scelto il treno diretto che non ha terza classe. Purchè ci riesca di trovar posto! Venga con me dal capo-stazione; cercherò d'ottenere per noi due soli uno scompartimento riservato. In genere, favori non ne domando mai di nessuna specie e quando viaggio mi contento del primo posto che capita, ma per una volta tanto, non cadrà il mondo. Venga con me, ci penso io.

E senz'altro, prima di attendere la risposta, si incamminò nel laberinto alla ricerca del capo-stazione, secondo il suo solito traballando, tutto sconquassato, sulla punta dei piedi. Il treno diretto d'Alessandria per Roma era in ritardo, ritardo notevole, e del tempo ne avanzava fin troppo.

Un po' a cagione dei denti disertori o latitanti, assai più per l'abitudine settantenaria di masticare le frasi come pastiglie di gomma non senza l'accompagnamento d'un perpetuo gargarismo cavernoso, il senatore Tommaseo chiacchierava per proprio uso o consumo e tirava avanti un pezzo, il più delle volte colla soddisfazione di non essere capito; se rivolgeva una domanda, era cosa passata in giudicato, novantanove su cento, che bisognava rassegnarsi a comparir sordi e con mille scuse pregarlo di ripeterla. Fu dunque soltanto dopo essergli trottato su e già sotto la tettoia cinque minuti buoni, lui o la bisaccia, urtando, attraversando, scavalcando, che Marco comprese la ragione di quella corsa, e fu soltanto dopo la concessione dello scompartimento riservato, che finalmente potè scusarsi: era proprio spiacentissimo di non godere della compagnia del senatore, durante il viaggio; sarebbe stata per lui una vera fortuna approfittare dell'offerta, ma essendo pellegrino doveva rimanere coi pellegrini....

Il senatore lo guardò fisso, trasecolato.

....doveva rimanere coi pellegrini per solidarietà, prima di tutto, e d'altra parte coi suoi colleghi del Comitato regionale aveva ancora un mondo di provvedimenti sulle braccia, tante minuzie dell'ultim'ora, alle quali per mancanza di tempo si erano ridotti a dover pensare strada facendo in ferrovia, perchè tutto a Roma andasse appuntino e non nascessero inconvenienti.

Questo disse in tono semplice e naturale, certo senza arrossire e senza mendicare pretesti suggeriti da un goffo rispetto umano, ma neppure assumendo aria d'importanza o di bravata. Aveva le sue idee, militava sotto quella tale bandiera, e militava volontariamente, con zelo e impeto giovanile, più coll'opera che colla parola, non per ambizione per interesse per sfidare chi avesse avuto l'ardimento di non pensarla come lui.

Coteste idee il senatore Tommaseo le conosceva benissimo come conosceva il suo uomo, e non si era mai sognato di combatterle perchè in fondo, sotto una vernice di liberalismo spregiudicato, erano pure le sue, e ad ogni modo sarebbe stato lo stesso che voler rovesciare colla scopa una torre di ferro.

Pellegrinaggio!? e pellegrinaggio sia; ecco i suoi piani scombussolati: amen; dal momento che c'erano delle ragioni, diremo così, d'ordine e d'obbedienza, non aveva il coraggio d'insistere, ma, parola d'onore, questa di dover rinunciare alla buona compagnia d'un amico, questa non se l'aspettava.

Perde poco – si scusò Marco Cybo, liberandosi della bisaccia e con grande tenerezza posandola sopra un divano del buffet dove avevano finito per rifugiarsiperde assai poco, se pure non ci guadagna, poichè, dicono i miei amici che oramai io non so più parlare che di confraternite e di giubilei.

Ragione di più: anche questo è un discorso istruttivo e avrebbe illuminato la mia ignoranza circa molti punti essenziali, che purtroppo nessuno si diede mai la pena di spiegarmi. – Del resto, vedrà certamente il Papa?

– ...?

Dico che a Roma vedrà certamente il Papa.

– Senza dubbio, e forse più d'una volta; andiamo apposta per questo.

– Si capisce: non ci sarebbe mezzo di farmi entrare con lei di straforo, insieme agli altri, camuffato da pellegrino? già lei, come uno dei promotori, avrà carta bianca, libera entrata in Vaticano di giorno o di notte, a tutte le ore.... – Prende con me qualche cosa? una tazza di caffè? – Pellegrinaggio numeroso, mi figuro; non per nulla siamo alla vigilia del Giubileo sacerdotale.

