IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
I
Il pianoforte di Biondina
si lamenta
l’Augellin-bel-verde è un tristanzuol;
Biondina ha voce roca ed ha perduto,
a un primo bacio, la fresca ingenuità
l’Augellin-bel-verde, traditore, fuggì.
Or mai, senza speranza,
Biondina si dispera, piange senza perché;
(le trine ai manichini si sfìlacciano, ahimè!
la fiamma è troppo tenue per far bollire il the.)
per quanto gema può suscitare il minore patetico?
«Volete?» «Oh no, mai più!»
(Un giojello è caduto dalla mano piccina;
di giorno la cucina sforma l’unghietta rosea;
di sera il the non bolle; divaga la Biondina).
e non ascolta il saputo richiamo;
l’Augellin-bel-verde stende l’ali e remeggia lontano:
(ingrato, oh, sì! — il primo bacio suggellò le labra
come col fuoco e conturbò li occhi)
vola, svagato, perfido e prepotente
pei dorati castelli de’ vecchi ritornelli della leggenda:
vagola e si disperde, l’Augellin-bel-verde.
il damo positivo è di là da venire?
Le dita lusinghiere accarezzano in vano
le dentiere eburnee del cembalo?
«Dite, Biondina, insistere a sofrire perché?»
«Biondina, sorridete: tornate a dire di sì.»
Oh, Signorina,
fragile compromesso d’isterismo,
riccioli, ciprie, battiste e trine, Eva bionda, Biondina,
riavvolta-discinta sulla chaise-longue,
stanca ed oppressa e vaneggiante:
la testa vi si inchina sul libro miniato
dai perfidi segni moderni e salaci,
sopra le pagine che vi fan vivere,
intensamente, un illustre peccato.
qual estasi preziosa, quale fragranza deliziosa,
e leggere sola e patire di più;
se tutti i sensi, se tutta l’anima
traboccan, s’arrestano ai pori,
si cristallizzano, percossi, frigidi,
Se vedete l’Imagine dalle torbide lettere
sorgere ed apparire, stamparsi sulle carte;
supina sotto al bacio attossicato,
oh, quanto atroce e dolcissimo,
Succuba, di un amore inconsueto,
non ancora tentato.
dentro la vampa interna e vorace:
il libro miniato è pur crudele ed esperto,
fragile compromesso d’isterismo, a suadervi il peccato,
ciprie, riccioli, cervello alla ventura:
così, vi assorba e vi consumi,
Voi, esalata in fiamme, gemebonda,
come fanno le legna a poco, a poco,
converse in bragia corrusca e bionda, e presto in cenere.
comunque, è un convegno che appresta la sera:
assai sentimentale e molto astratto,
e, però, si riaccosti all’ospitale favola romantica,
se anche l’estetica indulge e consiglia
tra l’oscura e serena illusione di un bosco.
Siamo in Città e pregiam le foreste
tra la morte e la nascita agreste
di molti fiori, di molte piante,
di molte speranze d’incerto sembiante.
Or, l’Interlocutori aman la poesia;
sfoggiano, al loro bisogno, recondita armonia;
confondono le lune chimiche edisoniane
colla luna che tarda a venir su,
dispensatrice delle sue virtù.
falce slabrata volta a levante,
come è il costume di luna calante.
«Or voi amate uscire di sera, Biondina?»
«Sempre, Signore;
perché non lo farei?
e mi rischiara i passi al camminare?»
«Luna voi siete?
Suscitate, o sperdete fantasime?
Ambra grigia, o cantaride, scusate!»
«Che fa? m’incanto alle stelle, vi pare
che non possa emularne la luce!
Se luna appajo, esse si ammutano.»
«Voi non l’ammettereste, Signore?»
«Se mi costringerete!»
a salir per la volta profonda e notturna:
sono fiammelle vagole e sbattono
Salgono, salgono: si fanno strascici,
serpeggiano e lingueggian per il cielo;
si svolgono e scansan le stelle;
a volte, fumigan e s’intristiscono:
ma sempre camminano in su,
né ritornano mai donde partirono.
