Gian Pietro Lucini
Prose e canzoni amare

Poesia

A Melisanda, Contessa di Tripoli

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A Melisanda, Contessa di Tripoli18

 

 

Amor de tierra londhana

por vos tout el care mi dol.

JAUFRÉ RUDEL

 

 

Jaufré Rudel declama:

 

Oh Contessa, Signora;

son venuto per voi.

Non indugiai al viaggio;

snelli i piroscafi della Navigazione Generale

han sicuro ancoraggio nel porto tripolino;

rullano a festa per il mare a voi,

solleciti e benigni,

e chiari fumano, borghesemente,

nell’azzurro bacino,

godendo e privilegio e sovvenzioni,

vanto, gioja e superbia dei volponi

della Nazione.

 

Tripoli bella! Amore d’avventure,

o bruna Melisanda!

Stracciatevi la benda mosulmana;

guardate in viso ai Gentiluomini

a viso nudo, o sfolgorante di bellezza, Altezza.

Il fez vi pesa sopra le chiome

grottesco ed indecente;

or gettatelo a mare;

portate cappellini di fiori e di piume,

e fatevi ammirare.

 

Stia pei giardini, tra le palme espanse,

lungo le calme mestizie de’ tramonti,

e sotto ai sicomori orientali,

addormentati al riso delle fonti,

o Melisanda, la vostra persona

e riguardi sognando la città:

non abbia in torno spioni eunuchi

a guardia invisi e sfoggi

abiti di Parigi e decolletés di Worth,

e si permetta amanti, pardon, amici,

molto intellettuali, assai modern style

prerafaelliti, tra un verso d’annunziano

e uno scambietto di ciarlatano.

 

Tal sia, a riguardar le rose autoctone,

muschio ed ambra stillanti

come le treccie vostre,

tal sia a riguardar rosea Tangeri,

anadiomene in riva al fresco mare,

marmi e rose affacciate alle ringhiere

dell’africana sponda;

tal sia, a riguardar le vaporiere,

sostituite ai lenti camelli del Corano,

e a mirar i piumetti bersaglieri,

galli bruni ed allobroghi, a danzare

la presta monferrina,

invidia all’indolenti Bajadere.

Tal sia, senza turbante e mezza luna,

Melisanda Contessa

or ricongiunta al suo Jaufré Rudel.

 

D’oltre il mare, Signora, ebbi l’invito.

Ho letto poco fa, nelle gazzette,

che pativate mal di desiderio,

un male doloroso e molto serio,

per le nostre curiose novità:

ho letto, e, per udita ed anche per pietà,

Cavaliere Rudel, signor di Blaja,

perché non paja troppo l’ingordigia,

venni alla vostra pena e vi rassegno

ai piedi imbabucciati

amore, protezione e Convenzioni.

 

Datemi, o bella affascinante, ascolto.

L’harem promiscuo come vi incatena!

E per quanto Gran Turco e poderoso

non può attendere a tutte in giusto onore

il turbato Signore e vi trascura,

livido tra la rabbia e la paura.

Ve’ il Bosforo inquieto che schiumeggia!

E li Armeni straccioni a lamentarsi!

E l’Orsa bianca vicino a braccare!

E un Galletto protervio a schiamazzare!

E un subdolo Leopardo che si striscia,

dalle Piramidi come una biscia,

nell’Anatolia e guata la migliore giornata

per balzar sulla preda dell’isole, giojelli

nel mare, aperta gloria di commerci!

Un aquilotto d’Alpe remissivo

s’accontenta di poco!

porto, Jaufré Rudel, lo scudo divisato

d’un’aquila benigna e d’una croce.

 

Meglio, Contessa buona,

badar direttamente ai casi nostri,

ed aggiunger la voce armoniosa

all’urlare dei mostri frementi nella caccia.

La causa è alquanto nobile e speciosa.

Ascoltate il consiglio dell’amico;

attender che vi fa Albanesi e Pascià,

che verran se verranno,

come una sanguinosa carità?

Del resto, ho pure udito

raccontare storielle poco amene...

Un Barba-Bleu, Signora, e più non dico.

Interrogate i gorghi di Stambul.

 

Così venni munito.

Pei secoli, Jaufré che si lagnava,

se gli è tolto veder l’amor lontano,

e che al Signor, per vero e per real donava

l’amor, che lo pungea, così, lontano;

Rudello rugiadoso e trovatore ha fatto le esperienze.

E per quanto passato

usando vele e remi col Petrarca;

e per quanto intessuto nelli arazzi

germanici dell’Heine

(dolci notti al Castello di Blay taumaturghe

di figure dipinte e primavere

a splender dai topazi dell’ogive, in faccia all’alba;

amore e gioventù;

e per quanto morente in sulla nave

in cospetto a Tangeri

(Contessa che è mai la vita?

È l’ombra di un sogno fuggente...)

come ricanta un nostro senatore,

che beve in fresco e che professa il Re;

Jaufré, rimodernato, ha fatto li apparecchi e si presenta

con suffragio d’armati e compiacenza,

e non sofistica sopra ai perché.

 

Eccovi il mio codazzo d’ingegneri.

Ecco i forzieri vuoti italiani,

eterni sizienti, come le botti delle Danaidi infami.

E vien con me, in una lercia schiera

avida e macilenta, chi ci ingombra la .

