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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Mi compiaccio nel veder «Poesia» che promuove un’inchiesta sopra il così detto verso libero, tra i maggiori poeti d’Italia. Io che non sto tra questi per pubblico suffragio, forse meglio di qualunque altro sento il diritto di parlarne ex professo, considerandomi come il primo che abbia tentato tale forma in patria rivolgendosi a fonti ed a tradizioni italiane.
Il tempo è lontano e risale ai numeri di una «Gazzetta letteraria», di dieci anni or sono in cui, in una serie di articoli miei Pro Simbolo, cercavo di far battaglia per le molte disdegnate e paurose libertà di letteratura. Le vostre due domande richiedono tempo e spazio per aver risposta. È forse un saggio di estetica nuova e sperimentata che invitano a scrivere con molta sincerità e grande crudezza senza salvaguardare la convenzionalità dell’ora presente. Parlo del verso libero in Italia e non in Francia.
Da noi la confusione è massima sul concetto, nella pratica, nella attuazione: è deplorevole, scambiandosi colla forma la sostanza, perché non v’ha espressione, e quindi aspetto nuovo, se non completa sentimento, idea, intenzione novissimi.
Ad un povero e dimenticato demiurgo di versi liberi, che ripete a sé la legittima e naturale paternità della sua creatura (vedete la prefazione alla Prima Ora della Academia), potreste accordare non gretta ospitalità su «Poesia»? Credo che la sua prosa gioverebbe in parte a stabilire l’ubi consistam dell’avvenire della recentissima nostra metrica.
Rispondetemi se lo credete opportuno.
Con grande stima ed amicizia vostro