Gian Pietro Lucini
Prose e canzoni amare

Poesia

Canzone della Cortigianetta

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Canzone della Cortigianetta21

 

 

 

 

...reff de socchet...

CARLO PORTA, On striozz

Teintes de fard, d’antimoine e de céruse, avec force

chignons couleur de safran ou de henné.

L. TAILHADE, Un souper chez Simon

Μορϕὴν γὰρ πορνὴν κέκτηται ϑερίον Γοργόνη.

DIVUS EPIPHANIUS

Pssitt... mignon... écoute un peu?

Prête-moi deux ronds, va... laiss’- toi faire...

Viens avec moi? ...quy a un bon feu...

JEHAN RICTUS, Pierreuse

 

 

Canzone, se ti attardi

nei Caffè di mezza notte,

quando corruscano di lacche e di specchi,

d’argenterie, di marmi e porcellane,

ai mille becchi de’ candelabri di cristallo e d’oro,

e sciaman di ragazze in décollétes,

di souteneurs e di gaudenti;

Canzone, ascolta,

tra la fucileria del bacchico champagne,

canto giocondo ed arrochito:

raccogline le note, conservane i versi,

dedicalo lezione alle adolescenti

della fervida e nobile Città.

 

Canzone; questa è stramba parata urbana,

che sgola una Fata discinta ed ebra un poco:

discese, Cenerentola, un giorno da una fiaba estemporanea

tra i gatti e i passeri dalla grondaja,

per infilar la seta nella cruna astrusa,

e puntar l’ago contro il ditale,

e il filo dentro ad un raso nuziale:

Canzone, lascia cantar la Fata

con un nodo di pianto alla strozza,

col riso che singhiozza tra le lagrime.

 

« — Per la più facile felicità

sono, fra voi, autoctona regina della moda,

per l’ambizione del giovane banchiere,

e l’arroganza del biscazziere.

Oggi, ho imparato, in breve scuola,

ad offrirmi, a fuggire, a tentennare,

a bilanciarmi in sull’ambiguo giuoco della parola.

Qualche volta mi pesa la bugia;

mi dolgo; è lievito del tempo antico ed abolito,

che fermenta e pretende intumidirsi,

rammarico, ricordo, inattuale pretesto a piangere.

 

Davanzale del piccolo abbaino,

sporto sul tetto a cappuccina,

primo ad accoglier il sole a mattina,

erto sopra le tegole a guardar l’oriente intenerito;

pensile giardinetto di quattro vasetti

dove sfiammavano insanguinando il verde

garofani plebei, garibaldini spavaldi e procaci;

minuscolo divano dove imparai

le prime lagrime e i primi baci,

e sopportai le prime prurigini moleste;

cameretta inondata di luce,

dove in un vortice brunito d’acciaio,

battevano al volante l’agili membra della silente machina,

svolgendo il filo del mobile rocchetto

e regolando l’impuntura all’ago,

dentro alle stoffe, e perfetta;

o cameretta, dove a me piacque

numerare sul ritmo dell’ordigno,

il batter nell’arterie, dal polso al cuore,

del mio giovane sangue caldo ed eletto:

colazioni frugali, sperso l’occhio al frullar breve dell’ali

dei passeri sul tetto, al dondolar del ceppo di garofano,

sui lunghi steli; ozio breve, gustato in fretta;

sognar lontano, presto risvegliato;...

antica istoria: tutte le sere udite

Mimì Pinson gorgheggiar La Bohême.

 

Ma la crisalide si fa vanessa,

farfalla splendida multicolore;

e il bigio bozzolo che l’ha incubata,

in una palazzina delicata.

 

Eccomi esperta cantarina apocrifa

col pretesto di ricche acconciature,

sopra li avvisi a finger le avventure della ribalta:

ed eccomi a recare cure e pazienza per tutti i gusti

sì che i più frusti vengono a me.

Sono un albergo ad insegna cortese;

se muto stile, cognome e pretese

rinnovo i desideri.

Dovunque mi presento come vuole il costume;

tutto quanto posseggo in carne viva

vi offro e vi sotto la veste a scialo

e sotto la camicia trasparente,

come un miraggio all’imaginazione

per la lussuria grassa della gente.

 

Eccovi il volto che il rossetto avviva,

oh! quante volte come triste e smorto:

sbatte il ventaglio ed agita le lunghe piume bianche,

al capo reclinato; cercan riposo e schermo

alla luce, alli sguardi, all’insistenze le mie pupille stanche;

colle palpebre basse, cerco dimenticarmi.

E udite risa che scrosciano a trilli,

gorgoglian soffocate sotto una furia di baci improvvisi,

scendono, mancano dentro la gola,

fremitano nel collo col singhiozzo...

oh! quanta angoscia di risa convulse,

quanto soffrire per la voluttà.

