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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
111. Teoria della pila. — La corrente elettrica generata dalla pila nel circuito metallico esterno continua nel suo interno, producendo dei fenomeni elettrolitici, come in un vero voltametro. Le nozioni apprese sui fenomeni chimici che si producono nei voltametri ci mettono adesso in grado di esaminare il meccanismo col quale l’energia chimica si trasforma, nella pila, in energia elettrica.
Se
esaminiamo infatti una pila di Volta che abbia funzionato per qualche tempo,
noi potremo constatare che parte della lamina di zinco si è sciolta nell’acido,
formando solfato di zinco, mentre dalla pila si è continuamente sviluppato
dell’idrogeno gassoso.
La corrente che circola all’esterno dal rame al zinco, traversa la pila, considerata come un voltametro, dallo zinco al rame; (fig. 139) cosicchè quest’ultimo funzionerà da catodo e lo zinco da anodo. L’acido solforico sarà decomposto secondo l’equazione
dei prodotti dell’elettrolisi l’idrogeno si svilupperà al catodo, cioè sul rame, mentre il gruppo SO4 attaccherà lo zinco, portandolo in soluzione; e per ogni coulomb d’elettricità circolata si svolgeranno mg. 0,010368 d’idrogeno e si scioglieranno 0mg,3386 di zinco, essendo quest’ultimo numero l’equivalente elettro-chimico dello zinco.
Or una simile reazione, come si dimostra in Termochimica, è esotermica, cioè la sostituzione dello zinco all’idrogeno nell’H2 SO4 è accompagnata da sviluppo di energia. È appunto l’energia equivalente che si trasforma in energia elettrica, la quale alla sua volta si converte in calore nel filo metallico, e nel liquido della pila, che funziona anch’esso come una resistenza traversata da una corrente, e che subisce perciò l’effetto Joule come i metalli (§ 104).
In generale possiamo enunciare che quando le reazioni chimiche producentisi nel voltametro sono di natura endotermica, il voltametro è un ricevitore d’energia elettrica, che trasforma in energia chimica; quando invece le reazioni sono esotermiche, allora il voltametro è da sè una pila, o un generatore d’energia elettrica, trasformando in questa la sua energia chimica. E da questo punto di vista energetico il principio della conservazione dell’energia, associato col principio di Carnot, ha permesso a Helmholtz e ad altri di fondare la teoria termodinamica della pila, che è in grado di prevedere nei più minuti particolari il comportamento delle pile più svariate, e di calcolarne esattamente la forza elettromotrice.
Ma questa teoria, come avviene in generale per tutte le conseguenze dedotte dai principi della Termodinamica, mentre permette la previsione sicura e rigorosa delle leggi numeriche che presiedono al funzionamento della pila, non ci dice nulla sul meccanismo col quale ha luogo in essa la produzione di una forza elettromotrice, e la conseguente trasformazione d’energia chimica in energia elettrica.
Noi abbiamo già fatto cenno della controversia che si dibatte da più di un secolo sulla spiegazione di questo meccanismo, a cominciare dalla prima ipotesi del Volta, che cioè la sede della f. e. m. abbia luogo al contatto dei due metalli differenti. Da questo punto di vista apparisce però incomprensibile che la sede della f. e. m. sia proprio in quel contatto, mentre i fenomeni energetici che accompagnano la produzione della corrente si svolgono nel posto ove ha luogo l’azione chimica esotermica, cioè nella regione ove lo zinco si va sciogliendo nell’acido.
Noi non possiamo diffonderci sulle innumerevoli argomentazioni che sono state emesse su questo difficile argomento. Ma crediamo utile dare un breve cenno della teoria osmotica della pila, enunciata dal Nernst, che pur essendo stata avversata da numerose e non lievi obbiezioni, da parte specialmente della Scuola Francese, sembra adesso molto in favore presso la maggioranza dei Fisici, e ha permesso in ogni modo di prevedere molti fatti importanti, che l’esperienza ha in gran parte confermato.
Secondo il Nernst i metalli, immersi in una soluzione, hanno una specie di tendenza a cedere alla soluzione i propri atomi carichi di elettricità; così una lastra di zinco in una soluzione ha la tendenza a diffondere ioni di zinco, come un liquido nel vuoto ha la tendenza a evaporare. Ma se il metallo è la soluzione sono isolati, gli ioni che si staccano del primo, e che son carichi d’elettricità positiva, sottraggono elettricità positiva al metallo e la trasportano al liquido, cosicchè a un certo punto si stabilisce una differenza di potenziale tra il metallo e il liquido, e quindi una forza elettrica che impedisce ad altri ioni di abbandonare il metallo, quando la forza stessa, con cui son trattenute dalla lamina a un potenziale negativo, compensa la tendenza alla dissoluzione.
Così introducendo una lamina di zinco nell’acqua acidulata, esisterà una differenza di potenziale tra il metallo e la soluzione, e il primo sarà negativo per aver perduto ioni positivi. Se ora si introduce una lamina di rame, questa ha minore tensione di dissoluzione dello zinco; acquisterà perciò anch’essa un potenziale più basso di quello del liquido, ma pochissimo diverso da questo. Siano ad esempio 0 e —10 il potenziale del liquido e dello zinco; e sia —1 il potenziale del rame, più basso di quello del liquido. È chiaro che il rame si troverà a un potenziale più alto dello zinco. Riunendo ora metallicamente il rame e lo zinco, questo riceverà dal primo cariche positive, e si attenuerà con ciò la sua differenza di potenziale col liquido; nuovi ioni di zinco passeranno quindi in soluzione, mentre questa restituirà al rame le cariche positive, ricevute dallo zinco, per mezzo dei suoi ioni positivi d’idrogeno che si svilupperanno sulla lamina di rame. In realtà, perciò, mentre nella soluzione erano prima vaganti gli ioni H+ e gli ioni SO4- -, durante il funzionamento parte dei primi vengono scacciati e sostituiti da ioni Zn, che il metallo tende a spingere nella soluzione, riuscendovi solo quando la soluzione gli restituisca le cariche elettriche che essa acquista e lo zinco va sempre perdendo. La lamina di rame ha appunto questa funzione di ponte, per la carica positiva, dalla soluzione al metallo.
Questa teoria è stata svolta dal Nernst con grande estensione, e applicata al calcolo delle forze e. m. delle combinazioni voltaiche più complicate.