Remigio Zena
L'apostolo

V   Brancovenu?

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V

 

Brancovenu?

 

In suffragio dell'anima di Pio IX, la mattina successiva, prestissimo, i pellegrini ascoltavano la messa nella chiesa di San Lorenzo fuori delle mura.

A un altare posticcio, improvvisato per la circostanza davanti all'altar papale della Confessione, celebrava monsignor Brasile, che per ottenere tanto onore a preferenza d'altri sacerdoti venuti col pellegrinaggio – quelli, s'intende, che erano come lui monsignori di mantelletta in abito paonazzo – aveva strepitato nelle riunioni, minacciato, scongiurato, messo sulla croce il presidente Torre, il principe Romoli e ad uno ad uno quanti potevano avere un'ingerenza, subissato tre quarti del Vaticano, dagli svizzeri di guardia e dagli scopatori segreti al suo grande protettore il cardinale Schiaffino.

Celebrava lui – una messa bassa con comunione generale – in pompa magna di strascico e di bugia, assistito dai chierici del collegio Capranica, e dopo l'ultimo vangelo improvvisò dall'altare “sulla tomba lagrimata del più glorioso Pontefice che mai abbiano visto i secoli sfolgorare tra le catene e i flabelli, più glorioso d'Ildebrando” un discorso di commemorazione scritto un mese prima o studiato a memoria, declamato con enfasi tribunizia, ora patetico, ora veementemente guerriero. Mirabile discorso, lunghissimo, che dopo la passeggiata mattutina fin , a stomaco digiuno, il grosso dell'uditorio avrebbe molto volentieri protratto ad altre calende, specie in quei giorni che di consimili castighi di Dio gliene toccava una pioggia.

Conforme i precetti, il minuto popolo sopportava rassegnato, ma alla lunga, nel sinedrio dei maggiorenti disposti in alto di qua e di della Confessione, serpeggiava un'impazienza poco edificante, i sospiri non erano repressi le occhiate significative, lo scambio di qualche parola all'orecchio si faceva frequente: e l'udienza in Vaticano? quel sant'uomo d'un monsignore non pensava più che a mezzogiorno era fissata l'udienza del Papa e che per esser pronti con tutte le squadre riunite nella sala Clementina a mezzogiorno, bisognava sbrigarsi?

Ci fu tra gli uditori un movimento di curiosità, allungarono tutti il collo verso la destra navata dove da qualche istante ronzava un cicaleccio irriverente, quando ad un tratto, interrotto il filo del sermone, il predicatore apostrofò una brigatella mattiniera di touristes, che se ne veniva come in casa propria, colle guide scarlatte Bædeker aperte fra le mani, senza prendersi suggezione d'alzar la voce quanto bastava per disturbare i fedeli, più intesa a conversare e a ridere, anzichè a leggere le notizie illustrative e ad ammirar la Basilica. Certe licenze l'abate Brasile non era in vena di tollerarle, segnatamente quando predicava lui, certe prudenze non le conosceva o non le capiva o gli sembravano paurose transazioni, ed essendosi pure accorto dell'irrequietudine nelle due file laterali, con parole di fuoco intimò il rispetto alla casa di Dio.

Sebbene in lingua volgare, i forestieri compresero il latino, tanto lo compresero, che mortificati, in mezzo al silenzio e sotto gli sguardi unanimi d'un'assemblea sconosciuta, non ardirono più muoversi, nemmeno per tornare indietro, e rimasero fermi a breve distanza l'uno dall'altro, nell'attitudine incerta di chi non trova la via d'uscire dall'impiccio in cui s'è messo. Il celebrante tornò in carreggiata. Per segregarsi quanto poteva dal solito gruppo degli arciconsoli che in ogni funzione sacra o profana spiccava sempre nel Sancta sanctorum, Marco Cybo aveva scelto abbasso il suo posto, cogli umili; un poco in disparte e quasi nell'ombra, a destra, una signora della comitiva gli stava ritta daccanto; pensò che ella non avrebbe tardato ad allontanarsi, ma poichè rimaneva e più volte aveva girato gli occhi verso di lui, credette d'interpretare una tacita richiesta levandosi da sedere e offrendole il proprio sgabello. La signora accettò.

Scostatosi d'alcuni passi, egli non la vide pochi momenti dopo dilungarsi e scendere nel sottoposto cunicolo, dov'è il sepolcro di Pio IX. Terminata la predica, anzi la commemorazione Piana quasi compiuta, gli fece segno un pellegrino che sullo sgabello era rimasta dimenticata una borsetta da viaggio, sononchè l'idea prima di mandar subito il pellegrino o di correre lui stesso in traccia della proprietaria, tanto volle maturarla che finì per perderla di mente, e all'uscita, nel trambusto della folla, quando una giovinetta voce femminile gli domandò con grazia "si par hasard il n'avait pas vu à la place elle était tout à l'heure une petite bourse en cuir de Russiestentò parecchio prima di raccapezzarsi. – Ah! – tornò di galoppo al posto occupato: cerca di qua, cerca di , lui e la forestiera, fruga, interroga: – avete visto una borsa così e così? – niente borsa.

