Gian Pietro Lucini
Prose e canzoni amare

Prosa

Spirito ribelle

VI

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VI

 

Il tempo della seminagione del granoturco era venuto. I contadini si tributavano volontieri all’opera, chini col dorso al sole che andava riscaldandosi, a donare ad uno ad uno i chicchi della sementa al suolo in lunghe righe simmetriche, lordandosi le mani nella terra grassa ed oscura e con un sacchetto gonfio sul ventre ad impacciarli. Quell’anno i campi per la coltivazione della rustica granaglia si erano limitati; spesso si facevano interrompere i lavori per chiamarli alle giornate padronali, senza nessun compenso, senza un giusto aumento, ora che ogni giorno sorto limpido e sereno era una grazia per gli agricoltori ed un dolce augurio per la seminagione.

Vedevano i rustici a lato dei loro campi, brulli ancora e non lavorati, sorgere lussuriosi gli steli del frumento cui non avrebbero mai attinto. Il verde tenero vicino a loro si accentuava, degradando nella immensità della pianura in una tinta dolce quasi grigia, dal tono uniforme e soffice di un tappeto di velluto; ma poiché, continuando il buon tempo, ogni piantagione cresceva e gli steli si facevano spighe ed i grani diversi prendevano le loro sfumature di verdi, azzurri, gialli e violacei, la pianura si faceva bella nella sua giovinezza, rivestita a festa, varia nella sua grande uniformità. Gli alberi lungo le diramazioni del canale * ... si erano inteneriti, su di un cielo che, alla mattina leggermente annebbiato di roseo, col montare del sole prendeva una trasparenza azzurra ed una limpidità cristallina, nell’aria già tiepida e, come delle fresche brezze spiravano, correvano dei fruscii fra le rame ed abbasso sulle biade degli ondeggiamenti ritmici dall’estremo orizzonte avanzandosi ed infrangendosi l’uno sull’altro, come delle increspature di mare che dispieghi al meriggio la sua calma serena. Lontano i caseggiati al giovinetto sole si facevano più bianchi e nelle azzurrità del domo celeste si ergevano i pinacoli dei campanili, colle linee decise e coi colori vivi, non offuscati dalla lontananza e dalle nebbie iemali. Gli animali risentivano di una nuova giovinezza: non lenti venivano i buoi al lavoro, né pazientemente si assoggettavano al giogo; spesso smettevano dalla fatica volgendo gli occhi all’alto e dirizzando la cornuta fronte, come volessero rifiutarsi alla schiavitù, mentre i rustici irritati li pungevano, spingendoli. E non più le riunioni nei presepii, ma sulle aie, poiché il giorno si protraeva e non rigida era la serata.

Ora, adunque, un vespero tornava dal campo alla casa Gian Pietro, colla marra in ispalla. Lungo il margine, fra due fila di piante, correva una vena d’acqua con un lieve fruscio sull’erbe delle sponde e fra le radici degli alberi, che le si inchinavano sopra in una verde galleria.

L’affronto fatto alla sua Giovanna, quella domenica all’osteria, gli era parso recato a se stesso e, come ciò non doveva andare impunito, continuava a spargere la sua agitazione, in questo tempo più ascoltata, perché le riserve dell’inverno cessavano e si impedivano le fatiche pel cibo futuro. Perciò dirigeva le pretese dei contadini a fermarsi su di un punto determinato, a chiedere cioè un aumento ragionevole nelle giornate padronali ed un più largo terreno da coltivarsi a granoturco. Gli altri lo approvavano, abbandonando la solita irresolutezza, promettendo di muoversi come il momento sarebbe opportuno, tanto più che personalmente alcuni s’erano già querelati col fattore di ciò che mancava e di ciò che volevano, nulla questi rispondendo, poiché non aveva avuto nessun ordine dal marchese. Decisamente i signori si sbagliavano, credendosi ancora in quel tempo in cui si ricevevano frustate dall’aristocratica mano ed in ringraziamento la si baciava. Per l’avvenire la vittoria sarebbe al più forte. Certo! E credevano d’essere loro, i signori, i più forti? Infiacchiti dagli ozii e dai vizii cittadini, sarebbero fuggiti al primo urto ed i rivoltosi, durati alle fatiche della terra, avrebbero maneggiato gli strumenti del lavoro come altrettante armi del diritto e della verità. Ora, come essi non avevano il potere di ritenersi quello che avevano ereditato, necessariamente il feudo nobiliare doveva cambiarsi in allodio plebeo: e ricchezza ai vincitori.

