Remigio Zena
L'apostolo

XII.

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XII.

 

Ma per breve tempo esautorato da un simulacro d'estate, novembre aveva corretto l'anacronismo e ripresi i suoi diritti: all'effimera caldura maggiaiuola era successo un frescolino acuto che dapprima le signore affrontarono bravamente meglio degli uomini, e ben presto, se vollero rimanere a tavola, le costrinse ad avvilupparsi nelle loro mantiglie. Sparito il sole dietro la marea di cenere che saliva larga e densa e uniforme, levatosi d'improvviso un vento su tutte le furie, addio poesia della campagna e della colezione all'aria aperta! nugoli di polvere che acciecavano, bruscoli nei bicchieri e nei piatti, un roteare di foglie secche, un irrequieto svolazzare dei tovagliuoli, la tenda sbattuta e lacerata, flagellanti le rame del pergolato, e sebbene la colezione non fosse finita, chè De Martino aveva fatto le cose troppo splendide e anche troppo lunghe, più che in fretta i commensali abbandonarono il campo, rifugiandosi nell'interno dell'osteria.

Una stanzaccia a pian terreno, unica e sola, bassa, affumicata, che serviva pure da cucina, una spelonca dove la famiglia dei venti, soffiando, fischiando, urlando, entrava come in casa sua pei vetri rotti delle finestre, senz'altri arredi che due tavole unte e bisunte e quattro panche sgangherate. Dov'era l'oste per portare le seggiole, almeno alle signore? e Brigidina non l'aveva uno straccio qualunque da tappare i buchi?

A tapparli tutti i buchi della stamberga, col rischio poi di rimanere asfissiati dal fumo, ci sarebbe voluto un quintale di stoppa, e Brigidina in quel trambusto si affannava a rimediare alla meglio, e di fuori suo marito, lottando corpo a corpo, non aveva tante bestemmie in bocca tanta forza nelle braccia da tenere indietro lui solo una frotta di contadini, grandi e piccoli, tratti dal rumore delle forchette, e, appena dopo la fuga, precipitati all'assalto, piglia chi piglia, su tutto quel ben di Dio rimasto in tavola.

Tingeva l'aria il colore della fuliggine. Da una finestra volta verso ponente, segregato in un angolo e quasi nascosto dall'immensa cappa del focolare, Marco Cybo guardava al di dei vetri, sotto il cielo basso, lungo le colline declinanti al mare in un chiuso orizzonte di negredine, lo storcersi degli alberi nella campagna e laggiù in , sempre a ponente, dove a un dipresso dovevano essere Maccarese o Palo, un taglio di luce, unica luce. Le braccia levate, come atterrita dall'uragano, una donna correva a precipizio per un sentiero tra le vigne.

Dentro, il vocìo era altissimo. Taluni proponevano, e con essi Tommaseo, di fare attaccar subito i cavalli e partire prima che fosse cessato il vento: giornate corte, un diluvio alle viste, e che diluvio! era mancanza assoluta di criterio lasciarsi sequestrare lassù dalla pioggia e dalla notte, in quella baracca! pazienza la pioggia, ma la notte!? – Altri, per spirito di contraddizione, giudicavano che era meglio aspettare e intanto prendere il caffè: minuto più, minuto meno, non sarebbe cascato l'universo; bene o male, erano al riparo, se l'acquazzone voleva scatenarsi, ragione di più per non muoversi, conveniva lasciarlo sfogare e starsene all'asciutto, piuttosto che essere acchiappati per via, senza ombrelli, senza mantelli, pigiati sotto la cuffia d'una vetturaccia da nolo. Nicoletta era di quest'avviso, niente partenza: secondo lei, quattro gocce d'acqua non potevano far paura, anzi pretendeva che il tempo cominciasse già a rischiararsi, e macinando nella sua testolina un'idea barocca alla quale avrebbe dovuto rinunciare se si partiva immediatamente, contava molto sulla preponderanza del suo voto.

Discussioni inutilimormorò Claudio Priol accostatosi a Marco, fingendo d'osservare per la finestra e di borbottare tra per suo uso e consumo – cosa serve discutere, se sappiamo come andrà a finire? non toccate la regina, fuori della sua non c'è altra volontà; la regina comanda e noi si obbedisce, umilissimi servitori!

E per timore che Marco non avesse capito l'antifona, si volse a lui, provocante, quasi in aria di sfida:

– Non le pare, marchese?

