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Marco Cybo si recò difilato nella sala Clementina in Vaticano dove il ricevimento doveva aver luogo e dove, man mano che giungevano i pellegrini a piccoli gruppi, le squadre si stavano formando. Di trovarsi all'appuntamento fissato da Tommaseo, non si diede più pensiero: era inutile, dappoichè alla principessa era stato recapitato il biglietto a casa con tanta sollecitudine, e d'altra parte non gli sembrava vero d'essersi tolto dalle spalle così a buon mercato e così alla svelta il fastidio d'una presentazione alla quale non teneva niente affatto, in ispecie ora, dopo le parole di monsignor della Stanga: parole scure che egli non aveva capito nè gli importava di capire, ma che lasciavano trapelare qualche cosa di losco e di misterioso.
Gridando forte le sue istruzioni come se fosse stato in una piazza d'armi, saltando di qua, correndo di là, scendendo abbasso, tornando di sopra, Luigi Cantabruna faceva da generale e da caporale. Lombardi, liguri, romani, piemontesi, uomini e donne, giacchette e marsine, zimarre nere e mantellette paonazze, per amore o per forza dovevano obbedirgli; non si udiva che la sua voce acuta e sibilante, non si vedeva che la sua persona rachitica sguisciare nella folla, tra le alabarde degli svizzeri e le lucerne dei gendarmi. Rosso, sudante, col nodo della cravatta di traverso sotto l'orecchio e la camicia pietosamente sgualcita nello sparato ampio del panciotto, appena ravvisò Marco gli venne incontro, che pareva l'ira dell'Apocalisse: ecco: dove s'era nascosto fino allora? una Babilonia, una Babilonia! ordini, contrordini, tutti volevano comandare, tutti volevano dirigere, tutti pretendevano il posto d'onore in prima riga per potere veder bene il Papa e sentire il discorso! Fortuna che Marco Cybo era capitato, così lui piantava la baracca e se ne andava a prendere il fresco! I peggio erano i romani, i più intrattabili e i più prepotenti; voleva sentirne una? i capi della federazione Piana strepitavano per le coccarde bianche e rosse dei genovesi e non c'era verso di persuaderli; il più accanito era il duca.... il principe.... come si chiamava? tutti principi e duchi a Roma.... come si chiamava il presidente dal Circolo di San Pietro?
– Don Giulio Bentivoglio. Ebbene? bianco e rosso, i colori di Genova, che male c'e? – rispose Cybo meravigliato.
Questo, questo domandava anche Cantabruna: che male c'era? i colori di Genova, croce rossa in campo bianco; nossignore: i colori sabaudi, croce bianca in campo rosso, guai al mondo, scomunica, fulmini, ira di Dio! e intanto una gran discussione e spreco di tempo; intanto metà dei pellegrini mancava, s'era persa per la strada, e a momenti suonavano le dodici! Bisognava trovarsi pronti almeno due ore prima e non ridursi a tirare coi denti gli ultimi minuti; l'aveva predicato, sì o no, subito arrivato a Roma? stabilire quella stessa mattina per la funzione in San Lorenzo e pel ricevimento del Papa, era un solenne sproposito, ma già, lui, Cantabruna, era fatto giusto per cantare nel deserto e pigliarsi tutti i fastidi! E mentre lui sgobbava per gli altri e ci rimetteva i polmoni, dov'erano i pezzi grossi, i direttori generali, queste cime di talento? di là, nelle anticamere, a sprofondarsi in inchini coi monsignori, a gonfiarsi, a ricevere le congratulazioni!
