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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
son venuto per voi.
snelli i piroscafi della Navigazione Generale
han sicuro ancoraggio nel porto tripolino;
rullano a festa per il mare a voi,
e chiari fumano, borghesemente,
godendo e privilegio e sovvenzioni,
vanto, gioja e superbia dei volponi
della Nazione.
Tripoli bella! Amore d’avventure,
Stracciatevi la benda mosulmana;
guardate in viso ai Gentiluomini
a viso nudo, o sfolgorante di bellezza, Altezza.
Il fez vi pesa sopra le chiome
portate cappellini di fiori e di piume,
Stia pei giardini, tra le palme espanse,
lungo le calme mestizie de’ tramonti,
e sotto ai sicomori orientali,
addormentati al riso delle fonti,
o Melisanda, la vostra persona
non abbia in torno spioni eunuchi
abiti di Parigi e decolletés di Worth,
e si permetta amanti, pardon, amici,
molto intellettuali, assai modern style
prerafaelliti, tra un verso d’annunziano
e uno scambietto di ciarlatano.
Tal sia, a riguardar le rose autoctone,
come le treccie vostre,
tal sia a riguardar rosea Tangeri,
anadiomene in riva al fresco mare,
marmi e rose affacciate alle ringhiere
tal sia, a riguardar le vaporiere,
sostituite ai lenti camelli del Corano,
e a mirar i piumetti bersaglieri,
galli bruni ed allobroghi, a danzare
la presta monferrina,
invidia all’indolenti Bajadere.
Tal sia, senza turbante e mezza luna,
or ricongiunta al suo Jaufré Rudel.
D’oltre il mare, Signora, ebbi l’invito.
Ho letto poco fa, nelle gazzette,
che pativate mal di desiderio,
un male doloroso e molto serio,
ho letto, e, per udita ed anche per pietà,
Cavaliere Rudel, signor di Blaja,
perché non paja troppo l’ingordigia,
venni alla vostra pena e vi rassegno
amore, protezione e Convenzioni.
Datemi, o bella affascinante, ascolto.
L’harem promiscuo come vi incatena!
E per quanto Gran Turco e poderoso
non può attendere a tutte in giusto onore
il turbato Signore e vi trascura,
livido tra la rabbia e la paura.
Ve’ il Bosforo inquieto che schiumeggia!
E li Armeni straccioni a lamentarsi!
E l’Orsa bianca vicino a braccare!
E un Galletto protervio a schiamazzare!
E un subdolo Leopardo che si striscia,
dalle Piramidi come una biscia,
nell’Anatolia e guata la migliore giornata
per balzar sulla preda dell’isole, giojelli
nel mare, aperta gloria di commerci!
s’accontenta di poco!
porto, Jaufré Rudel, lo scudo divisato
d’un’aquila benigna e d’una croce.
badar direttamente ai casi nostri,
ed aggiunger la voce armoniosa
all’urlare dei mostri frementi nella caccia.
La causa è alquanto nobile e speciosa.
Ascoltate il consiglio dell’amico;
attender che vi fa Albanesi e Pascià,
che verran se verranno,
come una sanguinosa carità?
raccontare storielle poco amene...
Un Barba-Bleu, Signora, e più non dico.
Interrogate i gorghi di Stambul.
Così venni munito.
Pei secoli, Jaufré che si lagnava,
se gli è tolto veder l’amor lontano,
e che al Signor, per vero e per real donava
l’amor, che lo pungea, così, lontano;
Rudello rugiadoso e trovatore ha fatto le esperienze.
E per quanto passato
usando vele e remi col Petrarca;
e per quanto intessuto nelli arazzi
(dolci notti al Castello di Blay taumaturghe
a splender dai topazi dell’ogive, in faccia all’alba;
e per quanto morente in sulla nave
È l’ombra di un sogno fuggente...)
come ricanta un nostro senatore,
che beve in fresco e che professa il Re;
Jaufré, rimodernato, ha fatto li apparecchi e si presenta
con suffragio d’armati e compiacenza,
e non sofistica sopra ai perché.
Eccovi il mio codazzo d’ingegneri.
Ecco i forzieri vuoti italiani,
eterni sizienti, come le botti delle Danaidi infami.
E vien con me, in una lercia schiera
avida e macilenta, chi ci ingombra la sù.
Non cerca che lavoro e un po’ di libertà;
noi vedrem di lasciarla anche qua giù
in disparte e lontana, come in casa;
poi che è usanza assai vecchia
di ciascun gentiluomo, placar di ciancie e farla persuasa.
