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XXI | «» |
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In nativitate Domini.
L'invitatorio era finito, cominciava l'inno
quando, entrato in cappella ultimo di tutti, Marco andò a pigliar posto nelle panche in prima fila, che servivano di balaustra all'altare.
L'aveva trattenuto il tenente Filippo, solito ogni sera a passar da lui, qualunque ora fosse, colla familiarità d'un antico compagno e deporre il pastrano e la sciabola e la rivoltella, prima di recarsi da Gabriele.
– Vuoi sentirne una? non mi crederai: sole, esse tre, sole come tre anime del purgatorio, con questo tempo da cani, con questa oscurità, in questo deserto, mia madre e le mie sorelle, esse tre sole, circa un'ora fa se ne vennero fin quassù, frenetiche d'arrivare alla messa di mezzanotte.... e non sono ancora le undici
– Dovevi accompagnarlo – disse Marco, semplicemente.
– Bravo! dopo pranzo mi ero buttato sul letto, cinque minuti: sai che questa è la decima notte in bianco? eravamo d'accordo: svegliatemi a tempo debito; invece, con quella benedetta febbre addosso che le tormenta, per la paura che io le facessi aspettare, piano piano filarono via.
– Sapendoti stanco, per compassione non avranno voluto ammazzarti il benefizio d'un'ora di sonno.
– Capisco, ma c'è dell'altro, e qui non capisco più: fossero venute insieme! viceversa, una delle mie sorelle fu così imprudente da venirsene sola.
– Non è possibile!
– Lo dici tu. – Appena in porteria, figurati, domandai subito se le avevano viste; ero corso a rotta di collo, certissimo di raggiungerle, ero ansante, in quello stato d'inquietudine che ti pare presentimento d'una disgrazia; per fortuna erano arrivate sane e salve, il portinaio mi rassicurò, ma cascai dalle nuvole nel sentire che erano arrivate, diciamo così, in due edizioni, a un intervallo bell'e buono l'una dall'altra....
– E vuoi che tua madre, di nottetempo, in piena campagna solitaria, abbia lasciato la figliuola?
– Cose che non succedono che a Giorgina! Metterei la mano sul fuoco: uscendo di casa, mia madre le avrà detto d'aspettarmi per venire con me e lei invece, dopo un quarto d'ora.... uno dei suoi soliti estri; ne ha tutti i giorni; e le fissazioni più strambe? sono la sua prerogativa, ne devi sapere qualche cosa anche tu; parla: ogni volta che le riesce di sequestrarti, non batto lo stesso chiodo, sempre lo stesso chiodo?
Un breve sorriso di consenso fu la risposta, non lieta ad esuberanza.
– E ho torto – proseguì Filippo, levatosi da sedere con impeto e i passi agitati facendo tintinnire sul lastrico gli speroni – ho torto marcio di parlare così, perchè insomma non c'è clausura che tenga e se Giorgina supplica e insiste di poter vedere almeno dallo spiraglio della porta suo fratello che muore, rivendica fermamente un diritto sacrosanto! Sai dov'è il guaio? nel cervello, purtroppo! Lourdes le ha dato il colpo di grazia; prima la chiamavamo visionaria, per ridere, e ne rideva anche lei, adesso, invasa dalla mania religiosa, la sua vita è un'allucinazione perpetua e non devi stupirti che mia madre e l'altra mia sorella ne sieno rimaste.... come si dice?
Squillavano allegri i secondi rintocchi della campanella, annuncianti il mattutino in nativitate Domini.
– Tu hai fretta e io scappo. – Se Gabriele dorme o sonnecchia, come spero, scenderò io pure a una delle tre messe. Ti ricordi, a Monaco, l'ultim'anno che ci trovammo insieme, la messa di Natale a mezzanotte? io non ero tra i beniamini del padre Tornabuoi e avrei dovuto andarmene a letto cogli altri, ma tu e Gabriele, ti ricordi? intercedeste per me e fui ammesso tra i privilegiati. La prima e l'ultima! Non parliamo di Modena: dacchè ho le spalline, sarei molto imbarazzato se dovessi specificare ad una ad una dove le ho passato le mie notti di Natale: in chiesa, no; di picchetto in quartiere, agli arresti, in ferrovia.... a cena varie volte, cene clamorose con amici e dame.... d'alto bordo....
– Speriamo che questa notte Gabriele dorma tranquillo – tagliò Marco Cybo, non dissimulando il doppio senso dell'interruzione.
– Speriamo! – dal fondo del cuore il tenente Voltagisio replicò all'uno e all'altro pensiero.
– Se continua così.... senza febbre, diminuita la tosse.... non ti pare che in realtà un poco di miglioramento ci sia?
– Dici bene: se continua così; continuerà? malattie che non perdonano; troppo frequenti sono questi alti e bassi per potersi fidare d'un'apparenza. Tu pure credi nel miracolo?
Un istante – vacillasse la fede o fosse una miserabile concessione al rispetto umano – Marco esitò:
– Quanto posso, l'invoco – rispose.
– Invochiamolo, ma altro è invocarlo, altro è attenderlo colla sicurezza fanatica dei napoletani che giuocano un terno al lotto; per esempio, la sicurezza di mia sorella! e il sabato dell'estrazione!? mi si drizzano i capelli; cosa ne faccio io di queste tre povere donne, il sabato dell'estrazione?
Amara richiesta. Consigliatelo; se sapete: cosa ne farà di queste creature, oggi o domani, quando avranno aperto gli occhi?