Nessuno l'aveva rubata, ringraziamo il cielo, e si trovò in sacristia, ma frattanto un quarto d'ora perduto tra le ricerche e i convenevoli e le spiegazioni che colei non cessava di chiedere con inutile curiosità circa il pellegrinaggio e la funzione alla quale aveva in parte assistito, tutte domande bambinesche, tinte d'ironia; questa fra le altre, assai lusinghiera per monsignor Brasile: avrebbero giubilato i cattolici se un bel giorno fosse stato eletto Papa quel cardinale predicatore, così terribile? – Pure indicandola non francese, l'accento non ne manifestava la terra d'origine, però, solo a guardarla, si capiva che era ragazza, non ostante la sua perfetta indipendenza da coloro che l'accompagnavano e che ella non si curò punto di raggiungere, come Dio volle salita finalmente in una botte per conto suo.

Sotto l'atrio, a Cybo gli aveva stretto la mano, ringraziandolo, cogli occhi nerissimi fissandolo negli occhi e costringendolo ad abbassarli.

 

– Non abbiamo tempo da buttar via da aspettare chi non vuol venire – disse impaziente l'avvocato Visdomini col venerando Torre già installato nella carrozza padronale offerta dal principe Romoli, nel mentre questi non sapeva decidersi a pigliar posto, in attesa di Marco Cybo – se vogliamo andare all'albergo a vestirci per l'udienza.

– E a far due righe di colazione! – si affrettò ad aggiungere Cantabruna, appiccicato allo sportello, per sollecitare la partenza ed essere lui il quarto in carrozza.

– ....anche due righe di colazione, siamo uomini di carne; poi al Sant'Uffizio, radunar la gente, formar le squadre, condurle in Vaticano, metterle a posto, e tutto ciò prima di mezzogiorno, non possiamo star qui sotto la colonna di San Lorenzo a prendere il fresco....

– ....in omaggio al signor marchese, principe di Massa! –– coronò Cantabruna la frase da Visdomini lasciata sospesa, nella cortezza che avrebbe avuto dall'aiutante di bandiera il desiderato complemento.

Essendo ancora ingombra la piazza, don Fausto Romoli, un piede sul predellino e l'altro in aria, si stiracchiava allungando il collo per discernere se spuntasse l'assente; Cristoforo Torre, tra l'autorevole e il conciliativo, propose a Cantabruna d'andar lui in due salti a cercarlo, ma era buffa l'autorità del presidente Torre, tanto più buffa di fronte all'avvocato Visdomini, il quale per tutta risposta fece salir Cantabruna.

Poichè il nostro marchese non si vede, bisogna credere che gravi ragioni lo trattengano. Principe, la prego, abbia la gentilezza d'accomodarsi. Non è più un ragazzo da voler essere tenuto per mano dalla balia e neppure dal pedagogo.

E Cantabruna:

– Il pedagogo c'è, purtroppo, e lo conosciamo tutti. A proposito, io scommetto che se ne sono andati via insieme, essi due soli, all'inglese, lui e Castelborgo.

Partirono. I primi minuti trascorsero in silenzio.

– È vero che lo perdiamo, il marchese Cybo, o presto lo vedremo gesuita? – chiese don Fausto, sempre col pensiero fisso rivolto per simpatia all'amico.

Torre aperse la bocca, ma fu prevenuto da Visdomini:

– Le vie del Signore son tante e non tocca a noi giudicare se quella o quell'altra sia la preferibile per un nostro confratello; umanamente parlando, nell'interesse del laicato cattolico, io mi auguro che il nostro buon Marco rimanga con noi sulla breccia, quantunque, secondo me, l'indole sua, il suo temperamento, le sue stesse attitudini lo chiamino piuttosto alla vita religiosa, anzi alla vita contemplativa d'un ordine monastico, per così dire, fuori del secolo, estraneo a ogni sorta di lotte, dedito soltanto agli studi e alla meditazione.

– Vorrebbe relegarlo in una Trappa o in un chiostro di Cistercensi? osservò il principe Romoli, sorridendo.

– Vorrei averlo sempre con noi, ripeto, o se è volontà di Dio che egli ci abbandoni per seguir la strada migliore e la più sicura, non ci sarà così facile trovare chi lo sostituisca; tutto possiede: ingegno, operosità instancabile.... beni di fortuna! non esiste contributo di cui non sia largo, dalla fatica meccanica in tutte le nostre istituzioni e dal lavoro intellettuale nella stampa cattolica alla borsa sempre aperta, sempre generosa.