Poi vi saranno ferrovie e debiti,
l’esattore ed il prete ed i filibustieri,
che arruffano matasse ingarbugliate
(le matasse politiche) godendo le prebende,
sotto le tende del parlamentarismo.
i futuri progetti di colonizzazione,
e vi prometto da buon cavaliere,
di rimandarvi presto dal tesoro,
dentro le ferree casse beyliacali, per essere un compìto dispensiere.
Ho rimedii e parvenze di rimedii
per questi ed altri mali.
V’aggiungerò un medico Livraghi,
flebotomo eccellente, per li ebrei
che non vogliono rendere,
se costoro s’impuntano e fan la voce grossa.
Vengo armato, sgargiante, vago, propiziatore.
Non avete i Chirghisi?
Krumiri, cavallette da fugare, da vincere e da pacificare?
Non avete la febre e la dissenteria,
aspettandomi, amica, e il male d’amore?
Ho fatto le mie prove, non temete, Signora,
con una quasi vostra parente vicina,
al di là del Deserto e nera in volto.
Tentando, ho già scoperto la mirifica droga
del diversivo al bollir sovversivo della piazza.
Vi dirò, in confidenza, che tra noi
non è più tempo pei veri Eroi.
Ma per la nera Taitù, che ancor ringrazia,
e alli Abissini, mostriciattoli gai,
il sopra più maschile e probatorio
di qualche giovinotto,
una cosa da nulla,
e pei militi, via, un suppletorio.
E ho fatto tutto per il buon cuore,
per semplice, perfetta cavalleria.
Sono o non son Jaufré Rudel, signore di Blaja
alla pazzia dei viaggi lontani;
per amore di udita e pei mostri africani?
Brillò nell’oriente tra i fiori del betél
ed acciecò, del lampo, l’occhi di porcellana
del pacifico Budda ingioiellato e assorto nel nirvana.
All’impresa di Rodi, che ricorda
un ciondolo e una corda d’appiccato,
una postrema convien ne riannodi,
onde si sruggini in mano ai prodi
irrequieti nelle guarnigioni.
In fine, io vi consegno come prova d’omaggio,
liuto, spada e coraggio temprato
e vi consiglio d’appoggiarvi al mio braccio
per farvi ben vedere nei saloni.
Dal medio evo in poi, salvo cavalleria,
Amo sfoggiare ginnetti e cavalli
sopra ai turf e teuf-teuf lungo le vie.
Amo sfoggiar belle donne nei balli,
spalle e seni perfetti e nudità
alli occhi altrui che invidiano.
bastar per la parata e pel solecchio;
posar per il loggione in pompa magna:
essere una apparenza è quanto fa;
far molto fumo con poca legna.
Quindi, se mai voi ne avrete vaghezza,
io vi permetterò, degna Signora
(nell’aspettar io filo, come richiede l’ora,
dei monogrammi al fumo delle sigarette
per non infastidirvi),
Io non abbado se prude un desiderio più concreto
oltre alla doverosa soggezione.
calpestate il turbante.
Oh, stellare sembiante, tra il franco e il saraceno.
Agili i mozzi color del cielo cupo
gettan l’ancore argute dentro al porto.
Oh, sfolgori il bel riso barbaresco
alla liberazione, ambigua castellana,
nell’aer fresco del vostro rinascere!
Guardate a scintillar le bianche armate,
Scendon nelle scialuppe i bersaglieri:
applaudiamo, Signora, ai forieri dell’italica gente!
Jaufré Rudello il signore di Blaja
è una antica leggenda riassunta,
per arte maga di diplomazia,
nel succinto ufficial d’artiglieria.
Tripoli bella! Amore d’avventure,
Stracciatevi le bende mosulmane,
non pensiamo già mai alla mattina
del giorno che verrà.
Godiam la prima notte; sarà quel che sarà.
Udirem tra li applausi un canto roco?
Prefiche sulle glorie, all’indomani.
Ahimè, in patria vi sono dei marrani
astiosi e invidiosi, tumultuarii.
Non facciamoci scorgere a baciarci.
Del resto... sì...
infioriamo le bare, onde si ascondano
i cadaveri sotto a palme e allori;
parliamo dei tesori del Califfo,
per rendere, in imagine, gioconde
le sabbie del deserto, martirio italiano,
carnajo enorme, arroventato e aperto.