Michele Amari
La guerra del Vespro siciliano

VOLUME SECONDO

CAPITOLO XIX.   Carlo di Valois a Firenze, indi in Sicilia. Deboli effetti delle sue armi. Assedio di Sciacca. Postura e disposizioni di Federigo. L'esercito nemico si consuma sotto Sciacca. Proposte di pace e preliminari di Caltavuturo; abboccamento tra i principi; trattato di Caltabellotta. Esecuzione di quello. Convito del Valois a Messina. Riforma de' capitoli della pace, per voler di Bonifazio. Federigo, rimaso re di Trinacria, sposa Eleonora figlia di re Carlo. Principi della Compagnia di Romania. - Settembre 1301, alla primavera del 1303.

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CAPITOLO XIX.

 

Carlo di Valois a Firenze, indi in Sicilia. Deboli effetti delle sue armi. Assedio di Sciacca. Postura e disposizioni di Federigo. L'esercito nemico si consuma sotto Sciacca. Proposte di pace e preliminari di Caltavuturo; abboccamento tra i principi; trattato di Caltabellotta. Esecuzione di quello. Convito del Valois a Messina. Riforma de' capitoli della pace, per voler di Bonifazio. Federigo, rimaso re di Trinacria, sposa Eleonora figlia di re Carlo. Principi della Compagnia di Romania. - Settembre 1301, alla primavera del 1303.

 

L'ultima prova di Bonifazio fu di chiamar altre armi straniere. Voleva a un tempo soggiogar l'isola e rendere in terraferma d'Italia la riputazione a parte guelfa, abbassata in qualche provincia, rimasa in Toscana a primeggiar nel solo nome, per esser nata la divisione dei Neri e Bianchi; gli uni immansueti dal troppo favor del papa, gli altri mal celanti l'umor ghibellino. Perciò Bonifazio, che dopo la sconfitta del principe di Taranto s'era nuovamente rivolto ad implorare aiuti dalla casa di Francia, e vi avea mandato oratori suoi e di re Carlo1034, quando vide la Sicilia sempre più indomabile, e spregiarsi da' Bianchi di Toscana e legati e scomuniche1035, prese a sollecitare più caldamente Roberto conte d'Artois, che ritornasse in Italia con forze, dandogli a ciò per tre anni le decime ecclesiastiche di sue possessioni, e i danari di mal tolto1036; e maggiore assegnamento fece su Carlo di Valois, educato da fanciullo dalla romana corte a regie ambizioni. Costui, dopo il baratto, che si narrò, del titolo di re di Aragona con una figliuola di Carlo secondo e la contea d'Angiò in dote, si rese chiaro in arme nelle guerre d'oltremonti; e mortagli appena la moglie, pensò ritentar la via del trono, chiedendo la Caterina di Courtenay, pretendente all'impero greco, offerta una volta a Federigo, poi solennemente promessa innanzi tutta la corte di Francia a Giacomo, figlio del re di Maiorca, ch'indi a poco si fece de' frati minori, non sappiamo se per vocazione, o per dispetto dei disegni politici di Filippo e di papa Bonifazio che attraversassero il matrimonio1037. Il papa adesso allettava Carlo di Valois con profferta di stipendio, comando d'eserciti, uficio di senator di Roma, e altre dignità: gli promettea Caterina, quand'egli muovesse alla guerra contro Federigo; e chiaramente scrivea a' vescovi di Vicenza, Amiens e Auxerre che accordassero la dispensa, vedendo preparata l'impresa entro un dato termine, che più volte fu prorogato1038: gli facea sperare il conquisto dell'impero d'Oriente, con le medesime armi con cui combatterebbe in Sicilia: e parlò ancora d'elezione all'impero occidentale. A questi sogni aggiunse la realtà delle decime ecclesiastiche in Francia, Italia, isole del Mediterraneo, principato d'Acaia, ducato d'Atene, e fin d'Inghilterra; e la metà de' crediti della corte di Roma per decime su le chiese di Francia. Con tali sussidi assolderebbe il Valois cinquemila cavalli, per condurli in Italia. Il papa esortò Filippo il Bello e 'l clero di Francia a favorir l'impresa; prolungò a questo medesimo fine la tregua, che procacciato avea tra Filippo e 'l re d'Inghilterra1039.

Per tal modo, di settembre milletrecentouno, Carlo di Valois trovossi a corte del papa in Anagni, con re Carlo e' figliuoli; e fu chiamato capitan generale in tutti gli stati ecclesiastici, e rettore di Romagna, Marca d'Ancona, ducato di Spoleto e altre province, con larga autorità negli affari temporali1040. Non mancaron frasi a Bonifazio per mandarlo in Toscana, con titolo di conservator della pace, e vero uficio di tradimento e di violenza: cominciando la bolla con parlare de' Magi, di Salomone, della saviezza, della pace; ed esagerando i disordini, gli scandali, la disubbidienza, e anche la ingratitudine de' popoli di Toscana alle paterne cure del pontefice, che volea mantenervi la pace, e n'avea dritto, com'era noto ad ognuno, massime nella vacanza dell'impero1041. Si stabilì in questi consigli d'Anagni, che differita a primavera la guerra di Sicilia, svernasse il Valois in Toscana. Ito dunque di novembre a Firenze, ei fe' quanto vollero i Guelfi; cacciò i Bianchi, e tra essi quel sovran poeta, che stampava d'obbrobrio, fino alla consumazione de' secoli della presente civiltà, il nome del falso principe senza terreno. Resa tal tranquillità alla Toscana, tutta la benignità si rivolse alla Sicilia. Si rividero a Roma di marzo del trecentodue quei medesimi principi; ove Carlo II e Roberto prometteano al Valois d'aiutarlo all'impresa di Costantinopoli, ne' termini fermati tra Carlo I e Baldovino, e di non far pace con Andronico Paleologo1042. Allor mosse il Valois alla volta di Napoli, nel mese d'aprile. Alle armi preparate il papa aggiunse nuove scomuniche contro Federigo; la piena autorità del vescovo di Salerno legato pontificio1043; l'assoluzion de' peccati, come in crociata di Terrasanta, a tutti coloro che morissero ne' combattimenti di Sicilia, o combattessero fino alla compiuta vittoria1044. I soldati del Valois ebbon guarentigia da Carlo II, che venendo a morte nel territorio del regno, non si toccherebbero i loro beni, com'era voce che usasse la corte di Napoli verso gli stranieri; ma si disdicea e si chiamava aggravio ed abuso1045. Al medesimo tempo il re creava Carlo di Valois suo capitan generale nell'isola di Sicilia1046; gli conferiva pien potere di render la grazia regia a que' ribelli; di redintegrarli in tutte le facoltà, dignità, onori; di conceder feudi; perdonare a' rei di misfatti privati, ai ladri del danaro pubblico; assolvere i debiti de' comuni e degl'individui: largamente spaziandosi nelle lodi della propria clemenza verso quel popolo, che a punirlo secondo suoi meriti, avrebbe potuto spegnerlo di fame e di ferro, e diroccare le sue case1047. Finalmente prevedendo l'esito di tanto romore; e poco fidandosi agli auguri di gloria trionfante, con cui principiava le sue lettere al Valois, diegli di poter fermare la pace con Federigo d'Aragona, entro alcuni termini che non sappiamo; e anco promesse ch'ei non la farebbe senza saputa del Valois1048. In Napoli eran pronti, con le bandiere apostoliche, un'armata di più di cento legni grossi, torme numerose di cavalli, Roberto e Ramondo Berengario, figliuoli di re Carlo, baroni francesi moltissimi. Ed era il quinto o sesto formidabile sforzo, che i medesimi potentati, con gli stessi mezzi, movean contro Sicilia, contandosi già l'anno ventesimo della guerra del vespro1049.