Non soltanto l'aveva punto il rabbuffo di Nicoletta, ma si era persuaso d'avere nel marchese Cybo un fortunato rivale; col sussidio in corpo di qualche bicchiere di più oltre l'onesto, celava a stento l'intenzione d'attaccar briga.

La fronte contro i vetri, sembrava che Marco enumerasse ad una ad una le rade gocce di pioggia, le prime, cadenti pochi passi lontano sopra un macigno grigio e liscio, in forma di larghi patacconi.

Replicò Claudio Priol:

– Non le pare, marchese, che noi ci mostriamo troppo condiscendenti e la signorina abusi un po' troppo della nostra.... debolezza?

– In queste partite di piacere, secondo le norme di cavalleria, il piacere più grande è di lasciar comandare le signorerispose Marco Cybo, con innocente politica divenuto galante tutto ad un tratto per rispondere più o meno a proposito senza rispondere.

Massime le signore a cui facciamo la corte!

Dove andrebbe la logica? queste a preferenza delle altre.

– E le signore e le signorine alle quali, noi uomini, permettiamo nella nostra cristiana indulgenza che ci facciano la corte! –– incalzò l'aggressore coll'ironia brutale di chi scaglia un vituperio.

Marco impallidì:

Anzichè cristiane, simili indulgenze da pascià sarebbero turchedisse, e la voce calma e il tono sempre scherzoso non accusavano l'interno combattimento.

– Da pascià! Non le è mai occorso, lei che è uomo navigato, d'incontrarsi con certe sedicenti principesse.... di Bagdad, che girano il mondo alla questua d'un pascià? Io ne ho trovato più d'una. Ottengono l'onore del fazzoletto, ci campano sopra un mese, un anno.... finchè possono; un bel giorno spariscono, s'imbattono in un altro pascià, e così di seguito, e ogni volta, non se ne parla nemmeno, il fazzoletto ottenuto è sempre il primo! Ne ho trovato più d'una, di queste vergini.... principesse!

L'atto che Claudio intravide fu quello d'uno schiaffo, poichè per istinto mise innanzi le mani come per ripararsi il viso. Appena padrone di , Marco Cybo si trattenne in tempo dal colpirlo, non fece altro che scostarlo leggermente, spingendolo contro la finestra per aver libero il passo:

– Lei è ubbriaco, mi si tolga dai piedi!

E attraversato l'intero spazio della cucina, andò all'estremità opposta, dove tutta la comitiva erasi radunata sulla soglia a vedere nell'aia il curioso spettacolo dei contadini in fuga sotto la pioggia torrenziale, carichi di vivande, inseguiti dall'oste e dal suo cagnaccio terribile; i più svelti si erano arrampicati nel fienile.

Dopo questo bagno, tuo marito non si lava più fino a Pasquadiceva a Brigidina l'onorevole Rizzabarba.

E Brigidina, che cominciava a prendere confidenza e a rivelarsi:

– Possa morì annegato! ma che ve pare? San Pietro a me sta grazia non me la fa!

Lo scroscio delle acque si era fatto assordante, l'occhio non distingueva più che una selva fitta e obliqua di verghe metalliche.

 

– Voi non fumate? Volete una sigaretta?

Marco s'inchinò, accettando la sigaretta che gli veniva offerta. Si erano tutti raccolti intorno al pittore De Martino e alla sua chitarra, ne ascoltavano le canzonette napoletane di Piedigrotta e gli facevano coro nei ritornelli.

Sedete, qui vicino a me. – Ohé Carulì.... ohé Carulì....Perchè non cantate? cantate anche voi – ....no me chiagnere acussì....– sareste di cattivo umore perchè non siamo partiti? anche Tommaseo è arrabbiato e non parla, anche mia madre.... ebbene, avete torto: sono i piccoli incerti che rompono la monotonia, adoro i piccoli incerti, segnatamente quando ci sono di quelli, come voi, che non hanno lo spirito di saperli pigliare con disinvoltura. – Ohé Carulì.... cantate con me – ohé Carulì... ohé Carulì, no me chiagnere acussì!

Nicoletta Brancovenu aveva fatto posto a Marco sulla sua panca, tra lei e Tommaseo, ma il posto era stretto, e per quanto egli cercasse impicciolirsi e senza alcun riguardo si appoggiasse contro il suo vicino di destra, più che gomito a gomito se la sentiva addosso, carne a carne, dal piede alla spalla, e ogni movimento di lei – e lei era l'irrequietudine perpetua – coll'impressione del peso, del calore e delle forme, coll'emanazione del profumo, coll'evidenza immediata della pelle, gli cagionava per tutto il corpo tanti sussulti quante volte i singoli sensi erano colpiti da una vibrazione diversa.