Adunque un vespero tornava dal campo Gian Pietro alla casa colla marra in ispalla. Nel lento calare della luce si rinfrescava l’aria in leggere brezze, s’incupivano i verdi, un’abbondanza di linfe tenere e fredde urgeva da tutta la vegetazione e si spiegava sotto le nuvole rosate del tramonto il tripudio di quella naturale e vergine giovinezza.

All’occidente corruscavano i fuochi del declinato, spargendo una leggera irradiazione cuprea su di un tenero bosco che attingeva ai limiti dell’orizzonte ed uno spolverio sulla campagna bassa e sulla via diritta, mentre più lontano, in faccia, incominciavano già a salire le nebbie violette.

Lento era il camminare del giovane e l’acqua fuggiva via frusciando, e se nella quietezza vespertina Pietro inconsciamente pensò, senza nulla cercare cui dedicarsi col suo pensiero, sarebbe maraviglia?

«La natura stessa li confortava nella loro opera d’umanità, anch’essa si era risolta a poco a poco dalle brume invernali ed ora si spiegava in tutto il suo splendore. Forse che il gelo e la neve non erano i suoi tiranni e non li aveva essa cacciati? Ogni anno la stessa vicenda, lo stesso torneo naturale. E loro? Da lungo pativano il gelo e la neve ed ora finalmente si avvicinava la benedetta primavera. Che importava mai se il risolversi degli umori alla vera vita fosse burrascoso e turbolento? Sarebbero venuti i tempi felici dei frutti che si sarebbero goduti, non colla paura e coll’incertezza del presente, ma colla stabilità e la fede in una giustizia grande ed indistruttibile. Oh! il suo sogno e la sua visione di quando usciva la notte di casa della Giovanna ed i due fantasmi si ergevano al cielo diafani fra le acclamazioni della schiatta redenta! Giovanna era l’insultata, l’insudiciata da un bacio villano d’un aguzzino; ma che cosa poteva mai immaginare di più ferocemente tormentoso per quell’essere che lo aveva fatto tanto soffrire? Oh verrà... verrà…!»

Un’ombra nera si staccò sulla strada biancheggiante ed una voce rude lo tolse dalle fantasticherie.

«Ohè! quel giovane! Avrei due parole da dirvi

«A me?»

Rispose trasalendo e, come vide il maresciallo che s’avvicinava per uno spirito di rispetto soldatesco e pel ricordo del tempo passato nella milizia, confermò:

«Presente

L’altro continuava a parlare avvicinandosi, mentre colla destra si tirava i baffi lunghi con una fare d’importanza. Vicino, si fermò ed il gruppo dei due uomini si scolpì sulla limpidezza del cielo, in mezzo a quell’ampia pianura teneramente verde.

«Siete ben voi il Gian Pietro della cascina della Noce

«Sì.»

«Appunto di voi cercavo. Veramente le cose che avrei a dirvi, non sono molto belle né molto dilettevoli. Sapete che, dacché ci siete venuto voi, il paese ha mutato faccia? Che cosa sono tutte queste massime che andate spifferando alla folla? Credete di fare opera meritoria? Pensate ai fatti vostri e non v’immischiate negli altrui. Qualche cosa già vi avrà guastato la testa, avrete ascoltato in città e siete venuto qui a spacciarle: laggiù si possono permettere, poiché vi sono buoni occhi e la gente non è tanto stupida da gettare il buono pel cattivo. Qui, no. Avete capito, dunque? finiamola

Il tono era brusco, con una certa posa di autorità rozza e decisiva.