L'avea affrettato Roberto, il quale, appena sottoscritta la tregua con Federigo, adunava in parlamento a Catania i capitani dell'oste, col cardinal Gherardo e' Siciliani di sua parte; e facea vanti in iscusa de' non lieti successi della guerra: tornerebbe immantinenti con forze potentissime; lasciar intanto in Catania, vicario il pro Guglielmo Palotta, e pegni dell'amor suo la Iolanda e Lodovico, da lei partoritogli poc'anzi in Catania. A Napoli l'accolser gioiosamente, come per vittorie, il re, gli ottimati, la plebe; ma stringendosi a consiglio, con parlare men gonfio, ei mostrava la necessità di nuovi sforzi estremi. I Siciliani allo incontro, ammaestrati dalle due sconfitte navali, e non potendo adunare un giusto esercito nell'isola occupata da varie bande, s'apprestavano a rifar guerra guerriata. Consigliavali ancora la sperienza del primo passaggio di Giacomo, fors'anco della guerra di Catalogna nell'ottantacinque, de' prodigi che operan poche bande agguerrite e risolute, in regioni montuose, tra siti forti, e universal simpatia de' popoli, che a te fornisce, toglie al nemico tutti i comodi della guerra, e finisce sempre con vittoria su la superbia soldatesca degli stranieri. Con tali disegni, Federigo girava per l'isola; sopravvedea le castella; iva esortando e infiammando le popolazioni delle città, che assaltate dal nemico, tenesser fermo, e non fallirebbe il re d'aiutarle; chiamate all'oste, pronte corressero. Spirata la tregua, Federigo nel cuor del verno, espugnò Aidone; Manfredi Chiaramonte gli racquistò Ragusa e con maggiore costanza per ogni luogo si ripigliavan le armi1050.

L'oste de' collegati, per disegno di Ruggier Loria, si drizzò contro val di Mazzara, prova mal tornata al principe di Taranto; ma parve da ritentar il paese, abbondante, fin allora queto, piano, agevole a' cavalli. Approdano dunque in sull'uscir di maggio a Termini, città a ventiquattro miglia dalla capitale; e se ne insignoriscono alla prima perchè il popolo non fece difesa, ascoltando un Simone Alderisio, traditore o codardo. S'accampò ne' dintorni, questo, dicono i nostri scrittori, innumerevole esercito1051, sì mal ordinato, che in certe feste, rissatisi tra loro Francesi ed Italeani, ne rimaser morti duemila1052; e fu mestieri aspettar di Puglia un sussidio di ventidue navi di grano, perchè si potesse muovere il pie' dagli alloggiamenti. Ma spargendosi per lo paese, altro acquisto non riportaron che di greggi e rustiche prede; perchè Federigo avea munito ottimamente ogni luogo; era venuto ei medesimo a porsi a Polizzi, non molto discosto da Termini, con provvedigione da durar tutto assedio. Perciò, andati i nimici a Caccamo, ne tornaron col peggio; per la fortezza del luogo e la virtù di Giovanni Chiaramonte. Voltisi a Polizzi, e mandato a sfidar il re, presentando battaglia nella pianura, n'ebbero accorta risposta: che aspettassero, e sì a tempo il vedrebbero. Non osando assediarlo in Polizzi, e volendo insignorirsi della città più importante nel gruppo dei monti occidentali dell'isola, mutarono il campo a Corleone. Ma prevennerli i nostri sì accortamente, che una man di cavalli, sotto Ugone degli Empuri e Berengario degli Intensi, era entrata già in Corleone quando mostrossi l'oste angioina; eran pronte le armi, i cittadini sulle bastite: e ricordavansi essere stati in tutta l'isola i primi a seguire il movimento del vespro di Palermo. Con questo animo, schiudono una porta al nemico movente all'assalto; entrato, lo tagliano a pezzi; nella quale zuffa il fratello del duca Bramante, mentre confortava i suoi alla carica, sul limitare della porta, fu morto d'un sasso scagliatogli da una donna. Dopo diciotto giorni d'assedio, con onta e perdita Valois si ritrasse1053.

