Elia Lattes
L'italianità nella lingua etrusca

VI.

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VI.

 

Non ci bisogna per contro oggigiorno rispondere, più che di passata, a due obiezioni, un tempo reputate assai gravi: cioè dire, la leggenda erodotea intorno alla provenienza lidia degli Etruschi, e certe esteriori concordanze del costume e dell'arte etrusca cogli usi e coll'arte di questo o quel popolo orientale. In effetto, per ciò che spetta alle concordanze nell'arte, ne' costumi, nei riti funebri, esse riguardano cose troppo mutevoli, perchè oggimai più alcuno storico o filologo ne faccia dipendere la decisione di capitali quesiti etnografici: accadde invero spesso riguardo a quelle, che le forme più diverse concorrano nello stesso popolo, nella stessa città e persino nella stessa famiglia; sicchè, ora le genti più prossime e affini in tale rispetto differirono, e per contro somigliarono le più lontane ed estranee; ora la somiglianza formale nascose una sostanziale disparità.

Quant'è poi al racconto di Erodoto, importa esso ancor meno al problema di cui si tratta: perocchè nessuno storico o filologo di qualche conto, salve ben rare eccezioni, da settant'anni a questa parte se ne diede carico, se non per tentare di spiegarne minutamente la formazione, e seguirne passo passo le vicende. Che cento antichi abbianlo ripetuto in tempi e luoghi diversi, lontani, vale soltanto per uno e non per cento; vale pur per uno la retorica affermazione di Seneca: «Tuscos Asia sibi vindicat», come quella che soltanto riassume il caso avvenuto imperando Tiberio; allorchè vale a dire, quei di Sardi, nella Lidia, per meritare fra dieci concorrenti città l'onore d'innalzare al principe un tempio, presentarono, narra Tacito, un decreto che affermavali «consanguinei degli Etruschi». Ora, codesto decreto non contiene pure ombra di tradizione indigena, ma è semplicemente un semi-dotto compendio della tradizione erodotea, ignota, ognun sa, a Xanto, storico «diligentissimo» della Lidia, e rifiutata da Dionisio, compaesano di Erodoto: ignota pertanto a tale, e da tale rifiutata, nei quali dovrebbero, pare, presumere sufficiente contezza delle tradizioni lidie almeno coloro, che delle antiche tradizioni mostransi cotanto teneri, da citare a catafascio tutti quelli che le ricantarono; quasi che l'essere vecchi e ignoranti sia titolo giusto di autorità.

Che nei tempi imperiali, quando e Roma, e la Casa regnante, e ogni città e borgata d', si gloriarono di rannodare le origini loro alla Grecia, all'Asia e alle peregrinazioni dei profughi Troiani, la narrazione di Erodoto abbia trovato credenza anche nella vanitosa e decaduta Etruria, torna tanto naturale, che appunto il contrario recherebbe non piccola meraviglia: per contro, riesce assai notevole che punto, poco, alla Lidia, e ben poco all'Asia stessa ed a Troia, accennarono, per quel che sappiamo, in tanto subisso di troianerie, le indigene tradizioni etrusche.

tuttavolta osiamo noi asserire che il racconto erodoteo della provenienza lidia degli Etruschi sia dimostrato ornai del tutto erroneo; - secondo usa oggi una scuola istorica benemeritissima, salvo forse in ciò che facilmente dalla critica trascorre all'ipercritica, e scambia spesso, direi, il sospetto di falso col falso provato - affermeremo che riducasi quello in ogni sua parte, o nelle più, al portato di una tarda e riflessa elaborazione letteraria, sicchè future scoperte non possano mostrarci in esso, ossia nei molteplici suoi elementi, ben più di vero che di presente ci sia dato vedervi. Come veri Etruschi si trovarono, contro ogni aspettazione, a Lenno; come già si sospettano fondatamente in più d'un territorio ariano; così potranno essi per avventura trovarsi anche nella Lidia, e potrà pure qualche gruppetto tirreno di Sardiani anche dare la mano a qualche simile o maggiore gruppetto abitatore della Sardegna. Ma nessuna scoperta, crediamo, potrà rialzare l'altarino delle origini lidie, almeno in quanto spetti alla lingua degli Etruschi d'Italia nei tempi storici: esso andrà, pensiamo, ad accrescere felicemente la sacra famiglia de' somiglianti oggetti immaginari atterrati dal piccone geniale dei maestri demolitori, e finora da nessuna scoperta, o geroglifica, o cuneiforme, o qual che si voglia, rilevati, checchè da taluno pretendasi, ad illusione di o d'altrui; ce ne assicurano le cose esposte nelle pagine che precedono e seguono.

