IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Boudoir Luigi XV azzurro, bianco ed oro. Delle lampade tenui sulle consoles. Sopra ad un sopha, Florindo, in sottoveste di raso bianco ricamato, sbottonata: tra i merletti di Malines il petto nudo e rosato del giovane; le mani febrili e pallide quasi ricoperte dai manichini trinati. Florindo ha la febre:
Son tutto vuoto, Amica, ora, e non so
ho grigi fumi e densi per il capo;
ho delle nere nebbie avanti alli occhi.
Porgetemi le mani, o, sopra il capo,
imponetemi tutte e due le mani,
Oh le dita stillanti dolci balsami!
Un enigma vi scovo dentro l’iridi,
che mutan di color come volete:
e perché mi guardate? E che volete?
Ancora, ancora? o Amica,
queste carezze fredde che m’abruciano.
No, ritirate, togliete le mani
e perché sospirate?
Copritevi le labra sanguinose,
come una fresca ferita, obbrobriose,
Ahimè, Signora, no, mi vorreste uccidere?
Fate tacere li strumenti striduli,
vedo fiammelle fosforiche irridere,
volteggiare, sprizzare, abruciacchiare
sopra a’ miei occhi.
Fate che tutti i lumi siano spenti.
Perché mi avete voluto vedere?
Che è mai questo piacere
Che è mai la mia pazzia
a volervi vicina?
Voi mi suggete il sangue colle dita
Oh come son lontani i bei ghiacciai
azzurri all’ombre delle roccie bianche,
oh come sono candide quell’ali
di colombe sul largo azzurro cielo
d’una volta! Uno spillo, alla mantiglia
a una goccia di sangue...; no, somiglia
no, mi pare un occhio incandescente.
lo sguardo dello spillo a trapassarmi.
Avete udito la canzone bacchica!
Fate tacere il bardassa lisciato
Ecco, l’ultimo e puro alito della brezza
passò come è venuto,
come una dolce e cara apparizione
senza alcuna intenzione pel malato.
E m’avete condotto, qui, alla notte;
perché? per amarci?
Ancora e sempre!
struggereste alla vostra passione.
Io non son più il Florindo,
non son più l’azzimato
reti all’ingenue e pungoli all’esperte.
Le mie pupille, stanche e tristi viole,
volgono in dentro e osservano nell’anima
quanto vi accade alla fin dell’amore.
Questo Florindo fu,
roseo e biondo eroe della Comedia d’Arte,
cicisbeo d’amore innamorato, sincero e buono.
Ma perché ho voluto che l’amore
ci volesse parlar mentite cose in una lingua ch’egli non sapeva?
Ma perché hai voluto che le rose non fosser più le rose
della nostra Venezia? ...Fumi, nebbie, presagi:
e delitti fors’anche: e tutto il sole ci si oscurò davanti.
Il sole, il sole! — Va, va via;
va, cercami il sole, il mio sole, il tuo sole,
codesta sacra e pura idealità,
per la sofrente nostra umanità;
portami il sole qui, il sole d’una volta!
Ho sognato, lo so: l’amore è il tuo.
Ma tu chi sei? come ti chiami tu?...
Non sono più il Florindo,
fantasima graziosa d’eleganza,
incipriato efebo ai conviti preziosi
la spadina d’acciaio fina e inocua
si è spezzata e la penna aggraziata;
e spenti da bell’occhi civettuoli le cortesie e li sguardi.
No... no...! Ho voluto gustare
questo perverso amare venuto da lontano: ...no!
V’eran colombe e rondini sulla Piazzetta,
sopra al mio cielo, non delle bigie cicogne stridenti.
E l’aria azzurra? Chi ha portato le nebbie qui?
V’eran le gondole sopra ai canali,
mentiti funerali d’amore, bruni trionfi d’amore;
e v’era il fiore delle tue labra, Rosaura, rosa
in mezzo ai gelsomini resupini e languidi,
in mezzo ai bei giacinti dei giardini;
Rosaura, rosa cui la rugiada imperla,
non le tue lagrime; Rosaura, eroina,
bionda regina del palazzo comico: Vergine!
