Remigio Zena
L'apostolo

XV.

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XV.

 

L'inverno era mite, il tempo quasi sempre sereno.

Una delle astuzie più semplici e più frequenti di Nicoletta per liberarsi dall'importuna compagnia dei suoi esotici ombrelliferi e rimaner sola con Cybo, era quella, trovandosi a piedi in carovana, di fermarsi ogni tanto e fingere di abbozzare uno schizzo sul suo album con estrema diligenza, così, alla lunga, quei tre o quattro custodi inconsapevoli delle forme, dopo tre o quattro inutili colpi di tosse e tre o quattro battute d'ombrello sul selciato, piano piano tiravano oltre. Con siffatto sistema più d'una volta le era accaduto, separata a poco a poco dal resto della comitiva, di non rintracciarla più o di non lasciarsi più rintracciare o tornarsene poi sola a casa, e Marco stesso che dapprima non aveva avvertito l'artifizio, volta per volta con interno gaudio si rassegnava tacitamente, per pentirsene più tardi in ginocchio: il mondo che si erige a guardiano senza saper custodire e vuol veder tutto e non vede se non le apparenze, povera anima, come vuoi che giudichi la rettitudine delle tue intenzioni?

Sotto il peristilio rotondo di Santa Maria del Sole – il piccolo edificio pagano sulla sponda sinistra del Tevere, rimpetto alla Bocca della Verità, chiamato comunemente il Tempio di Vesta – in piedi tra una colonnetta e l'altra tutta una famiglia americana aspettava impaziente che Nicoletta avesse terminato non so quale disegno; Marco Cybo discorreva col custode, alcuni muratori lavoravano a scrostare lo strato di calce, spesso e indurito, che fino all'altro ieri copriva i bei lastroni di marino onde le pareti del tempio fin dall'origine sono rivestite al di fuori. Narra il custode che la deturpazione della calce sul marmo rimonti al medio evo, quando già trasformato l'edificio in chiesa cristiana, dedicata allora al protomartire santo Stefano, si volle decorarne l'esterno di pitture cristiane.

Assorta nel suo lavoro di riprodurre certi curiosi geroglifici appena visibili sul muro dove poco prima esisteva l'intonaco della calce, la Brancovenu non accennava punto d'aver finito o quasi, anzi, per meglio dipingere a suo agio, si era accomodata sopra una carriola dei manovali. Disturbarla? non l'avrebbe mai osato il reverendo pastore metodista, colle sue tre pecorellemoglie e figliuole – venuto dalle riviere dell'Ohio a latinizzare la sua semplicità mercantile, non l'avrebbe osato, tanto era profondo il suo rispetto verso la donna e verso l'artista, ma by Gingo! ormai le ragazze l'avevano imparato a memoria il tempio di Vesta, e anche lui e anche mistress Samsöe! D'altronde quella mattina non soltanto il tempio di Vesta era compreso nel programma: per esempio, c'erano le Terme di Caracalla nel programma di quella mattina, e le Terme di Caracalla, monumento importantissimo della romana grandezza e della magnificenza dei Cesari....

It is nearly ten ò clock we shall not have the necessary time....disse il pastore ad alta voce, tirando fuori l'orologio, dopo avere lungamente esaminato il suo volume rosso del Baedeker.

Mistress Samsöe e le ragazze replicarono in coro, non meno che in falsetto:

We shall not have the necessary time!

Questo voleva essere un indiretto ammonimento alla pittrice di far presto, e tutti quattro la sbirciavano colla coda dell'occhio, sempre più impazienti, susurrando tra loro una piccola litania di esclamazioni quasi inintelligibili, ma d'allontanarsi d'un palmo neanche per ombra, chè mister Samsöe, formalista rigidissimo, aveva studiato troppo bene i canoni della perfetta osservanza dovuta alle signore che l'onoravano d'averlo in loro compagnia e non capiva come a tempo e luogo la disinvoltura abituale degli yankees potesse tornar più gradita in certi casi.

Finalmente miss Friscka parve rammentarsi di non esser sola a questo mondo, levò gli occhi dal suo album verso la buona famiglia irrequieta:

Reverend, you can go with your family at Caracala's Termes – senza inutili preliminari disse al babbo nel tono semplicissimo di chi ha un negozio per le mani e non può muoversi prima d'averlo sbrigato, e poichè l'ingenuo clergyman, non intendendo l'antifona, credeva obbligo suo di stemperarsi in cerimonie, soggiunse quasi irritata:

I shall follon yon after; do not be frightened man would tatee me of from here!

