Gian Pietro Lucini
Prose e canzoni amare

Lettere

18 A F. T. Marinetti

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18

A F. T. Marinetti

Solaro di Varazze il XIV di febbrajoCMVIIII

Mio caro,

Su via, non insistere; la mia risposta nuda e schietta l’ho già data, e rimarrà tale quand’anche mi possa essere pericolosa.

Ho stampato il Verso libero per farmi vedere libero dalle mummie e dai deliranti: non dormo, ma non farnetico. Oggi non posso tornare indietro per acconsentire a tutte le vostre stranezze che limitano l’arte e vi immiseriscono il carattere. Sono un rivoluzionario, ma non un nihilista: l’Italia non è l’America del Nord per fortuna nostra, e ci tengo perché non divenga.

Voi altri in falange serrata, — scuola!? — andate distruggendo anche quanto non potrete distruggere e vi accorgerete tra poco del passo falsissimo e niente patriottico; voi avete bisogno di rumori, di clamori, di fanfare, di tutto il bataclan meetingaio ed antipatico delle giostre, delle lizze, dei carroselli, delle parate, delle mille sciocchezze amene colle quali si alimenta la follaccia follajola e stercoraria del giorno; io rimango nella mia serenità. Torno a Seneca: sono un passatista, ma sono logico: sopra a tutto non sono un parricida.

A voi poco importa il divenirlo: siete delli Erostrati: questo delirio della velocità l’avete imparato da D’Annunzio che è un invertito. Andate con lui, che farnetica, lasciatemi solo perché desidero ragionare lentamente. Altro è lirica, altro è critica. Colla lirica non si fanno dei programmi di quella fatta; colla critica non si scrivono i Carmi di Angoscia e di Speranze. Ora io ho scritto questo ed anche il Verso libero. Per farvi piacere non posso distruggere colle mie mani l’opera mia che ha conservato le proporzioni ed i rapporti.

Dunque non muto né una parola, né un accento da quanto ti ho scritto. Torno a ripeterti che puoi sì o no stampare la mia risposta, ma, in questo caso, darla intiera o sopprimerla completamente. Non ho bisogno di rumore mentre lavoro, e di chiacchiere bizantine sulle parole. Io faccio: il giornalismo se vuole occuparsi di me, si chini con riverenza sull’opera mia che è già grande; io oggi proseguo non incomincio; né sono come Orano un sindacalista, né come Govoni uno scioano che fa l’anarchico: essi negano; io affermo, produco, questo è! Io sono un rivoluzionario aristocratico che vuole ben divisa la propria responsabilità anche nel fatto della rivoluzione: accetto la così detta società delli uomini spesso come uno spettacolo più o meno divertente, più di rado come la materia con cui posso plasmare le mie ideologie; e schiavi ancora esistono perché possano costruire per me, che me ne intendo, il Colosseo, dove andranno a combattersi ed a morire, ma non mi giovò mai far l’attore. Altro che Futurismo! Sono un codino, mio caro, perciò ho scritto le Revolverate! Voi tutti, i miei così detti ammiratori, mi avete compreso molto male; hanno fatto così anche i recensori di Nietzsche; ed egli ha dovuto scrivere Ecce Homo: ed anch’io ho scritto il Verso libero. Questo vi ha già dato tutte le risposte possibili in merito; tornate a rileggerlo e tornerà a rispondervi a battuta, sempre: No: No: No.

Mi spiace, caro Marinetti, della triplice negazione: ma il mio non importerebbe nulla alla vostra causa. Sono tra li oscuri trapassati che rimangono nelle Biblioteche, appunto in quelle fabriche che voi volete abbattere e non lo potrete, ed alle quali chiederete, fra qualche anno, sommessi, di entrare. È così: si va in Parlamento coll’opposizione di estrema e si esce ministro. Noi non entriamo in Parlamento, ma non saremo mai ministri.

Torno a ripetere che presso di voi giovani, questo mi pregiudicherà, mi toglierà il facile suffragio delle voci discordi, e già vedo bollarmi di reazionario. Tanto meglio. Ma voi dovete venire ancora a me passata la scalmana, e confesserete che io avrò avuto ragione.

Dunque basta, perché tanto è inutile, e per me e per te, e per voi tutti. A rivederci a Filippi! Oggi io desidero avvantaggiarmi delli errori che voi commettete e non lasciarne l’eredità pingue a D’Annunzio od a Pascoli. Come Verlaine non ha riconosciuto il Simbolismo, promosso in molta parte da lui, così io non riconosco il Futurismo, che deriva da me e che mi sconcia. Se tu volevi che io aderissi, ripeto, dovevi intenderti meco prima. Ora non mi assumo la responsabilità né meno di una adesione sommaria. Non rientra nel mio carattere. O tutto o nulla; non transigo né per la folla, né per il giornalismo, né per il mio tornaconto immediato. La coscienza, che è vecchia cosa, ed in me non putrida, me lo proibisce. Per la qualcosa amo anche venir danneggiato; e se tu credi bene riportare la tua benevolenza altrove, sopra qualche fungo futurista, fallo pure: così se vuoi disinteressarti delle mie cose e delle Revolverate, padronissimo. Non per questo mancherà di seguirti il mio affetto, come un ragazzo traviato, che quanto più fa male tanto più addolora chi gli vuol bene. Tuo

G. P. Lucini

 

 


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