Soggiunse Filippo, rimessosi a passeggiare dopo una corta fermata interrogativa:
– Mi dimenticavo di parlartene: ti ha detto nulla Giorgina? stanotte ne prepara una delle sue, rischiatissima. Con me, in casa, i sotterfugi sono d'ordinanza, questa volta però la cospirazione sarebbe andata a monte senza il mio aiuto.... sfido! e tale e quale mi vedi, eccomi in procinto di guadagnarmi una scomunica.
– Nientemeno!?
– Intendiamoci: la mia coscienza è tranquilla, dal momento che Giorgina, religiosa e scrupolosa com'è, non si perita di saltare il fosso. Ecco: terminata la funzione della notte, spenti i lumi, andrete tutti a dormire, m'imagino: quando sia perfetta la calma, piano piano Giorgina, Tecla e mia madre saliranno sopra da Gabriele....
O non venne o quasi impercettibile fu l'esclamazione di meraviglia che Filippo s'aspettava.
– A Gabriele – continuò – cioè a prepararlo per benino, penso io: gli darò ad intendere che le nostre istanze e le lagrime delle donne per somma grazia ottennero dal padre Generale una breve sospensione della clausura; più difficile sarà sbarazzarsi del fratello infermiere e vado mulinando un mio piccolo stratagemma per allontanarlo senza dargli sospetto; alla disperata, fra tante bottigline che ci sono, mi raccomanderò a quella del cloroformio.
Ma lungi dal solleticare la curiosità di Cybo, pareva che tali confidenze non meritassero neppure la sua indignazione, tanto guardingo si mostrava nell'accettarle. Voltagisio scattò:
– Non dici nulla? – proruppe, subitamente illuminato dal lampo d'un'idea – e io mi spolmono a raccontarti ciò che tu sai meglio di me! È inutile, non negare: sarebbe morta Giorgina piuttosto di nasconderti il suo progetto. E se tu fossi d'accordo con lei e col padre Albis di tenerle mano in segreto?...
Sino dai tempi di Monaco, Filippo sapeva per prova che all'occorrenza il padre Albis avrebbe scavalcato imperterrito il rigorismo di certe discipline conventuali, se la carità o il bene d'un'anima l'avessero chiesto.
– È troppo sicura mia sorella, troppo disinvolta nel macchinare la sua strategia, perchè non abbia in saccoccia l'assoluzione preventiva e se Dio vuole una brava promessa d'assistenza. Scommetto che sei tu incaricato di farle da guida per le scale.... al buio....
Tempo perso combattere, o peggio ancora mentire e averne le beffe. Dalla cappella salivano tra le voci dell'armonium i canti gregoriani, in lontananza.
– Sarebbe una scommessa già vinta – capitolò Marco Cybo, e uscì.
L'inno terminato, le cui strofe settenarie, balbettanti un rozzo metro latino ora aspro ora mellifluo, affermano il dogma dell'Incarnazione, lenta e piana cominciò da coro a coro la recita dei tre salmi del primo notturno: i re e i popoli in conciliabolo di rivolta contro Dio, spezzati come argille; la gloria del creatore che ha posto nel sole il suo tabernacolo, narrata dalle armonie dei cieli; per le nozze del Re l'epitalamio mistico allo Sposo che ha debellato in guerra tutti i nemici, alla Sposa che si avanza, diademata d'oro, tra il corteo delle vergini. Poi, dal libro di Isaia, le lezioni, ognuna detta a voce alta da un assistente, profetiche apostrofi che la voce nel deserto invia a Gerusalemme per l'avvento d'un Figlio.
Durante il secondo notturno si accostò a Marco il padre ministro:
– Tocca a lei la terza lezione – gli disse piano.
E venuto il momento, dopo che Visdomini e l'avvocato di San Pietro recitarono ognuno il suo squarcio della predica di Leone Papa sulla Natività, Marco lesse forte il tratto che gli spettava e finisce così: "agnosce, o christiane, dignitatem tuam et noli in veterem vilitatem degeneri conversatione redire; reminiscere quia exutus de potestate tenebrarum, translatus es in Dei lumen et regnum."
Erano scritte per lui queste parole di pace e di redenzione: tornato in grazia lo ammonivano, ancora oscillante lo raffermavano. Ricordati! Nel pronunciarle dinanzi all'altare, al cospetto d'un'assemblea che sarebbe stata chiamata come testimonio, gli pareva di deferire a sè medesimo un giuramento di perseveranza.
Col Te Deum che chiude il terzo notturno dopo la lettura di brani d'omelie apostoliche sui Vangeli della festività, il canto venne ripreso, e durante le Lodi mantenuto sino alla fine. Lodi veramente, litanie gaudiose di tutte le creature al Re dell'universo: posseggono un'anima tutte le creature dalle immensità agli abissi, tutte all'invito di David e dei tre fanciulli si accordano in una voce frenetica d'esultazione, o coi vivi e coi morti e coi giacenti nelle tenebre Zaccaria conchiude l'eterno patto di misericordia, in nome dell'eterno Oriente che ci ha visitato.
L'altare sfolgorava. Mezzanotte.
Comparve il padre Albis, vestito d'una pianeta di tela d'argento, preceduto dagli accoliti, o più che il suono, quasi in una penombra musicale, accompagnandone i riti il pensiero dell'armonium, la messa bassa ebbe principio.
Non era sciolto il vincolo d'unità, pel quale tutti insieme i fedeli partecipavano alla notturna commemorazione, ma la forma sensibile interrotta, le voci ammutolite, restava libero ognuno di segregarsi nella solitudine del suo spirito.
Colloqui senza parole, suppliche, proponimenti, costrizioni, è l'ora vostra: accendetevi, desideri; speranze, illuminatevi!