Una dopo l'altra, De Martino sgomitolava la filza delle sue canzonette, e più il diluvio veniva tempestando, più lui o i coristi a piena gola rispondevano per le rime. Canzonette ilari, le solite, quasi tutto a doppio senso nelle parole e quasi tutte senza senso comune, petulanti nella povertà triviale della musica.

Perchè chiudete gli occhi e vi tirate così in ? è il fumo della mia sigaretta che vi noia? Spiegatemi la canzone che canta adesso De Martino: spingole francese.... spingole francese.... non capisco niente; tutti ridono, ci dev'essere sotto qualche cosa di molto piccante.... pure l'altra canzone, quella prima di questa, vi ricordate? quella che diceva.... come diceva? aiutatemi: sissignore... nossignore.... cacciatore.... era una delle più belle....

Domani t'ó dicosuggerì Tommaseo, poichè Marco non sapeva o non voleva rammentarsi.

Appunto, domani t'ó dico: bellissima! – Per le birichinate, Tommaseo ha miglior memoria di voi. – È una birichinata, non è vero? l'ho indovinato subito, senza averne capito una parola; sapete, più che altro, da che cosa l'ho indovinato? dalla vostra faccia: leggevo sulla vostra faccia come in un libro aperto il profondo disgusto che vi inspirano nell'anima queste scempiaggini buffe. Voi siete un giovinotto serio; certe licenze vi sembrano troppo allegre, ma dopo tutto, se non ci mettiamo malizia, dov'è il male? Tommaseo ride sotto i baffi: lui sì che ce la mette la malizia! avete sentito come cantava forte spingole francese? D'accompagnarmi questa sera in casa di mistress Pears alla seduta spiritica della baronessa, non vuol saperne, manco a pregarlo in ginocchio: ha paura del diavolo; ma se si tratta di fare lo scapestrato – in musica! – allora il diavolo ha perso le unghie, non si ha più paura del diavolo. – Che c'è adesso? avete ciarlato tanto che sento il bisogno di riposarmi. Stiamo un po' zitti: il maestro ha voltato la pagina del suo repertorio e attacca il genere patetico delle romanze al chiaro di luna, in minore. Fate silenzio, ve ne prego: lasciate che io mi commova per cinque minuti.

Registro nuovo. Gli occhi languidi al soffitto o un tremolìo appassionato nella voce, De Martino intonò:

Quanno spunta la luna a Marechiare....

Caduto nel flebile, non poteva lasciar da parte il pezzo classico di Geremia profeta, e dopo alquante variazioni sul tema sospirò in chiave di salice piangente:

Fenesta che lucivi e non luci....

E così tutta la litanìa dei deprofundis che si cantano in barchetta nel golfo, tra una dozzina d'ostriche e un bicchiere di Capri.

Ho idea d'aver già notato di volo che sebbene Nicoletta si studiasse d'annaspare alla meglio con gli altri un italiano barbaresco, nel discorrere con Marco Cybo in particolare usava la lingua francese, e lui, figlio di madre parigina, educato nei collegi di Francia, vissuto in Francia più che in Italia fino a pochi anni addietro, non poteva esimersi dal ricambio. Che ella del gergo di Gyp e della Vie parisienne possedesse, ciaramellando di palo in frasca a similitudine d'un passero, tutte le finezze e tutte le malizie, non saprei dirlo; certo, ne possedeva quella volubilité impossibile a tradursi, quel brio saltellante, capriccioso, caustico, femminino, che negli echi delle desinenze francesi, forse per nostra stessa suggestione, ci pare che acquisti un fascino irresistibile di grazia e di insidia, avvezzi come siamo nella vita fittizia della letteratura drammatica e narrativa a veder riprodotta in francese l'eterna scena del porno.

