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Per chi volli raccogliere
questo mazzo di fiori selvaggi;
stringerli in fascio nel gambo spinoso ed acerbo?
Tutti i fiori vi sono di sangue e di lagrime,
raccolti lungo le siepi delle lunghe strade;
dentro le forre delle boscaglie impervie;
sui muri sgretolati delle capanne lebbrose;
lunghesso i margini che lambe e impingua
il rivolo inquinato dai veleni,
decorso, dal sobborgo, alla campagna.
Tutti i fiori vi son, che, pei giardini urbani e decaduti,
tra le muffe ed i funghi, s’ammalan da morirne,
e li altri che sboccian sfacciati e sgargianti,
penduli al davanzale d’equivoci balconi meretrici:
tutti i fiori cresciuti col sangue e colle lagrime ai detriti.
Per chi io canto questi fiori plebei e consacrati
dal martirio plebeo innominato,
in codesto sdegnoso rifiuto di prosodia,
e pel ricordo e la maledizione,
per la speranza acuta alla vendicazione?
Ed è per voi, acefale ed oscure falangi,
uscite da un limbo di nebbie e di fumi,
tra il vacillar di fiamme porporine, in sulla sera,
dai portici tozzi e sospetti di nere officine?
ed è per voi, pei quali non sorride il sole,
schiavi curvi alla terra, che vi porta,
e rinnovate al torneo dell’annata,
ma non vi nutre, vostra?
ed è per voi, pallide teorie impietosite
di giovani, di vecchie e di bambine
inquiete tra la fede e i desiderii,
tra la tentazione della ricca città
e il pudor permaloso della verginità?
Per chi, per chi, questa lirica nuova,
che bestemia, sorride, condanna e sogghigna,
accento sonoro e composto dall’anima mia,
contro a tutti, ribelle e superbo,
in codesto rifiuto imperiale d’astrusa prosodia?...