Gian Pietro lo interruppe.

«Ed è a me che le venite a contare queste cose

«Oh bella! A chi dunque? Via, non mi fate il gradasso, poiché si hanno dei mezzi molto acconci per farvela passare, la smania del predicare

Un’ira sorda cominciava a bollire nel petto del giovane a quella offesa personale; i pensieri si confondevano nella sua mente e nessuna idea ben determinata egli poteva rilevare ed esporre, in mezzo all’orgasmo ed alla agitazione che gli suscitava quel repentino assalto.

«Perdio, che non si possa più parlare di ciò che meglio accomoda, al giorno d’oggi? E chi l’ha fatta mai questa legge, maresciallo mio? Che ci lascino crepare di fame sta bene; ma che ci vogliano tagliare anche la lingua, questo poi no. No; avete capito

Fieramente alzò la testa e gli occhi luccicanti si fissarono con provocazione sul carabiniere.

«, , non prendete fuoco. Io dico così per avvisarvi, che non vorrei poi vi trovaste malcontento; se mai accade qualche cosa di poco aggradevole, pigliatela con voi stesso. Ma basta, nevvero, di prediche

«Allora si passerà ai fatti

«E con che cosa, di grazia

«Con questi.»

Egli alzò due pugni sodi e nodosi al viso dell’interrogante.

«Sì? delle minacce? Badate bene! Perdio! Ma basta, giovinotto; uomo avvisato sa come comportarsi. Statevene buono, che dei pugni n’abbiamo anche noi.»

Si lasciarono. Nella sera che scendeva i campi acquistavano una cupa uniformità ed un silenzio pesante, mentre che l’acqua scorreva cantando la ninna nanna alla natura addormentantesi. I passi dei due, che continuavano in fretta la loro strada voltandosi le spalle, s’andavano ritmicamente attutendosi mentre un leggero polverio si suscitava dietro ai due camminatori.

Pensò il maresciallo:

«Testardo l’uomo

«Oh! razza di caniesclamò il giovane, e palleggiò la mano minacciosa.

Un amaro sorriso gli andava errando sulle labbra ora che lo venivano ad attaccare personalmente. Benissimo: prima Giovanna, dopo lui. Non ci sarebbe voluto altro per far scappare la pazienza a qualunque uomo onesto: lo si aveva disprezzato ed offeso nella donna che amava, ch’egli rispettava come non aveva mai rispettato nessuno; lo si aveva minacciato nella sua persona. Egli raggruppava tutti questi fatti, aggiugneva loro i torti sofferti dalla sua famiglia, il padre consunto dal lavoro della terra, la madre sciocca pei pregiudizi e per la fame, le circostanze di tutti gli altri parentadi del villaggio, sempre affamati e sempre oppressi; e, contrapponendo a tutti questi mali i pochi benefici che avevano ricevuto dai padroni, s’accorgeva che la bilancia traboccava sotto il peso delle ingiurie e delle privazioni. Ma sarebbero dunque riusciti a far soffrire a costoro tutto quello che essi avevano patito?

Nel crepuscolo del giorno si fermò sulla strada, fece un audace gesto, come un cavaliero ch’abbia accolta la sfida e si tenga sicuro della vendetta.

Il marchese in quell’ora, nel salotto di raso roseo della fulva Fanny, stava intento ad ascoltare come ella avesse veduto dal suo orefice una splendida collana di perle brune. Le piaceva tanto, poiché al suo collo bianco avrebbe fatto un magico effetto. Non era vero? Egli, lasciando la sigaretta, si avvicinava a baciarla e prometteva che l’avrebbe esaudita. Del resto in quanto ai contadini, si teneva tranquillo, pel consiglio dato al fattore. «I cappelli piumati fanno sempre un certo effetto sulla canaglia scamiciata.» Poteva credere d’essersi ingannato e che il suo rimedio universale questa volta non sarebbe valso a nulla, anzi sarebbe stato come la scintilla alle polveri? No, davvero. Ma il buon curato di * ... in quel punto non avrebbe esclamato: «E così sia, e così sia».