Nessun pericolo che alcuno volesse rubarsela? via, questo lo diceva lei per modestia e aveva torto. Ad ogni modo, se non parlava l'inglese a perfezione, sapeva farsi capire a meraviglia.

Marco intanto col custode aveva fatto lentamente tutto il giro del peristilio e si era avvicinato. Diede un'occhiata alla pagina aperta dell'album.

– Che disegno è questo? – chiese a Nicoletta.

– Non lo so: uno scarabocchio qualunque che ebbi il capriccio di copiare qui dal muro; eccolo, guardate: potete farvi un'idea di ciò che significa? pare che si tratti d'una specie d'anfora oppure d'un calice sormontato da una stella, anzi la medesima stella a sei punte, come vedete, è ripetuta due volte a sinistra. Uno scarabocchio vero; lasciate, non val la pena d'occuparsene.

Nient'affatto. Con grande attenzione Marco Cybo osservava sulla parete il disegno originale, ne studiava i contorni, tentava coll'unghia di raschiare gli ultimi avanzi di calce e far meglio apparire le linee. In piedi accanto a lui, Nicoletta stava guardando senza comprendere quale interesse o curiosità potesse suscitare quello schizzo di rebus grossolano: altro era copiarlo per ridere, in mancanza di meglio e per mandare a spasso certa gente troppo attaccaticcia, altro era perderci gli occhi sopra per decifrarlo.

– Si direbbe l'opera d'un ragazzaccio di stradasoggiunse, anch'ella passando leggera sopra i solchi la punta delle dita – l'impresa d'un vagabondo venuto a ripararsi sotto il portico e che abbia ucciso il tempo baloccandosi, solo pel gusto di sfregiare una bella lastra liscia di marmo, niente altro; il lavoro non potrebb'essere più rozzo eseguito da mano più inesperta, evidentemente con un chiodo: non vi pare?

Affettuosa compiacenza da parte sua di fingere per un interessamento molto maggiore di quello che provava in realtà. Rivolto al custode, Marco gli domandò da quanti giorni la lastra era stata liberata dell'intonaco e se alcuno aveva già visto e osservato il disegno.

Ieri si terminò lo scrostamento del muro da questa parte, sul tardi; stamattina sono loro signori i primi visitatori: chi vuole che abbia potuto vedere e osservare quest'iniquità? per me tutto ciò che guasta un monumento antico romano è un'iniquità e i Pontefici ebbero il torto gravissimo.... imperdonabile....

Lasciamo stare i Pontefici, chè non c'entrano. – Chi dirige i restauri?

– Il professore.... mezzo minuto e glielo dico.... ho qui il nome sulla punta della lingua.... comparisce ad ogni morte di papa e allora è un finimondo, urla, strepita, ma non fa nemmeno intero il giro rotondo del portico. Un professore celebre!

– Il commendatore De Rossi?

– Eh via! col commendatore De Rossi siamo amici. Un'altra stoffa di celebrità. Lei deve conoscerlo.... un nome.... un none bisbetico.... mi aiuti lei.

L'aiuto più spiccio fu quello di mettergli in mano al custode la solita regalia dei ciceroni e levarselo dai piedi per non defraudare certi nuovi clienti che sopraggiungevano.

Andiamo? – disse Nicoletta, annoiata della lunga stazione, con familiarità tutta sua attaccandosi al braccio di Marco, e fece per scendere con lui i pochi gradini del portichetto.

Il gesto di svincolarsi dolcemente dalla stretta, senza la più piccola ostentazione pudica o brusca, era divenuto a Marco abituale.

Signorina, fermiamoci ancora un momento, ve ne prego. Non sapete che abbiamo fatto – o piuttosto, voi avete fatto – un'importante scoperta archeologica?

– Io!?

– Voi, più meno, e vi sarò riconoscente se vorrete strappare dal vostro album e consegnarmi la pagina sulla quale avete copiato lo scarabocchio del monello di strada; prima di condurlo sul sito, voglio farne vedere la riproduzione al commendatore De Rossi e sentir da lui se ho imbroccato giusto.