Quanti siamo? ciascuno di noi ha un desiderio diverso da esporre, una speranza differente da conseguire, ma tutti in una sola allegrezza, fiduciosi come bambini.
Sul ritmo pastorale ascoltando appena appena modulate dall'istrumento le egloghe del presepio, ciascuno di noi rivive la sua infanzia: l'infanzia non è il passato, è un sogno; il passato è morto nel perdono e spunta l'avvenire nella promessa d'Emanuel.
Tre volte rinnovatosi il mistero dell'Ostia e del Calice, aggiunto in ultimo per chiusura l'inno ambrosiano solennissimo, la funzione era durata assai oltre il tocco.
Pensò Marco Cybo che all'uscita le Voltagisio l'avrebbero atteso in foresteria e gli conveniva rimaner fermo al suo posto, lasciando che i presenti a poco a poco si disperdessero, finchè non fosse stato certo che niuno si aggirava pei corridoi. Le istruzioni del padre Albis erano formali: se egli, sotto la sua responsabilità in faccia a Dio e ai suoi superiori, aveva creduto di derogare alla legge, intendeva che si usasse tutta quanta la necessaria prudenza, massimo per gli estranei, troppo facili a scandalizzarsi.
Sgraziatamente, agli estranei il sonno era fuggito dalle palpebre e arzilli e gai ciaramellavano nell'atrio in conferenza, la voce di Visdomini predominante, nient'affatto sulle mosse d'andarsene a letto. Marco aspettava.
L'oratorio, poco dianzi una reggia da abbarbagliare la vista, era piombato in quell'oscurità misteriosa, propizia ai pertinaci, onde lo ultime eloquenze si fanno più fervide e irrompono tutti gli ardimenti della preghiera. Non è il buio; unica fiamma la lampada vivibonda e perpetua nell'adorazione sfavilla come un simbolo davanti all'altare, impregna le ombre, attorno attorno nel recinto, d'un pulviscolo luminoso.
Marco aspettava; credeva d'esser rimasto solo, ma non andò guari che un tenue scalpiccio o fruscìo ripetuto l'avvertì della presenza in cappella d'altra persona, anche gli parve di sentire un alito dietro di sè, dal fondo, che fiatava il suo nome. Guardandosi intorno colla coda dell'occhio, non gli venne fatto di discernere anima viva, salvo laggiù contro il muro, nell'ultima panca dove sul principio, entrando, aveva visto in gruppo le signore, una macchia nera che si agitava, irriconoscibile nel tremolìo dei barlumi: senza fallo Giorgina Voltagisio.
Subito indovinata: Giorgina, alla quale non bastavano gli affidamenti avuti e vigilava in sentinella, temendo forse una scappatoia nel momento buono; Giorgina, colla sua irrequietudine addosso e la smania impaziente di far presto.
Accorciamo l'indugio, fu il pensiero di Marco, non appena lo soccorse un'ispirazione che per la sua semplicità avrebbe dovuto balenargli assai prima; e levatosi immediatamente, si avvicinò d'alcuni passi a Giorgina, tanto da essere inteso senza pericolo d'uno dei soliti colloqui spiritati che quella benedetta creatura gli infliggeva, e proferì a mezza voce:
– Chiami sua madre e sua sorella, subito; passiamo per la scaletta della sacristia.
Non attese risposta, tornò verso l'altare, dal sancta sanctorum sguisciò nella sacristia, e recando il lume che doveva esser guida e rischiarare la strada, per avarizia di cerimonie volle precedere le signore a qualche distanza.
Ma con meraviglia si accorse, quando fu in cima alla scala, che delle tre donne una sola gli veniva dietro. Levò in alto il lume, domandò:
– Lei sola? – e rimase ad aspettarla.
– Io sola – disse una voce conosciuta, ma non quella della Voltagisio.
In pieno chiarore, colei che saliva era giunta a un passo da Marco Cybo.
Le umane sorprese hanno talora la magia del sogno, quasi sempre lo spavento della realtà: un attimo: la realtà ci si rivela indistruttibile, più forte di noi; non c'è scampo: così dormissimo! il silenzio lungo che succede è già di rassegnazione.
Faccia a faccia, assaporando la vittoria della sua comparsa, colei sorrideva, ma il primo moto represso di crudeltà femminile, il sorriso e gli occhi offrivano pace.
– Sono io – disse finalmente; quel c'est moi, che in bocca d'una donna è l'espressione del trionfo – e così? non mi date la mano?
Cybo non afferrò la mano che ella gli porgeva e si trasse indietro:
– Come siete venuta? con chi siete venuta?
Di tutte le domande che avrebbe potuto rivolgerle, se questa era la più naturale, era anche la più atta a fargli perder tempo nell'ardua necessità di trovare senza indugio una via d'uscita, eppure non sapeva che ostinarsi:
– Come vi hanno lasciato penetrare, non conoscendovi? abbasso, chi vi ha aperto? non vi disse nulla il custode? – e mozzava subito la risposta per l'impazienza d'altra domanda – eravate in cappella? avete assistito con noi a tutta la funzione? – e si accalorava, e gli si snodava la lingua nel crescendo spasmodico dei punti interrogativi – che volete da me? quando siete arrivata? chi vi ha messo sulle mie tracce?
Erano al primo piano, dove a metà del corridoio egli aveva la sua stanza. Il susurro di molta gente che saliva la scala grande lo richiamò all'imminenza del pericolo: i suoi compagni! tornavano alle loro celle, e passandogli davanti, per forza l'avrebbero visto lui e l'intrusa. Appena il tempo d'arrivare all'uscio:
–– Leviamoci di qui.... venite con me, per amor del cielo!