Gian Pietro gridò:

«A domani adunque. Riderà bene chi riderà ultimo

La frase sorvolò sui campi ridestandoli nel silenzio interrotto e la natura parve risentisse in quella promessa il compiersi di un avvenimento a lungo studiato e preparato.

Quella sera i contadini si raggrupparono all’usato ritrovo sull’aja della cascina della Noce. Le case ne formavano un lato sul cielo spiccando brune, mentre dai tetti sfuggivano i ciuffi degli alberi pomiferi al di degli abitati. Venivano per la strada non ancora rischiarata dalla luna montante, a gruppi, discorrendo ad uno ad uno, a due e come in quella notte non fu mai così grande la frequenza dei nuovi accoliti, poiché sentivano nell’aria stessa e in tutto ciò che li circondava quasi un annuncio alla prossima risoluzione ed accorrevano coll’eguale idea, cogli stessi pensieri a Gian Pietro, come ad un capo che ora nel pericolo li dovesse guidare.

Verso le otto questi incominciò a parlare. Postosi contro il muro, s’era elevato sopra una panca rustica di legno che si trovava per caso e così dall’alto dominava le teste dei convenuti e li riconosceva.

Erano giunti il Carlo, l’Angelo, il Battista Infanti, più spinto dagli altri che per propria volontà, lo zio Battista per la curiosità senile ed il Bruni, padre di Giovanna, qualche donna attempata, delle ragazze, Giovanna, tratte da tutto questo rumore di rivoluzione, cui almeno volevano assistere, per conoscere che cosa era mai; ed altri, così per riso e per divertimento, poiché nulla sapevano che dovessero cercare ed erano giunti a tanto abbrutimento da nulla più desiderare. Tutti parlavano a bassa voce, come se sotto alla libera volta del cielo fossero in un santuario e rimanessero, non davanti ad un loro compagno, ma piuttosto ad un altare.

Incominciò Gian Pietro:

«Amici, amici

Il rumore confuso di quelle bisbigliate conversazioni si spense e morì in un soffio di parole troncate a mezzo e di spiegazioni interessanti, interrotte.

«Silenzio, silenzio; ascoltiamo

Gian Pietro continuò:

«Io credo che per l’ultima volta ora vi parli in questi tempi cattivi e faticosi; l’alba di domani rivedrà un nuovo mondo ed una nuova società. Godo di ritrovarvi in buon numero e conto sulla vostra forza. Il momento decisivo è giunto: non si insultano impunemente i galantuomini, perché fanno il loro dovere ed hanno aperto gli occhi sui delitti di coloro che credonsi in diritto di comandare. Voi tutti sapete l’affronto fatto a Giovanna, alla mia fidanzata; ora saprete del mio. Il maresciallo, sissignori, lui stesso in persona, m’annunciò questa sera che, se non la smettevo, si avrebbero dei buoni mezzi per frenarmi la lingua

La folla, commossa e maravigliata, sclamò:

«Come? questa sera, la prigione

Carlo gridò:

«Ma siamo arrivati a tanto?»

«Sì; ed oggi a me, domani a voi. E non vi verranno, no, ad avvertire prima, ma un bel giorno vi troverete ammanettati come ladri, fra due gendarmi, e via. Come allora vi si potrà salvare? Chi manterrà la vostra famiglia? Che cosa mangeranno i vostri figli? Si usa così in alto; poiché il contadino è giunto a vedere che se non crepa di fame poco manca, lo si sopprime; opera di misericordia; almeno ingrasserete a spese dello Stato. E dire che siamo forti

Il parlatore sostò nell’arringa. La luna comparve in faccia a lui, in mezzo a due pioppi alti e diritti come aste, facendo una dolce luminosità intorno nel cielo, mentre il muro, cui s’appoggiava Gian Pietro, in alto acquistava una tinta fredda e bianca, come una lastra d’acciaio che cadesse e la folla rimaneva nelle tenebre, irritata, commossa, disputando. Coloro ch’erano venuti fermi a terminarla una buona volta, si convalidavano nel loro proposito: gli altri, spinti ed incorati dalla parola calda, abbandonavano l’usato ritegno, snebbiavano la loro mente da tutti i veli che prima l’avevano circonfusa ed impacciata; cominciavano a comprendere. Onde tutti gridarono:

«E poi? Avanti, avanti; parla

Egli levò il braccio in un gesto lento e quasi sacerdotale.