Eccoti paladino di costei con un duello sulle braccia! – Marco, avresti ancora la temerità di lanciargli addosso la pietra, a Paolo Carbonara, perchè fu travolto a causa d'una donna in un tafferuglio d'ubbriachi? Dio è giusto: la pena del taglione ti colpisce: nella tua superbia non hai saputo scusarlo tuo fratello, hai arrossito per lui invece di difenderlo, l'hai giudicato indegno di servire sotto la tua bandiera, e lo stesso giorno, lo stesso giorno che lo condannavi, tu pure in compagnia di gente che vitupera il nome di Dio, la legge di Dio, i ministri di Dio, tu pure, per una donna, come lui ti lasciasti soverchiare da una violenza di collera, smarristi come lui la misura degli atti e delle parole. Non ti manca più altro che giuocare di pusillanimità e domani mattina fuggire come lui col primo treno! Sei cristiano o sei vile? che risponderai a momenti all'onorevole Rizzabarba, quando senza fallo, in nome di Priol offeso da te, verrà a portarti la sfida? Ti sei fatto giustizia? hai voluto punire l'oltraggio recato a una donna? Chi rompe paga. Rassegnati, dinanzi alle leggi del mondo non c'è scappatoia: o apostata o vile!

Tra la viltà dell'apostasia accettando il duello e la viltà della fuga, Marco sapeva bene che a qualunque costo non avrebbe ceduto d'un palmo gli sarebbe mancato il coraggio leale della sua fede per affrontare ben altra battaglia di quella sul terreno; ma intanto provava un godimento d'espiazione nel torturarsi la coscienza, nel fingere a medesimo quasi certo il pericolo d'una debolezza. E a cotesta tortura volontaria si aggiungeva lo strazio delle parole di Claudio: se egli non avesse mentito? chi era dunque, ma chi era dunque, Nicoletta Brancovenu?

In una cadenza liturgica da settimana santa la voce di De Martino si spegneva:

.... parrocchiano mio, abbice cura.... la lampa sempre tiennece allumata!...

Brigidina, dove ti sei nascosta? ne sa niente, senatore? Brigidina, l'idea non è cattiva e il consiglio merita plausosaltò su una voce nella semi oscurità – la lampa sempre tiennece allumata! Hai inteso, Brigidina? Non ti domandiamo gas luce elettrica, appena una lampada a olio, sepolcrale; in queste tenebre crescenti servirà più a noi vivi, che alla morta della canzone.

Chi parlava così non parlava a casaccio, chè durante la nenia, intenerito profondamente, piano piano si era messo con Claudio Priol a giuocare a macao, in due, e gli occorreva distinguere i suoi nove e i suoi otto dalle ciste dell'avversario.

Giuochiamo anche noi – gridò Nicoletta affrettandosi a pigliar posto, esilarata da quella nuova ricreazione, non dubitando che tutti, Marco Cybo compreso, ne avrebbero seguito lo slancio; e chiusi i rigagnoli delle canzonette, il chemin de fer fu presto intavolato. Soli, il senatore Tommaseo e la principessa madre si astennero.

Partita di famiglia, una lira di banco, due lire al massimo, tanto per non cacciarsi in rovina, prescriveva l'amico Rizzabarba, e sopra tutto, luce, luce, luce, figliuoli miei!

Sapete cosa voglio dire, è la regola della casa e non si transige. Priol, ricordatelo bene: tu hai la brutta abitudine di voler giuocare all'oscuro, e qui, senza luce non si fa nulla.

Per gli iniziati, “luceera una parola simbolica, la quale non significava altro se non “pronti contanti.”

Sulle prime giuoco piccolo, rapido, abbastanza monotono. Nel mentre il mazzo transitava di mano in mano e per ognuno la perdita di sinistra era press'a poco compensata dalla vincita di destra, Rizzabarba raccontava alla signorina la passione dei suoi amici pel fatidico nove:

– Lo crederebbe? hanno l'abilità di pigliarsi i quattrini a macao, anche senza carte. Mi spiego: passeggiano in compagnia su e giù pel Corso: lei pensa che discorrano se non di politica, almeno di belle lettere o di belle signore? nient'affatto: giuocano! Il sistema è ingegnoso: ogni carrozza padronale che passa, cioè senza numero, rappresenta una figura; le altre, quelle numerate, hanno il valore d'una carta qualunque, secondo la somma complessiva delle singole cifre, e così... – tocca a lei, marchese.

Da alquanti giri tutte le volte che veniva a Marco il turno del banco, egli, che non aveva giuocato mai in vita sua e, digiuno dei rudimenti, non faceva che attenersi ai consigli di Nicoletta per abbattere un nove o chieder carte su due figure, sembrava favorito dalla fortuna; le poste gli si raddoppiavano dinanzi a vista d'occhio.

Passate la mano – gli suggeriva Nicoletta, dopo il quarto o il quinto colpo vittorioso.