Abbastanza numeroso, non possiamo lagnarci, però non tanto come si sperava e come sarebbe stato se ci fosse riuscito d'organizzarlo prima d'ora. Il primo gennaio avremo in San Pietro la messa giubilare, poi il giorno dall'Epifania sarà inaugurata l'Esposizione vaticana dei doni, ma in questa ricorrenza i grandi pellegrinaggi da tutte le parti del mondo dovranno durare tutto l'anno venturo e per la primavera si vedrà anche noi di farci onore. Questa volta, a titolo d'esperimento, non si volle uscire dalla cerchia operaia.

– Tutti operai?

– Più o meno.... tutti; intendiamoci, operai e contadini. L'udienza generale in Vaticano è fissata per lunedì o martedì, ancora non lo sappiamo bene, ma questo posso dirlo senza vanità di campanile noi della Liguria saremo i più numerosi, chè tra lombardi e piemontesi, per un cumulo di circostanze impreviste e massime pel lavorio delle sètte, i comitati stentarono a raggranellare poche dozzine.

– Senza vanità di campanile, benissimo! E dica un po': saranno della comitiva i Grandi Orienti: Maurizio Bouvier, Agostino Torre.... ossia, il conte Della Torre, Marcenaro, l'avvocato Visdomini....

Visdomini è già a Roma ad aspettarci da qualche giorno e a disporre sul luogo gli ultimi provvedimenti, Bouvier per ora non si muove da Genova, occupatissimo con Rodolfo Spinola nell'osposizione in Santa Marta dei doni che la Liguria offre al Papa e che a suo tempo dovranno figurare in un riparto della mostra vaticana....

– Se potremo vederla!

– ....Marcenaro ha la direzione del Quotidiano e la sua fabbrica di frutti canditi che lo trattengono. Del resto, sì: Torre, Cantabruna, De Michelis.... i soliti, insomma, che lei conosce almeno di nome. – Ed ora, mi permetta d'augurarle buon viaggio....

– Mi parli di Carbonara: Paolino Carbonara; credo d'aver intravisto poco fa da lontano la sua barba in mezzo alla folla, nell'atrio della stazione; sarebbe anche lui del pellegrinaggio?

Sicuro. Perchè ride?

– Mi hanno detto – non so più chi me l'abbia detto, forse a Vichy la marchesa Orietta Doria – che Sua Santità l'ha scelto ultimamente nel mazzo, proprio lui, per nominarlo cameriere segreto di cappa e spada. Possibile?

– Viene a Roma con noi apposta per entrare in funzioni e assumere la prima volta servizio il giorno dell'udienza.

– Lo tengano d'occhio, mi raccomando, chè le fiamme della sua barba non abbiano da incendiare il Vaticano. Fuori burla, lei conosce Carbonara come lo conosco io: il Papa ha voluto ricompensare i suoi meriti e faccio riverenza; sfido! la più bella barba del mondo cattolico bisognava premiarla! ma se gliela radono, la barba, cosa gli rimane, a quest'uomo?

– Infatti deve avere anche lui qualche sospetto ed è per questo che ci tiene e non c'è pericolo che se la lasci radere finchè vive. – Senatore, io scappo: le auguro buon viaggio; ci vedremo a Roma.

– Venga a trovarmi al Senato e domandi a Sua Beatitudine una benedizione speciale pure per me.

 