E non guardate pur da lungi Palermo, Trapani, Mazzara, trapassò alla costiera meridionale dell'isola; e pose il campo a Sciacca, non per la importanza, ma per la facilità, dell'acquisto; potendosi insieme osteggiar con la flotta. Ma a Sciacca l'annunzio dell'assedio non avea punto sbigottito i cittadini, capitanati dal lor pro Federigo d'Incisa1054, che si rallegraron anzi di tal destro a spiegare, innanzi la Sicilia tutta, la loro virtù; stamparon bastioni e fossi; rabberciaron mangani e altri ingegni; in tutti i modi apprestaronsi al combattere. Con pari ardore veniano i nemici; ingaggiandosi i capitani tra loro, a non levarsi di Sciacca che non l'avessero espugnato: perchè parea agevole; e vergognavano che in cinquanta dallo sbarco, non avesser ferito un sol colpo con avvantaggio. L'armata angioina fece vela da Termini; occupò, non si vede a qual fine, la picciola terra di Castellamare; e senz'altra fazione surse alla spiaggia di Sciacca. Cominciato dunque l'assedio di mezzo luglio, si combattea vivamente ogni ; gli assedianti facean giocare lor macchine, davano spessi assalti: ed era nulla ai difenditori, confortati dalla vicinanza del re, venutosi a porre co' suoi stanziali a Caltabellotta, discosto nove miglia da Sciacca. Mandovvi poi Simone Valguarnera, con dugento uomini d'arme e più numero di fanti: il quale entrato di notte, a randa a randa la spiaggia, tra le poste nemiche, aggiunse tal franchezza agli animi de' cittadini, che molti duri colpi indi n'ebbero le genti collegate.

Più atroce danno patirono dallo stare in maremma scoperta, sotto l'arsura del sollione, in faccia all'Affrica; onde furiosamente s'apprese nel campo la mortalità de' cavalli, che allor travagliava molte parti d'Europa; e nacque anco una malattia che repente percotea gli uomini, e n'era a tale già il campo, da poter montare appena cinquecento cavalli. Federigo già ripensava alla vittoria del padre, allo scempio delle formidabili schiere di Francia sotto Girona. Montaner, con pueril zelo, qui scrive che il conte degli Empuri, Ruggiero de Flor, Matteo di Termini e gli altri capitani, stigassero Federigo a dar dentro, e sdrucire quello scheletro di esercito; e ch'ei negasse di portare tal onta a casa di Francia. Il vero è, che volea lasciarlo struggere tuttavia dassè; e comandava l'adunata di tutte le milizie feudali e cittadinesche a Corleone, per condurle a sicura vittoria1055.

Ma il Valois, come ciò intese, e vedea menomare di in le sue genti, parendogli vergognosa fuga se lasciato l'assedio si rimbarcasse, e inevitabil danno se aspettasse l'assalto delle nostre genti, pensò trarsen fuori con una pace; diffidando inoltre di Bonifazio, che l'avea frustrato nella speranza del governamento di Roma; e tardandogli di fornir bene o male l'impresa di Sicilia, sì che restasse libero a tentar acquisti per nell'impero di Oriente. Ristrettosi dunque con Roberto, che mal si piegava, come giovane e feroce, a lasciarbella parte del retaggio paterno, ricordavagli tutte le vicende della siciliana guerra; quant'oro, quanto sangue si fosse sparso senza poter mai ridurre quest'isola; e ch'or peggio dileguavansi le speranze, per essere stracco il reame di Napoli, esausto l'erario pontificio, caduta la riputazione di lor armi, e rinnalzata quella di Federigo, che saprebbe riassaltar le Calabrie, conturbare il regno, accender fuoco nell'Italia di sopra, col favor dei Ghibellini. Le quali parole non persuasero Roberto; ma il vinse la necessità dell'esercito, e l'autorità del Valois. Fors'anche era il caso assegnato per la pace nelle dette istruzioni del re. E certamente, o in Napoli quando si deliberarono le istruzioni, o a Sciacca, quando si usarono, per assentir tal subito fine della guerra, tal inopinato esito de' disegni della lega francese e guelfa, non solamente si risguardò alle condizioni dell'esercito, ma anco si conobbe troppo arduo partito il continuare l'impresa contro la Sicilia, pronta sempre a quella maniera di guerra, poco dispendiosa a lei, poco rischiosa; non così a' collegati che avrebbero avuto a rifare altro esercito, armar altra flotta, adunar altri tesori, mentre gli elementi della lega, come alla lunga avviene, tendeano a disciogliersi. Deliberato dunque l'accordo, Carlo mandava Amerigo de Sus, e Teobaldo de Cippòio, oratori suoi, a Federigo, che s'era tirato indietro a Castronovo per mettere insieme le sue genti1056. Federigo assentì il diciannove agosto i preliminari della pace, e che, ad ultimarla, venissero ad abboccamento con essolui Valois e Roberto; intanto si cessasse dalle armi.

E il ventiquattro, tra Caltabellotta e Sciacca, in certe capanne di bifolchi, vennero, con cento cavalli ciascuno, Federigo e Carlo di Valois; favellaron soli gran pezza; poi fu chiamato Roberto1057. forse senza pianto si incontraron questa fiata Roberto e 'l siciliano re, per la perdita di Iolanda, amorevolissima ad entrambi, giovane, bella, di santi costumi, genio di pace tra lo sposo e 'l fratello; e morta sola a Termini, mentre stava l'uno allo assedio di Sciacca, l'altro pronto a piombargli addosso1058. Non guari dopo, e in dolor pari, trapassò in Ispagna la regina Costanza, che nella pietà religiosa perdè quasi la carità di madre, non onorando nel testamento il suo glorioso Federigo, perchè era percosso dagli anatemi di Roma1059. Nell'abboccamento dei tre principi furon indi chiamati, dall'una parte Ruggier Loria, dall'altra Vinciguerra Palizzi, e poi più altri nobili e capitani. Trattarono alquanti ; poco mutossi da' preliminari: e fu fermata il ventinove agosto, giurata il trentuno la pace.

Per la quale restava a Federigo la Sicilia con le isole attigue, da tenerla, finch'ei vivesse, da sovrano assoluto, independente da Napoli e dal papa, con titol di re dell'isola di Sicilia, o re di Trinacria, quel più fosse a grado a Carlo II. Darebbe costui la figliuola Eleonora, in moglie a Federigo: a lor prole si procaccerebbe il reame di Sardegna o di Cipro, o si pagherebber centomila once d'oro: e allor dovrebbero lasciar l'isola di Sicilia. Renderebbersi da Federigo le terre occupate di dallo stretto; dagli Angioini quelle prese in Sicilia; e similmente, senza riscatto, il principe di Taranto, e da amendue le parti tutti gli altri prigioni: perdonerebbesi ai sudditi datisi al nemico; ma i feudatari perderebbero tutti feudi dal principe da cui si fossero ribellati. Da questo andarono eccettuati solamente, come avviene, i due più potenti, Ruggier Loria e Vinciguerra Palizzi; fatta ad essi abilità di tenere, il primo il castel d'Aci in Sicilia, l'altro Calanna, Motta di Mori, e Messa in Calabria. Sarebbero reintegrati, continuava il trattato, i beni ecclesiastici in Sicilia, allo stato innanti la rivoluzione dell'ottantadue. Il Valois si adoprerebbe a ottener la ratificazione di re Carlo e del papa1060.