Senonchè, mal pratico, finiva sempre per concedere un ultimo colpo che gli portava via l'intero guadagno, e perdurandogli ostinata la fortuna, accadde che quando finalmente imparò a ritirarsi in tempo, gli avversari, prudentissimi, non puntavano più che "all'oscuro”.

Luce, luce! – aveva un bel gridare il mentore Rizzabarba per vecchia consuetudine, ma era lui, peggio degli altri, che dava il cattivo esempio, e col riscaldarsi del giuoco tutto il denaro era sparito dalla tavola.

Per non esser tacciato d'un puritanismo, che in quella contingenza sarebbe stato fuor di luogo, Marco si era indotto a prender posto anche lui nella partita. I suoi crediti si moltiplicavano, egli stesso ne ignorava la somma e come fossero divisi, pronto a dar la pace a tutti con un colpo solo, se Nicoletta non si fosse incaricata di tenere il registro per lui del conto corrente, sotto la sua vigilanza, tenendo altresì in soggezione quelli che per avventura avessero abusato del novizio inesperto. Unico, non figurava sul registro Claudio Priol: niuno più accanito di lui nel tentar la sorte e niuno più maltrattato, perdeva quel giorno le Indie, pure, per dimostrargli con dignità che dopo la scena del minacciato schiaffo e prima d'una soluzione onorevole non poteva esserci tra loro due alcuna comunanza, col marchese Cybo non aveva rischiato l'ombra d'un baiocco.

Era da mezz'ora che tiravano le orecchie alla dama di picche o da un paio d'ore? Pioveva sempre a dirotto. Tommaseo russava forte sulla panca, a intermittenze, la sinfonia dei sette dormienti, pigliando di tratto in tratto certi soprassalti d'un uomo scosso dal terremoto, ogni volta sfoderando con voce monca un’esclamazione diversa; la principessa Brancovenu, immobile e taciturna, rassegnata per forza e triste della sua tristezza abituale, senza dormire, senza occuparsi dei giuocatori, stava seduta vicino al fuoco, sul pagliericcio arrotolato di Brigidina.

 

Se a Dio piaceva, la furia delle acque si era calmata; forse non si trattava che d'una sosta e conveniva approfittarne subito.

Dentro la stalla, dove i vetturini erano rimasti in allegria buona parte del giorno, serviti da principi, a mangiare e bere, le botti erano già pronte alla partenza, coi cavalli attaccati e i fanali accesi: quattro splendidi legni come non se ne trovano che a Roma per dare ai forestieri un'idea retrospettiva della romana grandezza, tre venuti sul tardi col grosso della comitiva, l'altro, giunto fin dal mattino, portando il pittore insieme a un suo aiutante di campo e alle ceste delle provviste. Fu lui appunto, De Martino, che accortosi del momentaneo armistizio, non indugiò a dare il segnale, e in un attimo tutti furono in piedi, nel trambusto d'una specie di fuga precipitosa.

Trambusto d'un minuto e fuga abortita, chè nel cortile diventato un lago navigabile non potevano le vetture avvicinarsi alla porta se non ad una ad una per caricare i viaggiatori, e questi si persuasero d'attendere il loro turno in pace e pazienza. Nicoletta disse a Marco, sottovoce:

– Non v'affrettate a salire; aspettatemi; salirete con me e col senatore Tommaseo.

Andò dal senatore, incerto se doveva star su o riaddormentarsi, e gli ripetè le stesse parole.

C'erano i conti del macao da aggiustare, ma la liquidazione sarebbe stata troppo lunga e il dittatore Rizzabarba ebbe l'idea d'appioppare a uno solo i debiti dei singoli giuocatori verso il marchese Cybo:

– Verso il marchese Cybo risponde Priol per noi dalla somma totale. A quanto monta? è presto fatto il computo: duecento ottantacinque; bene; Priol dove dunque duecento ottantacinque lire al marchese. Noi altri poi, in complesso, quanto avanziamo da Priol? trecento sessanta due; benissimo; vuol dire che il bilancio porta una differenza a nostro credito.... dodici meno cinque.... quindici meno otto.... settantasette; una differenza di settantasette lire, delle quali....

Marco tirò fuori il portafogli:

Tocca a me pagare questa differenza?

– Tanto meglio; se lei crede, la cosa è semplificata e ridotta ai minimi termini. A questo modo noi siamo in pace con Priol, lei, marchese, è in pace con noi, e solamente rimane in credito con Priol di trecento sessantadue lire.

