Remigio Zena
L'apostolo

VII.   Surge, quæ dormis.

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VII.

 

Surge, quæ dormis.

 

Altissima e unanime irruppe l'acclamazione dei pellegrini all'apparire del Sommo Pontefice, una lunga acclamazione di evviva, un agitarsi di braccia, uno sventolare di fazzoletti. Vero tumulto che andò crescendo, propagandosi dalle prime alle ultime file e divenne frenesia. Nel metallo delle voci che si fondevano insieme, robuste, squillanti, argentine, in un clangore d'urli irriverenti, vibrava l'anima della folla, sempre la stessa indomabilecattolica o giacobina – fatta ubbriaca dalle sue ire e dai suoi entusiasmi.

In fondo alla sala Clementina una semplice poltrona era stata collocata sul rialzo di parecchi gradini. Nel mentre durava l'ovazione e a stento la moltitudine dei devoti ricomponeva le file, più obbediente all'invito degli svizzeri e dei gendarmi anzichè al comando dei suoi capi, la Santità di Nostro Signore, dopo avere dall'alto contemplato lo spettacolo, lentamente si assise, non sorretta, rimanendo immobile tra i quattro cardinali, le palme adagiate, o, meglio, con qualche stanchezza abbandonate sui bracciuoli di velluto, e aspettò.

L'attesa non fu breve. Dopo un inno già altre volte cantato alla presenza del Papa dai giovani componenti il Circolo romano dell'Immacolata, ma più efficace d'ogni comando a ristabilire la calma, il presidente Torre uscì dal gruppo laico, al quale la nobile anticamera pontificia aveva ceduto il posto d'onore a fianco del trono, e fatta la genuflessione di rito, cominciò colla sua voce in falsetto la lettura dell'indirizzo:

"Beatissimo Padre.

"Prostrati ai piedi della Santità vostra in questo giorno solenne, venuti dall'estrema Italia non già nella nuova Roma pagana, ma nella Roma del Beato Apostolo Pietro, gli operai lombardi, liguri e subalpini, recando al Padre comune dei cattolici il loro omaggio d'amore e di devozione filiale, ancora una volta ripetono esultanti le loro proteste d'inviolabile fedeltà."

Lunga lettura monotona, tramezzata per difetto della vista e della lingua da frequenti inciampi o ripetizioni non chieste di vocaboli o di periodi, troppo lunga pei lontani che non potevano udirla e pei vicini che ne avvertivano lo stento e nel faticato armeggio dell'interprete raccapezzavano a mala pena il concetto; troppo lunga ed oziosa per tutti quelli che da gran tempo in occasioni simili erano abituati nella medesima forma tassativa ad l'espressione dei medesimi sentimenti. Ciò non ostante, giunta la fine, con un cenno benigno del capo e mormorando poche parole d'elogio, il Santo Padre si compiacque manifestare la propria soddisfazione, e gradita l'offerta dell'obolo di San Pietro che dai presidenti gli venne umiliata in tre borse ricamate d'oro, non senza fatica si levò da sedere. I prelati domestici si avvicinarono e apparve coperto del mantello scarlatto. Prima di scendere i gradini rimase un istante, volgendo lo sguardo attorno a , come in forse d'eleggere chi gli servisse di sostegno: dei più prossimi era Cybo; appoggiata sulla sua spalla la mano venerabile, scese dal trono, e nell'appoggiarsi a lui, pareva fatto curvo dal peso del mantello, e si avviò verso la folla dei pellegrini, disposti lungo le pareti in doppia riga nella sala e anche nelle seconde logge.

Per abbreviare il giro quant'era possibile, monsignor Della Stanga che precedeva d'alcuni passi, lasciò in disparte le associazioni romane, e cominciò dai piemontesi. Via via raccoglieva i nomi e li ripeteva al Papa, il quale procedendo con paterna lentezza, ad ognuno dispensava una parola soave, e troppo spesso o troppo longanime consentiva d'ascoltare le suppliche, le miserie, le laudi verbose degli indiscreti e abbandonava la mano con visibile compiacenza alla ressa di cento mani che se la disputavano, al fervore dei baci e delle lagrime; taluni, strisciando sul marmo, volevano baciare il piede ad ogni costo, altri restavano intontiti, gli occhi gonfi di pianto, assorti nel miracolo della loro visione. Due monsignori del seguito distribuivano in memoria una medaglietta d'argento.

Compiuto il giro faticoso, sempre reggendosi al braccio di Marco, Sua Santità stava per risalire i gradini, quando dal gruppo romano delle signore una voce ardita squillò come un richiamo:

– Et nous autres? on nous oublie?

