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Carissimo fratello in Orsaggine;
Un sole lucido e giovanetto; delle brezze fresche e salate, qualche goccia di pioggia, lagrime d’inverno piangente alla troppo vicina primavera. Rispecchiarsi di marmi nell’acque, e l’acque tiepide e morbide come una verde carezza di alberi; scintille di metallo ai vetri ed all’acque, e lancie azzurre di palme piangenti e di cactus irrigiditi e superbi. Una atmosfera troppo serena; qualche cosa di troppo cristallino: l’italicità del sole, del cielo e del mare. Questa Genova. Nel momento ch’io non mi studio sono tutte queste cose perché mi lascio vivere e non domando che sia la vita. Io sono di tutti questi elementi, li sento quindi e non mi spiego la sensazione se non in un fremito indefinito, morbido, caro e squisito. Qui ho trovato de’ miei ammiratori: dove si va a ficcare l’ammirazione: nei Genovesi! E Carini a cui ho affidato il Florindo morente è tutto entusiasta della compositura che deve impersonare. Ed io credo fermamente che il Florindo si darà. Oh l’esperienza forse dolorosa di questa sintesi esposta brutalmente al pubblico! Sai tu concepire l’urlo d’indignazione del pubblico davanti a questa Sintesi dramatica? — Io dovrò godere un mondo, dovrò divertirmi delle imbecillità altrui come non mai.
Ti spedirò La Ville Morte: ahimé, morta cosa di non sincero ingegno. La mia Giuditta è tutta occhi, e vuole dall’occhi sapere anche l’impossibile. Si ricorda della Pina e la saluta. A te i cari saluti di tutti e due: scrivimi se puoi. Tuo