Fu questo il trattato di Caltabellotta, o, come il chiaman anco, di Castronovo, per esservisi fermati i preliminari. Molto onore n'ebbero per tutto il mondo re Federigo e la Sicilia. E in vero la nazione, dopo venti anni, usciva gloriosa e vincente da guerradisuguale; Federigo, contro tal soperchio di forze collegate, si mantenea la corona sul capo: all'una ed all'altro tornava minor lode, dall'aver condotto a tal estremo, in tre mesi, il Valois, Roberto, Loria, tant'oste, tal armata; e piegato a lor volontà il superbissimo Bonifazio. si dica che non seppero i nostri usar la fortuna contro quel diradato esercito. Dovean essi negar bene una breve tregua, avvantaggiosa solo all'Angioino; era il contrario una pace, nella quale si asseguisse l'importanza di sgombrar via il nemico, e tener libera e tranquilla la Sicilia, foss'anco per pochi anni. Perchè gli Angioini, pur volti in fuga e sconfitti a Sciacca, tenendo molte cittadi e castella, avrebbero potuto continuare a lungo l'infestagione dell'isola; e la pace, ancorchè pregna de' semi di nuova guerra, dava comodo a' nostri a rassettar le entrate pubbliche, ordinar le milizie, ristorar le città, racchetare i baroni, prepararsi a ripigliar le armi, quando che fosse, freschi e gagliardi; mentre le forze de' nemici, come collegate, menomar doveano di necessità col tempo, che muta interessi, occasioni, umori dei potentati. Donde niuno fu che non vedesse futile e vano, il patto del rendersi l'isola alla morte di Federigo; parole da salvar le apparenze: e ciò vuol significare il Villani, chiamando questa una dissimulata pace; malcontento, come ogni altro guelfo, per la riputazione che ne perdea lor parte, la forza che crescea a' Ghibellini, tenendosi la Sicilia da Federigo. Indi tutte le fazioni d'Italia, per contrari umori, diersi a lacerare il nome di Valois, motteggiando: esser venuto in Toscana a metter pace, in Sicilia a far guerra; e aver lasciato guerra in Toscana, vergognosa pace in Sicilia1061. E meritò maggior biasimo, di baratteria contro la corte di Roma e casa d'Angiò e tutta lor amistade, per un altro accordo fermato in questo tempo con Federigo, che l'aiutasse d'uomini e navi alla impresa di Costantinopoli, e non fermasse pace altrimenti con l'imperadore Andronico Paleologo1062.

Promulgata da Federigo, lo stesso ultimo d'agosto, l'importanza del trattato, senza dir de' patti disfavorevoli, rivocossi il comando dell'adunamento in arme a Corleone; e si sciolse, dopo quarantatrè giorni, con somma gloria di Federigo d'Incisa e de' cittadini, l'assedio di Sciacca: ma la pace de' principi non tolsetosto la ruggine dagli altri animi: e terrazzani è soldati, scrive Speciale, mescolati vagavan ora per la città, ora per gli alloggiamenti, ma sospettosi e guardigni, per abitudine inveterata all'offendersi. In breve tempo si rimbarcò l'esercito francese per Catania: ebbe rinfreschi per ogni luogo: radendo le spiagge, n'ammiravano, massime i soldati gregari, l'amenità; e con la gaiezza e facilità di lor sangue a' sentimenti generosi, ripentiansi dell'esser qui venuti a recare e riportar tante afflizioni. Intanto da Termini sciogliea per Napoli una galea, per nome l'Angiolina, col cadavere di Iolanda. Federigo, da Caltabellotta n'andò a Sutera, a liberare il principe di Taranto, tramutatovi, come in più sicuro luogo, alla passata del Valois; e tutti gli altri prigioni fe' recare in Lentini, e reseli, insieme con Filippo, al duca di Calabria, venutovi da Catania. Quivi Roberto e Federigo, per simpatia di gioventù, di valore, e del comun cordoglio di Iolanda, strinsersi a tal dimestichezza, che come fratelli sollazzavansi, insieme; e dopo una caccia dormirono in un letto, come di que' tempi si usava per dimostrazione d'amistà. Di Lentini stessa i legati pontifici sciogliean la Sicilia dalle scomuniche. Andavano i principi insieme a Catania; dove Federigo perdonò largamente a' cittadini; fece qualche dimora con essi, in segno di renduta grazia; e fuvvi sembianza di spegnersi odio assai più atroce, quando Ruggier Loria, per la prima volta dopo lo scoppio de' loro sdegni nella reggia di Messina, gli s'inginocchiò dinanzi, a render omaggio per la signoria del castel d'Aci. S'erano sgombrati intanto da' nemici gli altri luoghi di Sicilia; e apprestandosi lor gente a tornarsene in terra di Napoli, Loria fe' vela con l'armata; i principi francesi, per tedio del mare, cavalcarono, permettendolo re Federigo, da Catania a Messina1063.

E in Messina mostrossi anco tra le allegrezze della pace, quella virtù che s'era provata in durissimi incontri; perchè gli uomini son così fatti, che i grandi eccitamenti delle passioni pubbliche, li rendono a un medesimo tempo audaci nell'arme, pronti e accorti nei consigli, arguti e forti nelle parole, e generosi ne' tratti, e in ogni cosa di gran lunga più dignitosi e alti che nel mediocre viver di prima. I nobili messinesi, in abbigliamenti di pace, si faceano incontro a' principi; li conduceano a città; e sontuosamente albergavanli. Ma convitando Valois i primi della città, e tra questi Niccolò e Damiano Palizzi, che nel blocco di Roberto avean tenuto, l'un la città, l'altro il castello, Niccolò, chiamato a il minor fratello, ricordavagli quante fiate servì a tradigione l'allegria delle mense ( Carlo di Valois era Catone); essere in quel ritrovo il fior della città; gli ospiti inimicissimi, fidanti nel favor del pontefice; l'occasione da tentar coscienze anco men larghe, perchè, presa d'un colpo di mano Messina, che sarebbe della Sicilia? e per tal acquisto qual peccato non si rimetterebbe? Perciò ammoniva il fratello che restasse nella rocca, e non s'arrendesse per quantunque caso atroce; non se vedesse lui medesimo tra' nemici, con la testa sul ceppo, e 'l manigoldo levar in alto la scure. Damiano seguì il consiglio.