Nicoletta si guardò intorno: le quattro pareti, bianche, nude, albergavano lo squallore d'una prigione: il letto miserabile, il tavolino, due seggiole di paglia; sontuoso arredo in più, un genuflessorio fratesco, sormontato dal Crocifisso.
– È tutto qui il vostro appartamento? – chiese a sua volta, tra l'ironia e la compassione – i reverendi padri non vi guastano! E quella sciabola? là, nell'angolo, è vostra quella sciabola d'ufficiale?
Posò l'ombrello, e raggiunta la finestra, spalancati i vetri un momento, non tacque la sua meraviglia di vedere il cielo stellato come per prodigio; invano chiamò Marco, lo chiamò accanto a sè, lui che avrebbe dovuto farle gli onori di casa e non si muoveva dalla porta e origliava il transito dei passi e delle voci nel corridoio. Tornò: uno dopo l'altro aperse i pochi libri ascetici che erano sul tavolino, mormorando il titolo con voluta affettazione, prese tra le mani e l'esaminò a lungo, la rivoltella deposta da Filippo
– È carica? non sapevo che per salvarsi l'anima in questo tabernacolo del Signore ci fosse l'obbligo d'armarsi fino ai denti! Si vede che tra gli altri esercizi, tra un rosario e una predica, i gesuiti vi insegnano pure il tiro al bersaglio; non si sa mai: domani potrebbe occorrere per obbedienza di dovere sbarazzare la cristianità d'un nemico della Santa Chiesa....
Ogni rumore esterno dileguatosi, Marco si era avvicinato, non così attratto dal risveglio nel suo cuore d'un sentimento che egli credeva d'aver soffocato, come ripugnante all'idea ingenerosa d'una fuga.
Stavano in piedi, lui e Nicoletta Brancovenu, di fronte, separati dal tavolino; tra loro la fiamma della candela. Subitamente, scontratisi gli sguardi, ella cessò dal sarcasmo, convertì l'acrimonia in un flutto d'amarezza:
– Quando penso che per non muovervi di qui, da questa povertà desolata, per non staccarvi dai vostri padri o non dimezzare le vostre preghiere, a chi muore di sete non dareste un bicchier d'acqua se fosse necessario attingerlo venti passi lontano, quando ci penso, nel vedermi accolta da voi con una specie di terrore e chiusa qua dentro come si nasconde un'ignominia, mi domando se non ebbi torto poco fa di lasciarmi illudere a sperare dai vostri canti che annunciavano la pace e il perdono, di piangere anch'io colle donne che mi erano vicine, nell'allegrezza della mia speranza. Ebbi torto, ebbi torto! Non so chi fossero quelle donne, ma vorrei conoscerle per sentire da esse che le loro lagrime furono sprecate come le mie!
Immobile, Marco Cybo la vedeva strapparsi i guanti, e le mani di lei tormentose stringerli nel pugno, stiracchiarli, attortigliarli senza pietà – le pallide mani infantili, non ancora dimenticate! Lo sapeva purtroppo: inutile sarebbe stato qualunque sforzo di volgere altrove gli occhi da quelle mani: crudeli o benigne, mansuete o iraconde, iettavano il sortilegio.
– Ebbene – ella seguitò, dopo una prima luna d'esacerbazione, facendo violenza agli istinti – se ho potuto ingannarmi, se può farvi piacere che adesso io debba pentirmi di aver avuto in un momento di commozione tanta sciocca audacia da ripromettermi tutt'altra accoglienza, ciò non toglie che io sia riuscita a scovarvi e a penetrare nell'arca santa, dove credevate d'essere al sicuro delle mie persecuzioni. Il miracolo di Maometto: la montagna non è venuta, vado io alla montagna; chiamato, supplicato, voi non siete venuto a Firenze, vengo io a Roma, niente di più logico; i telegrammi non ebbero virtù di farvi muovere – neppure gli ultimi! – vediamo se saranno più fortunati.... aiutatemi a dire.... non vorrei offendere la vostra pruderie.... saranno più fortunate le parole a viva voce e anche....
Si arrestò, ma il sorriso o l'espressione del volto e le pupille ardenti di malizia, balenanti tutte le lusinghe della femmina, terminarono la frase.
Disse Marco Cybo – però gli tremavano le labbra e fu soltanto pel pudore di non darle segno, a lei, d'aver compreso, che ruppe il proposito di lasciarla sfogare a sua posta:
– Ve ne prego, non parliamo degli ultimi telegrammi: ormai mi conoscete troppo bene per non esser certa che sarei accorso all'istante.... – non parliamone, ve ne prego!
– Bravo! sareste accorso, ma vi trattenne....
– Voi stessa lo confessate?
– ....il timore di dover perdere alcuna delle tante prediche, oppure il suggerimento dei vostri direttori spirituali.... ammesso che qua dentro, ad ogni buon fine, i loro paterni consigli non abbiano il sussidio più energico d'un chiavistello che v'impedisca di muovervi.
– Sentite, Nicoletta – calmo in apparenza, Marco si rivoltò contro la perpetua beffa poichè vi piace d'insistere, lasciate che io sia franco e schietto con voi.... – non m'interrompete – lasciatemi dire che una bugia così avventata come quella di fingervi morente per sorprendere la mia credulità assai facile, non era degna di voi e mi applaudo di non esserne rimasto vittima.
– Applauditevi! – scattò, ferita al cuore e lanciando terribile un gesto d'imprecazione, la Braucovenu – perchè siete ancor qui? perchè non andate a chiamare in vostro soccorso i vostri padri gesuiti? svegliateli, mettete a soqquadro tutto intero il convento, chiamateli tutti chè vi sbarazzino di me, mi caccino fuori della porta e vi applaudano anch'essi!