Rimasto solo, il senatore Tommaseo si guardò intorno per vedere se c'era gente di conoscenza: nessuno; due preti francesi, una signora o una signorina, tutta sola, che aveva finito di cenare e stava rimettendosi i guanti con molta calma, un ufficiale di fanteria, l'arca di Noè di un povero impiegato traslocato chi sa dove nell'Italia meridionale, altre poche figure ignote ed insipide. Per esempio, quella signora o signorina che fossesignorina certo, e di quelle che viaggiando sole non hanno paura d'essere rubate come un sacco da nottestuzzicava la sua curiosità; non era più stoffa da avventure galanti il senatore, per lui non solo i vespri erano suonati ma anche le compiete, pure, certe gonnelle capricciose avevano ancora potenza di farlo voltare per la strada, così balenante com'era sulle gambe, e quella figurina smilza e sottile, nascosto il viso sotto il mistero d'un velo impenetrabile o quasi, avviluppata in un'ampia mantellina con cappuccio, color di foglia autunnale, non lo lasciava tranquillo; curiosità e nient'altro, nessuna tentazione, nessun pericolo prossimo o remoto, Dio guardi, ma a buon conto uscì dal buffet. Lungo il marciapiede interno sotto la tettoia, mischiati coi pellegrini, correndo avanti e indietro nel chiarore bianco della luce elettrica, i viaggiatori erano quasi tutti fuori ad aspettare il treno, ma guarda di qua, guarda di , a destra, a sinistra, fra tanti neppur uno che almeno da lontano somigliasse all'ombra d'un amico o d'una persona qualunque che gli fosse capitato di vedere una volta in vita sua dopo averla data a balia. Cosa ne faceva ora del suo scompartimento riservato il senatore, se non poteva farsene un merito e offrirlo a due sposi, per esempio, oppure a una signora, oppure a una famiglia d'amici? era uomo, lui, da permettersi di queste delicatezze, approfittando a suo benefizio esclusivo d'un favore che in linea di diritto non gli spettava? Aveva delle relazioni dappertutto, in Italia e fuori d'Italia, nelle case dei Bianchi e nelle case dei Neri, dappertutto lo tempestavano di cortesie, il meno che potesse fare era di contraccambiarle, valendosi a tempo e luogo del suo grado, chè non per nulla il governo gliel'aveva conferito e lui l'aveva accettato con riconoscenza, ma quando l'occasione sfumava, preferiva restare nell'ombra insieme agli altri mortali che pagano il loro bravo biglietto e non tirare in ballo titoli dignità, e il godimento dei privilegi lasciarlo a chi aveva meno scrupoli di lui e meno discrezione.

Il treno! ecco il treno d'Alessandria che arrivava. Era tempo: ventinove minuti precisi di ritardo. Impossibile che da Milano o da Torino non portasse qualche conoscente, se non altro, del mondo politico. Scesero infatti, di passaggio per Roma, alcuni deputati matricolini, un illustre onorevole della scuola classica, uno di quelli che a Montecitorio da parecchie legislature comandava al sole e alla pioggia e all'arcobaleno, e salutarono il loro collega di palazzo Madama, fermandosi a scambiare quattro chiacchiere; scese un direttore o ispettore generale di qualche cosa in qualche Ministero, e anche lui tanti complimenti cerimoniosi, ma tutti avevano saputo premunirsi in tempo e si trovavano troppo bene installati nei loro nidi per ridursi ad accettare da altri l'elemosina d'un posticino. Il meglio dunque era di mettersi il cuore in pace, e poichè lo scompartimento era pronto col suo cartellino appeso alla maniglia, che incuteva ai poveri Pantaloni un sacro rispetto, accomodarcisi dentro senza tanti discorsi.

Aveva appena finito il senatore Tommaseo i suoi preparativi per la nottata sulle ruote, chiusi i vetri ermeticamente, steso il velabro sulla coppa affumicata della fiammella agonizzante fin dalla nascita, e acceso un sigaro aspettava seduto nel primo angolo a sinistra il segnale della partenza, avviluppate le ginocchia in uno scialle scozzese suo compagno indivisibile pure nel mese di luglio, quando all'improvviso lo sportello si aperse e nello stretto corridoio tra i due divani un facchino non si peritò d'introdurre lesto lesto qualche cosa di voluminoso che somigliava alla valigia delle Indie, e come non bastasse, posargliela anche sui calli.

Oh corpo di Bacco! questa ora nuova; non contava più niente il suo scompartimento riservato? Via, via dai piedi quel negozio, subito! Riservato! non aveva letto il facchino che fuori c'era scritto: riservato?

Che cos'abbia risposto il diavolaccio per giustificarsi non c'importa saperlo, ma dietro a lui che stava ritto sul predellino occupando l'apertura dello sportello, una fresca voce femminile protestò colla più deliziosa intonazione d'impazienza:

Pardon, monsieur; d'un bout à l'autre du train il n'y a plus de place, il faut bien que je m'arrange quelque part, n'importe !