Un biglietto rosso fiammante passò nelle mani dell'onorevole.

Dovrei darle ventitre lire di resto e non so se posseggo abbastanza spiccioli.... vogliamo giuocarle in un colpo, marchese?

– Come le aggrada.

– Faccio male, perchè non ho mai avuto una disdetta peggio di questa sera e lei invece trionfa. Basta, vediamo. All right!

Anime viziose, non avete ancora finito di pigliarvi la pelle? C' è un posto libero nella botte numero uno, avanti, la principessa aspetta!

Era De Martino, che dopo avere accompagnato la principessa e averla installata in carrozza, si affacciava sulla soglia dell'osteria nel momento in cui cadevano le quattro carte.

– Nove! – abbattè Rizzabarba – ha nove anche lei? no? allora è inutile che lei abbatta il suo giuoco. Marchese, la ringraziomise il biglietto rosso in saccoccia – e mi rallegro delle sue odierne vittorie. Non abbia rimorsi, possiamo vantarci d'aver fatto un giuochetto onesto da asilo infantile: tra morti e feriti....

– Ci siete inchiodati? – strepitava il pittore, tutto compreso delle sue funzioni di cerimoniere – vi dico che la signora aspetta! marchese, salga lei colla principessa, oppure tu, Venceslao.

Posto d'onore. Seguito da Claudio Priol, del quale non aveva badato ai gesti agli occhiacci significativi durante la liquidazione, Rizzabarba si avviò verso l'uscita, dove in attesa d'imbarcarsi stavano raggruppati i suoi satelliti. Alla compagnia della madre Brancovenu preferiva senza dubbio quella della figlia, la sua grande paura era di trovarsi terzo con Tommaseo, e nel mentre cercava colla coda dell'occhio la signorina Friscka, si attardava a salutar Brigidina con galanteria di barzellette, apposta perchè il marchese Cybo fosse costretto a passargli innanzi.

Fuori, nell'oscurità della notte, a cinque o sei passi dalla porta, l'oste teneva alto il solito cartoccio unto d'olio, con entro la fiamma d'un moccoletto; lanterna da carrettieri, che abbagliava la vista invece di illuminare e i cui riflessi gialli, ad ogni movimento, guizzavano in forma di biscie sullo specchio delle pozzanghere.

A intervalli non brevi l'una dall'altra, in un frastuono di vociferazioni, le quattro sconquassate botticelle erano partite col loro carico.

Strano a dirsi, Marco Cybo non era con Nicoletta e non c'era Tommaseo. Ella aveva almanaccato di pigliarli seco entrambi, il giovine perchè già sappiamo che non ne sgradiva la compagnia, il vecchio perchè le servisse da chaperon, abbindolarlo di prima sera aspettando l'ora canonica delle dieci, poi, a tradimento, farlo smontare davanti al portone di casa Pears e colle dolci e le brusche condurlo sopra, ma il suo programma era fallito: tra il chiasso e l'oscurità, nello scompiglio di chi voleva affrettarsi a salire, erano rimasti divisi non ostante il convegno, Tommaseo nella prima carrozza, Marco nell'ultima – per timidità o fors'anco per ottime ragioni di prudenza tutte sue peculiari – e Nicoletta nella penultima.

Gesù, Giuseppe, Maria, vi dono il cuore e l'anima mia! – brontolò ridendo il pittore, rannicchiato accanto a Cybo sotto la cuffia del manticeraccomandiamoci alla divina misericordia e speriamo che i cavalli abbiano più giudizio dei vetturini. La colpa è mia, ho lasciato correre troppi fiaschi. Tanto e tanto il nostro automedonte si regge ancora a cassetto, ma quello che partì poco fa prima di noi, oltre vedere la luna e le stelle in firmamento, traballava come uno svizzero del Papa; non mancai di dirglielo a Rizzabarba: ragazzo mio, sta bene attento, non dormire o non lasciarti svagare dalla signorina Frischa, chè l'amico ha una voglia matta di portarvi a perdizione in qualche fosso.

Piccola pausa, offerta di sigari virginia, fiammiferi smorzati dal vento, accidenti al vento, accidenti al virginia che non tirava.