Afferrò i guanti, scontrò colle dita la rivoltella del tenente Filippo e con un moto smanioso la tolse di sopra i libri, a caso, per rimetterla in mostra dove il tavolino era sgombro; fece qualche passo, trascinò per la spalliera una delle due seggiole:
– Vengano i vostri liberatori! non vi muovete? io aspetto!
Ma tosto, invece di sedersi, tornò verso Marco le sue pupille non guizzavano già più il fuoco dell'ira, le sue mani pendevano lungo la veste, inerti, quasi avvilite d'avere scagliato un maleficio:
– Voi mi accusate d'essere stata bugiarda – e nella sua voce, ancora spezzata dai tremiti, pareva che vibrasse un altro metallo – siete ben sicuro che sia stata io quella che ha mentito?
E chi, se non lei?
– Non importa, mi accusate e rendo omaggio alla vostra penetrazione: di botto avete indovinato la frode, vi ha fatto ridere la firma d'un sacerdote che non è mai esistito.... eppure.... vorreste persuadermi che l'ombra d'un dubbio non vi si sia affacciata alla mente? risoluto d'abbandonarmi, non vi siete chiesto: e se fosse vero!?
Marco non osava guardarla nè contraddirla.
– ....son così pronti gli apostoli come voi a subodorare un tranello per esimersi dalla loro missione?
Dubitava di sè stesso per la logica inflessibile del raziocinio religioso voleva convincersi d'essere stato l'uomo forte nel superare la tentazione d'accorrere dove lo chiamavano i gridi della tentatrice e gli aneliti del suo cuore, o il medesimo raziocinio gli sobillava il rimorso d'essere stato pusillanime; non osava guardarla: man mano che ella si faceva più buona raccontandogli la sua fuga da Firenze e le sue ricerche per Roma e l'odissea a Monte Mario, com'era entrata a qualche minuto d'intervallo dopo tre signore e il portinaio l'aveva subito introdotta nell'oratorio, e l'aspettativa lunghissima e le tristezze dell'oscurità e le ansie e i pianti gaudiosi, egli sentiva dalla voce di lei che in quel momento l'incontro degli sguardi l'avrebbe atterrato.
Nel rammemorare Visdomini che le aveva fornito le notizie sul conto del marchese Cybo, Nicoletta si pentiva d'essere stata troppo asciutta con lui, tanto le era sembrato cortese:
– In cappella, riconoscendolo e non vedendovi giungere quando tutti erano già radunati da un pezzo, fui sul punto d'avvicinarlo e chiedergli.... non l'ho fatto per timore che di primo acchito non mi riconoscesse; ignoro chi egli sia – è amico vostro? – ma vi assicuro che se ci fossimo imbattuti io e lui nel vestibolo, così affranta com'ero dalla stanchezza, dall'inquietudine, da una specie di paura, gli sarei corsa incontro come ad un alleato in paese nemico.
– Dovreste darmi una sigaretta. Son lunghe le notti: che ore abbiamo?
– Le tre a momenti.
– Le tre a momenti. – Non avete sigarette? è vero, voi non fumate se non nelle grandi occasioni dopo grandi stravizi, mi ricordo. – Le tre! senza fallo siamo prigionieri, il custode ci ha chiuso dentro e dorme col suo mazzo di chiavi sotto il capezzale; se ci tocca attendere l'alba per uscire, vi consiglio di rinnovare l'illuminazione: questa povera candela è agli ultimi.
Scuotersi dall'oppressura di quel fascino che gli inchiodava le membra e goccia a goccia gli trasfondeva nel sangue la dolcezza d'altre ore non dimenticate, più che un'obbedienza fu per Cybo un risveglio: andò all'armadietto dissimulato presso la finestra nello spessore del muro, tornò con una lampadina a petrolio che depose sulla tavola, in mezzo, tra i libri sparpagliati fatto un po' di largo:
– Volete accenderla subito? – domandò.
Ma Nicoletta non rispose; era in casa sua: toltosi e buttato sul letto il cappello – un cappelluccio scuro come il vestito, la cui spiccata umiltà, degnissima delle Voltagisio, aveva tratto in inganno il portinaio – su e giù percorreva la stanza a piccoli passi, battendo forte sul lastrico i piedi intirizziti. Egli soggiunse, dopo avere acceso la lampada:
– Il portone abbasso vien sempre aperto prima di giorno, molto prima; spero di farvi uscire inosservata e vi accompagnerò in via Gregoriana, da vostra madre.
– Ho freddo – per tutta risposta disse Nicoletta, la quale si era fermata dal misurare i mattoni e curva come una vecchierella dava dolcemente alla sua lagnanza l'intonazione d'un piagnisteo bambinesco.
Precipitatosi, Marco mise il letto sossopra:
– Non ho che il plaid.... posso offrirvi il mio plaid?
Quando fu seduta e bene avviluppata e imbacuccata, parve disposta a lasciarsi vincere dal sonno, chiuse gli occhi, reclinò la testa.
In punta di piedi sei nel corridoio, affrettati all'uscio del padre Albis, chiama il padre Albis, che venga lui e provveda, se pure, attraverso le pareti, i due vicini di stanza a destra e a sinistra non hanno già avvertito presso di te lo scandalo d'una donna.
Sei ancora qui? – È inutile: il lieve rumore dei tuoi passi e lo scricchiolio della porta la sveglierebbero subito: dormendo, vigila e ti fa la guardia.