Non cerca che lavoro e un po’ di libertà;

noi vedrem di lasciarla anche qua giù

in disparte e lontana, come in casa;

poi che è usanza assai vecchia

di ciascun gentiluomo, placar di ciancie e farla persuasa.

Poi vi saranno ferrovie e debiti,

l’esattore ed il prete ed i filibustieri,

che arruffano matasse ingarbugliate

(le matasse politiche) godendo le prebende,

sotto le tende del parlamentarismo.

 

Ho a dovizia, Signora,

i futuri progetti di colonizzazione,

e vi prometto da buon cavaliere,

Cavalier del Lavoro

di rimandarvi presto dal tesoro,

che giace inerte e grasso

dentro le ferree casse beyliacali, per essere un compìto dispensiere.

Ho rimedii e parvenze di rimedii

per questi ed altri mali.

V’aggiungerò un medico Livraghi,

flebotomo eccellente, per li ebrei

che non vogliono rendere,

se costoro s’impuntano e fan la voce grossa.

 

Vengo armato, sgargiante, vago, propiziatore.

Non avete i Chirghisi?

L’orde africane?

Dei Maometti aprocrifi?

Delle teste balzane?

Krumiri, cavallette da fugare, da vincere e da pacificare?

Non avete la febre e la dissenteria,

aspettandomi, amica, e il male d’amore?

 

Ho fatto le mie prove, non temete, Signora,

con una quasi vostra parente vicina,

al di del Deserto e nera in volto.

Tentando, ho già scoperto la mirifica droga

del diversivo al bollir sovversivo della piazza.

Vi dirò, in confidenza, che tra noi

non è più tempo pei veri Eroi.

Ma per la nera Taitù, che ancor ringrazia,

ho rimesso i quattrini

e alli Abissini, mostriciattoli gai,

con buona grazia ho regalato

il sopra più maschile e probatorio

di qualche giovinotto,

una cosa da nulla,

un ninnolo gentile

e pei militi, via, un suppletorio.

 

E ho fatto tutto per il buon cuore,

per semplice, perfetta cavalleria.

Sono o non son Jaufré Rudel, signore di Blaja

alla pazzia dei viaggi lontani;

per amore di udita e pei mostri africani?

 

Vecchia spada crociata!

Brillò nell’oriente tra i fiori del betél

ed acciecò, del lampo, l’occhi di porcellana

del pacifico Budda ingioiellato e assorto nel nirvana.

 

Vecchia spada crociata!

All’impresa di Rodi, che ricorda

un ciondolo e una corda d’appiccato,

una postrema convien ne riannodi,

onde si sruggini in mano ai prodi

irrequieti nelle guarnigioni.

 

In fine, io vi consegno come prova d’omaggio,

liuto, spada e coraggio temprato

come i cannoni Krupp;

e vi consiglio d’appoggiarvi al mio braccio

per farvi ben vedere nei saloni.

 

Dal medio evo in poi, salvo cavalleria,

son divenuto pratico.

Amo sfoggiare ginnetti e cavalli

sopra ai turf e teuf-teuf lungo le vie.

Amo sfoggiar belle donne nei balli,

spalle e seni perfetti e nudità

alli occhi altrui che invidiano.

Amo fare d’amico moderno,

per cortesia e dignità;

bastar per la parata e pel solecchio;

posar per il loggione in pompa magna:

essere una apparenza è quanto fa;

far molto fumo con poca legna.

Quindi, se mai voi ne avrete vaghezza,

io vi permetterò, degna Signora

(nell’aspettar io filo, come richiede l’ora,

dei monogrammi al fumo delle sigarette

per non infastidirvi),

qualche capriccio tenero

per chi punto non paga.

Io non abbado se prude un desiderio più concreto

oltre alla doverosa soggezione.

 

Su via, gettate il velo;

calpestate il turbante.

Oh, stellare sembiante, tra il franco e il saraceno.

Oh parente, o diletta,

dolce amica perfetta.

Agili i mozzi color del cielo cupo

gettan l’ancore argute dentro al porto.

Oh, sfolgori il bel riso barbaresco

alla liberazione, ambigua castellana,

nell’aer fresco del vostro rinascere!

Guardate a scintillar le bianche armate,

nella rada, aspettate...

Scendon nelle scialuppe i bersaglieri:

applaudiamo, Signora, ai forieri dell’italica gente!

 

Tutto il resto è una baja;

Jaufré Rudello il signore di Blaja

è una antica leggenda riassunta,

per arte maga di diplomazia,

nel succinto ufficial d’artiglieria.

 

Tripoli bella! Amore d’avventure,

Contessa Melisanda!

Stracciatevi le bende mosulmane,

ritornate latina,

e gloriosa ammiranda

non pensiamo già mai alla mattina

del giorno che verrà.

Godiam la prima notte; sarà quel che sarà.

Udirem tra li applausi un canto roco?

Prefiche sulle glorie, all’indomani.

Ahimè, in patria vi sono dei marrani

astiosi e invidiosi, tumultuarii.

Non facciamoci scorgere a baciarci.

Del resto... sì...

infioriamo le bare, onde si ascondano

i cadaveri sotto a palme e allori;

parliamo dei tesori del Califfo,

per rendere, in imagine, gioconde

le sabbie del deserto, martirio italiano,

carnajo enorme, arroventato e aperto.





18 Da “Educazione politica” IV, 74 (25 gennaio 1902).



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