Era in quella voce di donna lo scatto dell'aspettazione delusa. Il Papa si voltò, e nel medesimo tempo, uscita dalla fila e traversato il breve spazio, la temeraria venne a inginocchiarglisi davanti: temeraria, in tutta la sua grazia serpentina di fanciulla, non udì, o non volle udirlo, il susurro che l'aveva accompagnata e durava ancora, e gli occhi alti e sereni, non umile tracotante, rimase nell'atteggiamento d'una bimba, sicura dell'indulgenza. Marco la riconobbe: il gran velo nero di pizzo non le scendeva sul volto; la riconobbe e fu riconosciuto anche lui, e suo primo pensiero fu questo: perchè mi perseguita?

Benignamente, Sua Santità interrogò:

– Ebbene, figliuola, che cosa volete dirgli al Papa?

Che cosa voleva dirgli? l'ignorava; nulla. Alla domanda, il suo coraggio si smarrì; la domanda più semplice, e non era quella che si aspettava. Forse, più che uno slancio d'affetto e di venerazione, l'aveva spinta un impulso d'orgoglio, si era mossa dal suo posto, sfidando le convenienze, per pretendere la sua parte di colloquio e ottenerla come tutti quei miserabili l'avevano ottenuta, tutti, dal primo all'ultimo, ed ecco che si sentiva scrutata nell'abisso dell'anima, incapace di mendicare un pretesto.

Parlate – si degnò d'insistere Sua Santità con maggiore dolcezza – se il Signore Iddio vi ha condotto ai nostri piedi, benedirà al vostro desiderio.

Gli occhi di lei si fissarono in quelli di Marco, dubbiosi, quasi per impetrare un consiglio, poi, abbassandoli verso terra, mormorò l'invocazione di Samuele:

Parlez-moi vous même, Saint-Père, votre servante vous écoute.

In atto di meraviglia, poichè credeva che quel giorno non assistessero che italiani, il Santo Padre richiese monsignor Della Stanga che gli era vicino, ma la risposta fu vaga e incerta, e si volse di nuovo all'ubbidiente, la quale, rinfrancata dal turbamento, a un suo cenno si levò in piedi, nascosta dal cerchio degli eletti alla curiosità della folla.

Dites-moi: de quel pays êtes-vous? quel est votre nom?

Je suis hongroise de naissance comme ma mère, mais ma famille est valaque; je m'appelle Nicolette Brancovenu.

Questo nome, Brancovenu, al Papa non riusciva nuovo: socchiuse gli occhi un istante, pensando nei suoi ricordi dove l'avesse imparato.

– Le prince Brancovenu.... – pronunciò come se parlasse a medesimo, e nei lenti intervalli tra una parola e l'altra soggiogava la memoria ribelle, e ogni sillaba accompagnava con un lieve ondulamento del capo in avanti – autrefois, a Pérouse, nous avons reçu la visite d'un prince Brancovenu, très-jeune, alors exilé de Roumanie et en tournée d'artiste avec monseigneur Strossmayer déjà évêque de Diakovar; ce fut ce même BrancovenuConstantin, nous croyonsque longtemps après le nouveau prince de Roumanie nomma ambassadeur à la cour de Vienne.

C'était mon père. Je l'ai à peine connu, car je n'avais que cinq ans le jour qu' il tomba si malheureusement.... tué! – rispose la fanciulla, e Marco – che ne sfuggiva gli sguardi sebbene attratto da un istinto di desiderio e dalle pupille di lei, che quella mattina lo perseguitava coll'incessante ripetizione del suo nome e delle sue comparse improvviserammentando quanto il Maestro di camera gli aveva narrato poco prima circa la morte del principe, si avvide dall'intonazione e dalla reticenza com'ella non ignorasse la verità. E la verità triste, adombrata dalla figlia dell'ucciso, tornò senza dubbio negli echi di voci remote e clandestine alla memoria del Santo Padre e ai suoi occhi repentinamente si riaffacciarono le cause di quella morte, e un'immensa compassione gli si diffuse sul volto, quando colei ebbe a manifestarsi fuori della comunione cattolica.

– Et bien, chère enfant, puisque vous n'avez domandé tout à l'houre, en toute confiance, autre grâce que celle d'écouter, ce sera un mot de l'Apôtre dont vous emporterez le souvenir: reveillez-vous et notre Seigneur Jesus Christ repandra la lumiére sur vos pas et dans votre coeur: surge, quae dormis, et illuminabit te Christus.

La benedisse, e senza appoggio ascese i gradini del trono.