– I suoi articoli sul Quotidiano io non li capisco – si fece Luigi Cantabruna un dovere d'interrompere, pronto sempre collo spegnitoio a moderare gli effetti di luce – e nessuno li capisce: che stile è? tutto arzigogoli, parole bisbetiche, fuochi artificiali, salti nelle nuvole; domando io, che stile è? versi o prosa?

Gravemente, Visdomini si giovò dell'interruzione: – Stile moderno, alla francese, e nel mentre dimostra il talento di Cybo e la sua cultura, rivela benissimo la sua educazione completata a Parigi; questo è il neo, so può dirsi un neo, di cui certo non ha colpa: attinenze di famiglia, relazioni d'università.... purtroppo si trovò affigliato alla scuola che in Francia vive ancora, di Montalembert, del padre Lacordaire, di Federico Ozanam, ne succhiò il veleno liberale sotto la scorza del cattolicismo, e questa è la ragione perchè io temo che la Compagnia di Gesù non sia adatta per lui. Non son domande da farsi, ma se avessi tanta confidenza da chiedergli come va che finora la sua accettazione si fa sospirare....

Eloquente fermata in aria, e Torre moderò l'impressione del sottinteso spiegando che era stato il padre Albis a consigliar Marco Cybo di differire il suo ingresso nella Compagnia finchè non avesse avuto la certezza della vocazione, dopo una specie di noviziato laico, tutto consecrato alle molteplici opere di propaganda cattolica, attraverso le battaglie e le tentazioni e le esperienze del mondo. Si venne a discutere: fandonie! se la recluta è giudicata davvero un buon acquisto per la Compagnia, i gesuiti non corrono l'alea di vedersela scappare, basta leggere le regole di sant'Ignazio. Il padre Albis aveva intimato al marchese un tirocinio laico? ammettiamolo, ma il padre Albis, tuttochè originale nelle sue idee e in certe sue fisime arieggiante un po' il padre Curci, da quel profondo conoscitore che era degli uomini, aveva addolcito la pillola per sbarazzarsi del postulante.

All'esedra di Termini, dove la carrozza insieme ad altre si era fermata per lasciar libero il passo a un battaglione di bersaglieri, furono raggiunti dal conte di Castelborgo in vettura con Marco Cybo, e stettero qualche momento fermi i due legni fianco a fianco. Scambio di saluti. Gridò forte a Cybo il principe Romoli:

Marchese, mi scuserà; l'abbiamo aspettato un pezzo e poichè non veniva....

Fu il Castelborgo a rispondere:

– ....ci ho guadagnato io, in premio d'essere stato più paziente.

Ne avrebbe fatto a meno Visdomini di quell'incontro, chè nell'uscire di chiesa, sotto il peristilio, avvicinatosi al Castelborgo, si era visto voltare sdegnosamente le spalle; diventò più pallido, più terreo del consueto, o forse assaporando l'imminente soddisfazione d'una rivincita clamorosa, non parlò più pel momento.

I legni al Fontanone di Mosè si separarono, l'uno verso il Quirinale, dritto alla Minerva, l'altro giù per Santa Susanna e il Tritone a Sant'Andrea delle Fratte. Cantabruna mormorò non so cosa all'orecchio di Visdomini, poi a voce alta:

Guai a noi! il principe di Massa si è addirittura schierato nel campo avversariodisse.

Era la seconda volta che, proferito con manifesto accento d'ironia, il nome del principe di Massa veniva in ballo. A che proposito? scrutava don Fausto sul volto dei tre compagni, collo sguardo interrogativo: chi era questo principe di Massa?

Cantabruna, avete tortoredarguì la paterna severità del presidente, non tanto per l'altrui difesa come per la propria in materia di titoli araldici – avete torto di scagliare la freccia contro una persona che noi tutti stimiamo; se a Marco Cybo si può fare un appunto, sarebbe quello d'essere troppo democratico, di non tenere abbastanza alla sua nobiltà gentilizia, come del resto non ci tengo neppur io e lascio che mi chiamino Torre, Torre nudo e crudo, quando invece il mio nome autentico, provato coi nostri documenti di famiglia, con documenti dell'archivio di Milano e di Genova, col famoso Turrianae propaginis arbor del Lampugnani e colle tavole genealogiche del Litta....

– Ah! sarebbe dunque Marco Cybo il principe di Massa? – per troncare la filza minacciosa dello prove, interruppe don Fausto.

più meno, tale e quale come io sono Della Torre dei principi di Chiaravalle e Valsassina, con questa differenza: Della Torre di Chiaravalle e Valsassina non sono io solo, esistono altre famiglie in varie parti d'Italia, ce n'è in Tirolo e in Isvizzera, ce n'è in Germania, perfino in Danimarca, mentre Cybo è lui unico erede e discendente in linea retta....

