Antonia Pozzi
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L'ora di grazia

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L'ora di grazia

 

 

 

Tetraggine lenta, sfinita

di un cortile umidiccio

in maschera di giardino;

ostentata verdezza

di un fico sterile

che non sa né il vento né il sole;

malinconia di una piccola finestra a ogiva,

di un ballatoio ingombro di foglie morte,

di un povero tralcio nero inchiodato al muro

che sopra al ballatoio si sfa

in quattro pampini vizzi.

Qui l'ora di grazia non può essere

se non l'ora delle campane:

quando la sera, cantando,

si getta dalle torri incombenti

e come acqua ricolma

ogni fossa terrena;

quando su ogni stento terreno

che duole in maschera di ricchezza

la sera, come acqua, riflette,

dal cielo al fondo, qualche raggio di stella.

 

Milano, 7 novembre 1931


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