Ci rubano dal cuore la certezza sognata
di una vita migliore, confortata
da un affetto sicuro, guardingo, sereno: ...
o voi, Biondina,... perché farmi parlare?»
«Sono vaghe e pur sacre speranze;
possono ritornare in sulla terra.
Ecco, le mie speranze, co’ miei desideri,
pigolan come uccelli tra le viti di Maggio,
stanno tra i fiori, si ingemman di colori,
ed i bei dami senza conseguenza,
amano i gilii che adornan di ricami
la culla al neo-nato, s’egli dorme e sorride.»
«Desiderate, dunque!»
Diffondermi nel ciel placidamente:
ella intende abbracciarsi col sole;
ma son vaghe e pur pazze speranze,
salir, protendendosi al giorno,
«Decisamente, romantica in tutto!»
«Casalinga romantica, Signore:
il mio sole è comune, ma lucido:
dorata fiamma di petrolio mite
rigovernata ed inodora, ritta in mezzo alla tavola,
tra il vasellame polito, i nitidi argenti borghesi,
del pranzo famigliare.
condita dalle spezie obbligatorie,
ravvivata da baci e da malinconie.
Amo il pudico déshabillé
tra le battiste e i merletti economici,
festino accomandato e maritale per la squisita intimità.
mi struggo dentro a li avari pudori
delle vesti assai troppo accollate.»
non vi chiedo di più...
Vi par caritatevole offerire,
a chi non la può prendere, e si accende
di sete arroventata, una coppa di latte ghiacciato?
Oh, crudele Biondina, sorvolate.»
fare un passo di più.
circondata d’azzurro e di foresta;
Il vel mi si scompone in sul corsetto;
non avreste uno spillo da prestarmi?»
Una stella è caduta ai vostri piedi
forse non bene aggemminata al diaspro
della volta celeste, o pur travolta all’aspro bisogno della terra?
Le stelle, in cortesia, vi vengono a inchinare;
ma il desiderio instabile si spegne,
prima che si depositi sui vostri piedi?
— Biondina, non volete lasciarvi vedere,
ma vi è piacere che vi tocchi il collo
per raggiustarvi il fisciù?
Mefistofele canta, oggi, per voi, sostituito a Faust;
ed il bel fior cresciuto all’idealismo
se alletta sospettosa ape a scovarlo,
immancabile sposa, nel pungitopo matrimoniale.»
Si crederebbe ch’io vi rincorra.
Se Gretchen sono, filo sedentaria
oro biondo di canapa nostrana,
lungo come le treccie che mi pesano al capo.
Assento al frullo del fuso e consento,
col tintinnire delle catenelle,
se argentee trillano e riscintillano nel movimento
gocciole di cinilia inanellate;
come confesso al battere del cuore
e attesto a voi che ho li occhi ceruli.
So preparar la zuppa coi cavoli dell’orto di famiglia,
dell’orto solatio e incipressato lungo il pendio del colle,
far pasticcini per i bambini e rosolarli al forno,
ripieni di composte d’albicocche fatte in casa;
industriare una medicazione,
suonare il piano, scialbare un acquarello;
so, col mio dolce, ch’è una promessa,
spalmare il mattarello della massaja,
perché non paja troppo il suo imperio.
Se ho rivelato al cuor vostro uno sdruscio,
con tutta ingenuità non rattopparlo?»
«Opportuna figura, se questa topica risoluzione,
come fa, s’interpone alla continuità,
e se ne duol natura che l’abborre:
ma è in me, o in voi, Biondina?»
«Per oggi non rispondo ai calembours;
senza amarezza, vi pare, Signore?»
«Già, la strada è più facile qui,
il mio sostegno più non vi giova;
è meglio rischiarata, è più frequente,
verso la valle e lascia la montagna,
abbandona il sobborgo per le piazze corrusche di bacheche.
Quante tentazioni esposte in mostra!
Io vi ammiro, Biondina, che sapete
irrigidirvi, non cedere, impedire
alla golosità normale e feminile,
e superate con brivido più acuto
all’occhieggiare di tante ricchezze.
Ecco il pomo del Serpe, Eva-Biondina!»
«Non vi comprendo più, caro Signore.
