Se chiudo gli occhi a
pensare
quale sarà il
mio domani,
vedo una larga strada
che sale
dal cuore d'una città
sconosciuta
verso gli alberi alti
d'un antico giardino.
Sole, sole violento
e in fondo
le ombrelle nere dei
pini
che macchiano
l'azzurro.
S'agita nella strada
una folla d'ignoti
passanti:
ma nessuno mi guarda,
nessuno mi chiede
di me,
del mio pianto,
di tutto il pianto
che fu versato
quando dovetti lasciare
il mio paese lontano.
Oggi io cammino
senza piangere più
e non m'importa, non
m'importa
che l'anima non abbia
nulla di suo,
nemmeno più il
dolore:
oggi tutta la vita
mi pulsa nel palmo
d'una mano,
mi trema in cima alle
dita
che serrano
teneramente
la manina della mia
creatura.
Oh bimbo, bimbo mio non
nato,
la tua mamma non sa
che viso avrai,
ma la tua manina la
sente
per ogni sua vena
leggera
come un piccolo fiore
senza peso.
La mamma oggi è
venuta
a prenderti alla scuola
(da così pochi
giorni ci vai!
ancora, la mattina,
quando resti là
solo,
fai con la bocca un po'
di mestolino);
la mamma oggi è
venuta
a prenderti all'uscita
ed ora si ritorna a
casa insieme,
adagio,
per non stancare
le tue gambine corte.
Vedi, piccolo: bisogna
che saliamo
tutta questa lunga
strada.
Quando saremo in cima,
entreremo nel vecchio
giardino,
sotto gli alberi neri
neri;
lo traverseremo tutto;
usciremo dal piccolo
cancello
in fondo all'ultimo
viale:
fuori,
sul ciglio del primo
prato,
c'è la nostra
casa.
Bambino, quando saremo
giunti
alla nostra casa,
dopo tanto salire,
io ti solleverò
alto da terra,
ti metterò nelle
braccia
di chi è lassù
ad aspettare,
gli dirò: Vedi,
vedi che cosa ti ho
portato?
E l'anima,
donato il suo ultimo
dono,
resterà nuda e
povera
come la spiga vuota.
Ma tu, tu, creatura,
nelle piccole mani
porterai,
fiore della rinuncia
mia,
tesoro di tutti gli
umani,
una speranza di Bene.
Milano,
27 marzo 1931