Elia Lattes
L'italianità nella lingua etrusca

I.

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I.

 

Che fossero etrusche, avremmo potuto risaperlo, come sembra, assai prima. La mummia era stata comperata in Egitto nel 1848-49 da Michele Baric', ufficiale di concetto pensionato della Corte viennese, e raccoglitore ad ore perse di quadri, vasi e anticaglie; la ereditò da lui nel 1853 il fratello Elia, vicediacono della diocesi di Diakovar, e la donò al nascente museo di Agram; dove separatamente, e la mummia, e le bende che ricoprironla un tempo, si riposero in due distinte custodie di vetro. Ivi le vide e svolse e studiò il Brugsch nel 1867 o 1868; e avverti pel primo «con sua grandissima sorpresa» come fossero coperte di una scrittura enimmatica, che sospettò «persino etiopica», senza disconoscere, pare, tuttavia che alcuni elementi mostravano figura «greco-europea.» Il Brugsch nel 1872 chiamò sul «tesoro nascosto» l'attenzione della Società orientale alemanna; inoltre, incontratosi per viaggio con R. F. Burton, morto console inglese a Trieste, gli narrò il caso, che a costui appunto riuscì di molto interesse, perchè tutto inteso a rannodare, secondo una sua immaginazione, le nordiche rune con certe scritte arabiche, segrete, sopra foglie di palma. Ne conseguì, che nel 1879, fra i documenti di quella teorica, pubblicò il Burton parecchi facsimili delle misteriose combinazioni grafiche di Agram; e sta il fatto, poco lusinghiero per la scienza moderna, che da essi, da altro facsimile fotografico divulgato, dieci anni dopo, col catalogo del museo, nessuno cavò nulla; quantunque l'ultimo contenesse le parole: Aiseras e hilar, note da un pezzo agli etruscologi. Sta però insieme, che come il Burton conchiuse conghietturando trattarsi di cosa arabica o nabatea, così ad Agram chi parlava di «caratteri finora indecifrati, unico esempio di un ignoto alfabeto egizio,» e chi «di caratteri greci misti a ieratici.» D'altronde, come mai sarebbesi sperato soccorso al futuro Edipo etrusco dal paese della Sfinge?

Tanto maggiore apparisce pertanto il merito del Krall; il quale impetrato nel 1891 l'invio a Vienna delle fasce monumentali, vi si affaticò intorno «per oltre un anno, senzachè l'inestricabile loro aspetto e la scrittura fortemente svanita lo scoraggisserocolla giusta preparazione e colla calma spregiudicata del filologo di buona scuola: sicchè, dopo non molto, mentre attendevasi di trovare «un testo libico, o cario, od anche paleocoptoriconobbe che dei caratteri dava ragione, fra tutti gli alfabeti, soltanto l'etrusco, e che doveva probabilmente essere etrusca la lingua d'un documento, dove, fra l'altro, occorrevano le parole: eslem zathrumis, usate in un epitafio di Bomarzo per indicare l'età del defunto. Messo così il Krall sull'avviso, gli crebbero sottomano le prove, per le quali diventò certo il probabile; tardarono le riprove, che insieme dimostrarono il certo essere anche pienamente genuino. Sin da principio infatti, lo scopritore prudente, meravigliato egli stesso della singolare trovata, erasi chiesto se per avventura non gli stesse davanti l'opera d'un falsario. Ora accadde che, mentre ogni dubbio in tale riguardo gli veniva escluso dalla condizione della Mummia, e dalla qualità sì della tela e sì dell' inchiostro, chi scrive queste pagine, avuta liberalmente antecipata comunicazione del cimelio per anco inedito, potè avvertire e annunciare, come si contenessero in quelle parole e frasi incontrate fino allora soltanto nel piombo di Magliano; e però a tutti sconosciute fino al 1884, quando questo si rinvenne, laddove le fasce studiò il Brugsch nel 1867 e pubblicò in parte il Burton nel 1879. Ancora chi scrive ebbe poi la doppia fortuna, sia di trovare nell'iscrizione maggiore di Novilara, a tutti ignota fino al 1893, declinata una voce etrusca (kalatnenis) di cui nessuno sapeva prima delle fasce (calatnam); sia di notare, nella medesima occasione, come l'epigrafe reto-etrusca della situla tridentina offrisse, in parte declinata, in parte coniugata (vinutalina trinache) una frase caratteristica, tre volte ripetuta in quelle (vinum trinum o vinm trin).