Vi duole forse d’avere con me
«Che dite mai! È troppo presto!»
«Tardi? presto? Perché?»
«La pescatrice affonda l’esca
se pur la pesca non le sorrida:
subito dopo un fortunale. Ella, pescando, impara.»
Filosofeggio per categoria, sopra il bene ed il male.»
«Il mio cammino si svolge da questo crocicchio.»
«Ci rivedremo?»
«Sicuramente. — Quante stelle, Biondina!»
«C’incontreremo, caro Signore;
ricorderemo; ...il fisciù mi si spunta di nuovo.
Che peccato, Signore, che voi siate svoltato!»
«Domani sera, volete, Biondina?»
«Ecco la Luna è ascesa in sulle nuvole;
ondeggia in cielo nella bordata
La raggiunge il mio sguardo a disturbarla;
vi regala insistente il mio pensiero,
il migliore profumo che acconsente
di un mio... bacio pudico, lontano Signore...!»
«Decisamente romantica in tutto.
Certamente, a domani, Biondina.»
comunque, è un convegno che appresta la sera;
di lotte gaje matrimoniali.
sopra ai comignoli, e sopra ai tetti;
è una falce sottile tra due corna,
è qualche cosa come un Giorno di Nozze.
Ambra rosea s’accende, sull’ultimo lembo ricurvo,
come una gemma enorme di passione;
fresco rubino stilla da un orecchino
al lobo oscuro della bruna Notte:
poi vacilla, si scema, scompare:
e bavosa una nube di pece si oppone;
l’arresta, l’azzanna, l’inghiotte
— quattro finestre e un balconcino
inghirlandate di vite, —
per preparare il nido alli Sposi
hanno distrutto i nidi alle Rondini.
Vennero e foraggiarono,
sulla facciata bianca e ridipinta
— oh, come linda e civettuola,
tra i pampini sfoggiati e rinverditi! —
non trovaron le Rondini i nidi:
troveranno li Sposi
la camera nuziale della nonna,
le gialle ghirlande dell’impero
sopra il parato di crétonne-ponceau,
il copripiedi di seta cangiante
tagliato dalla gonna della prozia elegante,
che vide i balli del Beauharnais;
vi troveranno il talamo
con una venerabile e tarlata culla a lato,
tarsia sfoggiata del Maggiolino.
Le Rondini passarono chiamandosi,
pigolii per il cielo intenerito; —
profumi per l’erbe smaltate: —
poi si raccolsero a stuolo
sopra il comignolo fuligginoso.
Avevan ritrovato le mura disfatte,
tra le palme dell’oasi, e, ad aspettarle intatte,
le nicchie polverose che guardano i nidi.
Avevan ritrovato camelli e santoni sul margine
delle sabbie infuocate ed infeconde.
Si erano riposate sulla cuba moresca e vetusta,
le defunte covate progenitrici;
a riudir al silenzio meridiano,
chiamare il muezzin la preghiera.
Trascorrevano in file, lontane,
avvolte nei cacik le carovane;
cavalcate ondeggiavano d’arabi
al lampo damascato di lunghe carabine.
severa, in cipiglio, ed annojata;
mascherati all’inglese,
dinastia incretinita discesa dai Faraoni;
il cielo in un susurro indefinito
di piccole vite comprese e sciorinate;
sapidi moscherini del fango del Nilo,
per l’inesausta prodigalità
del delta straripato.
Rinnovaron le congreghe alla sera,
sotto la cupola slabrata e tonda della moschea;
riabitar nei nidi della loro famiglia,
grigi e rappresi di densa fanghiglia ovattata,
e, nell’eterna indolenza orientale,
librarono di nuovo volanti libertà.
Oggi, nell’altra patria europea,
non trovan più i nidi sospesi,
tra trave e trave, sotto la gronda,
delle recenti verniciature.
Non più il silenzio augusto della valle,
nel sonno verde delle piante antiche.