E le parole e li atti ed i sorrisi e le intonazioni
e le leziose tue mani, Rosaura, e il tuo ventaglio:
tu, Rosaura, sei tu, dunque, ed io non ti conosco? –
Oh! come mi sento soffocare! –
La nostalgia di questa poesia! – L’infinito si è chiuso:
io ho dovuto amare, uscire dalle favole fittizie e penare,
ed ho trovato voi; chi... voi? Chi?
Venite di lontano: vi ho conosciuta? Dite! dite!
Venere di Venezia sulla gondola,
Venere sul canale lento e verde nell’oro del meriggio;
Venere mia lontana! No; Venere settentrionale,
Venere Messalina delle nebbie!
E trovai dei fratelli tra l’inglesi, e un principe scortese,
principe nero; ho trovato dei mostri, ho trovato voi
ho trovato li Eroi di questa maledizione.
La Comedia, il Drama, la Finzione
e la mia povera mente che si perde;
e la mia povera carne che si sfascia;
ahi! ahi!
e questa morte vicina: ed io che non so più nulla.
Ma come mi guardate!
Ma perché state a bevermi coll’occhi l’agonia?
Ma perché mi toccate?
Ma perché mi pungete?
Fuori! Ah! ah! Ma siete sempre voi,
voi che fate tutto questo,
Vi odio, vi odio! Ah! ah! e tutto il resto è questa morte.
Io non vi ho chiesto nulla.
dalla nebbia, per la nebbia, coll’angoscia!
Udite, udite ancora il bardassa procace?
E perché non tace, e perché non ha vergogna de’ suoi canti?
Alcuni istanti è come una frescura, s’egli tace,
E le mani, le mani! – Quanti fiori, quanto sangue;
e come trema l’anima mia e come s’impaura!
Ma abbiate cuore,
dimenticate i sensi;
e dell’acqua, dell’acqua di sorgente,
Sì, Messalina, sgualdrina imperiale,
quadrantaria ospitale alli angiporti,
e biondo porto alla Suburra tutta
madre d’eroi, romana genitrice;
Messalina, il pugnale, che tenete
siate buona, munifica, porgete
a me, compite leggiadramente ardita
l’ufficio. Come siete superba e tenebrosa!
Non guardatemi più,
o Regina risorta tra le larve,
forse una Donna Sol, forse una Carmen,
anche Gioconda,
anche una dama della Torre di Nesle,
perché veder l’eterno Mimo erotico
agonizzarvi ai piedi?
sete di bianche verginità insapore;
di un inganno d’amore mite e platonico,
di un inganno apprestato con arte sì che appaja
Ho nausea di carni, ho fastidio di luce,
ho bisogno di tenebre, ho bisogno di morte.
Chiudete, Bella, chiudete le porte
alle gaje sfacciate, alle ricche frementi,
alle nude spumanti; chiudete, chiudete!
Non vedete le stelle che piovono veleno,
non vedete che i corvi al bel sereno
di questa notte gracchiano?
O, copritemi il cielo, fate bujo, bujo!
di questa enorme mia infermità;
nascondetemi i seni,
d’aria fresca, sincera, ghiacciata,
Perché muovete alle mani le dita?
Perché fate guizzar lampi procaci
Perché mostrate, d’oltre lo strascico,
sembran dei serpi avvelenati a pungere!
ahi! ahi!
Lavatevi le dita, lavatevi le labra!… —
Ecco;... ascoltate: vicino, qui... qui;
e... qualcuno muore; io vedo un cuore
di mille fiori strani e affascinanti.
Amica, no... lontano, non toccatemi,
non baciatemi più, no...
Oh come siete bella e come mi suggete
tutta la vita.
Lasciatemi morire in pace
non tormentatemi più.
Le lampade smuntano languide nel fiore strano dei vetri, che racchiudono la fiamma. Florindo, bocconi sopra al sopha, singhiozza. Il respiro, nel singulto, gli si interrompe: un impeto di tosse. Uno spasimo tetanico su tutto il corpo di Florindo prosteso: dell’onde dolorose ad irritargli i muscoli. Egli dimostra una atroce soferenza. Una lampada si è spenta.