Qui lo Speciale si fa a descrivere il convito, il desco ricoperto di bianchissimi lini, il vasellame d'oro e d'argento, i donzelli in eleganti abiti, pronti a un girar d'occhio dello scalco; e altri dar acqua alle mani, altri servir le vivande, girare i vini in tazze sfolgoranti di gemme; e somiglianti sfoggi di lusso, contro i quali ei si scaglia, lamentando che principi e cittadini, e fin que' ch'avean fatto voto d'imitare la povertà di Cristo, con tai vanità desser fondo a loro sostanze. Ma dopo le prime imbandigioni, quando comincia il favellìo, sedendo Niccolò Palizzi tra Roberto e il Valois, costui domandavalo: nelle stretture estreme del blocco, quando vedeansi gli uomini cader dalla fame, e fallir anco quei lor cibi pestilenziali, qual mente fosse stata ne' cittadini? E Niccolò, con un inchino: «Signor, gli disse, sia fatto degli uomini, sia influenza de' Cieli, dal nome francese abborriam noi sì fieramente, che per serbare quest'odio nostro, consumato l'ultimo boccon delle carni de' giumenti e de' cani, avremmo ucciso le donne, i vecchi, i bambini; e ristrettici chi nel palagio, e chi nella rocca, fitto avrem fuoco alla città, per mostrar che non mancasse in Sicilia la tremenda virtù di Sagunto e PerugiaCarlo, crollando il capo, si volse a Roberto: «Vedi chi son costoro! Ben si è fatta la paceEntro pochi valicarono in terraferma; e restò la Sicilia libera e gloriosa con Federigo1064.

Mandava poi re Carlo la figliuola con un corteo nobilissimo a Messina; e quivi splendidamente si celebravan le nozze, di primavera del trecentotrè1065. Già spariva ogni traccia della guerra, fuorchè la gloria e i guiderdoni: che n'ebbe Messina nuove franchige da collette qualunque, e giurisdizione su più vasto territorio1066; Sciacca immunità dalle dogane1067. Ma il più salutare tra' provvedimenti fatti dopo questa pace, fu di sgombrar via i mercenari siciliani, calabresi, genovesi, spagnuoli, che, finita la guerra, s'eran gittati in masnade a infestar l'isola con ladronecci e violenze. Il più avventuroso tra' lor condottieri, quel Ruggiero de Flor, che sdegnava tal poca rapina, e per la pace si vedea ricader tra l'ugne del gran maestro del Tempio, s'avvisò di portar quella feroce gente a' soldi dell'imperator di Costantinopoli, contro i Turchi che duramente travagliavano l'impero. Gliel'assentì pronto Federigo, per torsi tal tristizia di casa; fornì loro navi, armi, vittuaglie, e ogni cosa necessaria: e sì andarono in Oriente; dove traendo a loro i mercenari degli Angioini, lor veri fratelli, e quanti altri rotti e feroci uomini v'erano nimici del viver civile sotto le leggi, fecero quel formidabil corpo, che si chiamò la Compagnia catalana o di Romania, segnalatissimo per valore, infame per fatti d'iniquità e di sangue, contro amici e nemici; nel quale videsi tra i principali condottieri il cronista Ramondo Montaner. Tal gente acquistò allora al re di Sicilia il titolo del ducato d'Atene e di Neopatria1068.

Il papa fu l'ultimo ad assentire la pace. Venuto a lui il Valois, nel ripigliò con sì agre rampogne, che 'l Francese fu per metter mano alla spada1069; esacerbato ancora dalla discordia accesa tra il papa e casa di Francia per la disciplina ecclesiastica, di che nacquer pochi anni appresso la scomunica di Filippo, la presura di Bonifazio ad Anagni, e 'l disperato morir suo. Forse per cagion di queste contese, s'ammorzò alquanto la superbia di Bonifazio contro Federigo; e benignamente scriveagli: non poter ammettere senza disonor della Chiesa l'accordo com'era, ma si accomoderebbe; egli intanto preveniva Federigo nelle vie della pace; il ribenediva; non ricusava la dispensagione per le nozze con Eleonora; del resto mandava in Sicilia, a riformare i patti, i vescovi di Salerno e Bologna, con Giacomo di Pisa famigliar suo. E 'l re di Sicilia, che incominciava a gustar le delizie del viver tranquillo, piegossi a riconoscere per oratori la feudal signoria di Roma, disdetta chiaro abbastanza nel trattato di Caltabellotta, ed or voluta senza remissione da Bonifazio. Mandò dunque a corte di Roma il conte Ugone degli Empuri, Federigo d'Incisa, e Bartolomeo dell'Isola, promettendo e 'l giuramento ligio, e '1 censo di tremila once d'oro all'anno, e il servigio di cento lance, o vogliam dire trecento cavalli; imitazione de' patti a' quali Clemente avea dato al conte d'Angiò i reami rapiti a Manfredi e a Corradino. Ebbe Federigo il titolo di re di Trinacria; promesse a corte di Roma la comodità di trarre grani dall'isola, e l'ampia redintegrazione de' beni ecclesiastici. Nel qual modo, peggiorato per maneggi l'accordo che onorevole s'era fatto con le armi in pugno, Bonifazio l'approvò per costituzion pontificia del ventuno maggio milletrecentotrè, col voto del sacro collegio, dissentendo un sol cardinale1070.