Anima bella, n'importe : questo si chiamava parlar chiaro. Tommaseo tirò in fretta due boccate di fumo denso e spesso, gittò via il sigaro, si sbarazzò della coperta: la signora che potesse dire di avergli chiesto ospitalità e di non averla ottenuta, aveva ancora da nascere! Senonchè quella maledetta valigia gli impediva d'alzarsi in piedi, quel paravento d'uomo, che non sapeva a chi obbedire e non andava su giù, pareva che fosse pagato per togliergli la vista della postulante.

Partenza! Spezia, Pisa, Civitavecchia, Roma, Napoli, partenza! – bandivano le guardie percorrendo tutta la lunghezza del treno, e già cominciavano a chiudere gli sportelli.

Dépêchez-vous donc! – fatta più dispettosa, insistette dal basso la voce femminile contro la inerzia del facchinoest-ce que vous allez à Rome à ma place, peut-être?

Senz'altro indugiare, il facchino si arrischiò, sollevò la valigia per collocarla a posto sulla reticella, e fu allora che agli occhi lustri del senatore la mantellina color di foglia autunnale apparve per la seconda volta, e questa volta proprio essa in attitudine risoluta di accingersi a tenergli compagnia per l'intera durata del viaggio. Momento critico: la soddisfazione di ritrovarsela davanti dopo averci almanaccato sopra due minuti e le grottesche velleità d'un'estate di San Martino si bilanciavano dentro di lui collo scrupolo reale dei suoi sessant'anni, che potevano magari essere settanta, o colla tremarella d'una sorpresa in flagrante contrabbando, perchè certe mantelline esotiche, quando viaggiano sole con tanta disinvoltura, si indovina a occhio e croce quale merce nascondono, ma dopo tutto, era andato lui a pescarla? Dio provvederà: tirarsi indietro, no; fingere di dormire e non svegliarsi che a Roma, senza aver fatto almeno gli onori di casa, lui che era il padrone; la sua cavalleria non glielo consentiva; dunque, porgere bravamente la mano alla forestiera per aiutarla a salire e in via provvisoria annaspare quattro interiezioni di complimento buone per tutte le lingue, snaturando un fervorino francese, stile Pompadour, che era il suo forte.

Impermalita per non essere stata ricevuta colle fiaccole in mezzo a due file d'alabardieri, oppure quella notte le giuocassero i nervi un brutto tiro, l'incognita, entrata addirittura come padrona in casa sua, non rispose che un merci freddo freddo alla premurosa accoglienza del senatore. Niuna meraviglia; però si vedeva di primo acchito la persona di mondo, svelta, elegantissima, abituata a viaggiare, solo dal modo con cui disponeva in ordine l'arsenale delle sue robe. Giudicandola dall'insieme, così nel chiaroscuro, certo doveva essere un fiore mattutino di giovinezza, ma attraverso quel velo fitto che sembrava una maschera e non c'era apparenza che fosse prossimo a sgombrare, l'occhio aveva bello ingegnarsi, discerneva soltanto un vago pallore senz'ombra di lineamenti. Pensava Tommaseo, ripiombato in aspettativa nel suo angolo: per far più presto, scartiamo subito la modestia: capriccio d'eleganza? artifizio vecchio per nascondere le magagne? ipocrisia di sgualdrina consumata? e a furia di pensarci sopra, l'ultima supposizione, la più cruda, da uomo pratico e pieno d'esperienza, era quella che più lo suffragava.

Intese una voce domandare allo scompartimento vicino:

Principessa Brancovenu.... sarebbe qui la signora principessa Brancovenu?

Brancovenu!? Un istante dopo apparve allo sportello il berretto rosso gallonato del capo stazione in persona.

Senatore, scusi se la disturbo: per combinazione, quella signora.... scusi tanto, non vorrei essere indiscreto.... da mezz'ora vado cercando per mare e per terra la principessa Brancovenu.

C'est moi! – scattò la viaggiatrice voltandosi prontamente e sollevando il velo quasi per farsi riconoscere.

Il berretto rosso gallonato transitò dalla testa nelle mani del funzionario. Tommaseo cascò dalle nuvole: principessa Brancovenu!

