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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
40. Fotometria. — La fotometria ha per oggetto di confrontare l’illuminamento prodotto da una sorgente, in una direzione determinata, con quello prodotto da una sorgente che si assume come unità di misura.
A questo scopo, praticamente importantissimo, corrisponde purtroppo una grande incertezza nelle definizioni fondamentali e nei metodi di misura. Per semplificarne l’esposizione ammetteremo che l’occhio sia in grado di riconoscere l’uguaglianza degli illuminamenti prodotti separatamente da due sorgenti su due metà di un unico schermo; una delle sorgenti, A, sia l’unità di misura; se l’altra B produce, alla stessa distanza, un illuminamento eguale, diremo che B ha l’intensità luminosa 1; se invece per avere l’eguaglianza d’illuminamento con B bisogna ricorrere a 2, 3, 4 sorgenti eguali ad A, diremo che B ha l’intensità di 2, 3, 4 unità. Diremo anche che B produce un illuminamento 2, 3, 4 volte maggiore di quello di A.
L’illuminamento di una superficie esposta a una data sorgente dipende dalla loro mutua distanza; e in modo tale che, come si può dimostrare sperimentalmente, per avere lo stesso illuminamento a distanza doppia occorre quadruplicare l’intensità luminosa della sorgente, a distanza tripla occorre invece moltiplicarla per nove e così via. Cioè: le intensità luminose di diverse sorgenti, capaci di produrre lo stesso illuminamento a diverse distanze dallo schermo, sono proporzionali al quadrato della rispettiva distanza. O anche: gli illuminamenti prodotti da una stessa sorgente a diverse distanze sono in ragione inversa del quadrato della distanza.
Se la luce emessa viene assorbita da uno stesso corpo assorbente a diverse distanze e trasformata in calore, il calore ottenuto è pure in ragione inversa del quadrato della distanza. E invero lo stesso cono di raggi che investe a una data distanza una superficie di 1 cm2, e trasporta una determinata quantità di energia, coprirà a distanza doppia una superficie di 4 centimetri quadrati, ciascuno dei quali assorbirà, perciò, un quarto dell’energia ricevuta alla primitiva distanza.
Anche l’inclinazione dello schermo sui raggi avrà influenza sull’illuminamento; riesce evidente invero dalla fig. 37 che la superficie inclinata AC riceve solo la quantità di luce che, nella posizione AB normale ai raggi, colpirebbe la sua proiezione AD.
La scelta di una sorgente unitaria di luce ha formato oggetto di molte contestazioni, per la difficoltà di trovarne una veramente costante ed esattamente riproducibile.
In Francia si adottò come campione di unità d’intensità una lampada a olio di colza, costruita da Carcel, e osservata in direzione orizzontale; la lampada campione deve avere determinate dimensioni e consumare 42 gr. d’olio all’ora. In Inghilterra e in Germania si adottarono speciali candele di bianco di balena e di paraffina. Un’altra unità molto usata è la luce emessa dalla lampada Hefner ad acetato di amile; ma fu adottata come unità internazionale, nel Congresso degli Elettricisti del 1881, l’unità Violle, cioè la luce emessa normalmente da un centimetro quadrato di platino alla temperatura di fusione. Per gli usi pratici s’introdusse la candela decimale, che è però un ventesimo dell’unità Violle. Espresse, in candele decimali, le altre unità valgono: Unità Violle 20; Hefner 0,885; Carcel 9,62; Candela inglese 1,14.
L’illuminamento
prodotto da una candela decimale su una superficie normale ai raggi e distante
1 metro si prende come unità degli illuminamenti, e si chiama 1 lux. Si
è trovato, per es., che l’illuminamento di una superficie esposta al Sole, a
mezzogiorno, è di 70000 lux; quello di un bel chiaro di luna è 0,15 lux; quello
di un ambiente ben esposto in una bella giornata è da 100 a 400 lux; e che
infine il minimo illuminamento necessario, per l’igiene, alla lettura è di 10
lux.
Si noti però che mentre l’occhio può con sufficiente esattezza decidere dell’eguaglianza, o meno, di due illuminamenti, la sensazione non può affatto servire per riconoscere se uno dei due è, per es., doppio, o triplo d’un altro.
È perciò che nelle misure fotometriche, come processo generale, s’illuminano con le due sorgenti da confrontare due regioni contigue d’uno schermo, e si varia in modo misurabile l’illuminamento prodotto da una di esse finchè le due regioni adiacenti appariscano egualmente illuminate.
La variazione misurabile dell’illuminamento prodotto da una delle sorgenti può ottenersi nel modo più semplice facendo variare la distanza tra la sorgente e lo schermo; ma l’uguaglianza può essere stimata con sufficiente sensibilità ed esattezza a condizione che gl’illuminamenti non siano nè troppo deboli nè troppo forti, che le due regioni siano osservate con lo stesso occhio, e infine che le due sorgenti non siano diversamente colorate. Se quest’ultima condizione non è soddisfatta, i risultati perdono ogni sicurezza, a causa di alcuni fenomeni psicologici molto complessi che mettono in difetto i principii fondamentali della fotometria stessa.
Nel fotometro di Foucault le due sorgenti illuminano le due metà di uno schermo in vetro smerigliato, che si osservano dall’altra parte; l’eguaglianza è ottenuta spostando sopra un regolo graduato la sorgente di cui si cerca l’intensità; la legge delle distanze permette di dedurre facilmente il valore di questa rispetto all’altra che può essere l’unità di misura.
Altri fotometri utilizzano le disposizioni più svariate; segnaliamo quelli di Bunsen, di Weber, di Lummer.