Gian Pietro Lucini
Prose e canzoni amare

Poesia

Il Monologo di Florindo

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

Il Monologo di Florindo

 

 

Boudoir Luigi XV azzurro, bianco ed oro. Delle lampade tenui sulle consoles. Sopra ad un sopha, Florindo, in sottoveste di raso bianco ricamato, sbottonata: tra i merletti di Malines il petto nudo e rosato del giovane; le mani febrili e pallide quasi ricoperte dai manichini trinati. Florindo ha la febre:

 

Son tutto vuoto, Amica, ora, e non so

se vivrò fin domani;

ho grigi fumi e densi per il capo;

ho delle nere nebbie avanti alli occhi.

Porgetemi le mani, o, sopra il capo,

imponetemi tutte e due le mani,

tra cilio e cilio, qui.

Oh le dita stillanti dolci balsami!

Ridete, voi? Ridete!

Un enigma vi scovo dentro l’iridi,

che mutan di color come volete:

e perché mi guardate? E che volete?

Ancora, ancora? o Amica,

queste carezze fredde che m’abruciano.

Pietà!

No, ritirate, togliete le mani

che m’entrano nel cranio;

e perché sospirate?

Copritevi le labra sanguinose,

come una fresca ferita, obbrobriose,

come il segno del sesso.

Ahimè, Signora, no, mi vorreste uccidere?

Fate tacere li strumenti striduli,

fate tacer la musica;

vedo fiammelle fosforiche irridere,

volteggiare, sprizzare, abruciacchiare

sopra a’ miei occhi.

Fate che tutti i lumi siano spenti.

Perché mi avete voluto vedere?

Che è mai questo piacere

che cerca l’agonia?

Che è mai la mia pazzia

a volervi vicina?

Voi mi suggete il sangue colle dita

fredde sul fronte in fiamme.

Oh come son lontani i bei ghiacciai

azzurri all’ombre delle roccie bianche,

oh come sono candide quell’ali

di colombe sul largo azzurro cielo

d’una volta! Uno spillo, alla mantiglia

vostra, rosso somiglia

a una goccia di sangue...; no, somiglia

alla testa d’un aspide;

no, mi pare un occhio incandescente.

Io sento dentro al cuore

lo sguardo dello spillo a trapassarmi.

Indecente, indecente!

Avete udito la canzone bacchica!

Fate tacere il bardassa lisciato

che si sgola all’oscuro!...

Ecco, l’ultimo e puro alito della brezza

passò come è venuto,

come una dolce e cara apparizione

senza alcuna intenzione pel malato.

E m’avete condotto, qui, alla notte;

perché? per amarci?

Ancora e sempre!

Le salde fibre atletiche

struggereste alla vostra passione.

Io non son più il Florindo,

sono un cencio sbiancato;

non son più l’azzimato

trovator di parole,

reti all’ingenue e pungoli all’esperte.

Le mie pupille, stanche e tristi viole,

volgono in dentro e osservano nell’anima

quanto vi accade alla fin dell’amore.

Questo Florindo fu,

roseo e biondo eroe della Comedia d’Arte,

cicisbeo d’amore innamorato, sincero e buono.

Ma perché ho voluto che l’amore

ci volesse parlar mentite cose in una lingua ch’egli non sapeva?

Ma perché hai voluto che le rose non fosser più le rose

della nostra Venezia? ...Fumi, nebbie, presagi:

e delitti fors’anche: e tutto il sole ci si oscurò davanti.

Il sole, il sole! — Va, va via;

va, cercami il sole, il mio sole, il tuo sole,

codesta sacra e pura idealità,

per la sofrente nostra umanità;

portami il sole qui, il sole d’una volta!

Ho sognato, lo so: l’amore è il tuo.

Ma tu chi sei? come ti chiami tu?...

Non sono più il Florindo,

fantasima graziosa d’eleganza,

incipriato efebo ai conviti preziosi

dell’Arcadia sul Brenta;

la spadina d’acciaio fina e inocua

si è spezzata e la penna aggraziata;

e spenti da bell’occhi civettuoli le cortesie e li sguardi.

No... no...! Ho voluto gustare

questo perverso amare venuto da lontano: ...no!

V’eran colombe e rondini sulla Piazzetta,

sopra al mio cielo, non delle bigie cicogne stridenti.

E l’aria azzurra? Chi ha portato le nebbie qui?

V’eran le gondole sopra ai canali,

mentiti funerali d’amore, bruni trionfi d’amore;

e v’era il fiore delle tue labra, Rosaura, rosa

in mezzo ai gelsomini resupini e languidi,

in mezzo ai bei giacinti dei giardini;

Rosaura, rosa cui la rugiada imperla,

non le tue lagrime; Rosaura, eroina,

bionda regina del palazzo comico: Vergine!

