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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
13. I due calori specifici dei gas. — Risulta da quanto precede ancora una conseguenza importante. Se nel cilindro di sopra, che supponiamo contenga 1 gr. di gas, si impedisce allo stantuffo ogni movimento, e si scalda il gas di un grado a volume costante, occorrerà una certa quantità di calore, che sarà il calore specifico a volume costante. Ma se invece lo stantuffo è libero di salire, permettendo al gas di dilatarsi sotto una pressione costante, e si vuole ancora riscaldare il gas di 1°, evidentemente il calore richiesto dovrà essere maggiore, poichè oltre che ad accrescere come prima la forza viva molecolare, cioè la temperatura del gas, deve ancora servire a produrre il lavoro esterno di sollevamento dello stantuffo coi pesi sovrapposti. Cioè il calore specifico a pressione costante sarà maggiore di quello a volume costante, e la differenza deve dar luogo al lavoro esterno, in ragione di 1 caloria per ogni 4,18 joule di lavoro eseguito.
Or i due calori specifici sono effettivamente diversi, e se ne potè determinare il rapporto con dei metodi acustici che non possiamo qui riferire. Inoltre quello a pressione costante può essere misurato direttamente, come fece il Regnault, facendo circolare un peso noto di gas, riscaldato a una temperatura conosciuta, attraverso a un serpentino immerso nell’acqua di un calorimetro, e valutando le calorie a questa cedute. Sapendo il rapporto dei due calori specifici, e il valore di uno di essi, risultano entrambi noti; e quindi è nota la loro differenza, che si trasforma, per quanto si è visto, in lavoro esterno di dilatazione. Ma anche questo lavoro è conosciuto, poichè si sa qual’è la pressione, e qual’è la dilatazione che subisce per il riscaldamento di 1° un grammo di gas; si può quindi dedurne il peso che grava sullo stantuffo, di area nota, e il suo sollevamento per la variazione di temperatura.
Si può quindi calcolare quanti joule vengon prodotti da una caloria. Fu appunto così che Mayer eseguì la più antica determinazione dell’equivalente meccanico del calore, prima ancora delle esperienze del Joule, ottenendo all’incirca lo stesso risultato. Ciò prova che il lavoro si trasforma in calore, e il calore in lavoro, nella stessa misura, e costituisce perciò la giustificazione più soddisfacente del nostro criterio, di considerare cioè il calore come una forma di energia.