Fu questo fatto di Federigo, illegittimo e non obbligatorio per la Sicilia, sì per virtù dei primitivi dritti di lei, e sì per la espressa e fondamentale legge del milledugentonovantasei, che vietava qualunque atto di politica esteriore senza assentimento della nazione. Perchè non abbiamo, sappiamo essersi allegato giammai, documento di tal approvazione alla pace di Caltabellotta, alle riforme di Roma. Ma resta in dubbio se Federigo lasciar volle quest'appicco a disdir quando che fosse e 'l trattato e l'omaggio al papa, o se, mutando il sostegno dell'amor dei popoli con la federazione de' potentati, si contentò meglio del magro accordo, che della gloriosa resistenza; e prese a violar le sue medesime leggi, come prima il potè senza pericolo. Certo egli è dall'un canto, che Federigo non pagò giammai censo a Roma1071; che non mandò le milizie; ch'indi a pochi anni ruppe nuovamente la guerra; che ripigliato l'antico titol di re di Sicilia, mandò in un fascio e trattato e papal costituzione1072; che infine fe' riconoscere dal parlamento la successione di Pietro II, onde il legal voto della nazione dileguò del tutto i vestigi di tali vergogne, se alcuno ne potea lasciare il fatto del solo Federigo contrario alle leggi. Dall'altro canto è da considerare, che la guerra l'avea stracco; che puzzavagli la licenza dei baroni e de' soldati mercenari; che gl'increscean forse gli stretti limiti della costituzione del novantasei; e sopra ogni altro, ch'ei non fu sì grande come il presenta la istoria, che mal serba misura nel biasimo o nella lode. Ebbe Federigo animo gentile, affabile, adorno dalle lettere, dato agli amori, pieghevole alle amistà, ma troppo, sì che reggeasi a consigli di favoriti: e ne nacque il turbolento patteggiar della sua corte, che 'l portò ad estremo pericolo con la ribellione di Ruggier Loria, e posate le armi di fuori, accese in Sicilia le dissenzioni civili. Nei maneggi di stato non fu molto accorto o magnanimo, coraggio politico ebbe, al paro che 'l soldatesco, questo principe, che nel novantacinque si lasciò raggirar da Bonifazio, e per poco non tradì i Siciliani, spegner seppe, accarezzare i suoi baroni; e dopo questa pace, ripigliando le armi al tempo dell'imperadore Arrigo di Luxembourg, troppo osò, poco mantenne; meritò nota, ancorchè troppo severa, di avarizia e viltà, da quel Dante ch'a lui s'era volto, come all'erede del grande animo di re Pietro. Tal sembra, su i più certi riscontri istorici, Federigo, lodato a cielo da Speciale suo ministro, da Montaner soldato di ventura catalano, e ammirato dalle età seguenti, perchè a lui si è dato quanto oprarono ne' primordi del suo regno i Siciliani, esaltati ad eroiche virtù dalla rivoluzione del vespro. Ma s'ei non levossi con la sua mente all'altezza di gran capitano o uom di stato, avrà sempre una splendida pagina nelle istorie siciliane, come franco e schietto, costante nelle avversità, solerte in guerra, prode in battaglia, vigilante nel civil governo, umano co' sudditi, degnissimo di fama per le generose leggi politiche che ne restano col suo nome, le quali s'ei non dettò, ebbe prudenza certo e magnanimità da assentirle1073.

 

 

 





1034 Montaner, cap. 193.]



1035 Gio. Villani, lib. 8, cap. 39 e seg.



1036 Raynald, Ann. ecc., 1300, §. 20.



1037 Il matrimonio di Caterina di Courtenay con Giacomo di Maiorca si era non solamente trattato, ma stimolato nel 1298, alla presenza del re e della regina di Francia e di molti principi reali, sotto la condizione della dispensa del papa, per la consanguineità. Diploma negli archivi del reame di Francia, J. 509, 11; e in Du Cange, Hist. de l'Empire de Constantinople, docum., pag. 38. Ma forse papa Bonifazio negò la dispensa, perchè la pretendente dell'impero greco sposasse il Valois, del quale ei si volea servire come strumento a' suoi disegni.



1038 Brevi del 3 febbraio, 4 agosto, e 3 ottobre 1300, e 12 febbraio 1301, su la facoltà della dispensa e le proroghe ai termini; e breve del 3 settembre 1301, col quale il papa ratificò la dispensa, data dal vescovo delegato, sopra una promessa di Valois che non era stata rigorosamente osservata. Negli archivi del reame di Francia, J. 723, 8; J. 721, 8; J. 723, 9; e in Du Cange, Hist. de l'Empire de Constantinople, docum., pag. 41. La prima moglie di Carlo di Valois morì in Francia il 31 dicembre 1299, il 3 febbraio il papa da Roma preparava la dispensa al nuovo matrimonio. Du Cange, op, cit.



1039 Raynald, Ann. ecc., 1300, §§. 20 al 26; e brevi del 21 ottobre, 21 e 30 novembre 1300, da lui pubblicati. Veggansi ancora il breve del 4 agosto, e un altro del 30 novembre 1300; col primo de' quali si accordò al Valois la metà dei crediti decorsi della corte di Roma per decime ecclesiastiche in Francia; e l'altro è indirizzato al Valois, assegnandogli un primo termine a venire in Italia. Negli archivi del reame di Francia, J. 721, 1.

Montaner, loc. cit.

Gio. Villani, lib. 8, cap. 32 e 43.

Nic. Speciale, lib. 6, cap. 7.

Ferreto Vicentino, lib. 1, in Muratori, R. I. S,, tom. IX, pag. 960 976 e seg.

Il matrimonio del Valois, con Caterina fu fatto il 28 gennaio 1301, Buchon, op. cit., ed 1840, pag. 47.



1040 Raynald, Ann. ecc., 1301. Brevi del 3 settembre 1300, da lui pubblicati o accennati, che tutti trovansi negli archivi del reame di Francia, J. 721, 2, e J. 722, 5.



1041 Raynald, 1301. Trovansi due bolle ne' medesimi archivi, J. 722, 5, indirizzate l'una al Valois, l'altra a' popoli di Toscana; e questa seconda solamente è pubblicata nel Corps Diplomatique, tom. II, part. 2, pag. 4.



1042 Diplomi di Carlo II e di Roberto duca di Calabria, dati di Roma l'11 marzo 1302, negli archivi stessi, J. 509, 14, e J. 512, 21; e in Du Cange, Hist. de l'Empire de Constantinople, docum., pag. 43-44.