Il giardinetto è rimondato
dalle gramigne tenaci e parassite;
s’adagiano i rosai sopra ai sostegni;
han seminato legumi e violaciocche
l’acqua ha ridato l’anima liquida alla fontana
han restaurato il gallo rosso e verde alla meridiana
in mezzo ai segni gialli dello zodiaco; —
la vecchia Colomba rialza la persiana
della sala da pranzo e guarda affaccendata sulla via.
Rondini, li Uomini, se fanno il nido,
distruggono il nido alli uccelli;
saccheggian la natura per la famiglia futura
in questa società meticolosa;
l’oriente vi riserba molle e barbaro
casa e pastura; l’igiene qui vi abborre,
sparge disinfettanti a prevenzione,
estirpa dalla vita, illogicamente,
ogni putrefazione.
Oggi, a covar la vita di un bambolo europeo,
pelurie di cigni, battiste aracnidi,
carne d’alberi annosi, polpe di frutti,
cristalli di miniere, tutto il verziere in fiore,
spoglie e messe del mare e del campo;
delicatezze, svenimenti e feste,
cerimonie e intervento della burocrazia;
un grido disperato, lagrime e sangue di madre.
Attende li ospiti la bianca casina;
La vecchia Colomba, in cucina,
riflettonsi, nel rame delle pentole,
Il girarrosto ad orologeria
scocca i minuti dell’ora culinaria,
tra l’odor delle spezie svampate dal dispensino,
rosola, in sulle brace, il paffuto cappone,
batte col cuor della vecchia Colomba,
dei candelieri incisi di una greca,
nel luminello della casseruola a bugne del pasticcio;
fragranze al ben venuto della Sposa aspettata.
Quindi, la sonagliera scroscia sull’erta,
ne segna, a pause, le svolte e le ansanti salite;
sgrana il suo tintinnio d’argento e di cristallo,
dentro la polvere, sopra le ramore
basse e fruscianti nel ballo
della brezza leggera che corre al tramonto.
La corriera che rotola e romba,
massiccia e sgangherata centenaria,
spelate, soffianti, a guidaleschi,
dalla portiera sconnessa e spalancata,
batuffolo vivo di riccioli biondi,
di moire clair-de-lune,
con mille veli, con lungo strascico,
traversa la via, imbuca l’androne,
cometa che guizza, dal folto, a un burrone
la segue il Signore commosso e sudato.
tumida di sorrisi e di malinconia.
Colomba si schiva impacciata alle soglie:
Sfoggia la riverenza dismodata
Sventola allegra una bandiera di fumo
dall’antico comignolo ringiovanito;
si svolge, lentamente, nell’aria pura e serena,
a fugare, coll’ultimo raggio di sole,
«Via, dalla ringhiera del curvo balconcino,
pettegole, ciarliere, irrequiete e troppo mattiniere:
alla mattina conviene lasciar riposare li Sposi.»
e va sospesa col fumo una prescienza oscura.
Il bacio scocca la rivelazione?
Stride la Rondine in cerca del nido
s’autentica d’amore la Natura.
quel Signore commosso e sudato,
Ma non si comprendono.
han sforbiciato, volando,
dentro le sete azzurre e porporine,
gonnelle e falpalà per ricoprire le nudità,
— Quel tondo balconcino si protende,
come desiderando, all’infinito:
inghirlandato di vite dà passo alle belle fiorenti
rose in vestaglie orientali affacciate,
con variopinti ventagli sfarfallanti
in un profumo muschiato crepuscolare,
— Viene sospesa la voce lontana nell’aria
rauca e dolce di un campanile:
si anima un casolare sull’opposta pendice
l’azzurro peregrino s’abbioscia dietro i colli:
tornan le Rondini sopra al comignolo:
la casina si ammuta, si spegne il focolare.
reciproche confidenze permalose
tra i viticci, le grappe di fresco fiorite,
le magnifiche rose voluttuose. —
«Siedimi presso e ascolta;...»
libera e tutta mia e solitaria e pura
per amar l’infinito insospettato:
poi tu mi impiagherai colla tua volontà;
lasciami amare il sogno sopra la realtà.»
quanto incomincia da questa sera
ti è sconosciuto, ti si rivela
tragico e oscuro, ma è una sincera
corrispondenza di cui t’assicuro.»
ch’io dispongo per me?
in cui mi possa odorare fresca, intatta e difesa,
come un fiore si odora alla brezza,
se ritorna impregnata di polline
a sfiorarlo di un’altra carezza?