Nicoletta stracciò subito la pagina, ma nel porgerla a Cybo sorrideva d'un'aria diffidente, come di chi voglia premunirsi da uno scherzo.

– A mio avviso si tratta d'un graffito che non rimonta al medio evo, bensì ai primitivi tempi cristiani: rozzo, grossolano, eseguito magari con un chiodo, senza veruna regola d'arte, da un ragazzaccio o da un vagabondo, che importa, se in esso scorgiamo ancor viva dopo tanti secoli l'affermazione della fede cristiana? l'inesperto incisore sulla pietra di queste figure simboliche è il testimonio che vi afferma l'esistenza del sacramento eucaristico fin dai primordi e la popolarità di venerazione che lo circondava nel volgo quando forse non era ancora apparso Costantino.

– Di figure press'a poco consimili è piena Romaosservò tenace la ragazza, non sempre perfettamente docile ai catechismi del maestro – ne abbiamo visto insieme nelle Catacombe, nella Cappella greca di Santa Priscilla.... dico bene Santa Priscilla?

Argomento di più a mio favore, ma vi prego, lasciamo stare tutti gli altri e teniamoci a questo, al graffito scoperto da voi: sia una coppa, sia un'anfora, sia un calice, converrete che non per ghiribizzo dell'autore questa figura è sormontata dalla croce: eccola: potreste mettere in dubbio che sia una croce, sebbene alquanto irregolare? Dunque, data la croce dominante, circa il significato cristiano del soggetto siamo abbastanza illuminati, non essendo presumibile che in un tempio pagano i pagani si divertissero a incidere delle croci; rimane da spiegare il simbolo mistico: osservate questo calice dalle grandi anse voi vedete che mediante un'asta uscente dalla bocca, la stessa asta che termina in alto col segno della redenzione, sostiene pochi centimetri sotto la croce un disco quasi perfettamente rotondo, nel cui cerchio è effigiata una stella a sei raggi; tutto l'insieme non vi rammenta in embrione l'ostensorio liturgico e quindi potete negare d'aver sotto gli occhi una rappresentazione primitiva del sacramento dell'eucaristia?

– Facciamo anche quest'atto di fede, per contentarviesclamò Nicoletta, tra il sarcasmo e la celia.

E Marco di rimbalzo, così poco disposto a lasciarsi ferire da un motto come a rinunciare al suo assunto:

– Io non pretendo che facciate un atto di fede secondo la mia intenzione, desidero che rimaniate persuasa dall'evidenza. Salta agli occhi l'evidenza: la specie del vino è significata dal calice, quella del pane dal disco raggiato a forma di stella, in linea verticale posto nel mezzo tra il calice e la croce e qui ripetuto due volte, come vedete, dalla medesima mano, a sinistra della figura principale; dovete concedermi che questi dischi non si possono intendere altrimenti se non come pani, simili a molti che abbiamo veduto sulle lapidi dei martiri nelle Catacombe.

Pubblicherete una memoria illustrata a proposito di questa famosa scoperta, suppongo; terrete anche una serie di conferenze?

– No: mi basta che la sfida lanciata ai persecutori del cristianesimo da un cristianello ignoto sul marmo d'un edificio pagano che essi venerano, a tanti anni di distanza sia stata risuscitata da voi.

– Ci ho così poco merito!... vi assicuro che l'ho fatto per distrazione.

Potrebb'essere il primo indizio della grazia. Rimpiangereste di trovarvi sulla via di Damasco?

Una fresca risata fu la risposta di Nicoletta, la quale seguitando a ridere del suo squillo argentino e saltellando come una bambinella, scappò via lungo la sponda del Tevere. Cybo la raggiunse e non le diede quartiere:

Rammentate quella tale iscrizione, anch'essa malamente graffiata sul muro, che io vi ho tradotto nelle Catacombe di San Sebastiano? eravamo all'ingresso d'una cripta. Come mai nel buio che ci avviluppava, appena rotto da una fiammella agonizzante, i vostri occhi e la vostra attenzione furono suggestionati da quei caratteri? tu qui legis, soror mea dulcis, revertere ad Christum et vives; soror mea, vives. Rammentate? o rammentate la traduzione? tu che leggi, sorella mia dolce, torna a Cristo e vivrai; sorella mia, vivrai. Tant'è, non giungo umanamente a spiegarmi come mai nell'oscurità che ci avviluppava, rotta appena da un barlume, il vostro sguardo abbia saputo discernere quelle due linee incise sul grigio uniforme della pietra. Senza dubbio fu un guizzo di luce che le rischiarò d'improvviso, ma non bastava intravvederle alla sfuggita per sentirvi subito tratta da una curiosità non mai provata a fermarvi e decifrarle parola per parola, bisognava che un baleno di luce immateriale, mistica, le avesse illuminate agli occhi dell'anima. Chiamatelo ispirazione cotesto baleno e sarete nel giusto, chiamatelo ispirazione venuta da chi vi protegge nel mondo di . Dovevate leggere, era impossibile che non leggeste! e avete letto: mia dolce sorella, perchè hai abbandonato il tuo signore Gesù Cristo? sei nata cristiana come me, sei scesa con me nei sotterranei a visitare le tombe dei martiri e a venerarne le reliquie, avresti com'essi confessata la tua fede se tu fossi vissuta non sotto il nostro imperatore Teodosio, ma ai giorni sanguinosi di Massimiano? accanto a me vieni ora seguitando coll'occhio le povere lettere che mi studio d'incidere sul tufo impietrito, forse ti aspetti una dedica profana o un distico d'amore: non voglio, non saprei parlarti d'amore; ascolta: che hai fatto del tuo battesimo? pel tuo battesimo e pel sangue di Cristo, sorella, ti scongiuro di rompere le catene che ti trascinano alla morte, pel tuo battesimo e pel sangue di Cristo ti prometto la vita vera d'amore! – Non mi domandate chi è l'uomo che parla così, quasi certo nella sua speranza, chi è la donna che ascolta e non risponde.... anime d'oltre tomba.

Un tempo di silenzio. La Brancovenu fissava laggiù sull'opposta riva le case basse di Trastevere raggruppate sotto le pendici del Gianicolo. Erano arrivati, passeggiando, di fronte all'ospizio di San Michele.

– Non ridete più? – riprese Marco dopo un istantesoggiogata da una volontà misteriosa, più forte di voi, dovevate leggere, era impossibile che non leggeste attraverso quelle due semplici righe la soavità dell'invito d'un'anima, la promessa ineffabile e sacrosanta della ricompensa. Voglio farvi ridere ancora una volta: se fosse una predizione la scritta? se foste voi, se foste voi la dolce sorella?...

Nicoletta non rise, come del resto nel pronunciare le ultime frasi a voce bassissima, con una lentezza spiccata che aveva qualche cosa di sibillino o di grandemente affettuoso, neppure Marco rideva. Avendo calato il velo di garza cenerognolo, Nicoletta poco lasciava scorgere del suo volto, ma ora sembrava che tutta la sua attenzione l'avesse trasferita sopra una barcaccia carica di botti, che stentava a risalire il fiume per approdare a Ripagrande.

Interrogò:

– Son botti di vino? da dove lo portano quel vino? – ma la voce ora semispenta, mille miglia distante il pensiero.

La risposta si fece attendere un poco:

Suppongo che sia vino di Sicilia o di Sardegna.

Tacquero. Nicoletta si mosse per la prima, sempre in silenzio; passo passo, uno a fianco dell'altra si avviarono a porta San Paolo, uscirono fuori porta, sempre in silenzio. Inutile discorrere, se dopo tanta archeologia cristiana erano cascati a piombo sulle botti di vino che navigano a Ripagrande erano capaci d'escogitare argomento migliore.