1043 Raynald, Ann. ecc., 1302, §. 1.



1044 Docum. XXXVII.



1045 Docum. XLI.



1046 Docum. XLII.



1047 Docum. XXXIX e XL.



1048 Docum. XXXVIII e XLIII.



1049 Veggansi oltre i citati documenti, per tutti i fatti del Valois in Toscana, e i preparamenti alla guerra di Sicilia:

Nic. Speciale, lib. 6, cap. 7.

Tolomeo da Lucca, Ann., in Muratori, R. I. S., tom. XI, pag. 1304.

Gio Villani, lib. 3, cap. 49 e 50.

Cronaca di Dino Compagni, lib. 2.

Cronaca di Parma, in Muratori, R. I. S., tom. IX, pag. 842 e 843. Ivi è detto il soprannome di Carlo senza terra.



1050 Nic. Speciale, lib, 6, cap. 6.



1051 Speciale e Anonymi chron. sic., loc. cit.



1052 Montaner, cap. 197.



1053 Nic. Speciale, lib. 6, cap. 8.

Anonymi chron. sic., cap. 70.



1054 Federigo d'Incisa fu di Sciacca. Il provano, oltre la testimonianza dello Speciale riportata da noi nel cap. precedente, anche due diplomi, dati da lui come gran cancelliere del reame, nel 1317 e 1318, nel Testa, op. cit., docum. 36 e 37.



1055 Nic. Speciale, lib. 6, cap. 10.

Anonymi chron. sic., cap. 70.

Montaner, cap. 197 e 198.

Gio. Villani, lib. 8, cap. 50.

Tolomeo da Lucca, Ann., in Muratori, R. I. S., tom. XI, pag. 1305.



1056 Nic. Speciale, lib. 6, cap. 10.

Anonymi chron. sic., cap. 70.

Ferreto Vicentino in Muratori, R. I, S., tom. IX, pag» 961.



1057 Veggasi la nota 2, pag. 223-24.



1058 Nic. Speciale, li. 6, cap. 9.



1059 : Surita, Ann. d'Aragona, lib. 5, cap. 55.



1060 Nic. Speciale, lib. 6, cap. 10.

Anonymi chron. sic., cap. 70.

Gio. Villani, lib. 8, cap. 50.

Tolomeo da Lucca, in Muratori, R. I. S., tom. XI, pag. 1305.

Ferreto Vicentino, in Muratori, ibid., tom. IX, pag. 962.

Montaner, cap. 198.

Costoro il riferiscono assai brevemente; i nostri perchè voller tacere alcuni patti; gli stranieri perchè poco ne sapeano. Ma luce maggiore ci danno i documenti, trascritti in parte da Raynald, Ann. ecc., 1302, §§. 3 e 4, 6 e 7, e 1303, §§. 24 a 27, e più compiutamente riferiti negli Annali d'Aragona, lib. 5, cap. 56 e 60, da Surita, che correggendo la brevità dei contemporanei Speciale e Montaner, e riscontrandosi appunto con gli squarci pubblicati poi da Raynald sulle carte degli archivi di Roma, chiaro mostra aver avuto sotto gli occhi gli originali trattati.

Indi si ritrae, che i preliminari di Castronovo, fermati a 19 agosto 1302, furon questi:

«Federigo, col titolo di re, regnasse, durante la sua vita, in Sicilia e nelle isole adiacenti; senza tenerle da alcuno, ma independente e assoluto.

«Sposasse Eleonora, figliuola di re Carlo.

«Scambievolmente si rendessero i prigioni, senza riscatto.

«Scambievolmente si restituisser le terre occupate; in 15 da Roberto quelle di Sicilia; in 30 dal re Federigo quelle di Calabria.

«Ad ultimar la cosa e stabilire il tempo e i modi della esecuzione di questi patti, Federigo e Valois venissero a un abboccamento tra Caltabellotta e Sciacca, da cominciare il venerdì 24 agosto e finir la domenica 26. Ivi si stabilisse il titolo da darsi a Federigo, e il regno che avrebbe la prole di lui e d'Eleonora in luogo della restituita Sicilia.

«Fosse tregua dal 21 al 26 agosto, e sei dopo l'abboccamento.

«Valois procacciasse la ratificazione di re Carlo e di papa Bonifazio

Nell'abboccamento poi tra Sciacca e Caltabellotta si fecer queste mutazioni:

«Si chiamasse Federigo, re dell'isola di Sicilia, o di Trinacria, come piacerebbe meglio a re Carlo.

«Ai suoi figliuoli si procacciasse il regno di Cipro o di Sardegna. Non asseguita questa promessa, tenessero tuttavia la Sicilia; ma fossero sempre obbligati a renderla per la somma di 100 mila once d'oro.

«Le terre di Sicilia si restituissero in 22 dal 1 settembre; quelle di Calabria in 45.

«I beni delle chiese si restituissero allo stato in cui erano prima della rivoluzione dell'82.

«Perdonasse Federigo ai ribelli di Catania, Termini, e delle altre città datesi ai nemici; restando loro i soli beni che possedeano fino al giorno che s'alienarono da Federigo; e perdonasse re Carlo a' Siciliani, quando tornassero sotto il suo dominio

I quali patti giuraronsi da ambo le parti a 31 agosto 1302. Lo stesso giorno promulgò Federigo la pace; annunziando solo ch'ei resterebbe re dell'Isola di Sicilia, e comandando si cessasse dal mandar le milizie a Corleone. Il documento è trascritto nell'Anonymi chron. sic., cap. 70.

