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Dei crisantemi che si sfogliano ed agonizzano in una opalizzata coppa di Murano: un motivo lontano, dolcissimo e roco di organetto sul canto della via: delle trine semplici, ma industriate di argento e di seta violacea; delle languide florescenze di parietarie che disbocciano sotto le pioggie autunnali; dei romitorî, delle chiesine in faccia al mare, dei vecchi alberi pensosi e delle miti croci su tombe esigue ed infantili nei cimiteri suburbani: codesta è l’Armonia in grigio et in silenzio di Corrado Govoni [Francesco Lumachi, editore in Firenze, 1903].
Qui è tutta una mite, profumata e cosciente originalità; nessuna imagine frusta, che prima i lessici della prosodia abbiano portato ad onore. Idealista, nel buon senso della parola, da ché il mondo è la rappresentazione di una personalità meditativa; l’autore rende, nella imagine, nella finzione, la sensazione che ha provato, e questa è distinta e propria al suo temperamento.
I classici ed i consuetudinarii non accetteranno buone queste strofe:
s’annegano nell’acqua vittoriosa.
Di lontano la sua malinconia
zoppica un organo di Barberia.
Il lume sembra un cero espiatorio
tra li oggetti pieni di scuse;
esse mi rispondono in vece e preziosamente ad un modo assai mesto ed assai semplice di un pensiero delicato e di un’anima che risponde a tutte le vibrazioni.
Certo, Verlaine colla sua teoria delle nuances e Maeterlinck dalle Serres Chaudes, inspirano da lungi il Govoni. Ma quelle sue monache vegliarde, che passeggiano nei chiusi dei chiostri,
e le sparse campane, da le loro
grigie casuccie da le porte chiuse.
che fanno la propaganda di morire, spatriano dai béguinages di Bruges chiusa e dolente, per venire ad ammalarsi, non di nostalgia ma d’indefinita e nascosta oziosità sotto ai cieli italiani. Ed amo raffigurarmi una cittadina dell’Umbria, tra l’ocra grassa dei campi ed il talco verde ed argentino delli alberi, che raccolga questa stanchezza di impuberi che non hanno ancora amato, di vecchie che se ne sono scordate, di vinte nella vita, o morte, o recluse, che sono indifferenti e riposano e si compiacciono della sola miseria di quella sconfitta
Vi si recitano dei salterii, e la cera cola lenta sotto il bacio della fiammella tenue ed instancabile, vi s’incontrano delle «candide clausure in miniatura», delle beghine freddolose ed incartapecorite, delle suore che hanno perduta la memoria dei loro anni e tutto è diffuso di una gran pace, nel vero, grande silenzio del raccoglimento e delle cose trapassate che ritornano vive nelle ombre e nei fantasmi del crepuscolo.
Corrado Govoni non assomiglia a nessuno; può essere fiero di questa sua distinta evidenza nelle minuzie e nelle piccole cose. Il suo mondo si racchiude tra le nubi angeliche ed azzurrine dell’incenso, in un muro bianco di orto conventuale, tra un fiumicello pigro e morbido, per dove vivono delle piccole anime assenti, degli esigui misteri, rivelati più tosto da un profumo di lagrime e dal murmure di una preghiera che dal rimorso o dal rammarico. Misticismo? Abbandono disperato, sotto la rassegnazione, della gioia di vivere, di vivere alacremente e fortemente?
Diffusa armonia malinconica: essersi fabbricato una casetta di faccia ad un cimitero ed amarne la vista: considerare la morte come un necessario trapasso forse più giojoso della crisi abbruciante della vita; uscire, per volontà di pensiero, dalla esistenza comune ed aver parole umane che sappiano discorrere colla umanità che non è più.
— Ines — Jole — si legge: — quindicenne
e sedicenne — La fotografia
loro è paradisiaca. Chi venne
a rapirle sì tenere? È defunto
pure il padre. La sua fisonomia
è incorniciata dentro un ricongiunto
smalto tra due foderi scarlatti
di porcellana con degli elicrisi.
E, oh, commovente! In alto dei ritratti,
nel quadro, si formò con i manelli
dei riccioli de le morte recisi
un salice piangente di capelli.
Nessuna nota violenta turba la commemorazione, naturale come la morte; le parole che l’affermano e che la piangono. Il risultato che ne ottiene è pieno e palese; la compartecipazione del poeta in quella sua natura, che egli si è fabbricata, nella quale crede e ritiene la realtà, è completa. Monotonia? Forse egoismo di uomo troppo sensibile: udite la dedica dell’Armonia in grigio et in silenzio: «Al mio bianco micio, affinché non mi graffi più le mani quand’io giuoco con lui ed impari a non voler più assaltare i poveri canarini ogni volta che li vede e a vivere sempre d’accordo con loro come fa colla colombina».
Metafora ed apologo; l’egoismo del Govoni è assai mite e profitta alle cose alate deboli e belle: or io mi permetto, vecchio ribelle per una forza anormale ed eccessiva, di lodare ed invidiare questo giovane monaco di poesia, perché si accontenta e sta bene nella sua piccola orbita elegante ed impeccabile e si dimostra libero in una assoluta sincerità. La mia lode è incondizionata.