Sedette, e lasciato cadere il mantello sullo schienale, si riposò alquanto. Assunse la stola da monsignor Maggiordomo. Un bisbiglio corse nelle file dei romei, quel bisbiglio ansioso che procede un grande avvenimento imminente. Si sapeva che il Papa avrebbe risposto con un discorso all'indirizzo del presidente Torre, e cupidi d'ascoltare, tutti volevano farsi avanti, e i lontanissimi e anche i meno lontani, scomposte le righe, non si peritavano a furia di gomiti d'aprirsi un varco attraverso la calca, urtando, spingendo, litigando, o più d'una voce stizzosa di protesta pervenne al collegio dei capi e dei monsignori e più d'un alterco irriverente; pure un tafferuglio nacque laggiù in fondo tra liguri e piemontesi, ma appena il tempo d'avvertirlo, tanto presto fu soffocato.

Bastò l'atto che fece Sua Santità di assorgere protendendo la mano verso la moltitudine in segno di benevola autorità, perchè da un capo all'altro si propagasse un lungo zittio che imponeva silenzio e il perfetto silenzio e la calma perfetta gli succedessero, come un'obbedienza monastica.

Il discorso papale cominciò in questi termini:

"Già parecchie volte durante il nostro Pontificato potemmo conoscere e apprezzare i sentimenti d'amore o di devozione che le popolazioni di Lombardia, Piemonte e Liguria professano alla Santa Sede e alla nostra persona, ma in modo speciale oggi ci è dato conoscere tali sentimenti, vedendovi in sì gran numero qui raccolti e ascoltando le vostre proteste di fedeltà incrollabile a questa Sede apostolica e di vera unione con Noi."

Fioca e velata, dapprima la voce del Pontefice pareva che annegasse in quel silenzio; quantunque lenti, proferiti con intenzione manifesta di solennità, i periodi giungevano soltanto a chi era più vicino e svanivano in un soffio di stanchezza le ultime sillabe. Così durò tutto l'esordio e così la breve allocuzione, specialmente diretta agli operai sulle parole dell'Ecclesiastico: deprecatio vestra in operatione artis.... animae vestrae sitiunt.... operamini ante tempus et dabit vobis mercedem vestram in tempore suo; senonchè di grado in grado la voce acquistava vigore, e meno lenta, meno solenne, ecco che si fece più sonora e più limpida, non più oppressa dalla maestà del silenzio, trionfante degli anni e della fatica, intesa da tutti. Ma non tanto dai meschini operai importava a Leone XIII di farsi intendere, quanto da altri, presenti e lontani: pigliando occasione d'ammonire i semplici contro le insidie di chi mentiva la patria e la libertà come mentiva la dottrina della Chiesa e la fede di Gesù Cristo, passò d'un tratto dalle esortazioni catechistiche d'umiltà e di pazienza alla rivendicazione dei suoi atti. Era l'ora sua: memorò l'enciclica Inscrutabili e la lettera del febbraio '82 all'episcopato d'Italia, l'allocuzione del 23 maggio precedente e la lettera del 15 giugno al cardinale Rampolla segretario di Stato, più memoranda quest'ultima per la pubblica adesione spontanea di tutti i vescovi d'Europa e d'America; respinse ancora una volta ogni velleità di conciliare la Chiesa colla rivoluzione, e con fermo accento che palesava una suprema amarezza, sfolgorò chi ardiva rizzarsi a censore, a maestro, ad oracolo del Papa e dei vescovi, discutendo i dogmi, conculcando le discipline, raccogliendo le calunnie e i vituperi: chi erano costoro? più temibili, perchè più astuti, dei nemici dichiarati, avevano l'audacia di proclamarsi figli ossequenti della Chiesa Romana, e a tanto giungeva la loro malizia da far credere agli ingenui che combattessero le buone battaglie per la religione e per la patria, così riducendo taluni illusi a strumenti inconsapevoli dei loro disegni.

Fiera sanzione, esplicita sanzione all'arringa pronunciata dall'avvocato Visdomini la sera antecedente. Chi poteva dubitarne? Gli sguardi di tutti quelli che circondavano più da vicino Sua Beatitudine si conversero sul conte di Castelborgo, tutti o quasi tutti, trionfalmente crudeli.