– Non c'è più altri che lui della famiglia Cybo? Ora mi rammento: non so da quale imperatore i Cybo che erano potentissimi in Liguria, ottennero l'investitura del principato di Massa con diritto di battere moneta; famiglia storica; ebbero anche un papa.... Innocenzo settimo? Innocenzo ottavo?

– Non c'è più che lui, dopo la morte del marchese Ademaro suo padre, e parlando secondo le umane viste, sarebbe una rovina che egli abbracciasse lo stato religioso, perchè con lui la famiglia si estinguerebbe.

Vanità temporali! Revertatur pulvis in terram suamsentenziò Visdomini, uscito dal suo mutismo.

E Cantabruna, sull'esempio del maestro:

– Anche san Giuseppe Calasanzio era nobile e figlio unico.

Ma il principe Romoli domandò a Torre altre notizie:

Cavaliere, lei ha conosciuto a Genova il padre di Marco? non era stabilito a Parigi e non sposò una francese?

– L'ho appena conosciuto da ragazzo; figlio unico lui pure e rimasto orfano, assai giovane entrò in diplomazia....

Creatura di Cavour! – non si tenne Visdomini dal far notare.

Era del partito liberale, come Lorenzo Pareto e Vincenzo Ricci, come i fratelli Balbi-Piovera, Orso Serra.... – Nel '54 o nel '55 andò a Parigi, segretario particolare di Cavour, e a Genova non tornò più, o almeno non fece più che rare e brevissime apparizioni, fu inviato dal governo a Costantinopoli, a Vienna.... fatto sta che di residenza fissa non tornò più.

– Avrà avuto le sue brave ragionimalignò ancora Visdomini col plauso ripetuto di Cantabruna.

– Io, confesso, credevo che fosse morto; un giorno intesi dire vagamente che a Parigi, scioltosi dalla carriera diplomatica, si era ammogliato con una signorina milionaria, della più alta nobiltà.

– Volevo ben dire: è lui che ha sposato una Chateau-Ponsac, sorella della Fitz-Jamesconfermò il principe – non può esser che lui, quantunque l'almanacco di Gotha nello stato di famiglia dei Chateau-Ponsac aggiunga al nome di Cybo il titolo d'un feudo tedesco o ungherese.

– Non saprei. Dopo tanti anni, saranno tre anni, ecco un Cybo che risuscita, capita a Genova con sua madre e sua sorella, riapre il palazzo abbandonato di San Francesco d'Albaro, l'antico palazzo dei Cybo, magnifico, costrutto da Galeazzo Alessi e dipinto da Luca Cambiaso, molto somigliante a quello che possedevano i Della Torre sulla collina di Granarolo....

Era Marco, che tornava in patria?

– Il nostro Marco, uscito dal collegio dei gesuiti di Monaco, fiero della sua illustre origine genovese, che dopo la morte del padre aveva indotto la marchesa vedova a lasciar Parigi. Da allora in poi l'abbiamo sempre avuto con noi: homo missus a Deo; nostro fedele compagno e nostro esempio in tutte le opere cattoliche. E la marchesa? baciamo in terra dove mette i piedi: palmas suas extendit ad pauperem, è detto tutto.

In piazza della Minerva, Visdomini si contentò di esclamare:

– Siamo arrivati, finalmente!

 

Arrivato all'albergo prima di loro e vestitosi in punto e virgola, Marco stava per scendere abbasso, quando dal cameriere gli fu annunciata una visita, e subito, dietro al cameriere, si affacciò, col suo sorriso bonariamente arguto, il sonatore Tommaseo.

Beato chi può trovarlo e vederlo, il marchese Cybo! – disse, fermo sulla soglia e ripigliando fiato dopo l'ascensione asmatica delle scaledove passa la giornata? sempre in conferenza con Sua Santità e col cardinale segretario di Stato?

In quel momento, premuroso di raggiungere i compagni e, sbrigato un asciolvere sommario, correre al palazzo del Sant'Uffizio dove i pellegrini liguri stavano d'alloggio, Marco, ad onta dei suoi scrupoli, avrebbe assolto e benedetto il cameriere se si fosse permessa una bugia e, risparmiando al senatore la fatica di salire le scale, a lui avesse risparmiato il fastidio di doverlo ricevere, ma oramai non gli restava che mostrarsi lietissimo della visita inattesa.

– Si potrebbe sapere perchè non è venuto al Senato? Non si è lasciato vedere dai Marescalchi, neppure una volta dalla duchessa d'Olevano.... mi ha chiesto di lei la duchessa d'Olevano: così buona quella duchessa! e si è lagnata con me, anzi so che le ha scritto....