Marchese, perchè vuol tenere quel grosso involto sulle ginocchia? le darà fastidio; lo metta qui in mezzo, qui, sotto la mia chitarra. L'ho portata stamattina, la chitarra, per obbedire al desiderio della “donzella”. Giusto, cosa ne pensa, lei, della donzella? c'è chi si scandalizza perchè ha più d'un granellino di zenzero nel sangue, perchè discorrendo con noi altri uomini, alle nostre scappate non abbassa gli occhi e lascia nel vasetto la pomata della porpora. Lei che la conosce meglio di me, cosa ne pensa?

Un vento che tagliava la faccia, e Marco sempre più ostinato a sciupar fiammiferi per accendere il sigaro, lui che non fumava quasi mai.

– È davvero artista di polso, come protende Claudio? pittrice, suonatrice....

Suona assai bene il pianoforte; non so se dipinga pure: forse.

Vedo di qui in lontananza la sempiterna rosa nel bicchier d'acqua, le sempiterne rose svenute sulla balaustra.... ma lei potrebbe credere che io parli per gelosia di mestiere. Piuttosto vorrei domandare a questi signori se uno solo di essi a madamigella Friscka è mai riuscito a toccarle la punta d'un capello. – Ohè! vetturino, che facciamo? ti pigli un accidente! siamo fermi adesso? dormi?

Managgia sta bestia! mi s'indormenta come na creatura!

– Vi sveglio io tutt'e due, te e la tua bestia, se mi ci metto! vuoi che mi ci metta, managgia chi t'ha muorto!? – Del restoriprese pacifico De Martino quando il povero cavallo buscò lui le legnate che sarebbero toccate al padrone – del resto, oggi è un conto, domani un altro, e impegni per l'avvenire non ne prendo: se Friscka è figlia di sua madre.... – la madre non mi piace, glielo canto in musica; le piace a lei? ancora oggi stupenda donna, ma che roba è? tutta ieratica, una figura d'imperatrice bizantina che non parla e non ride.... certi occhi tenebriferi.... marchese, ha notato la sua maniera di guardare? Io ne ho fatto l'osservazione appunto sopra di lei: a tavola, guardando lei, sembrava negli occhi un'imagine satanica uscita dalle acque-forti di Feliciano Rops. Cosa le ha fatto alla principessa? E ha notato che non sa ridere? sogghigna invece di ridere.

– Non me ne sono accorto.

– Me ne sono accorto io. Eppure c'è chi pretende che in altri tempi abbia saputo lanciarne dei sorrisi fascinatori, a destra e a sinistra, per esempio, quando suonava il violino su pei caffè nelle orchestrine ungheresi, o boeme, o rumene di Costantinopoli e di Salonicco, e più tardi cavallerizza di cartello in un circo equestre , dove pare che la magnanimità del principe Brancovenu sia andata a pescarla.

Ogni momento le ruote s'impuntavano contro un sasso, ad ogni sbalzo la chitarra mandava un gemito rauco. Il vetturino che s'era rimesso a dormicchiare e a lasciarsi guidar lui dal cavallo, d'improvviso si svegliò, accese un paio di moccoli all'indirizzo dei suoi santi patroni, attaccò la sequenza delle bestemmie, e già di nuovo frustate da orbo. Per cristoforo! per cristallo!!..

Avanti si andava e anche d'un buon trotto, ma era ricominciata la pioggia.

– Siamo da capo! Marchese bello, se ci piglia qui sulla strada, con questo buio, un diluvio torrenziale come quello d'oggi, stiamo freschi! non domando che dieci minuti, il tempo d'arrivare a porta San Pancrazio, e poi venga giù l'universo, magari tutta quanta la notte: alla meglio potremmo rifugiarci sotto l'arco.... – Cosa c'è? chi è che grida? ha sentito, marchese? una disgrazia di sicuro; l'avrei giurato! Vetturino! vetturino! chi è che grida? vetturino, sei sordo? managgia l'anima tua! chi è che grida?

Ferma! ferma!

Vetturino, ferma, per la Madonna!

Ferma! ferma!

La carrozza si arrestò. Prima che De Martino e il suo compagno, riconosciuta la voce che aveva dato il fermo, fossero stati in tempo a saltar giù uno da una parte l'altro dall'altra, un'ombra si era interposta davanti al chiarore del fanale di sinistra e chiudeva l'apertura.

– Siete voi altri? sei tu, De Martino? – gridò sotto il mantice la stessa voce, agitatissima.

Rizzabarba!! ebbene? che è successo? ma che è successo?

Scendete. Siamo ribaltati. Il cocchiere.... ubbriaco....

– Te l'avevo detto!