E così chiuse il discorso Sua Beatitudine:

"Ed ora, dilettissimi figli, imploriamo sopra di voi e sulle vostre famiglie le più elette grazie celesti e ve ne sia pegno la benedizione apostolica che di tutto cuore v'impartiamo: essa vi accompagni nel ritorno, nelle vostre case, nelle vostre opere, nei vostri travagli e nelle vostre gioie. Pellegrini alla città di Dio militante sulla terra e nel tempo, col ricordo di questa grande Roma viva nelle anime vostre la speranza d'un'altra Roma, la città di Dio gloriosa in cielo e nell'eternità, la vera patria, l'unica meta, l'eterna Roma intangibile; qui, per la tristizia degli uomini, trovaste prigioniera la persona del Vicario di Cristo, ma troverete lassù Cristo Giudice, vittorioso, regnante d'un regno che non avrà mai fine.

"Benedictio Dei omnipotentis...."

Caddero tutti in ginocchio.

"....descendat super vos et maneat semper."

E appena proferite le parole sacramentali, una seconda acclamazione rintronò per tutta la sala, irrompente da tutti i petti, più fragorosa, se era possibile, della prima; di nuovo un agitarsi di braccia e uno sventolare di fazzoletti, una letizia d'osanna, un'onda di turbe deliranti che incalzava, non trattenuta dallo alabarde: senza saper dove e perchè, spinta, trascinata, ossessa da una furia d'entusiasmo.

Ancora benedicendo, il Santo Padre disparve.

Ma la folla irruente aveva interrotto il corteggio: impediti dalla calca, alcuni prelati, lo stesso eminentissimo Ledochowski, avevano rinunciato a raggiungerlo, e tra questi monsignor Della Stanga, il quale, non essendosi accorto d'avere a fianco Marco Cybo, si rammaricava, quasi scusandosi, col cardinale e col principe Romoli, che a sua insaputa madre e figlia Brancovenu fossero riuscite a introdursi, probabilmente di straforo, eludendo la vigilanza o abusando d'altri biglietti.

Nel clamore plaudente di tante grida che assordavano, Marco aveva frainteso senza dubbio, così almeno cercava di persuadersi, ma lo scrupolo d'origliare i discorsi altrui lo allontanò sul momento, tormentato tuttavia da un pensiero molesto che non cessava di pungerlo. Cacciatosi in mezzo alla folla, poco dopo insieme al Castelborgo scendeva nel cortile di San Damaso.

Non intendeva ragioni il conte di Castelborgo, non ascoltava suggerimenti pietosi, non voleva rassegnarsi. Rassegnarsi! e il suo nome? e il suo decoro? e la sua dignità? e tutta la sua vita consacrata al servizio della Chiesa? Finchè l'umiliazione gli era venuta da un semplice cristiano come lui, dopo il primo risentimento aveva potuto soffocare l'orgoglio e tacere, ma il Papa, il Papa ora l'aveva colpito in pieno petto, e poichè il biasimo era stato pubblico, ex cathedra, senza ch'egli avesse addotto le sue giustificazioni, non poteva tacere, non poteva! il silenzio sarebbe stato una viltà e una colpa!

Intanto i pellegrini scendevano a frotte, tutti colla loro medaglietta all'occhiello, e si sparpagliavano pel cortile, rumorosi, festanti, come scolari in vacanza.

Non intendeva ragioni il conte di Castelborgo, non ascoltava suggerimenti di calma, non voleva consigli. Alcuni piemontesi erano sopraggiunti, fra essi l'avvocato Sala direttore della Crociata, unendosi a Marco per mitigare con inganno pietoso la durezza delle parole pronunciate da Sua Santità. No: Sua Santità aveva parlato chiaro, colpito nel mezzo del cuore chi voleva colpire, ma piuttosto, perchè lui, il conte, l'avevano ingannato? perchè avevano tradito la sua buona fede coloro che quella stessa mattina gli avevano fatto una promessa sacrosanta? di quali maneggi sotterranei era stato vittima perchè il Papa, ingannato anche lui, scegliesse un pretesto non più nuovo per umiliarlo pubblicamente nella solennità dell'udienza, dopo essersi negato di riconoscerlo tra i colleghi? – Alle corte: qual era il suo peccato, insomma? la proposta della vigilia? manco per idea; il suo peccato era questo: d'aver avuto a Torino, come consigliere comunale e assessore, l'ardimento di non ammettere nelle scuole un libro di testo che non aveva altro merito se non quello d'essere stato abborracciato da un factotum delle Società cattoliche, libro molto ortodosso, ma, più che ortodosso, grottesco e puerile. – Gli scandali sono necessari, e oramai, al punto in cui si trovava, non si sarebbe arrestato davanti alla paura d'uno scandalo, pronto a tutto, a qualunque conseguenza, a qualunque sacrifizio, vecchio com'era e con un piede nella fossa!