– È vero, un biglietto per invitarmi oggi a pranzo, ma come si fa? questa sera, alle otto in punto, addio Roma.

– Lo so da Carbonara, i romei questa sera ci abbandonano, e lei, manco a dirlo, fa vela con essi: guai al mondo se mancasse uno dei piloti principali. A proposito: Paolino Carbonara ci si trova bene a Roma e lascia partire gli altri; l'ho visto tutti questi giorni, senza contare che a Genova si è imbarcato con me e abbiamo fatto viaggio insieme, noi due e un'altra persona; appena si accorse che mi trovavo in compagnia d'una signora, niente pellegrinaggio! e il bordone e il sanrocchino colle relative conchiglie restarono appesi a un lampione come per incanto.

Marco si guardava bene dall'intromettere una sillaba nel discorso, conoscendo il suo uomo che ne avrebbe tirato pretesto per attaccare un pezzo sinfonico interminabile.

– ....Ma lei, vedo, è in armi e bagaglio o non ha tempo da perdere. Stamattina son già venuto due volte e questa è la terza: deve rendermi un servizio; si o no? pochi discorsi: sì o no?' – Capisco, lei non risponde per non compromettersi e forse ha già indovinato.... non ha indovinato? ha torto: in certi casi i servizi che noi, reprobi, veniamo a implorare dalle anime elette, si dovrebbero capire a volo.

Sfortunatamente non ho capito e per quel poco che posso sono ai suoi comandi – si affrettò Marco Cybo a dichiarare, con un leggero pizzico d'impazienza nella voce, appena un accesso provvidenziale di tosse interruppe l'inutile cantafera.

– Il ricevimento dei pellegrini in Vaticano avrà luogo quest'oggi a mezzogiorno? – E siccome la domanda barbugliata tra le vedove gengive, a tutta prima non era stata intesa, il senatore la ripetè elevando il diapason, nella solita persuasione che fosse l'altrui sordità quella che così spesso lo costringeva al bis, e proseguì, dopo ottenuto un cenno affermativo:

– Abbiamo anche noi la nostra polizia segreta e siamo sempre informati di tutto, appuntino; non credano loro signori di farla franca, e glielo dica ai suoi amici....

Per tagliar corto e coll'efficacia della mimica esprimere che volentieri avrebbe differito lo scherzo ad altro giorno da determinarsi, Cybo infilò il soprabito, cavò di tasca un paio di guanti:

– La prego, senatore, se non le dispiace....

– Ha ragione, lei è sulle spine ed io abuso del suo tempo, e faccio male, perchè tra le altre cose, io pure ho i minuti cantati. – Insomma, si tratta di questo: mi occorrono due biglietti per l'udienza papale, non mi dica di no, li ho promessi e ci tengo.

– Ma non ci sono biglietti per l'udienza d'oggi: è un ricevimento affatto speciale pei pellegrini e noi ci facciamo riconoscere mostrando le nostre tessere personali, numerate, specificate col relativo nome e cognome.

– Allora mi favorisca due tessere; tessere o biglietti, per me c'è poca differenza; l'importante è d'avere due segni di riconoscimento da presentare alla Porta di bronzo; e in quanto al nome e cognome, se non c'è altra difficoltà, scriva pure sotto dettatura: principessa Bran....

– Ce ne sono parecchie difficoltà, caro senatoreinsisteva Marco, strettamente assediato e non certo per suo capriccio nella condizione di non poter aderire alla richiesta – prima di tutto, non posseggo tessere in bianco e nessuno di noi ne possiede perchè non ne esistono: tutto quante numerate e già distribuite dalla prima all'ultima; seconda difficoltà, e questa taglia la testa al toro: lei ha detto, se non erro, principessa....

Brancovenu, con l'u finale, non o, – u, si ricordi: Brancovenu.

– Fa lo stesso; sia con o, sia con u, il nome è sempre quello d'una signora, e oggi, in Vaticano, alla presenza del Papa, le signore non sono ammesse; sono ammessi soltanto gli uomini, e noti bene, gli uomini che fanno parte del pellegrinaggio operaio.

Errore! errore! – replicò trionfalmente l'avversarioerrore grandissimo. Questa non me l'aspettavo, d'essere io meglio informato di lei; vede se ha buon naso la nostra polizia? ne sappiamo più noi di tutti loro signori, che credono d'avere le mani in pasta. Sul serio, le donne sono ammesse, glielo dico io e so di non sbagliarmi: signore, serve, operaie, figlie di Maria, le donne insomma, e non le avrei chiesto i biglietti se non ne fossi stato certo. – È inutile che lei crolli il capo; vuole una prova? è sempre la mia polizia segreta che m'informa: interverrà la Società delle operaie cattoliche, presieduta da donna Agnese d'Alcantara, interverrà la Società protettrice delle serve, presieduta dalla marchesa Campitelli che lei conosce, e infine la Società romana delle donne cattoliche, presieduta dalla principessa Romoli. È contento?