Le quali, se provano, parmi, come sia ben fondata l'opinione dell'originaria italianità dell'etrusco, non bastano tuttavolta a farne un teorema dimostrato, o, meno ancora, un assioma istorico. Tale non potrà dirsi quella dottrina, sinchè, per quanto riguarda alla sostanza, la matassa arruffatissima dei numerali non siasi alquanto meglio dipanata, e sinchè non siansi chiarite le cause molteplici, per cagione delle quali la parola etrusca ora parve suonare, ora veramente suonò così disforme dalla latina, dall'umbra, dall'osca, che per tanta serie di secoli non si reputò italica affatto, tale oggi ancora da tanti si reputa. Di siffatte cause parecchie però già si vedono o s'intravvedono: così la scrittura spesso priva d'interpunzione; così la frequente omissione totale o parziale delle vocali, secondo certe regole, che a poco a poco si vengono discoprendo; così la probabile abborrenza dallo scrivere, specie sulla pietra, delle famiglie più antiche e nobili, e però altresì degli arricchiti loro imitatori. Di qui l'origine plebea de' più fra' testi etruschi a noi pervenuti, e la inclinazione ad abbreviare e racchiudere in minimo spazio, eziandio con artifizi stenografici, ciò che pure alla per fine giovasse scrivere, sicchè insieme fosse come scritto e non scritto alla maniera degli Arvali di Roma, che mentre incidevano sul marmo ad onore de' loro dèi la memoria delle cerimonie per essi celebrate, espiavano ciascuna volta con rito peculiare il peccato dello scrivere, e l'offesa fatta alla santità della pietra col ferro portato dentro e fuori del sacro bosco.

S'aggiunge l'inevitabile varietà dei dialetti nel vasto territorio delle tre Etrurie, e la conseguente infiltrazione dei numerosi doppioni, specie sacrali, sia per effetto d'immigrazione e d'incrociamenti famigliari, sia per la prevalenza politica or dell' uno, or dell'altro capoluogo, sia per la superstiziosa adozione da parte o delle famiglie, o dei Comuni, di questo o quel culto altrui, insieme collo strascico delle precise formole e parole locali di esso proprie.

Infine, senz'escludere per l'etrusco le possibili future traccie dell'incontro di stirpe diverse, sopratutto forse l'arcaismo conferì a sfigurarlo; e vuol dire insieme notevole abbondanza di corrosioni volgari e rusticane, quali, abbiamo nella parola romanza letteraria e vernacola: già infatti Dionisio conclude la sua descrizione dell'uso etrusco, dicendo che fu «in tutto arcaico»; e fu antiquata la frase dell'avvocato romano, onde risero grassamente, «quasi si trattasse d'etrusco», gli uditori di Gellio; e già d'altronde Cicerone avvertì, come gli arcaismi di Plauto uscissero di bocca alle nonne di casa e ai campagnuoli.

Non basterà tuttavia la buona e chiara sostanza perchè si radichi la persuasione della italianità: richiederassi ancora la bontà e chiarezza della forma, che in siffatte indagini diviene alla sua volta parte efficacissima della sostanza, e non si può conseguire, se non dopo lunghe e ripetute prove di maturata elaborazione. Solo allora infatti chiara e buona sarà divenuta quella, quando vadano per le anime di tutti gli studiosi insieme col primo abbozzo della grammatica e del dizionario, riunite in un solo volume la traduzione e il commento delle maggiori e minori epigrafe etrusche contenenti parole comuni, e la classificazione sistematica de' tanto numerosi testi meramente onomastici, secondo il vario tipo delle nomenclature.

Già però anche in questa parte mostrammo omai di trovarci, per nostra ventura, a buon porto: perchè omai qua e sparpagliatamente, in una farraggine di libri e libretti, di opuscolini e libracci, tutti quasi quei documenti sonosi dei nostri saggiati, e quant'al senso letterale, e quant'al concetto, e quanto alla grammatica; e di taluno più cospicuo, o per intero, o in parte, la versione continua e la minuta dichiarazione stanno da tempo in mano anche agli oppositori, mai alcuno sorse finora a combatterla, più che indirettamente con pregiudizi vaghi e campati in aria. La loro profezia, che nessuna più lunga ed intricata epigrafe etrusca sarebbe omai stata salva dalle nostre profanazioni, già si avverò e la promessa del primo editore dell'epitafio di Laris Pulena, ch'egli crederebbe svelato l'arcano dell'etrusco idioma, quando quello si fosse potuto interpretare, può essergli oggidì, sino ad un certo punto, ricordata. Dico però: sino ad un certo punto; e intendo all'incirca il punto, cui lodatamente si pervenne, dopo lunghe e ripetute cure d'ingegni elettissimi, per le parti più oscure delle tavole umbre di Gubbio e de' monumenti oschi, e dei più antichi latini.

E come nella intelligenza di questi con molta lentezza giorno per giorno sicuramente si progredisce, così si progredì e ognor più si progredisce nello stenebrare i testi etruschi; e più sempre si progredirà, sopratutto se nuove forze a noi si aggiungano, e se, mentre felicemente procede la nuova raccolta critica delle iscrizioni etrusche, testè sotto lieti auspici iniziata dal Pauli, si cesserà di predicare ai giovani per allontanarli dalle eretiche nostre carte che il fondamento nostro, ossia la somiglianza di molte parole e forme etrusche e latine, sia mera parvenza.

 


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