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Da Genova il IX di febbrajo ’98
Debbo riferire sul grigio argenteo delli ulivi, sul verde fresco dei prati, sul verde severo e pur caldo delle conifere. Dei ciuffi bianchi e rosei, impensati per questa stagione, sulle chine, tra le vigne contorte e brune ed i fichi: queste rame formano ora sul cielo ora sul prato dei rabeschi curiosi: alcune volte accennano a quei verdi bizzarri che i pittori chinesi prediligono. Oggi a piedi da Genova a Nervi. La via bianca quasi incipriata nel grigio argenteo delle roccie, la fosforescenza azzurra del mare a meriggio, ed il verde di prati in pendio. Calmo il mare come un sorriso di vergine che non sappia l’amore. Io sento tutta l’anima della mia Giuditta venire nell’occhi, e questi sentire tutto, dalla vibrazione di un raggio alla voce di un risucchio. E questa canzone lamentosa ma pura dell’acque marine, e questo sguardo immenso d’umanità sulla immensità del mare!
Se qui vi sono tra il turbine vorticoso dei commerci delle anime entusiaste alla bellezza, vi sono pure delli speculatori. Carini, l’attore che voleva vincere la resistenza del pubblico per il Florindo, ha dovuto capitolare davanti alla pressione del Leigheb il quale non ne ha capito niente. E fu bene per la compagnia: istrioni, tali devono rimanere.
Prima mi fermerò a Roma: fra tanto non mandarmi più nulla se non a nuovo avviso da Roma dove ti dirò dell’indirizzo. E del resto tra il cielo e i monti liguri ed il mare, un eden. Salutami il Dottore, la Pina per la mia Giuditta e per me, a te una stretta di mano. Tuo