Furono undici le bende che la Mummia di Agram restituì coperte di scrittura, insieme ad una moltitudine di altre alquanto diversesottostanti, conghiettura il Krall, alle scritte — e prive affatto di segni grafici. Le scritte, da lui ingegnosamente con molta fatica ordinate, secondochè minuti criteri estrinseci e intrinseci indicarono, formano parte di un pannolino rettangolare, diviso in dodici colonne, distinte da linee rosse a destra e a sinistra. Il testo. spesso lacunoso, ma abbastanza continuo, si presenta spezzato in sezioni, separate da spazi vuoti di uno o più righi, o almeno di mezzo rigo con sovrapposta linea punteggiata; con inchiostro rosso sono scritte anche le cifre, che qua e s'incontrano. Il resto del pannolino manca; e mancherebbe, giusta il Krall, la terza parte dell'intero libro linteo, a spese del quale si fecero le fasce: un libro, adunque, alla maniera di quelli del tempio di Giunone Moneta in Roma, su' quali stavano scritti i nomi dei magistrati annuali, secondo narra Livio sulla fede di Licinio Macro; e altresì alla maniera di certi rituali sacri dei Sanniti e degli Anagnini.

E un rituale appunto pei sacrifizi conghietturò il Krall subito, non infelicemente, potersi tenere eziandio il libro nostro, sì per la frequente ricorrenza delle stesse formole, sì perchè di frequente vi si menzionano note deità. Scritto forse fra il 250 e il 150 av. C., benchè composto assai prima, forse per mero caso gl'imbalsamatori egizi, trovatisi in qualche modo a possederlo, se ne servirono, come di materia fuori d'uso, per coprire ed involgere, secondochè noi sogliamo coi vecchi giornali: più probabilmente però, un etrusco, dimorante in Egitto, avendo voluto procurare alla moglie sepoltura conforme alle pratiche del paese adottivo, sopra la tela richiesta da quelle, pose, a ricordare la patria, le bende scritte giusta il costume di questa; ed anzi, conforme ad esso, le lacerò senza misericordia, sicchè di proposito le lettere di un rigo rimasero dimezzate fra due bende; e può anche immaginarsi, che la donna abbia in vita esercitate funzioni sacerdotali, e adoperato il libro appunto che avvolsela in morte. Certo è che la presenza di gente etrusca in Egitto non sorprende chi ricordi, come subito a me ricordò il nostro Brizio, essersi intorno al 1885 trovato colà uno specchio etrusco, e chi richiami insieme la grotta d'Iside a Vulci, e gli oggetti egizi per es. di Cere e Monteroni, senza dire dei Tursha di Karnak, Medinet Abu e Medinet Gurob ne' monumenti dei secoli XIII e XII av. C., e dai più fra gli egittologi e storici omai tenuti identici coi Tirreni o Tirseni-Etruschi. meglio sorprende che siffatta gente abbia potuto preferire la sepoltura egizia all'etrusca: tutti sanno invero come la religione degli antichi nostri non sia stata punto esclusiva, e come siansi essi sempre studiati di accettare dagli stranieri le deità e i riti loro propri; tutti sanno inoltre, come appunto gli usi funebri abbiano mutato coi tempi, e mutino pure oggidì, non solamente in una medesima città e in uno stesso popolo, ma sì ancora nella stessa famiglia, conforme alle necessità sociali ed economiche del momento, oltrechè alle dottrine teologiche filosofiche e igieniche prevalenti.

 


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