Per molti rispetti, Cybo si guardò bene dal contraddire. Dopo aver dato prova della maggiore pazienza ascoltandolo, si diede attorno, poichè l'ora precipitava, a collegare in fila i ritardatari. Di sfuriate simili, valanghe di parole e di lamenti, Luigi Cantabruna aveva la privativa e in grazia dell'abitudine niuno più ne faceva caso. Fra le tante, innumerevoli, una delle sue principali fissazioni era quella di doversi sempre adattare alla volontà degli altri, d'avere sulle spalle il peso improbo di tutto il lavoro, lui ch'era la prepotenza incarnata e manco sotto una pioggia di bombe avrebbe acconsentito a cedere un pezzetto del suo bastone di comando; ogni volta, senza fallo, era l'ultima che si lasciava pescare, ma questo che sarebbe stato il miracolo più strepitoso dell'epoca, aspettato da tutti come una manna del cielo, purtroppo, a causa dei nostri peccati, la misericordia divina lo teneva in serbo pei secoli di là da venire.
Frattanto, come Cantabruna aveva detto, le alte dignità e i capi promotori attendevano nella sala degli Arazzi che il Santo Padre uscisse dai suoi appartamenti, per rendergli omaggio in precedenza e fargli corteo al suo ingresso nella sala Clementina. Solenne aspettativa: quando Marco, privilegiato anche lui, li raggiunse, tutti erano al loro posto, gravi e compunti, penetrati dalla maestà dell'ora imminente. Se più familiari del luogo e meno facili alle emozioni d'uno spettacolo per essi abituale, i romani e i giornalisti di Roma non si prendevano soggezione, considerandosi padroni di casa, e chiacchieravano tra loro e andavano e venivano a beneplacito, gli altri, raccolti in vari gruppi, tra i quali spiccavano i capelli bianchi del conte di Castelborgo e la parrucca bianca di Cristoforo Torre, gli altri, compreso l'avvocato Visdomini, osavano appena muoversi, discorrevano a voce bassa con intervalli di lunghi silenzi, trepidando ogni volta che l'uscio si schiudeva per dar passaggio a un sediaro o a un prelato domestico partecipante oppure tintinnivano gli speroni d'una Guardia nobile; lo stesso monsignor Brasile, nella pompa violacea della sua cappa magna di protonotario apostolico, perduta la facondia irascibile, se ne stava in disparte taciturno e mansueto.
Qualcuno pretendeva che facesse il broncio perchè a malgrado dei suoi intrighi gli era stato negato di leggere l'indirizzo al Pontefice, onore che secondo lui gli spettava di pien diritto non solo sui laici ma pure sugli ecclesiastici, nessun vescovo trovandosi a Roma delle diocesi a cui appartenevano i pellegrini, o che invece, come decano dei vari presidenti, Cristoforo Torre si era tenuto bravamente per sè.
I maligni susurravano che monsignor abate era uomo da legarsela al dito e colle protezioni cardinalizie di cui godeva l'avrebbe fatta scontare, e sembrava che Cristoforo Torre lo presentisse, tanto si affannava in un crocchio e nell'altro a latineggiare per giustificarsi: cosa dicevano le sacre Scritture appunto a proposito del decano? major natu loquator, e non facevano distinzione tra ecclesiastici e laici; era lui o non era il major natu? E con gesto abituale si accarezzava sul cranio la neve di stoppa, ripetendo una dello sue burlette favorite, che per lui era sempre fresca, quantunque se ne smarrisse l'origine nelle nebbie di trent'anni addietro: bastava guardarlo: la torre era in rovina, quasi sepolta sotto la neve di tanti inverni, e non gli occorreva mostrar la fede di battesimo per far valere il suo jus senectutis; torre d'oro in campo rosso, era lo stemma della sua famiglia, lo stemma antichissimo dei Torriani di Milano e di Valsassina, inquartato per via di donne, con quello dei principi di Chiaravalle, ma la torre a poco a poco sotto gli inverni era diventata d'argento. E san Paolo? lo diceva anche san Paolo ai Corinzi: non gloria, necessitas mihi incumbit; ecco il busillis: necessitas! e al fumo e agli onori avrebbe rinunciato molto volentieri, a patto di tornare indietro sul lunario e indorare di nuovo quella benedetta torre!