– ....ubbriaco.... rasentando l'orlo della strada.... suppongo! come sia successo, non lo so; ci siamo trovati nel fosso!

– Sei ferito? chi si è fatto male? la signorina Friscka è ferita?

– È ferita?... – interrogò Marco Cybo anche lui, con lo spasimo nel cuore d'un'angoscia ineffabile.

– No.... no.... per fortuna; nessun ferito.... cioè.... non sappiamo nulla del cocchiere: non risponde e in questa oscurità d'inferno non si trova vivo morto. – Tu vieni avanti, adagio, adagiocomandò Rizzabarba al vetturino numero due, ma costui pareva sordo e lassù dal suo posto, in piedi, accennava colla mano tesa a qualche spauracchio che vedeva lui solo, nel buio.

– L'anima di Scorpione! – balbettava – l'anima di Scorpione!

C'era in quella località, e penso che esista tutt'ora, una casupola quasi diroccata, già un tempo osteria e ritrovo di malandrini, e dopo che il fulmine l'aveva battuta uccidendo sul colpo l'oste detto Scorpione, i carrettieri pretendevano, giuravano o spergiuravano che certe male notti l'anima di Scorpione comparisse sulla soglia ad aspettare gli amici.

L'anima! che anima d'Egitto? andate a discutere con un uomo in cimbali! Per far presto, De Martino agguantò le briglie e trasse a mano il cavallo. L'accidente era avvenuto una trentina di passi più innanzi, al di dell'osteria abbandonata.

Vite! Vite! Dépéchez-vous donc! – strillava Nicoletta, e a quella di Nicoletta si univa la voce di Priol per affrettare l'aiuto.

Sotto una pioggerella mite ma insistente e ghiacciata, Marco precedeva di corsa quella poca luce ambulante che i fanali venivano riverberando lungo la strada:

– Eccoci, eccoci. Signorina, venga a mettersi al riparo in carrozza. Si è fatta male? per carità, si metta al riparo dall'acqua.

Ma udendo Marco, Nicoletta gli era venuta subito incontro, o prima d'averla scorta, egli si sentì afferrato da lei che tremava tutta e batteva i denti, in una stretta tenace, convulsa:

Andiamo a piedi, andiamo noi due soli, togliamoci di qui; conducetemi via, presto, conducetemi via!

Dolcemente, Marco si svincolò. Le parlò dolcemente, volle calmarla, farle animo, indurla a non rimanere più oltre esposta al freddo e alla pioggia. Vani consigli. Poichè c'era un cristiano da soccorrere, un uomo ferito, moribondo forse, tentò da lei qualche notizia, ma ella non seppe che avvinghiarglisi ancora una volta al braccio, risoluta d'allontanarsi con lui. De Martino intanto e Rizzabarba erano giunti dove, sotto il ciglio della strada, carrozza e cavallo giacevano rovesciati e dove Claudio Priol, non saprei se più taroccando o piagnucolando, non finiva di brancicare a tentoni in cerca del suo cappello; nel passarle accosto raccomandarono pur essi alla signorina di ricoverarsi, e prestamente si diedero attorno per trovare il caduto, vivo o morto, al barlume dei lampioni che li accompagnava, senonchè d'un tratto la pioggerella si mutò addirittura in un rovescio furibondo tale, che smessa ogni idea del salvataggio altrui, non pensarono più che a salvar medesimi, balzando nella vettura, raggiunti da Claudio in un attimo. E il vetturino, sotto le sferze del diluvio, chi l'avrebbe tenuto? l'anima di Scorpione l'inseguiva; giù botte al rozzinante colla frusta dalla parte del manico e via di galoppo.

Soli, in un luogo deserto, soli, nelle tenebre e nel turbine d'acqua che li avvolgeva, Marco e Nicoletta per primo impulso istintivo si slanciarono dietro i lumi fuggenti, ma tosto i lumi sparirono. Soli! Fradici fino allo ossa, intronati dallo scrosciare dell'acqua, mozzato il respiro, rimasero stretti l'una all'altro, immobili, senza voce, come se avessero perduto il sentimento di quanto accadeva intorno ad essi. Non fu che un istante. Se del defunto Scorpione l'anima aveva altro da fare che aggirarsi in quei siti, per fortuna la bicocca non era allucinazione d'un ubbriaco; in buon punto Marco si sovvenne d'averla intravista quasi allora, a pochi passi, rifugio benedetto per lui e per la sua compagna.


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