Un telegramma da Ventimiglia. Il capo stazione era dolentissimo.... i bagagli della signora principessa....

Sont encore à Vintimille, n'est-ce pas? je m'en doutais. Et bien?

La dogana li aveva trattenuti. Forse nel trasbordo da un treno all'altro, non pensando alle formalità di confine, la signora non si era occupata della visita doganale....

Al suo arrivo a Ventimiglia i bagagli non erano giunti: come poteva occuparsi della visita? Prima di ripartire aveva lasciato il suo indirizzo, da Savona aveva spedito un telegramma... – Bisognava viaggiare in Italia per avere di queste sorprese. – Ed ora? doveva tornare a Ventimiglia? doveva tornar lei indietro per far aprire i bauli in sua presenza? niente da stupirsi.

Uomo di governo e pezzo grosso nelle faccende pubbliche, il senatore intervenne colla sua autorità e consigliò il capo stazione:

Telegrafi a Ventimiglia di spedire direttamente a Roma i bagagli della principessa. Non si possono sdoganare a Roma? Telegrafi in questo senso, e metta pure il mio nome. Stia tranquillo, metta pure il mio nome, chè rispondo io.

Così sciolta la difficoltà grazie più o meno al suo intervento, poichè anche senza di lui ci si sarebbe arrivati, era rotto il ghiaccio, e Tommaseo ne avrebbe subito approfittato per entrare in conversazione colla sua debitrice, anzi presentarsi in tutta forma d'etichetta, se la reviviscenza d'un antico ricordo non l'avesse per poco assorbito.

Una principessa Brancovenu – non Brancovan che era altra famigliaBrancovenu, ungherese di nascita, moglie dell'ambasciatore di Rumenia alla Corte austriaca, egli l'aveva conosciuta a Bukarest e poi a Vienna in illo tempore, nel '67. Era stato appunto il padre di Marco Cybo, il marchese Ademaro, a presentarlo. Gran bella donna, allora, la più bella di tutta la cristianità, da far girar come trottole le teste degli ospodari e degli arciduchi, e se ne dicevano sul suo conto.... e forse non era la malignità sola che metteva in giro certe voci.... – Stupenda donna! bisognava vederla in sella per comprendere cos'è la perfezione, e cavalcava come non cavalcano gli angeli sulle nuvole: al galoppo, cogli occhi bendati, avrebbe traversato il Danubio sopra un filo di ferro. Bisognava vederla ai balli in gran pompa di perle, seta e brillanti, una perfezione.... sotto un altro punto di vista. – Taciturna: questo era il suo difetto palese; troppo taciturna; accoglieva gli omaggi degli spasimanti e dei semplici ammiratori come una statua di marmo l'incenso dei turiboli: impassibile. – Da quell'epoca, ossia da vent'anni, il senatore non l'aveva più vista quasi intesa rammentare, non essendo più passato per Vienna tranne nel '73, quando la meteora era scomparsa dopo la morte del principe e dimenticata da un pezzo. – Ora si trattava di sapere chi fosse quest'altra Brancovenu, piovuta dalla luna: parente di quella? sua nuora o sua figlia piuttosto, chè appena tolto via il velo dalla faccia, come nel guizzo d'un lampo gli era sembrato al senatore di veder l'imagine d'una risuscitata?

Il capo stazione aveva lasciato lo sportello aperto, nessuno era venuto a rinchiuderlo, indizio che la partenza tardava.

– Quelle attente! Qu'en pensez-vous, monsieur? nous allons passer ici toute la nuit, a ce qu' il parait? – E levatasi con una mossa impagabile di dispetto, la viaggiatrice venne a collocarsi, ritta, dinanzi all'usciolo.

En effet, je ne sais pas comment... – Guardia.... ehi! guardia, cosa si fa? si parte o non si parte? – Non capisce. – Siete sordo? domando a che giuoco giuochiamo: si parte o non si parte?

Invece della guardia, fedele alle tradizioni di sordità, che tirò via per la sua strada, fu il barbuto Paolino Carbonara, il neo-cameriere segreto di S. S. che avendo udito, mentre passava, la voce del senatore Tommaseo e adocchiata la figurina capricciosa d'un'incognita, si avvicinò sorridente, e senza saperle spiegò le ragioni del ritardo.


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA1) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License