Ripetuta sillaba per sillaba parecchie volte e in diversi gruppi, cotesta palinodia Marco aveva finito per impararla a memoria e si era rifugiato in un angolo insieme al Castelborgo, che di nuovo gli veniva spiegando come le esortazioni del cardinale Schiaffino l'avessero indotto, per quanto gli fosse amaro, a transigere sulla sua dignità vilipesa e a fare atto di presenza.
– Potevo ostinarmi – conchiuse rassegnato – dar l'esempio dello scandalo e della ribellione, per un miserabile orgoglio? Sua Eminenza, apprezzando le mie ragioni, promise d'esporle al Santo Padre prima, che da altri la cosa gli venga all'orecchio; il Santo Padre giudicherà tra me e coloro che mi hanno offeso: non domando altro. Ed eccomi qui per dovere e per obbedienza, sotto gli occhi sospettosi di questi signori, che quasi tutti mi credono scismatico o imbecillito!
Mezzogiorno e tre quarti. Le porte si spalancarono. Il susurro che man mano, col prolungarsi dell'aspettazione, era andato crescendo tra i congregati e dissipando il raccoglimento dei primi dieci minuti, cessò immantinente. Comparvero le guardie svizzere, le guardie palatine, le guardie nobili, e ritta sulla soglia, bianca sullo sfondo delle porpore e delle cappe violacee che l'accompagnavano, tutta bianca, senza stola, la figura di Leone XIII.
I congregati si prostrarono.
Venne avanti, lenta, benedicendo.
Venne avanti, lenta, benedicendo i genuflessi nella luce che irradiava la sua candidezza marmorea, benedicendo a destra e a sinistra, non sorridente, rigida nel gesto liturgico. Quando si arrestò in faccia ad una delle invetriate, gli occhi, immobili fino allora, guardarono attorno benigni, sul volto d'asceta parve che un filo di sangue serpeggiasse nel gran pallore tra i margini delle rughe, ma le labbra non sorrisero e non sorrisero gli occhi benigni, velati da una mestizia, il capo si curvò e cadde stanca la mano che impartiva.
Poi che tutti furono in piedi e si disposero in semicerchio al cospetto della Santità Sua circondata dalla corte palatina e assistita dagli eminentissimi Mertel, Ledochowski, Parrocchi e Schiaffino, quest'ultimo come ligure e protettore del pellegrinaggio, la porpora sulla tonaca bianca d'olivetano, presentò ad uno per uno i membri dei tre comitati, dopo l'esordio d'un breve discorso.
Molti di essi il Santo Padre li conosceva nè la memoria gli faceva difetto. Via via che dal cardinale gli venivano presentati, ad ognuno rivolgeva la parola benevola, interrogando i nuovi, rammentando agli anziani in quale circostanza fossero già stati ammessi al bacio del piede. Col presidente si compiacque di vederlo tuttora vegeto e florido, d'ascoltarne un lungo sproloquio latineggiante e la memoranda narrazione della neve fioccatagli sullo stemma dal giorno della sua prima venuta a Roma, nel '43, ai tempi di papa Gregorio, quando segretario di Stato era il cardinale Lambruschini, felice memoria.
– L'Eminentissimo, dal quale fummo consacrati arcivescovo di Damietta, appunto nel '43, prima della nostra partenza per la nunziatura del Belgio – rammentò Sua Beatitudine, quasi con tristezza, assorta un istante nel lontano ricordo, e per moderare la facondia soverchia del presidente, non a lui, ma a Cantabruna e poi all'avvocato Visdomini chiese notizie sulle opere cattoliche di Genova "la nostra buona Genova, mazziniana e divota". Fosse per la commozione, fosse per l'equivoco del cardinale Schiaffino che l'aveva presentato come marchese Carbonara, Luigi Cantabruna rimase goffo e balbettante a trangugiar la saliva, rosso di confusione, incapace d'azzeccare una risposta, mentre nel gruppo dei camerieri segreti e d'onore la barba del vero marchese Carbonara non finiva d'agitarsi, ma coll'avvocato Visdomini il Santo Padre s'intrattenne volentieri, prolungando il colloquio assai più che con ogni altro, degnandosi d'addimostrargli tutto il tempo e in faccia a tutti una singolare predilezione.