E ad ogni modo, avresti cuore di tradirla? è venuta a cercarti, questa creatura, sempre lei, capricciosa, beffarda, ma è venuta per te, soccorsa da una fiducia che le ha spalancato tutte le porte e fatto sormontare tutti gli ostacoli, in preda a un'esaltazione indomabile, come se uscisse da una visione tragica; fin quassù, condotta dal presentimento della tua fuga, è venuta per te, intendi bene, per amor tuo, intendi bene, calpestando gli usi e le convenienze, risoluta a qualunque costo di stornare il pericolo.
Non sai nemmeno pregare, non rivolgi a Dio il grido dello sgomento: liberatemi! castigo o prova che sia, quest'ultima prova la subisci coll'inerzia estatica d'un idiota, senza forza, senza volontà di combatterla: non ne sei degno: bisogna saperle meritare le tentazioni. Per poco, aspettando ansiosamente i primi accenni del giorno, allorchè ti sarà dato d'uscire con costei e sottrarti ad ogni rischio e ad ogni vergogna, per poco non ti compiaci d'essere sul punto di soccombere. E le tue promesse davanti all'altare e i tuoi proponimenti che parevano di ferro?
Davanti all'altare Marco Cybo si vedeva in ginocchio, lui solo, nell'oscurità orfana delle ore mattutine e vespertine; a tutte le ore diurne e notturne, tra i respiri d'un esercizio e l'altro, si vedeva in ginocchio nella sua cella, presso la sponda del letto si vedeva in ginocchio ai piedi del padre Albis durante i lunghi colloqui di penitenza, quando il giudice prima di riandarlo assolto gli rinfacciava le illusioni sataniche del preteso apostolato e da quel chirurgo ch'egli era, frugandolo dentro le viscere dell'anima, gli scopriva il rimorso d'un sacrilegio.
Due giorni interi, dacchè si era nascosto sulla montagna, Marco Cybo aveva custodito il ritratto di Nicoletta Brancovenu; finalmente, superata la battaglia, non l'aveva lacerato nè arso, bensì perchè il sacrifizio fosse più cristiano e ancora più irreparabile il distacco dalla sua unica reliquia, l'aveva rassegnato nelle mani del confessore.
Questa la ricompensa?
Ma negli occhi turbinandogli l'imagine di Friscka travestita da zingara, i capelli sciolti, le spalle e il seno offerenti lussuria, coi cerchi delle braccia descrivendo in aria un mistero di segni cabalistici, pareva a Marco di sentirsi ronzare persistente nelle orecchie la cantilena selvaggia
Jek, ta dui, ta trin, ta stâr....
e con esso le domande ambigue di monsignor Della Stanga, le mozze parole tentennanti del senatore Tommaseo che volevano dire e non dicevano, i rimproveri o gli ammonimenti del padre Albis, sotto i quali non si celava abbastanza un veleno clandestino, perchè l'ineffabile compassione che li suggeriva non rivelasse il desiderio e insieme la paura di manifestare un segreto.
E per quell'affinità tenebrosa, inesplicata, tra l'angoscia d'oggi e un dolore remoto già sperso nello brume dalla fanciullezza, il pensiero di Marco risaliva all'agonia lenta di suo padre; per quella rimembranza viva e vera, dopo tanti anni svegliata non dalla bizzarria del caso, errava sulle labbra del paralitico la cantilena di Friscka....
– Dove andate? fermatevi! – intimò Nicoletta a lui che stava sulla soglia per allontanarsi, e balzatagli accanto lo afferrò e rinchiuse la porta.
Era tempo: non così egli aveva ceduto al monito roditore di mettersi in salvo, come si era sentito sopraffatto da un impeto di collera e di desiderio: parlate, voi che sapete! provvidenza o minaccia, castigo o misericordia, c'è un enigma che avviluppa la mia infanzia e l'infanzia di questa creatura e rappresenta un ostacolo d'oltretomba: parlate, voi che sapete, squarciatelo, in nome di Dio!
Allorchè si vide colto in flagrante, prigioniero, gli cadde l'animo:
– Pareva che dormiste.... volevo lasciarvi riposare.
Ella gli chiese con miscredente amarezza:
– Sareste tornato? – e occhi contro occhi, tenendogli i polsi – giuratemi che sareste tornato!
– Prometto di condurvi da vostra madre, in via Gregoriana – rispose Marco per eludere la richiesta senza bugia e ormai rassegnato, poichè non vedeva altro scampo, a quest'ultimo cimento d'uscire con lei.
Ripetè la Brancovenu, imperiosa:
– Giuratemi....
Ma egli si era sciolto dalla stretta e scostato di qualche passo.
– Vi faccio paura? – sempre più lo costringeva a indietreggiare, lo ridusse contro il muro. – È vero che domani.... ossia oggi, partirete da Roma? è vero?
– ....Sì.
– Per la Francia?
– Per la Francia.
Momento di lotta in silenzio: entrambi furono vinti, abbassarono gli occhi.
– ....Nemmeno se io ardissi.... –una crescente dolcezza nell'intonazione si accoppiava al tremito della voce – se ardissi pregarvi.... son venuta apposta, non l'ignorate.... il pensiero di non vedervi più, il rimorso d'aver scelto a confidente delle mie superstizioni una donna che mi pose il piede sul collo e s'impadronì di me corpo e anima.... – sapete di chi voglio parlare?
Lo sapeva purtroppo, Marco Cybo, e affermò con un cenno delle palpebre.