Contentissimo, ma temo forte che le sue informazioni non sieno esatte. Se non le dispiace discendere con me, abbasso c'è l'avvocato Visdomini che potrà illuminarci meglio d'ogni altro; conviene andar subito, se vogliamo ancora trovarlo. – E preso il cappello, Marco si avviò giù per le scale, non senza applaudirsi d'avere escogitato la maniera d'accorciare l'assedio e forse liberarsene del tutto, persuaso che a momenti la parola d'uno degli arconti avrebbe tolto via ogni questione.

– E poi? – continuò sul primo pianerottolo, in attesa del senatore che calava i gradini a uno per uno, traballante e impedito dal pancione di vedere dove metteva i piedi – E poi? fosse anche vero, non capisco troppo come potrei esserle utile: qui a Roma io sono forestiero, ho imparato adesso, da lei, l’esistenza di coteste associazioni romane femminili.

– Tanto meglio, vuol dire che le mie notizie le gioveranno. – Si fermi un minuto, non scenda così in fretta: crede che io abbia le sue gambe di ferro? – Lei, voglia o non voglia, nel mondo nero è un pezzo grosso.... anche Carbonara è un pezzo grosso, massime ora che il Papa l'ha fatto suo ciambellano; a sentirlo, chi comanda è lui, le undicimila stanze del Vaticano le apre lui a piacimento.... ebbene, l'altro giorno promesse a rotta di collo: "senatore, non dubiti, lasci fare a me.... vedrò, m'incarico io....” e poi....

– ....Niente?

– Me lo domanda? – Senza tanti discorsi: lei quando vuole, ottiene: salta in una botte, corre qui a quattro passi alle Tartarughe, dalla marchesa Campitelli presidentessa delle serve, e in meno di mezz'ora mi fa avere i biglietti.

– Solo a titolo di curiosità: la principessa.... Bran.... come ha detto, sonatore?

Brancovenu, una delle primarie famiglie di Rumenia; certo l'avrà intesa nominare; per lo meno l'avrà vista sull'almanacco di Gotha....

– La principessa Brancovenu sarebbe disposta ad aggregarsi alle serve?

Disposta a tutto, pure di vedere il Papa; essa e sua figlia non hanno altro desiderio, specie sua figlia. Lei crede che in Vaticano oggi ci saranno proprio le serve? di serve, proprio serve, neppur una; ci saranno quindici o venti dame dell'Olimpo nero, tutte serve di Dio, chi ne dubita? ma tutte presidentesse, segretarie, tesoriere, patronesse, e per ficcarcisi in mezzo non occorrono sentimenti democratici di umiltà. – Dunque, si ricordi bene il nome per scriverlo come va scritto, chè all'ultimo momento non abbia da nascere qualche intoppo.

Sentiamo prima Visdominiobbiettò ancora una volta Marco Cybo, giunto, a Dio piacendo, in fondo alla scala dopo trentasei tappe.

E il responso di Visdomini fu quale il senatore l'aspettava: per dare al ricevimento maggiore solennità e maggiore imponenza agli occhi dei Pontefice, si era stabilito nel supremo consiglio che vi avrebbero partecipato le numerose associazioni romane, non escluse le femminili. Nella sua prudenza circospetta, l'avvocato si tenne sulle generali, ma non riusciva difficile capir tra le righe il vero perchè d'una deliberazione nuova, presa soltanto la vigilia, dopo che si era fatto il computo matematico di tutti quelli che sarebbero intervenuti. Non solo: chiacchierino più del dovere, Cantabruna accennò al discorso che il Papa avrebbe pronunciato – non si sapeva su quale argomento d'attualitàdiscorso d'importanza specialissima o troppo sublime per essere ascoltato quasi in famiglia da un semplice uditorio d'operai.

Le ultime riluttanze furono vinte, Marco si rassegnò, comunque assai grave gli pesasse il fastidio di concedere un tempo prezioso al desiderio vano di gente sconosciuta. Neppur chiese al senatore chi fosse e donde venisse cotesta signora principessa Brancovenu, della quale si mostrava così sollecito, dove e come l'avesse incontrata: sempre in giro pel mondo, accolto nei salotti aurei di mezza Europa, non per nulla Tommaseo si era meritato a Parigi dal marchese Do Noailles l'appellativo d'almanach perpetuel et universel des dames, tante erano le signore sulla superficie del globo, alle quali offriva l'omaggio della sua servitù, e poichè una principessa Brancovenu esisteva e dippiù si trovava a Roma, sarebbe stata l'anomalia delle anomalie se egli non avesse avuto mezzo d'aggiungerla all'interminabile lista.