Secondo gli accordi in forma piuttosto brusca di Nicoletta con l'eccellente mister Samsöe, non avrebbero dovuto tardare a raggiungerlo lui e la sua famiglia alle Terme di Caracalla, senonchè, per tacito consenso non curando d'essere aspettati, fors'anco non pensandoci più e attratti dalla nostalgia della solitudine, s'inoltrarono per la via Ostiense. A intervalli lo scambio di qualche frase smozzata: la piramide di Caio Cestio, il Testaccio, San Paolo, le Tre Fontane, il deserto romano, insomma tutti gli spunti sui quali è di prammatica ricamare un motivetto più o meno dottorale ogni volta che ci si avvia da quella parte; sarebbe imperdonabile una persona grave se lasciasse da banda i padri Trappisti e le piantagioni degli eucalipti, come un uomo di mondo se non spifferasse una dissertazione sulla caccia alla volpe. Nel mentre pel predicozzo del suo nuovo direttore spirituale tutto ad un tratto la nostra figliuola era divenuta taciturna sotto l'oppressura d'un pensiero molesto, l'altro non sapeva se dovesse ciò attribuire alla volubilità di lei o all'avventatezza d'una parola che gli fosse sfuggita o andava rifacendo l'esame di coscienza. Ma se la coscienza non lo rampognava verso Nicoletta d'essere uscito per troppo zelo oltre i termini del maggiore rispetto, si sentiva in fallo verso medesimo e anche verso Nicoletta di quel trovarsi insieme, essi due soli, in quella remota località, a sfidare e a legittimare le maldicenze.

Una carrozza veniva al trotto da San Paolo alla volta di Roma, un'altra galoppava da Roma verso San Paolo; non erano le prime, ma l'incontro avvenne all'altezza dei due pedoni che si erano tratti sul margine della strada, divisi a destra e a sinistra. Il perchè di cotesta opportuna separazione al momento in cui stavano per giungere i legni, facciamo presto a indovinarlo noi, se abbiamo ben capito fin qui gli scrupoli di Marco Cybo.

– Avete visto? – chiese Nicoletta dall'altra parte della strada, quando le carrozze furono passate, ognuna al suo destino – avete visto?

Una botte e una carrozza chiusa di rimessa transitanti ad un tempo sotto i suoi occhi, Marco non avea visto altro; nella prima, diretta a San Paolo e che per esser dalla sua parte gli aveva tolto di scorgere chi fosse nella seconda, si trovavano due preti francesi.

– Non avete visto la baronessa Naim? Avvicinatevi. Era con un'altra signora e con Rizzabarba. Mi salutarono molto gentilmente. La Naim l'avete conosciuta anche voi, una sera, in casa della duchessa.

Semplice presentazioneguardando di sbieco il legno che si allontanava verso Roma, disse Marco o piuttosto brontolò a fior di labbra, impensierito pel timore d'essere stato visto dall'onorevole.

E ripresero la passeggiata.

– Durante tutta la sera non avete parlato alla baronessa?

Sapete che in casa Olevano non discorro quasi mai con alcuno, specie colle signore.

– Per dedicare a me sola tutto il vostro tempo? ditelo, ditelo pure e non arrossite, soprattutto; siete diventato rosso: avreste paura di far peccato volgendomi un complimento? non vi succede troppo spesso. Del resto, colla Naim avreste avuto una conversazione piacevolissima di teologia e di scienze occulte; ha una fama mondiale; non ignorate che nei suoi viaggi ha studiato a fondo le varie religioni dell'India, è riuscita a scoprire i segreti dei fakiri.... si pretende che operi prodigi strepitosi di spiritismo.

A bella posta essendosi astenuto dal rispondere o approfittando d'una pausa abbastanza lunga, Marco credette di poter impunemente mutar discorso, fermo nella sua idea:

– Siete proprio sicura che fosse Rizzabarba?...

Nicoletta crollò le spalle in atto di dispetto:

– V'importa assai di Rizzabarba? un imbecille! vi ho cantato in musica che era lui colle due signore; non ho più occhi, adesso? per salutarmi non cessava di sbracciarsi a tutt'andare fuori dello sportello. – Acconsentirà una di queste sere a darci un piccolo esperimento in casa Olevano.

– Chi?

– La baronessa.

– Per conto mio dichiaro che non assisterò. Verrete con me.

Dichiaro che non verrò, a costo di disobbedirvi.

Perchè? non volete dirmi perchè?

– La mattinata è burrascosa, non avreste pazienza d'ascoltarmi.

Torniamo indietro, mi pare che sia tempo. Presto è ora di colazione; avete appetito? voi no, probabilmente; io sì, moltissimo; e non vorrei giungere in ritardo; sarebbe orribile se non trovassi una botte a porta San Paolo.

E tornarono sui loro passi, di nuovo in silenzio com'erano venuti, ma sempre a fianco, e per giunta una preziosa sfumatura di musoneria. Litigi o bronci metastasiani, che finivano secondo l'uso nell'allegro tenero della cabaletta.