Quando fu il turno del conte Appiani di Castelborgo, senza rammentarsi d'averne altre volte gradito gli omaggi in Vaticano, con un semplice accenno del capo ne accolse il nome e la presentazione, brevi parole gli bastarono, brevissime, gelide, e riconosciuto Marco Cybo che stava a fianco del conte, si volse a lui, prima ancora che il cardinale pronunciasse la formula di prammatica; lo chiamò a sè e nel curvarsi per sollevarlo con ambe le braccia dalla genuflessione, lo strinse in una tenerezza paterna.
Procedendo insieme al corteo per recarsi nella sala destinata al ricevimento, Marco si sentì battere sulla spalla e interrogare a bassa voce:
– E così? perchè hai mancato all'appuntamento?
Si voltò. Era Paolino Carbonara, sempre magnifico nelle fiamme imperiali della sua barba che gli scendevano ondeggianti sul petto a lambire la collana d'oro, ineffabilmente glorioso nelle sue funzioni nuovissime di cameriere segreto di cappa e spada.
– Perchè hai mancato all'appuntamento?
La replica della domanda somigliava a un rimprovero, se i rimproveri di Carbonara si fossero potuti pigliar sul serio, tanto più incomprensibile quanto più grottesco il sussiego che l'accompagnava, e la verità era che Marco, lontano mille miglia, non sapeva affatto d'aver dato a Paolino Carbonara alcun appuntamento, e prima di tutto, per poter rispondere, avrebbe voluto capire.
Qui stava il difficile: non era il momento nè il luogo, camminando a piccoli passi in mezzo ai prelati e ai dignitari della famiglia pontificia al seguito del Papa, d'ottenere che Carbonara in due parole riuscisse a spiegarsi, d'altronde doveva essere cosa di poca importanza o nessuna, perchè egli, non curandosi della risposta, attaccò subito un altro argomento che gli bruciava il cuore: aveva sentito, Marco, lo sproposito del cardinale Schiaffino? pazienza, se fosse stata la prima volta e in un'altra circostanza, ma nossignore, davanti al Papa! e sempre così: o lui lo presentavano come Cantabruna, o Cantabruna lo presentavano come Carbonara; sempre così! che somiglianza c'era tra il suo nome, marchese Paolo Carbonara, e quello di Cantabruna, per confonderli insieme? lo domandava a Marco Cybo: che somiglianza c'era? eppure, sempre così! Pazienza, se fosse stato un altro, ma un cardinale! un cardinale prendere di questi granchi e non ricordarsi più che il marchese Paolo Carbonara era stato nominato da Sua Santità cameriere segreto e per lui non c'era più bisogno di presentazione? se non le sanno i cardinali queste cose, chi ha da saperle?
– Non so spiegarmi neppur io l'equivoco, – osservò Cybo con leggera ironia, troppo spontanea per potersi pentire a tempo, – Cantabruna non ha barba!
– E nota questo: non solo non ha barba, ma non ha neppure.... sai cosa voglio dire.... – anche tu sei senza barba – non ha quel certo esteriore che ho io e che hai anche tu.... mi spiego? quella distinzione.... guarda un po' Bentivoglio, per esempio, qui a dritta, guarda Pippo Campitelli, il marchese Ottoneschi, t'accorgi subito che sono persone della nostra.... del nostro.... sai cosa voglio dire, ma Cantabruna.... via, dal cardinale Schiaffino questa non me la sarei aspettata; e mi conosce il cardinale, mi ha visto qui ieri, mi ha visto stamattina....