 

Borghesi, io vi balocco: re di corona, a me:

sovverto l’ordine, la disciplina,

ed il burocrata a me vicino torna bambino.

La mia carne è ingemmata,

le membra ammorbidite e stilizzate

a richiesta dell’epoca:

i petali di rosa sono meno teneri e profumati

delle mie coscie;

il mio piedino detta la legge;

l’indice teso segna una vittima;

il monosillabo condanna a morte, se nega e rifiuta.

 

Cammino e regno:

le scarpine lingueggian dalla gonna,

orme suggellano ne’ cuori molli, e nella polvere;

i fianchi ondeggiano al passo ritmico e birichino;

s’inarcano le terga in curva callipigia;

scutrettola la trina dello strascico,

coda occellata d’Imperatrice e di Sirenetta.

Domino; attraggo; respingo e mi prometto:

spargete fiori sul mio passaggio,

nobili e grandi d’ogni lignaggio;

rido, ed ancheggio e sbadiglio:

son la bellissima fatalità.

 

Sono l’Eterno biondo Feminino;

colle mani propino affusolate,

che il manicure mi ha raccomandate,

filtri che odorano di sortilegio,

carezze irresistibili,

esca, ragna ed agguato prelibato.

 

Borghesi, io vi balocco;

come un giorno mio padre pitocco,

che, ad ingannar la fame,

ballonzolava pietre in sulla strada

dall’una all’altra mano

e le stringeva in pugno,

guardando al di delle siepi i giardini

colmi di frutti maturi,

e, in sulle panche, sotto le pergole,

soffici cuscini per li ozi sicuri.

 

Sono l’Eterno biondo Feminino;

per una sessual complicità

non so tenere il broncio;

sporgo sempre il bocchino:

risuggelliam la pace,

è l’oblìo che rinchiude il secreto dell’anima ancora,

che serra, nella carne colla carne, le porte

alla vita impaziente, e lo conserva sino alla morte.

 

Ma a te solo, che sei giù in fondo e mi guardi,

coi grandi occhi pensosi e conturbati,

ho riserbata una verginità, Signore, insospettata.

Dirò a te, che comprendi, le nostalgie inutili,

le reticenze, le angoscie, le pazzie,

i desideri vani e le impossibili malinconie.

Ed odimi, Signore, fìnché mi regge il cuore

dentro a questa tormenta che sembra giorno calmo;

ed odimi, amico di pietà sincera,

nella bufera de’ sensi e de’ capricci...

assicurarmi la profezia.

 

Fra poco scenderò larva crepuscolare,

se il sol di mezza notte contraffatto non mi giova più,

sciupata rondinella delle strade.

 

Sarò il rifiuto della grande Città:

quando piove ed abbrivida la sera,

quando le gocciole, sotto ai riverberi,

sembrano spine d’argento a pungere

contro il fango, la carne ed il cuore;

sarò l’ombra vagante e pandemia

che scivola con passo pornografico,

per le viuzze e i trivi tentando pis, pis,

come un richiamo e come una preghiera.

 

Sarò, sotto ai fanali de’ passeggi pubblici,

al primo che mi accolga e non s’accorga

del mio volto disfatto, dell’abiti stinti;

sarò all’affamato per lungo digiuno

per chi paga, t’insozza e ti disprezza.

 

Sarò l’illusione dell’amore,

per rinnovare, offertorio di grazia,

la mia sapienza ringiovanita,

all’imberbe che spasima e si disseta,

febrile, spaventato, come a una prima notte,

sacerdotessa compresa e insoddisfatta,

vergognosa e crudele maestra di vita.

 

D’oggi a dimani sarò il vituperio

de’ vostri ricchi vizii, decaduta;

sarò le vostre passioni, inconfessate;

vi verrò in contro colle mani tese,

non mi vorrete conoscere più.

Vi ricompenserò coll’odio e col veleno,

che distilla il mio sesso e che mi abbrucia;

passerò su di voi, sulla vostra famiglia,

come il castigo, come l’uragano,

larva di disonore e di fanghiglia,

come un’angiola nera di vendicazione.

 

Ora ridiamo; ho i miei biondi perché

innumerevoli testardi e ricci

e folti e varii e molti come i ricci

de’ miei capelli foggiati in topé.

Tu, Signore, pensoso e conturbato

fammi portar da bere acqua ghiacciata.

Non ci badare, tutto è passato; sono momenti di debolezza,

vengono e vanno colla tristezza

e il lungo brivido di mezza notte.

L’estetica ironia stelleggia il cielo

oscuro, in curva sui campanili;

nei cuori pigri e spenti suscita incanti

sciupa parole alate

sopra il belletto delle labra esangui — ».

 

Canzon bella e sfacciata, con fervore,

se ti piace, di’ pur: «Qui regna amore».





21 Da Revolverate.



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