Fu lei la prima, quasi subito, a riattaccare:

– Vi tanto sui nervi la baronessa Naim? dite voi se non è una bella donna, ancora giovine e fresca; Tommaseo, dopo averla dichiarata morta, proclama che ha più di cinquant'anni; sarà; è un fatto che non ne dimostra trenta; ebbene, se ha rubato ai fakiri dell'India e l'ha portato in Europa, il segreto dell'eau de jouvence, non capisco perchè ciò debba turbare i vostri sonni; è in comunicazione cogli spiriti, e così? tanto meglio, una di queste sere ci aprirà lo scrigno dei suoi grandi miracoli.

– Ve l'ho già detto: io non interverrò.

– È proibito dalla Chiesa intervenire?

– È proibito dalla Chiesa.

– Non lo credo, siete spiritista anche voi; negatelo, se potete!

Anche lui! Marco trasalì. Era vero: certe letture gli avevano lasciato nel fondo del cuore una specie di dubbio, più ancora, quasi la dolcezza d'una reminiscenza e d'una speranza; quel potersi mettere in diretta comunicazione colle anime dei trapassati, segnatamente di coloro che ci furono cari e forse rivederne per un istante le sembianze corporee, quella successione infinita di esistenze oltretomba, ascensione infinita nell'eternità dello spazio, di pianeta in pianeta, di stella in stella, sempre verso il Sole eterno, infinito, gli sembrava una dottrina consolante, forse adombrata in alcuni passi dei Profeti e degli Evangelisti. – Illusione diabolica anch'essa, perfido miraggio del tentatore simulante la luce.

Di botto, rialzato il velo e guardando in faccia il suo compagno, Nicoletta si era fermata:

– Come dice quell'iscrizione latina delle Catacombe, di cui mi parlavate poco fa? non so il latino e non posso ripeterla; non importa: l'inflessione della vostra voce, le vostre parole, il vostro sguardo, la storia inventata da voi dei due amanti romani – l'uomo cristiano fervente e la donna peccatricepalesavano fin troppo ciò che voi non avevate il coraggio di dirmi, ossia il mistero di quei caratteri che in verità parlavano a me ed erano stati scritti per me, l'intervento soprannaturale d'uno spirito protettore che mi costrinse quasi nel buio a rintracciarli senza che io ne sospettassi l'esistenza, a tentare di leggerli, suggestionata – l'avete detto voi – da una forza invincibile o invisibile. Sono superstiziosa: non sapete che le vostre parole, dette a quel modo, mi fecero correre un brivido per le ossa?

Sgomitolava così in fretta i suoi periodi, in un francese così serrato, che Marco Cybo stentava a tenerle dietro e non aveva mezzo d'inframmettere una parola.

– Sono superstiziosa, non so se debbo credere in Dio e credo nel diavolo; certi momenti mi ribello contro la mia stupidità, faccio lo spirito forte e in compagnia ho un ardimento da leone; ma più tardi, di notte, quando son sola nella mia camera, vatti a far benedire! Noblesse oblige: non sarei della mia razza se non credessi nel diavolo, nell'occhio maligno, nei coltelli in croce, nel sale rovesciato.... nel destino scritto sulla palma della mano.... io so leggere le linee della mano e so predir l'avvenire: volete provare? datemi la vostra mano!

Afferrò svelta la mano sinistra di Marco.

Lasciate, tolgo io il guanto. È inutile far resistenza; perché fate resistenza? state fermo; vi dico che il guanto lo tolgo io. Insomma, volete star fermo? ecco, non vi domando che un minuto; voltate bene la palma: non ne dubitavo, le linee son disegnate a pennello e si leggono assai meglio dei vostri graffiti. Suvvia, per gentilezza, fatemi il piacere di star fermo o vado in collera sul serio.

Per gentilezza, con un senso indefinibile di beatitudine dolorosa, fu necessità rassegnarsi; sotto le dita carezzanti della zingarella si ripercotevano febbrili nella mano tesa del paziente tutte le pulsazioni del cuore. Ma l'esame chiromantico non segui, chè con uno scatto mal represso, data appena un'occhiata, l'indovina abbandonò l'oroscopo dopo brevi secondi.

Finita già la commedia?

Rimettete il guantodisse Nicoletta – ho fatto per ridere.


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