Orso Mario Corbino
Nozioni di Fisica per le scuole secondarie Vol. II

ELETTROTECNICA

Le lampade elettriche.

165. Il fenomeno dell’arco

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165. Il fenomeno dell’arco. — Questo fenomeno meraviglioso fu scoperto dal Davy nel 1836. Rilegando agli estremi di un circuito due sbarre di carbone di storta appuntite, portandole in contatto, e poi staccandole un poco, se la forza elettromotrice agente nel circuito è superiore a circa 40 volta, si forma tra le due punte un’atmosfera di vapori di carbonio incandescente, e le due punte si portano a temperatura elevatissima, ottenendosi una luce abbagliante.

L’enorme calore svolto dalla corrente volatilizza tra le punte il carbone, e l’atmosfera di vapori così formata mantiene il passaggio della corrente, malgrado le punte non siano in contatto.

Per avere un arco duraturo è necessario andar avvicinando i carboni, allo scopo di compensare il loro consumo, abbastanza rapido in un gas come l’aria che li brucia. Le punte dei due carboni acquistano, dopo un certo tempo, degli aspetti notevolmente differenti (fig. 170); il carbone positivo, cioè quello rilegato al polo positivo del circuito, presenta come una cavità più o meno profonda e di forma irregolare, che prende il nome di cratere, mentre sul carbone negativo si produce come una prominenza appuntita, più o meno arrotondata. Tra le due punte si produce il vero arco, leggermente violaceo, e per conto proprio poco luminoso. Invece è più luminosa la punta negativa, luminosissimo, addirittura abbagliante, il cratere positivo, da cui emana la quasi totalità della luce dell’arco (l’85 per cento).

Parimenti, quando i due carboni sono della stessa qualità e di uguali dimensioni, il consumo del carbone positivo, per la volatizzazione e per la sua combustione, è circa doppio di quello del negativo.

La luce dell’arco elettrico presenta uno spettro continuo, solcato da alcune linee brillanti dovute al carbonio e ad alcune impurezze dei carboni stessi. In esso l’intensità delle radiazioni più rifrangibili è assai più grande che con qualunque altra sorgente terrestre; cosicchè tale luce è particolarmente adatta alla fotografia.

Dalla distribuzione dell’energia nei diversi posti dello spettro si può, in base alle considerazioni svolte nel § 66, dedurre la temperatura dell’arco e del cratere. Tale temperatura è stata anche valutata con altri metodi, e tutte le determinazioni concordano nell’attribuire al cratere una temperatura compresa tra 3500° e 3800°. E siccome, qualunque siano le condizioni di formazione dell’arco, la distribuzione dell’energia nel suo spettro è invariabile, pare che la diversa luminosità totale del cratere al variare della corrente, sia dovuta all’estensione di esso, mentre una superficie determinata di questo emetterebbe una quantità costante di luce. Così la temperatura del cratere sarebbe costante, qualunque sia la corrente impiegata, il che farebbe pensare che nel cratere avvenga un fenomeno a temperatura costante, forse l’ebollizione regolare del carbonio.

La costituzione dei carboni ha grande influenza sulle condizioni di buon funzionamento, e sul rendimento. Per favorire la formazione del cratere, che è di grande importanza per la luminosità, il carbone positivo, costituito di sostanza compatta e molto dura, porta un’anima di carbone più tenero e volatile. Inoltre il carbone positivo è ordinariamente più grosso del negativo, in modo che dei due se ne consumino eguali lunghezze, e che, collocando il negativo al di sotto, esso non produca ombra alla luce viva del cratere.

Anche nella fabbricazione dei carboni l’industria ha saputo ottenere eccellenti risultati. Con gli archi normali di 8 ampére, ottenuti con carboni rispettivamente di 12 e 8 mm. di diametro, il consumo orario è di circa 5 centimetri all’ora.


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