Disse a Cybo nel separarsi da lui sotto il portone dell'albergo:

Restiamo intesi così: io scappo in via Gregoriana ad avvisare la principessa e sua figlia e le imbarco con me, lei al palazzo Campitelli, e a volta di corriere, ci troviamo sotto il colonnato davanti al portone degli Svizzeri; chi primo arriva aspetta; le affido le signore....

– A me le affida!? – fu il grido di Marco, spaventato dal pensiero di doversi accollare la compagnia di due signore ignote, delle quali, per convenienza, non avrebbe più potuto sbarazzarsi sino all'ultimo.

– Lei le presenterà alla marchesa Campitelli. Non sarebbe decoroso che si introducessero per la via storta, mischiandosi alle serve, senza farsi conoscere dalla loro presidentessa e senza ringraziarla. Vada , non ci perderà niente – aggiunse strizzando gli occhi in aria furbesca l'egregio sonatore, tormento d'una metà del genere umano per cavalleria verso l'altra metà – di certe cose con lei non si può discorrere, ma se invece d'essere quel che è, fosse uomo della mia pasta.... non dico altro; siamo intesi: fra un'ora al più tardi, sotto il colonnato.

E coll'aiuto di Marco arrampicatosi nella botte che l'attendeva in piazza, masticò dietro la schiena del vetturino:

Via Gregoriana, numero 31.

Troppo bravo d'orecchio sarebbe stato il vetturino se avesse capito, e fu Marco che dovette ripetergli l'indirizzo, gridandogli forte e chiaro il numero 31 che era pure quello della sua camera d'albergo. Salito a sua volta in un altro legno, aveva appena girato l'angolo di via del Gesù, quand'ebbe l'ispirazione, per economia di tempo, di lasciare in pace la marchesa Campitelli, occupata certo a quell'ora a raggranellare le sue corifee, o invece filar dritto al Vaticano da monsignor Della Stanga, Maestro di camera; nel mentre era la via più sicura d'ottenere i famosi biglietti, era anche la più spiccia, e sbrigatosi in due parole, avrebbe avuto agio d'assistere all'ingresso dei pellegrini e collocare a posto le squadre.

 

Educato nelle cancellerie delle Nunziature alla scuola della gentilezza perfetta, e più tardi, nelle anticamere pontificie, a quella del periodare verboso, monsignor Della Stanga accolse subito la richiesta.

Principessa Brancovenu e figlia. – disse, ripetendo il nome udito da Marco e scrivendolo egli stesso sopra un largo cartoncinoso che si trova a Roma e ne intesi parlare l'altra sera in casa Salviati. Buona famiglia rumena; ma non di ospodari e il titolo principesco fu una concessione recente dell'imperatore d'Austria. Ho conosciuto il principe alla nunziatura di Vienna: gran gentiluomo, letterato, statista, diplomatico.... ero appunto a Vienna, quando morì sul colpo per una caduta da cavallo; e credo d'aver conosciuto anche la principessa, un'ungherese, se non erro, che cantava mirabilmente, bellissima allora e molto in voga nella più alta società, quantunque non nobile, anzi d'origine piuttosto.... modesta.

Cenni biografici che per monsignore avranno avuto la loro importanza, ma lasciavano Marco Cybo del tutto indifferente e gli facevano presagire una lunga conversazione inutile, alla quale per rispetto, o a scapito dei suoi brevi minuti, sarebbe stato giuocoforza rassegnarsi. Poich'ebbe rinchiuso il biglietto dentro una busta col timbro dei Palazzi apostolici, il prelato volle spingere la cortesia fino a farlo recapitare immediatamente da un suo famiglio.

–– Abita la signora principessa Brancovenu?... chiese a Marco senza dargli retta, ancorchè questi tentasse d'insistere nella formalità dei soliti complimenti, e scritto di suo pugno l'indirizzo o spedito il piego, mutò discorso, trattenendosi sullo spiacevole malinteso che la sera prima, tra i clamori dell'assemblea, aveva dato origine alle parole vivaci, forse troppo, non certo intenzionalmente offensive, dell'avvocato Visdomini. Per buona sorte Sua Eminenza il cardinale Schiaffino appunto in quel momento stava adoperandosi presso il conte di Castelborgo e senza dubbio colla sua autorità l'avrebbe persuaso a non suscitare altro scandalo con una protesta sui pubblici fogli, ma non era men vero che siffatti screzi tra i cattolici rivelavano le arti subdole e inique di chi sapeva giovarsene per disgustare i buoni nella loro operosità così proficua e allontanarli dall'azione, Dio sa con quanto gaudio degli avversari e peggio ancora con quanta amarezza all'animo del Santo Padre!