Fragile e inconscia feminilità,
starò per sempre aggiogata al trionfo
della fredda ragione positiva,
come la Vergine bionda e passiva?»
«Ora ti vestirai del mio spirito ardente.
Tu ti raddoppierai armata e corazzata in contro all’avvenire.
La legge di natura comanda il sacrificio rituale
della vittima prona sull’ara del talamo:
l’estetica d’amore si compiace e prepara
se spicco un fiore novello dal cespo
la ferita ne autentica l’ingenuità.
Sempre una croce rossa sul labaro accampa
ogni e qualunque salvazione;
e sulle arrese tristi della vita,
dal cuor della sconfitta, trombetta una vittoria
e la bocca commossa che piange
anche osanna, tra le angoscie, alla gloria.
E tu sarai colei che mi redime
col martirio d’amore dalle scorie melmose del passato.»
tu mi richiedi, tu vuoi ch’io sparga
senza conoscerti, senza saperti?
Ti ho scorto un poco a balenare
ti ho rilevato strano ed ambiguo,
dentro le cifre solite delle attenzioni convenzionali,
dentro l’intrico dello zodiaco matrimoniale.
Mi hai tu guardata nelli occhi a fondo?
So certamente il colore io de’ tuoi?»
«Eccoti tutte e due le mie mani.
Ho molta esperienza;
diffido della scienza che si impara sui libri.
Ho ceduto all’inganno e al capriccio
dell’ora morbida che ci affattura,
e vi cederò ancora.
Passò l’aurora di lucide porpore
e mi ha ingannato; ripasserà ancora.
Sfumarono i crepuscoli violacei
in altre sere, come queste tenere,
teneramente verdi e costellate;
ed ho creduto ad altre strane verginità;
ho pianto e ho amato, e mi hanno ingannato,
come sempre, così.
vorrei tornare a credere come un bimbo innocente alla tua beltà.»
«Amico, non è tutto.
Qualche cosa ti turba ed insiste
in fondo al tuo cuore; rivela,
se vuoi ch’io venga a te,
senza li stimoli di morbidi perché.
l’acre inganno del mondo che persiste
nel rauco della voce, nell’ironia d’uno sguardo,
nel goffo salutare, nel ricusare la mano,
nel sorriso accennato a fìor di labra,
nella tua reticenza, nella tua cortesia
amico, non è tutto; numera alla tua sposa
le cicatrici, le ferite che sanguinano ancora,
nel pugno la lanterna generosa della tua probità.
Io sono, vedi, la rugiadosa pervinca senza nome;
incomincio da qui la peregrinazione,
se tu mi condurrai, amico ricco d’istoria,
a visitare le anime delli uomini e delle cose.»
che tesson le labra e le cilia,
se sgusciano sguardi a promessa,
rischiara e invermiglia la bocca,
«Oh, il resto! dei sogni sfumati.
Il sogno è quanto occorra per vivere la vita
con minor odio, con maggior piacere:
è sogno il velo che copre ed espone
il corpo di Venere ignudo e costumato,
fasciandogli d’azzurro le macchie villose e salaci
Di sotto ai veli strologai Venere:
l’ho scambiata per stella intermittente,
un Gran Mogol disposto in sullo scrigno
del cielo spalancato ad ogni cupidigia:
per cucirla alli stracci mascherati di una vecchia Bohême,
tra i seni flosci di Mimi Pinson:
ma vi punsi le dita e mi abruciai.
Pericoloso acrobatismo, temeraria ginnastica di lirica;
si ricusaron l’ali al vento critico della modernità.
Onde scopersi, in serie, dalla ufficiale cosmogonia
assegnati ai divani de’ salotti per bene,
li spunti regolari della palinodia,
del dolce viver borghese in pose oneste,
giovanette indecise e promettenti,
per essere allevate alla parata matrimoniale;
per sopperire al vuoto delle vane blandizie,
rifeci un paesaggio in casa mia
e mi son persuaso che tutto s’assomiglia;
e ritornai tra voi, dove ben si sbadiglia,
mascherando la noja colla mano,
per riverir l’industre ciarlatano della opinione pubblica...