E poi? – avrebbe voluto gridargli Marco Cybo, sopraffatto da grandissima pietà per quel vecchio intemerato che gli altri, insistenti, si adoperavano a consolare –– lui che non voleva essere consolato e nell'esasperazione del suo dolore non temeva di affermarsi ribelle e rinnegava in un momento quarant'anni di fede e di fedeltà – e poi? suscitato e morto lo scandalo, cessate da una cronaca all'altra di giornale le lodi avventizie dei nemici, a chi l'amarezza della solitudine, l'angoscia del rimorso? a chi il danno ultimo, il castigo ultimo, irreparabile? Povero illuso, che vagheggiava con una protesta sulle gazzette e rivelando un pettegolezzo, di trarre i cattolici a prendere le sue difese contro un'ingiustizia, forse imaginaria! Se fosse stato solo con lui, solo, tra quattro mura, l'avrebbe scongiurato appunto pel suo nome, pel suo decoro, per la sua canizie, in ginocchio l'avrebbe scongiurato per l'anima sua, di rammentarsi ciò che aveva detto poc'anzi e tra lui e gli uomini lasciare in silenzio che Dio solo giudicasse l'affronto!

E mentre l'avvocato Visdomini tra il principe Romoli da una parte e don Giulio Bentivoglio dall'altra, diacono e suddiacono, e monsignor Brasile per cerimoniere e Cantabruna per turiferario, passava pontificalmente, seguito da una caterva d'accoliti, un gaudio sacro raggiante sul volto presbiterianoCristoforo Torre, staccatosi dalla processione, si avvicinò. Giubilava anche lui.

– E al telegrafo? chi è che va al telegrafo? con tanti giornalisti che abbiamo, nessuno ci pensa?

I suoi occhi trillavamo, sul collo di giraffa la piccola testa di faina si agitava per tutti i versi e la barbetta bianca di capra disegnava mirabili geroglifici, accompagnando l'impazienza e la commozione della voce.

L'avvocato Sala, di Torino, con un foglietto d'appunti tra le dita, lo rassicurò:

– Non dubiti, cavaliere, per conto mio ci ho pensato: Torino, Milano e Bologna; quanto a Genova, Cantabruna e Visdomini non se ne dimenticano certo.

Intendiamoci: un telegramma ricco, abbondante, che soddisfi il lettore, non uno dei soliti, a stecchetto, colle parole contate, che lasciano la curiosità; impariamo dai liberali; già, il discorso del Santo Padre, d'un'importanza così eccezionale, bisogna darlo senza economia; se fosse possibile, anche un breve sunto dell'indirizzo non guasterebbe. Ne parla lei dell'indirizzo nei suoi telegrammi?

– L'accenno: "....letto l'indirizzo dal presidente anziano cavalier Torre...."

– Se lasciassimo nella penna l'anzianità? non le pare? io lascerei anche il cavalierato.... – e con un sorriso d'arguta beatitudine, rimpicciolendo gli occhi lustri, guardava in faccia il giornalista torinese e ad uno per uno quanti si trovavano nel crocchio.

– Come vuol lei: mettiamo soltanto "il presidente..."

– A stretto rigore.... non è che io ci tenga, ma a stretto rigore, quel Torre nudo e crudo non rappresenta niente affatto il mio nome; lei, che è stato tanto tempo a Genova, segue l'abitudine dei miei concittadini che al solito risparmiano su tutto, anche sulle parole, e per economia alla mia povera torre hanno levato il puntello, così un giorno o l'altro la vedremo precipitare; ma questo non c'entra; il mio nome vero tutti sanno che è Della Torre....

Giustissimo: mettiamo dunque....

– Oppure.... ripeto che non ci tengo, ma, per essere esatti, giacchè Sua Santità.... – ora non è più un segreto e la notizia ufficiale mi fu comunicata adesso da monsignor Della Stangagiacchè Sua Santità, contro ogni mio merito, si è degnata nominarmi, o per dir meglio, promuovermi....

Commendatore!? – esclamarono parecchie voci ad un tempo, indovinando.

– ....commendatore dell'Ordine di San Gregorio Magno.... ma questo è niente: ebbi assicurazione formale che nel diploma pontificio il mio titolo di conte....

I rallegramenti degli amici non gli lasciarono terminare la frase, e occupato a distribuire a dritta e a sinistra una gioia abbondante di grazie e di sorrisi, non pensò più al pretesto con cui era entrato in materia. Il conte di Castelborgo, come Marco e come tutti gli altri, gli strinse la mano lui pure, sincero, senz'ombra di ostentazione e d'ironia, se non del tutto senza un'invincibile amarezza.


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