Queste cose, e molte altre anche meno peregrine, monsignor Della Stanga le diceva per dar aria ai denti, non di sicuro coll'idea d'aprire a Marco nuovi orizzonti, e per simulare un pretesto di conversazione le ripeteva sul tono d'un'antifona del breviario imparata a memoria, non risolvendosi mai ad accomiatare il suo visitatore, anzi serrandolo nel laberinto delle frasi come per impedirgli l'uscita ogni volta ch'egli faceva le prove d'alzarsi. Di chiacchiera in chiacchiera, da una persona all'altra, tornò sul primo argomento; i nomi si richiamano tra di essi e quello della Brancovenu cadde di nuovo sul tappeto, per caso. Ora si rammentava benissimo, monsignore: sicuro, si era trovato colla principessa a un pranzo del ministro Apponyi, nientemeno che la vigilia o l'antivigilia del funesto avvenimento in cui il principe perdeva la vita così tragicamente a Mödling.... anzi no, a Laxenburg.... insomma nei dintorni di Vienna...

Cadendo da cavallo – –impazientito, aiutò Marco Cybo, nella speranza d'affrettare il racconto.

– ....Cadendo da cavalloribattè monsignore, fissi gli occhi in quelli di Marco – almeno secondo la versione ufficiale delle gazzette.

– Ah! c'era un'altra, versione?

– Non ne sa nulla, marchese? – E più che le labbra erano gli occhietti grigi e furbeschi del prete che interrogavano – non ne sa nulla? Capisco che la principessa per molte ragioni non le abbia mai parlato d'un episodio così luttuoso e tanto meno sia entrata in certi particolari, ma supponevo che da altra fonte.... anche in famiglia...

– In famiglia!?

– Ossia.... in famiglia, come dappertutto; ne menarono tanto chiasso i giornali a quell'epoca.... è vero che lei era ancora bambino, ma fatti di questo genere, discorrendo, ritornano a galla. Si buccinava sottovoce, e non soltanto sottovoce, d'un duello misterioso.... un duello, come purtroppo se ne hanno altri esempi, massime in Germania, che ad ogni costo si voleva nascondere.... ripeto, la principessa, naturalmente, non parlandogliene mai...

– Non poteva parlarmene la principessa, anche se avesse voluto – esclamò Cybo con una punta di stizza – io non la conosco, non l'ho mai vista al mondo; forse ne avrò inteso il nome un paio di volte in vita mia, niente più.

Monsignor Della Stanga trasecolò:

– Lei, marchese, non conosce la principessa Brancovenu?

– Neppur per ombra. Se ha la bontà di rammentarsi, glielo dissi entrando, monsignore: mi permettevo d'importunarla dietro le vive istanze d'un amico della mia famiglia, il senatore Tommaseo, che aveva escogitato, in mancanza d'altra vittima, di mettere a contributo l'opera mia e non darmi requie e non lasciarmi respirare, purchè alla principessa e a sua figlia ottenessi di poter assistere, oggi, al ricevimento dei pellegrini.

– Ah! il senatore....

– ....Tommaseo. Corto non le riuscirà nuovo il nome, sebbene non sia tra quelli che compariscono più spesso nei rendiconti parlamentari: una volta all'anno.... e non tutti gli anni.

–– Nipote forse o cugino del celebre Tommaseo?

–– Non credo, anzi no, assolutamente: lo scrittore era dalmata e il senatore invece è siciliano, di Trapani, e tiene a Genova il suo quartiere generale. Del resto, un gentiluomo dell'antico stampo, a prova di bomba.

– Tanto meglio, tanto meglioripetè due volte il Maestro di camera, tutto ilare, alzandosi in piedi, finalmente, e con voce che palesava una intima soddisfazione – in questo caso son molto lieto d'avere io pure contribuito in qualche modo ad appagare i desideri del senatore.

E accompagnato Marco Cybo sulla soglia, nel licenziarlo parve che un ultimo dubbio gli travagliasse ancora il pensiero. Soggiunse, alquanto sardonico:

– M'imagino che in benemerenza del servizio reso, il nostro senatore Tommaseo, così devoto alle signore e così faccendiere, non avrà altra premura che di condurre lei, marchese, ad ossequiare la principessa.

Speriamo di no; in ogni caso, se ne avesse l'idea, mi sarebbe impossibile contentarlo, poichè parto questa sera.

– Per Genova?

– Per Genova col pellegrinaggio ligure che torna a casa, e poi, sui primi di dicembre, per la Francia, dove andrò a raggiungere mia madre e mia sorella.

– Allora.... tanto meglio – per la terza volta replicò monsignore sempre più gioviale, ma si corresse subito – volevo dire tanto peggio.... sicuro, tanto peggio per noi, che abbiamo la sfortuna di perderla così presto.


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