– Vivevo in continua ansia di perdervi, dai suoi scongiuri imploravo che mi ottenesse la malia d'incatenarvi, io, l'incatenata!... e fu lei che mi trascinò, come unico mezzo per trascinare anche voi, cento volte promettendomi, lusingandomi che ci avreste accompagnato nel viaggio o almeno raggiunto senza fallo a Firenze poche ore dopo; lei stessa non ne dubitava; guai a voi se per l'amicizia vostra verso di me vi foste lasciato indurre a seguirci o i suoi telegrammi avessero sorpresa la vostra buona fede; guai a voi! era all'abominio dell'abominio che voleva iniziarvi con tutte le seduzioni di cui è capace quella donna, spinta dalla perfidia raffinata di possedere schiavo un fervente cattolico e prostrarlo ai riti di Satana.... non so dirvi altro, Dio vi ha salvato!
Marco ascoltava, istupidito, senza comprendere.
D'improvviso, a tradimento, ella gli si buttò al collo, in uno slancio d'abbandono irresistibile; gli parlava a voce più bassa, quasi all'orecchio, l'alito caldo e micidiale della sua bocca sfiorandogli la guancia, il suo sguardo fattosi vivido, stranamente:
– Non partite.... Marco, non mi abbandonate, ve ne supplico, ditemi che non partirete!... siate buono, Marco, come lo foste sempre, vi domando perdono se ho avuto dei torti verso di voi.... ne ho avuto, ne ho avuto, lo riconosco, lo confesso.... perdonatemi.... perdonatemi!
E nel susurrargli piano tutti gli aneliti d'una preghiera da tante ore maturata, più strette gli avviticchiava al collo le braccia, quanto maggiori e violenti erano gli sforzi di lui per liberarsi, violenti fino alla crudeltà:
– ....volevo essere amata da voi, amata per la vita presente, amata in carne ed ossa d'amore vero, non per limosina di carità cristiana; mi irritava darvi la soddisfazione di cantar vittoria sull'anima mia per la vita avvenire.... ebbene, siete voi il più forte.... mi volete cattolica? rinnego da questo momento.... non ho nulla da rinnegare, l'anima mia è un deserto! sarò cattolica, unita con voi, nella vostra fede, nelle vostre speranze, nelle vostre preghiere, imploro il battesimo, lo voglio.... fosse il battesimo di sangue, lo accetto dalle vostre mani!
Potevano essere bugiarde le parole, fittizie le lagrime che l'inondavano, ma contro il suo petto Marco sentiva battere ansante il cuore di Nicoletta, corpo a corpo sentiva le pulsazioni delle arterie, i sussulti delle membra; più di tutto si sentiva bruciare dal respiro, nella cui fiamma, come in quella degli occhi, parlavano altre promesse inaudite. Non rispondeva a Nicoletta, pensava che nove giorni prima lui pure, lui pure l'aveva scongiurata di non partire e gli era toccata la più acerba delle ripulse, ma le sue resistenze divenivano fiacche.
L'assalto invece raddoppiava nell'abbraccio corporeo, nella sequela ripetuta dei singhiozzi, delle proteste d'amore, delle contrizioni, dei giuramenti, delle suppliche:
– Non è da mia madre che dovete accompagnarmi.... l'ho abbandonata; non voglio più saperne di mia madre! In qualunque luogo vorrete condurmi, vi seguirò: chiudetemi in un monastero, vi aspetterò ubbidiente e paziente fino a tanto che io non sia meritevole del battesimo, finchè non piaccia a voi di chiamarmi; domatemi come si doma una belva collo scudiscio, vi benedirò amandovi sempre, amandovi sempre! è questa razza, sono gli istinti di questa razza alla quale appartengo che mi fanno vagabonda, ribelle, selvaggia.... è il sangue di mia madre l'obbrobrio della mia esistenza.... purificatela, come foste così generoso di intraprendere per carità la purificazione della mia anima; non mi chiamo Friscka, dimenticate d'avere inteso questo nome.... Friscka è morta, Nicoletta.... ma che serve? Nicoletta non ha più lagrime per impetrare da voi la clemenza d'una parola!
Strana cosa, sul punto d'ottenere assai più d'una parola e d'abbatterlo ai suoi piedi il quasi vinto, ella si accasciò, inconsapevole dell'imminente dedizione, presa d'un tratto dallo sconforto; le tenaci braccia rallentarono, caddero.
– Mi avete fatto male.... senza volerlo – dopo un istante mormorò, avvicinatasi alla lampada e scoperti i polsi – guardate.
Con un gesto mansueto, com'era mansueto il lagno, tese i polsi, intorno ai quali illividiva un cerchio paonazzo:
– Non vi ho detto che siete voi il più forte?
Sononchè, nel mentre la resipiscenza e il desiderio lo spingevano, lui Marco, a buttarsi in ginocchio per baciarle quelle povere mani e cancellare le impronte della sua brutalità, Friscka a poco a poco si risvegliava. – Non era morta Friscka.
– Ebbene? vi ho promesso tutto, anche l'entusiasmo d'essere d'ora in avanti cristiana con voi e per voi.... tutto vi ho confessato, anche l'abbiezione della mia razza; parlandovi di mia madre, quella notte, lassù nella spelonca del Gianicolo, fin troppo non mi feci intendere, quando vi dissi che sono orfana? Rammentate quella notte, uscivo salva per miracolo da ben altro rischio di fracassarmi le braccia o la testa nel precipitare della carrozza!
Con ambo le mani, ferita dal guizzo d'una memoria, si fece visiera agli occhi.