«E così, ad uno ad uno, verrà il turno per tutti. Le terre, prive dei loro coltivatori, verranno date ad altri vigliacchi che obbediranno come bestie ed il mondo andrà come prima.»

«No, perdiogridò l’Angelo.

«E sta bene, per parte tua, no; e gli altri? Ma guardatevi d’attorno! Tutto questo frumento che germoglia, tutta questa ricchezza di vegetazione è vostra? E chi affatica? Voi che godete nulla, o coloro che si divorano tutto? Né si accontentano, vogliono anche entrare nelle vostre case come usurpatori, vi abbracciano, vi insudiciano le vostre donne e voi dovrete restar becchi: s’imprigionano i mariti perché gridano, e voi li vedrete andar via senza la consolazione di potervi ribellare. Rimanete, rimanete sempre così schiavi, calpestati, percossi, e complimentosi anche perché non vi uccidano d’un tratto, ma vi facciano morire lentamente, onde conosciate almeno che cosa sia il morire, poiché non avete mai conosciuto che cosa sia il vivere! Avanti nella vostra esistenza, se così vi piace; ridete ancora e cantate quando tornate dai campi alla sera, coll’ossa rotte dalla fatica, vilmente pagata! Viva voi che siete martiri e santi! Ma non io, veh! Tanti paesi sono al mondo ed un posto meno infame di questo posso sempre trovarlo. Io parlo per voi, pel vostro bene, per la giustizia. Se non ne approfittate, peggio per voi.»

«Ed hai ragione» disse lo zio Battista. «Io ti proporrei d’andare dove c’è il mio figliuolo, in quel paese della cuccagna. Tanto le male annate continuano

Egli non aveva inteso nulla colla sua testa sensibilmente ottusa, e pareva convenuto solo per far numero; gli altri non lo ascoltarono.

Gian Pietro rimase coi pugni serrati verso i convenuti, sfidando, come un milite divino, un nemico soprannaturale. La folla, ancora nel buio, fremette di un brivido lungo ed insistente.

«Giustizia, giustizia, che è tempo

«Bravi! a voi il farla!»

La luna aveva rischiarato tutto il muro e l’oratore, circonfuso da quella luce azzurrina, pareva ingrandirsi, prendere una podestà strana e nuova, transumanarsi nella sua idea; e, quasi assorgendo ad un’ampiezza lirica, ad uno slancio cordiale, inspirato come un apostolo allucinato e facondo davanti alle estasi della sua visione, continuò:

«E giustizia si farà! Le mani usate alle zappe non si ribelleranno alla distruzione di tutto quanto fu sin d’ora pessimo. Ecco i campi cui siete legati invincibilmente: domani saranno vostri, ecco i palazzi dei padroni, alti, caldi all’inverno e freschi all’estate, ecco...»

«Le cantine»... interruppe Carlo.