E le parole e li atti ed i sorrisi e le intonazioni

e le leziose tue mani, Rosaura, e il tuo ventaglio:

tu, Rosaura, sei tu, dunque, ed io non ti conosco? –

Oh! come mi sento soffocare! –

La nostalgia di questa poesia! – L’infinito si è chiuso:

io ho dovuto amare, uscire dalle favole fittizie e penare,

ed ho trovato voi; chi... voi? Chi?

Venite di lontano: vi ho conosciuta? Dite! dite!

Venere di Venezia sulla gondola,

Venere sul canale lento e verde nell’oro del meriggio;

Venere mia lontana! No; Venere settentrionale,

Venere Messalina delle nebbie!

E trovai dei fratelli tra l’inglesi, e un principe scortese,

principe nero; ho trovato dei mostri, ho trovato voi

ho trovato li Eroi di questa maledizione.

La Comedia, il Drama, la Finzione

e la mia povera mente che si perde;

e la mia povera carne che si sfascia;

ahi! ahi!

e questa morte vicina: ed io che non so più nulla.

Ma come mi guardate!

Ma perché state a bevermi coll’occhi l’agonia?

Ma perché mi toccate?

Ma perché mi pungete?

Fuori! Ah! ah! Ma siete sempre voi,

voi che fate tutto questo,

voi, col pretesto d’amarmi!

Vi odio, vi odio! Ah! ah! e tutto il resto è questa morte.

Io non vi ho chiesto nulla.

Mi avete insidiato, stregato,

dalla nebbia, per la nebbia, coll’angoscia!

Udite, udite ancora il bardassa procace?

E perché non tace, e perché non ha vergogna de’ suoi canti?

Alcuni istanti è come una frescura, s’egli tace,

che passa e mi risveglia.

E le mani, le mani! – Quanti fiori, quanto sangue;

e come trema l’anima mia e come s’impaura!

Ma abbiate cuore,

dimenticate i sensi;

e dell’acqua, dell’acqua di sorgente,

ghiacciata, ghiacciata!

Sì, Messalina, sgualdrina imperiale,

quadrantaria ospitale alli angiporti,

e biondo porto alla Suburra tutta

ed al Circo cruento;

madre d’eroi, romana genitrice;

Messalina, il pugnale, che tenete

tra le fasce alla cintola,

siate buona, munifica, porgete

a me, compite leggiadramente ardita

l’ufficio. Come siete superba e tenebrosa!

Come sporgono i fianchi,

come v’è ingordo il ventre!

Non guardatemi più,

Messalina dall’intime virtù,

o Regina risorta tra le larve,

forse una Donna Sol, forse una Carmen,

anche Gioconda,

anche una dama della Torre di Nesle,

cui la Senna circonda:

perché veder l’eterno Mimo erotico

agonizzarvi ai piedi?

Ho sete, sete di neve,

sete di bianche verginità insapore;

ha sete il cuore

di un inganno d’amore mite e platonico,

di un inganno apprestato con arte sì che appaja

come il profumo della realtà.

Ho nausea di carni, ho fastidio di luce,

ho bisogno di tenebre, ho bisogno di morte.

Chiudete, Bella, chiudete le porte

alle gaje sfacciate, alle ricche frementi,

alle nude spumanti; chiudete, chiudete!

Non vedete le stelle che piovono veleno,

non vedete che i corvi al bel sereno

di questa notte gracchiano?

O, copritemi il cielo, fate bujo, bujo!

Andate via ed abbiate pietà,

di questa enorme mia infermità;

copritevi le braccia,

nascondetemi i seni,

velatevi la faccia,

Amica, e un poco d’aria,

d’aria fresca, sincera, ghiacciata,

d’aria, d’aria dei monti.

Perché muovete alle mani le dita?

Perché fate guizzar lampi procaci

dalli anelli fatali?

Perché mostrate, d’oltre lo strascico,

i piedi impazienti

nelli scarpini d’argento?

Pajon d’argento i piedi,

sembran dei serpi avvelenati a pungere!

Non muovete le dita;

quante punte nel cranio,

ahi! ahi!

quante punte alle terga,

e che lago di sangue!

Lavatevi le dita, lavatevi le labra!… —

Ecco;... ascoltate: vicino, qui... qui;

e... qualcuno muore; io vedo un cuore

spezzarsi e svuotarsi

di mille fiori strani e affascinanti.

Amica, no... lontano, non toccatemi,

non baciatemi più, no...

Oh come siete bella e come mi suggete

tutta la vita.

Lasciatemi morire in pace

non tormentatemi più.

 

Le lampade smuntano languide nel fiore strano dei vetri, che racchiudono la fiamma. Florindo, bocconi sopra al sopha, singhiozza. Il respiro, nel singulto, gli si interrompe: un impeto di tosse. Uno spasimo tetanico su tutto il corpo di Florindo prosteso: dell’onde dolorose ad irritargli i muscoli. Egli dimostra una atroce soferenza. Una lampada si è spenta.


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA1) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License