– ....foste inesauribile di consolazioni e di promesse – giacchè partirono da voi le prime promesse.... puramente spirituali, secondo le vostre intenzioni di missionario, ma per me d'un significato molto più terra terra! – ebbene, sarà pel senatore Tommaseo o per l'onorevole Rizzabarba o pel signor Priol la mia gratitudine, oppure per questi reverendi padri, d'avervi illuminato, d'avervi indotto a raffreddare il vostro zelo.... apostolico, e poi, qua dentro, nel baluardo della santità, ad accogliermi come mi avete accolta, a respingermi come mi avete respinta? vi ho supplicato e ho pianto, vi ho chiesto perdono o ho pianto.... non mi avete ascoltato, voi, già sicuro nel baluardo della santità, non avete voluto vederle le mie lagrime, sordo, cieco, impassibile.... – e se ad uno di noi due tocca perdonare all'altro.... ricordatevi bene: non a voi, a me, a me spetta il diritto di perdonare, non a voi, ricordatevi bene!
Friscka non era morta, si ubbriacava nel crescendo febbrile dell'esasperazione, ma anzichè uno sfogo di rappresaglia verbosa e innocua, le ultime parole e l'accento sibillino e lo sguardo tracotante rivelavano il diritto d'una minaccia:
– ....Tocca a me perdonarvi!
Una sfida. – Il pensiero di lei mirava più lontano della recente offesa all'orgoglio, vedeva nell'oscurità qualche cosa di tragicamente memorando – marchese Cybo, ricordatevi! – a cui non era estraneo il marchese Cybo, qualche cosa di irreparabile, di cui non soltanto adesso Marco Cybo sentiva tutta l'angoscia e tutto lo sgomento, ma adesso per la prima volta minacciato, chiamato a rispondere sotto la legge del taglione.
Parecchi colpi affrettati contro l'uscio, di fuori la voce del tenente Filippo:
L'uscio si spalancò, il tenente apparve sulla soglia:
– Marco!
Vide la donna e sebbene la sua improvvisa comparsa, a quell'ora, e il suo aspetto stravolto annunciassero una causa che non ammetteva indugio, restò corto per la meraviglia, senza parola, inchiodato sul limitare.
– Monsieur, qui êtes vous? que voulez vous? – gli chiese iraconda la Brancovenu, facendo un passo verso di lui.
Egli era avviluppato fino alle orecchie nel suo ferraiuolo grigio: per istinto di rispetto e di abitudine, davanti a una signora, fece l'atto militare di smantellarsi, ma Cybo gli era già addosso, lo agguantava, lo scuoteva per le braccia:
– Cosa vuoi qui? cosa vuoi?
– Son venuto a chiamarti.... vieni sopra subito.... il padre Cornoldi mi ha mandato....
– ....Gabriele si è aggravato tutto ad un tratto, quando meno ce l'aspettavamo.... c'era mia madre, c'erano le mie sorelle.... insomma, tutto ad un tratto....
– ....è agli ultimi, un'ora di vita non l'ha più; se vuoi ancora vederlo.... vivo.... forse essere riconosciuto, non c'è tempo da perdere, vieni subito....
– Andiamo! – disse Marco, superato immantinente l'assalto delle titubanze.
Era finita, senza remissione era finita per Nicoletta, se Marco si staccava da lei: non tornava più. Ella comprese in un lampo, giuocò tutto per tutto:
– Vengo io pure, andiamo! – e si buttò sulle spalle il plaid, risoluta.
Ma in quella che s'affrettava a passare dinanzi ai due e uscire la prima nel corridoio, ecco sorgere dall'oscurità, dove forse si era tenuta nascosta, la figura ascetica d'un gesuita, calma, e venirle incontro, benigna, e a lei, che non conosceva, rivolgere la parola – il padre Albis.
Era ben certa Nicoletta Brancovenu che il padre Albis non la conoscesse?
Calma la sua voce, benigne le sue parole d'esortazione a rimanersene chiusa in quella stanza e attendere finchè lui non fosse tornato; nè censure nè accuse; i suoi occhi volevano essere pietosi, le sue mani protendevano un gesto sacerdotale d'indulgenza, eppure dal giudice inesorabile Nicoletta si sentiva intimare l'ammonimento della condanna, uccidere nel cuore tutte le speranze.
Non era un minuto e le sembrava l'eternità, i primi tocchi erano bastati e non percepiva più che un mormorio. Nel suo pensiero cadeva ai piedi del padre Albis e ai piedi di Marco, si trascinava dall'uno all'altro, si rotolava per terra supplicando e imprecando, umile e temeraria, giurando nella sua desolazione tutte le promesse e tutte le minacce, ma era fatta di pietra, al desiderio e alla volontà le energie del corpo non obbedivano: rimaneva immota, già in balìa del destino.
Immota, senza fare un passo nè un tentativo, quando persuaso di lasciarla rassegnata e tranquilla, il padre si allontanò, con lui l'estraneo, e anche Marco Cybo con lui; non le irruppe dalla gola secca un urlo di richiamo, allorchè lo vide, Marco, sparire nel buio, per sempre.
Accelerando, salivano tutti e tre al piano superiore: in silenzio; Marco precedeva, quasi di corsa; a metà della scala, dove sul ballatoio una lampadetta rischiarava lo svolto, egli si era già dilungato verso la stanza di Gabriele che moriva. – Improvvisamente, percosso da un breve rimbombo, cupo, tragico nel silenzio della notte, Filippo si arrestò: pure il padre Albis aveva udito; fermi entrambi un momento, s'interrogarono collo sguardo: negli occhi l'uno dell'altro lessero il medesimo sospetto, quasi la vertigine d'un terrore; scesero insieme a precipizio.
Tutte le campane di Roma annunciavano l'alba.
FINE.
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