«Silenzio

«...i granai colmi, ripieni di tutto quel monte biondo di frumento, cui vi siete affaticati; e domani saranno vostri. Lontano la città vi minaccia, la città inerte, corrotta, che usa della vostra pelle, come un gaudente, senza nulla fare, disprezzandovi; dopo la conquista dei campi, la rovina della città. Nella vittoria l’oro vi allagherà, i godimenti vi verranno a nausea pel numero. Su, amici! ora privi di tutto, miserabili ed affamati! correte alla fine senza indecisione, pronti. Distruzione, fuoco, sangue, oro, tutto è per noi! Oh! per Cristo! Non siamo i più forti

L’applauso si levò spontaneo e fragoroso. La ricchezza! Un’immagine splendida e rutilante passò dinanzi agli occhi dei convenuti, suscitata da quella magica parola. La ricchezza ed il piacere! I desideri e gli istinti brutali di quei paria della terra, a lungo soffocati, compressi, risorgevano protervi e ribelli. Oh, i sacchi d’oro sventrati, fra gli orrori della mischia ed i crolli degli incendii! le femmine signorili lottanti e male suadenti ai desideri dei villani! e la proprietà grandissima di pochi divenuta ricchezza di molti miserabili! Le donne volavano col pensiero alle vesti pompose, agli strascichi di seta ed ai gioielli delle dame: domani, nell’ora della vittoria, esse sarebbero apparse abbigliate come madonne sull’altare, ai loro mariti ed alla notte che s’incominciava delle ridde proterve ed affannose sarebbero sul campo, da poco cruento ed ancora caldo ed ingombro delle macerie dei palazzi fumanti.

L’applauso continuava; pure il Battista, solo, alla comune approvazione si oppose:

«E dopo? ed i soldati? Chi li vince i soldati

L’Angelo gli si fece appresso rimproverandolo.

«Se voi non ci volete stare, peggio per voi. Avete paura. Del resto» continuò, volgendosi a tutti e scotendo la testa grossa e ricciuta nei capelli rossi «non siamo noi soli appena che ci moviamo. Quelli di Magenta si lamentano, quelli di Sedriano vogliono ciò che in giustizia si deve concedere. Suvvia, avanti noi pei primi; gli altri ci seguiranno

«Sì, sì, avanti!»

La luce lunare aveva empita tutta l’aia: un carro in mezzo ad essa, colle stanghe alte, pareva, sul cielo intenerito, un gran mostro cornuto e le vacche, ridestate nelle stalle dal rumore, muggirono, mentre un latrato lontano si sperdeva per la campagna.

Confermò Gian Pietro:

«Ed è vero. A noi il primo passo, il primo urto; gli altri non mancheranno. Che avete forse paura di quattro carabinieri? Ma domani la piazza di *... non sarà tanto vasta da contenere la folla accorsa

Tutti si volsero verso i campi, quasi vedessero venire, sotto l’irradiazione lunare, l’esercito dei rivoltosi a galoppo, sul frumento tenero, feroci, armati delle falci splendenti ai raggi come gli specchi dei signori. L’animazione toccava il parossismo: le persone illuminate prendevano atteggiamenti strani, mentre si facevano dei gesti larghi ed un sorriso di soddisfazione brutale, violenta, socchiudeva le grosse labbra.

«È la fine, la fine; a domani dunque! È la giustizia

«La giustizia, sì! Ed ora, per terminarla, amici, non ispunti il sole senza che voi abbiate fatto qualche cosa; prima al palazzo del signor marchese, del nostro padrone. Ah, Coli mio, la vedremo! Si pretendano degli aumenti alle giornate, dei campi da seminare al melgone; i vigliacchi non cederanno, sicuri della loro podestà, ma questa volta si sbagliano. Ed alla buona sera alla compagnia! Amici, all’alba! Né di questo discorso andate a parlare stasera per il villaggio: poiché, se il moto deve riuscire, deve essere subitaneo e fuori da qualunque aspettazione. La paura di un repentino cambiamento è più forte che non il timore di sapervi minacciati da una moltitudine, quando se ne conosca il come ed il tempo. Di nuovo, amici; all’alba

Gian Pietro era sceso dalla tribuna improvvisa, gli altri s’allontanavano adagio, sciogliendosi in gruppi di quattro o cinque ed avviandosi per la strada alle case; egli, solo rimasto, li vide partire, mentre i passi degli adunati sonavano forti, sognando pel giorno veniente una falange di ribelli, armati d’ira, di fame e di falci ed ebbri di stragi e ruine.

 


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