Orso Mario Corbino
Nozioni di Fisica per le scuole secondarie Vol. I

ACUSTICA.

111. Risonanza

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111. Risonanza. — Qualunque corpo capace di vibrare, messo in presenza di un corpo vibrante, subisce la sua azione, cioè l’effetto delle successive compressioni e rarefazioni, ed esegue delle oscillazioni, dette forzate; è questo il caso delle membrane autoregistratrici di cui abbiamo più volte fatto parola. Ma quando il corpo influenzato è capace di emettere, se direttamente eccitato, un suono proprio di altezza determinata, allora le vibrazioni forzate cui esso può dar luogo per virtù di un altro suono riescono in generale insensibili, e diventano invece molto energiche qualora il periodo del suono influenzante è molto prossimo, o coincidente col periodo proprio del corpo. A questa sovreccitazione delle vibrazioni del secondo corpo si il nome di risonanza.

Noi ce ne possiamo rendere ragione nel modo che segue.

Sia A il corpo vibrante, e B un corpo in quiete capace di vibrare all’unisono. La prima compressione che giunge in B lo sposta alquanto dalla configurazione di riposo, e quando esso per la propria elasticità tende a tornarvi interviene, al tempo giusto, la rarefazione partita subito dopo da A e ne esalta il moto in senso inverso. Similmente agiscono le successive compressioni e rarefazioni partenti da A, poichè incontrano il corpo B nel momento più adatto per ampliarne il movimento, dato il sincronismo delle oscillazioni proprie di B e delle vibrazioni che riceve da A. A un certo punto l’ampiezza di B diviene costante; ciò ha luogo, come è evidente, quando l’energia che B riceve da A è uguale alla somma delle energie che B diffonde nell’intorno, e che dissipa dentro di per le sue imperfezioni elastiche.

Sperimentalmente il fenomeno della risonanza può essere dimostrato mettendo in presenza due corde tese, e accordandole all’unisono. Sull’una si disporranno dei pezzettini di carta a cavalcioni, e si pizzicherà l’altra col dito. La prima entrerà tosto in vibrazione, come è provato dal fatto che i cavalletti di carta saltellano vivamente; invece essi restano sensibilmente in quiete se si altera l’altezza del suono di una delle corde, col modificarne per esempio la tensione, e si disturba quindi il sincronismo.

Un’altra esperienza molto istruttiva è la seguente. Avvicinando un diapason a una provetta piuttosto lunga (fig. 94) il del primo sarà, in generale, rinforzato in modo appena sensibile. Ma se si versa dell’acqua nella provetta in modo da ridurre la lunghezza della colonna d’aria in essa contenuto, a un certo punto il suono viene fortemente rinforzato. Accorciando ancora la colonna l’effetto torna a sparire.

Or nelle condizioni per cui il suono è rinforzato è facile dimostrare che la colonna d’aria ha un suono proprio identico a quello del corista, come si può provare, in certa guisa, soffiando contro l’orlo del tubo, ma come è più esattamente dimostrato dalle seguenti considerazioni.

Una colonna d’aria, come quella contenuta in una provetta, può esser sede di onde stazionarie, come una corda, per la composizione delle onde che scendono con quelle che risalgono dopo la riflessione sul fondo. Ma mentre nel caso della corda potevan formarsi solo quelle onde stazionarie che consentivano la produzione di due nodi agli estremi, nel caso del tubo possono stabilirsi solo quelle cui spetta un nodo nel fondo, ove l’ultimo strato di aria non può vibrare, e un ventre all’estremo aperto, ove l’aria può oscillare liberamente.

E poichè tra un nodo e un ventre consecutivi la distanza è di un quarto di lunghezza d’onda, la lunghezza della colonna d’aria deve essere o o o in generale un numero dispari di quarti d’onda; poichè, se fosse pari, si ridurrebbe a mi numero intero di mezze lunghezze d’onda, e agli estremi si avrebbero insieme o due ventri o due nodi, e non un ventre e un nodo.

Si potranno quindi anche nel tubo determinare onde stazionarie corrispondenti a numeri diversi di vibrazioni, ma non a numeri qualsiasi; e precisamente, stabilito il suono fondamentale, si potranno ottenere il , il , il armonico e così di seguito per tutti quelli di posto dispari.

Quanto al fondamentale, esso deve avere tale lunghezza di onda che un quarto di questa sia eguale alla lunghezza della colonna d’aria. Or appunto, nell’esperienza della fig. 94, si può constatare che quando il corista vibrante messo avanti alla bocca della provetta è il corista normale, e prova il massimo rinforzo, la colonna d’aria è alta poco meno di 20 centimetri, cioè è precisamente 1/4 della lunghezza d’onda nell’aria del suono del corista (§ 108).

Quest’esperienza adunque prova che la colonna d’aria, capace di produrre un suono di egual periodo, entra in vibrazione per risonanza col diapason, e nell’aria ambiente i due suoni si sommano causando il rinforzo. La cassetta di legno su cui si suole fissare il diapason (fig. 87) ha appunto la funzione di rinforzarne il suono, per risonanza dell’aria contenuta; e una funzione analoga hanno le casse in legno degli strumenti musicali a corda, le quali, per la forma complicata, son capaci di rinforzare, più o meno, tutti i suoni dallo strumento prodotti.

In verità qualche altra osservazione è necessaria, poichè potrebbe sembrare strano che mentre il solo corista si sente appena o non si sente affatto, l’intervento della provetta il cui suono è effetto del primo lo renda tanto più intenso da esser percepito facilmente anche in una grande sala; l’effetto apparisce troppo sproporzionato alla causa. Si noti però che il principio della conservazione dell’energia non è per nulla compromesso, poichè mentre il solo corista, una volta eccitato, è capace di conservare a lungo le sue vibrazioni e comunica all’aria una lieve energia vibratoria, ma per un tempo rilevante, la presenza della provetta aumenta moltissimo l’energia vibratoria dell’aria, ma il suono è di assai più breve durata; il che ha poi l’altro effetto che dell’energia impressa al corista nell’eccitarlo una parte minore si dissipa in esso per isteresi elastica.

In realtà bisogna tener presente che il lavoro eseguito per deformare un corpo elastico, se questo fosse privo d’isteresi e fuori della presenza dell’aria, si localizzerebbe eternamente nel corpo assumendo alternativamente la forma di forza viva, quando le particelle vibranti hanno la massima velocità, e di energia potenziale elastica, quando le particelle hanno per un istante la velocità zero e il corpo la massima deformazione. A causa dell’isteresi, e in presenza dell’aria, una frazione molto piccola di quella energia viene a ogni oscillazione trasformata in calore nel corpo e irradiata come energia vibratoria nell’aria ambiente. La presenza della provetta, capace di vibrare per risonanza, ha per effetto di aumentare l’energia che il corista cede all’aria a ogni oscillazione, e perciò di esaurire più rapidamente l’energia primitiva ad esso comunicata nell’eccitazione.

Si intravede da questo che poichè con una lievissima spesa d’energia noi possiamo ottenere da un corpo sonoro, per un tempo notevole, l’emissione di un suono sensibile, l’orecchio ha la virtù di rivelare l’arrivo di minime quantità di energia vibratoria per minuto secondo, cioè di minime potenze.


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