Gian Pietro Lucini
Prose e canzoni amare

Lettere

7 A Felice Cameroni

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7

A Felice Cameroni

[Napoli] XXIX di febbrajo ’98

Carissimo,

Il tempo buono mi fa dimenticare in parte il vero fango delle strade partenopee e mi concilia col paesaggio che mi si rivela. Stamane vidi un cielo di una lattea ed azzurra dolcezza se pure il cobalto ed il latte possono confondersi. — Pompei un inno secolare in faccia alla banalità di quest’ultimo secolo. Ogni oggetto, ogni cosa, ogni aspetto si rappresenta sotto la forma artistica. Anche i pesi delle bilancie appajono teste di eroi e di divinità: che dire delle suppellettili domestiche?

Ho visto il Pica, ho visto il Ruta: se l’uno vuole che l’arte dia solamente dei piaceri, (edonismo), l’altro non ammette l’arte vuota e di lusso. Questa popolazione! Mi si assicura che non fa nulla perché non ha da far qualche cosa: io sono persuaso che la razza dell’operajo nordico non potrà mai nascere qui. Vivono con troppo poco per avere la necessità di lavorare: non hanno bisogni, ma l’istinto imperioso di godere tutto quanto per la vita materiale non necessario. Sono dei ricchissimi alla loro maniera: credo che il vagabondare, l’oziare, e l’amore gratis delle femine e della natura sia tutta la loro esistenza. Quanti ci son [?] lazzaroni, che per l’apparenza lasciano la sostanza. Notizia Scarfoglio Serao: auguri reciproci di queste due lerce creature in procinto di viaggiare, l’uno con una cocotte, l’altra con l’amante: «Che l’adulterio vi sia lieve!» — «Anche a voi!». E la folla in torno alla stazione, a ridere. Mah! A Napoli!

Saluti da Giuditta. Tuo con mille saluti

Orso della Grona

 

 


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