IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Croce di ferro, in mezzo all’erba grigia,
riguarda alle minori croci putride;
Croce di ferro, intrico, Croce adoppiata,
sopra d’una sformata corona di rame e sopra di una targa funeraria,
orgoglio rusticano del cimitero esiguo.
Misere stan le fradicie crocette,
misero il patrimonio delli estinti:
una capella in fondo ostenta cinica un Purgatorio.
No, non sul muro l’affresco pretenzioso
alla innocente ignoranza dei poveri
porga le fiamme e porga un capzioso nudo di forme feminili e urlanti.
No, qui non regge tormento di purganti;
altre voci si chiaman nella valle.
O quieta conca verde, o indisturbato
tinnir delle campanule alli armenti;
sotto le frondi ingiallite alla nebbia
non sorgon visioni di supplizii:
tutto è una pace, tutto qui tace
nella profonda e stanca malinconia che manca,
Perché, al giorno sorriso di luce,
sulla gemina Croce inanellata d’una corona ingenua;
ed il sole schermeggia per le spade dell’erbe o si destreggia,
tenue ciarpa d’oro, sul lavoro
Sta, romitorio:
un umano offertorio di carezze
quando recano i canti vespertini dalla pendice.
conciliata armonia di canti e nebbie.
Nebbie violette, o nebbie argentee,
vaporanti di sopra al castagneto;
qui, nel secreto delle forre, avidi
dei musi biondi di vacche a raccorre
Posa, sonno tra i muri materiato
o solenne riposo inconturbato;
color che stan dentro alla chiara argilla
hanno chiesto il perché della vita,
han voluto sapere di più
di quanto abbisognava per amare, per crescere e morire?
Egoisticamente, trapassarono nell’ora vitale, il pensiero
il severo opprimersi pel fato universale,
il ricercar la gioia ed il dolore per sapere che siano,
l’ingannare a se stessi per veder rifiorire il sorriso
e l’ingannare altrui per rendersi l’eroi
d’una avventura munificente e inutile;
tutto questo rimase assai lontano,
assai ignoto e nulla; e come in vano
quest’occhi contadini riguardarono
alla bellezza d’una Venere nuova,
così, per sempre, e in vano, non ebber li spavaldi impeti dell’orgoglio.
Romitorio indolente e carezzoso:
a cui attendo e sta, Anima mia,
producendomi in torno codesta nostalgia
delle fradicie croci e della nebbia.
Ora, Croce di ferro, all’infantile
tuo vanto, una bandiera di scarlatto
svolge nobili pieghe di sciamito e nel vento ridesta un caldo e esile
cachinno di colori all’aria grigia.
Spesso, dalla terrazza, che t’hanno eretta in faccia, o Cimitero,
un abbaiar gavazza sulla tua molle brumosità;
ed una Cagna fulva, amata assai,
sparge in torno la sua ilarità.
E un’altra fine risata feminile s’accompagna,
e la bruna Signora alla terrazza
protende al capo aderto e leonino dell’animal la mano alla carezza
e dai grand’occhi chiari fugge le croci.
Spesso, dalla chitarra, nella notte, s’avvicendano a frotte
l’accordi, e, sulli arpeggi industriati,
Luna sul Cimitero, Luna pallida,
nella Villa si pensa all’indomani;
nella Villa s’impreca ai Ciarlatani,
Luna piangente dietro i castagneti,
nella Villa si ama forse troppo
pel dolore dell’umili e l’angoscia
di chi troppo si scruta e da se stesso trae il critico verme
e dalla piaga il pruno avvelenato.
Luna errante ed instabile alle nuvole;
nella Villa un dolore si raffina
per non volere e voler troppo ancora;
e la fragile testa piccolina della Signora
Luna d’incanto, sulla terra sacra
non risponde ai tuoi raggi una facella;
queste carcasse furono assai magre,
Ma Luna irrequieta ai ministeri
delle stelle maligne e dei pensieri della torbida mente;
Luna, questa superbia alta e vermiglia
del gonfalone sopra alla terrazza
non vedi che assomiglia
all’anima entusiasta della Villa?
E, sul Cane che ascolta, ecco il Signore,
abbandonato lo strumento, tendere la mano,
le dita lunghe il vello intricando e arricciando,
e coll’occhi lontani sognando;
o l’occhi sognatori a seguir le fantasime impossibili!
costrinse il suo capriccio alla ragione,
e quanto al sacrificio fu prigione,
pei rimpianti, alla inutile morte.
Silenziosamente la Signora lagrima e singhiozza
nella morbidità grigia dell’ora.
Sta, gemina Croce inanellata dalla ingenua corona;
bambinetta la Morte ci protende
dei gilii senza macchia e ci perdona
d’aver troppo indagato sulla Vita,
d’aver troppo preteso dalla Morte.
Croce massinma, esigua al Campo Santo;
quando t’hanno rizzata, hanno le porte della capanna chiuse per sempre,
e, sotto all’usciuolo, hanno riposto
per un ritorno che non venne mai la vecchia chiave.
Così, l’albero altiero che si vanta
vedrà una breve fossa umida e bruna
e in vano attenderà sotto alla Luna
di pompeggiar nel pallio sanguinoso.
Croce di ferro, bene ed allora
ascolterai dei gemiti strazianti e le grida ed i pianti;
dispereran per questa vera cosa.