«Dopo tanto viaggio rinfrancare il coraggio
per un’altra e più lunga navigazione?
Questo il ritorno e la partenza questa,
nello stesso momento, in questa sera?
Amico, a me, che hai tu lasciato?»
«Cara, il piacere d’avermi per interprete;
traduco i geroglifici del sogno nella lingua comune.»
«Ahimè, sognare... dimenticarmi
di quest’ora terrena che scocca,
il mio dovere e mi costringe baci sulla bocca.
Le tue mani mi abruciano le mie;
lasciale libere esposte alla notte!»
Mi suggeriscono le tue pupille;
non chiudere delli occhi i rosei calici;
accogli le metafore e non prendere freddo.
«Vorrei riabbracciar tutto il Cielo
in questa immensa serenità di stelle
e gelare con quelle;
vorrei passeggiare i ghiacciai
della celeste Esperide selvaggia!»
«Vorrei portarti con me
d’estate a Saint-Moritz, d’inverno in Riviera;
vorrei potermi con te affidare
dei bianchi paquebots della Navigazione Generale;
in lussuoso yacht privato e snello
pei palmizî d’Algeri, per le vigne di Malaga,
libero come l’aria, ciarliero come un fringuello!»
il Cielo è più vicino!»
Bada, la camicietta traforata
copriti, cara, ti raffredderai.
Del resto, dentro al lessico fornito dalla mia erudizione
ripescherò i miraggi delle antiche favole,
Non dubitare, trarrò profitto dalla letteratura
perché tu possa dimenticare
la cotidiana banalità della borghese risciacquatura.»
«E allo sposo acconsenti?»
il dolce supplicar delle pupille?»
silenziosa e mia per amar l’infinito!»
«Ma domani sarai e più casta e più pura.»
«Che è mai la castità?»
«Che la sincerità?»
«Oh, la sincerità
è l’ultima nozione che s’impara
l’ultima furberia e la maggiore
dovrebb’essere, pare, la dote più preziosa
è l’ultima parola vittoriosa
che riscatta il peccato e l’adulterio,...
quella che invano ti ha fatto imparare la madre...»
strologare nel bujo avvenire?...
Accendi i lumi: le stelle impallidiscono:
hai ragione son troppo scoperta
per offerirmi al Cielo come amante.
Il suo bacio gelato mi estenua.»
d’ampie foglie insaldate ed incannettate
come enormi collari spagnoleschi,
economici cavoli dell’orto famigliare?
I pasticcini che si indorano al forno,
farciti d’albicocche; e il suggestivo déshabillé
di merletti e battiste a buon prezzo,
tenero aperitivo dalla cena al talamo,
protocollati pretesti e perché?
Termineremo col conoscerci a fondo:
saprai tutta la casa del marito,
lo zigaro e il tabacco preferito,
Egli ti parlerà di Budda e di Cagliostro senza distinzione;
cuoceranno al tegame i maccheroni,
e, mentre scalcherà una pernice,
scanderà in versi d’oro le virtù dell’Araba Fenice.»
«Per tanto poco lasciare la notte!
Domani un’ora ancora libera e tutta mia
per amar l’infinito e l’impossibile!»
di un egoismo roseo di fanciulla!
Vieni, ci immolla la rugiada, cara:
Colomba, ora ci ha acceso la lampada;
turgida, dentro il globo d’alabastro,
consentirà benigna a’ tuoi pudori.
di sera è nocivo l’olezzo dei fiori.»
Sono in fatti tornate persuase
le Rondini tenaci all’abitudine:
nel cavo delle tegole comincieranno domani i nidi.
Tacciono e sognano covate prolifiche.
Il gelsomino di notte sviene per l’eccessivo profumo.
Le fogliole più tenere, glauche sensitive,
si raggricciano pavide alla brezza.
Rabbrividisce la nuca di Biondina
sotto ai riccioli biondi elettrizzati
alla più lunga e più intensa carezza.