E re Carlo tosto consentilli, non già Bonifazio; onde nuovamente si cominciò a trattare, tra lui e Federigo. In fine a 12 maggio 1303, Bonifazio promulgò una costituzione pontificia, la cui somma è questa:

Fatto il trattato di Federigo col Valois, e chiestane dal primo, per suoi oratori, l'approvazione del papa, disdicea Bonifazio que' patti pregiudiziali alla Chiesa; ribenediva contuttociò Federigo; dispensava la consanguineità per le nozze sue con Eleonora; e ad aprir nuove pratiche mandava legati in Sicilia. Allora Federigo, riformati i capitoli, fece presentarli a corte di Roma dal conte Ugone degli Empuri, Federigo d'Incisa, e Bartolomeo dell'Isola. Pei quali promettea tener la Sicilia in vassallaggio della Chiesa; pagar in ogni anno, il di san Pietro, tremila once d'oro di censo; fornire a richiesta del papa cento lance, ognuna con tre cavalli almeno, pagati per tre mesi, o, in vece di questa, una forza navale equivalente; assoggettirsi in caso di trasgressione alle pene stesse cui andava tenuto il re di Sicilia, duca di Puglia, ec., per la concessione a Carlo I d'Angiò; restituir le chiese nel possesso di quanto godeano prima dell'82; dar alla Chiesa, senza gabella, la tratta di 10 mila salme di grano per la impresa di Terrasanta; fornir, coi giusti dritti di tratta, quante vittuaglie abbisognassero a Roma. I dubbi nella esecuzione di questi patti, rlsolverebbersi dal papa. Così, assentendo i cardinali tutti, fuorchè Matteo di S. Maria in Portico, approvò Bonifazio l'accordo; e dichiarò che, secondo il voler di Carlo, Federigo s'addimanderebbe re di Trinacria, finchè tenesse l'isola.

Furon queste le condizioni, e le modificazioni della pace di Caltabellotta. Né nasca alcun dubbio sull'autenticità de' documenti citati, se non si leggan le altre due particolarità che ho notato nel testo. Perocchè veramente per altri diplomi, non appartenenti al trattato dei principi, dovette Federigo consentire a Ruggier Loria il possesso di Aci in Sicilia; re Carlo a Vinciguerra Palizzi quello di tre castella in Calabria, come riferisce Niccolò Speciale. in quel trattato avea luogo l'obbligazione particolare di Federigo a Valois, che l'aiuterebbe nell'impresa dell'impero d'Oriente, la quale si scorge dal documento citato qui appresso.



1061 Gio, Villani, lob. 8, cap. 50.



1062 Diploma dato di Lentini a 26 settembre 1302. Federigo promettea di dare al Valois, pagati per quattro mesi, dugento cavalli e quindici o venti galee; e permetteagii di armare in Sicilia altre dieci galee e quattrocento cavalli. Questo diploma è pubblicato dal Burigny, Storia di Sicilia, lib. 8, part. 2, cap. 5; e da Du Cange, Hist. de l'Empire de Constantinople, docum., pag. 43. Io dubitava dell'autenticità, solamente perchè Federigo, dopo la detta pace, vi s'intitola tuttavia: Rex Siciliae, ducatus Apuliae et principato Capuae, contro i patti stabiliti. Ma rifletteva all'incontro che Federigo forse non sì credè tenuto a lasciare quel titolo, prima che il trattato fosse ratificato da re Carlo II, e dal papa. Certo è che ho letto negli archivi del reame di Francia, J. 510, 18, un diploma di Filippo il Bello dato in dicembre 1313, col suggello reale in cera verde attaccato a fili di seta verde e rossa, dove si trascrive questo medesimo diploma di Federigo, attestando il re di Francia aver veduto l'originale in buona forma, e darne egli questa copia. Molti altri diplomi attenenti alla casa di Valois si trovano in simil forma di copie autenticate da Filippo il Bello. Nic. Speciale, lib. 6, cap. 11 e 12.

Anonymi chron. sic., cap. 70 e 71, ove leggonsi il diploma di Federigo per la pace, dato di Callabellotta il 31 agosto 1302, e quel dei legati del papa per lo scioglimento dalle scomuniche, dato di Lentini il 23 settembre.



1063 Nic. Speciale, lib. 6, cap. 12.



1064 Nic. Speciale, lib. 6, cap. 14, 15 e 16.



1065 Nic. Speciale, lib. 6, cap, 17, 19 e 20.

Montaner, cap. 198.

Anon. chron. sic., cap 70.



1066 Diploma dato di Lentini a 1 ottobre 1302, presso Testa, Vita di Federigo II, docum. 22 e 26.



1067 Diploma dato di Caltabellotta a 31 agosto 1302. Ibid., docum. 24.



1068 Nic. Speciale, lib. 6, cap, 21 e 22.

Gio. Villani, lib. 8, cap. 51.

Montaner, cap. 119 e seg. sino al termine della cronaca.

Veggasi anche un diploma di re Federigo, dato di Messina a 8 ottobre decimaquinta Ind. (1316), pel quale elegge Pietro d'Ardoino cancelliere Felicis exercitus Francorum in ducatu Athenarum morancium, nostrorum fidelium, etc. Tra' Mss. della Biblioteca comunale di Palermo, Q. q. G. 2.



1069 Ferreto Vicentino, lib. 1, in Muratori, R. I, S., tom. IX, pag. 962 e 978.



1070 Nic. Speciale, lib. 6, cap. 18.

Raynald, Ann. eccl., 1302, §§. 5, 6 ed 8, e 1303, §§. 24, 25, 26.



1071 Raynald, Ann. eccl., 1303, §. 54,



1072 Ciò avvenne nel 1314. Nell'Anon. chron. sic., cap. 79, leggesi il diploma di Federigo a questo effetto, dato il 9 agosto.



1073 Non è superfluo al proposito di Federigo, ricordar che Dante nei primi canti del Purgatorio lodavalo come onor della Sicilia; che disegnava intitolargli la cantica del Paradiso, la quale poi andò sotto il nome di Can Grande della Scala; e che, mutando questi onori in acerbo disprezzo, in molti luoghi del Purgatorio stesso, del Paradiso, e anco nel Trattato della volgare favella, il disse avaro, vile, iniquo. I biografi del gran poeta, non chiariscono abbastanza s'ei fosse venuto in Sicilia, quali rapporti privati lo avessero mutatofattamente riguardo a Federigo. Delle pubbliche cagioni, le quali son più degne dell'Alighieri, ognun sa le grandi speranze de' Ghibellini alla passata dell'Imperatore Arrigo di Luxembourg; la lega di questo potentato con Federigo; la intempestiva morte d'Arrigo, per la quale tornossi in Sicilia il nostro re, ch'era corso con l'armata siciliana, ad unirsi all'imperatore contro gli Angioini di Napoli. Questo ritorno, se fu necessario per Federigo, tolse ogni riparo al precipizio de' Ghibellini; e perciò lor parve perfidia, viltà, scelleratezza, come dicono le fazioni oppresse, agli stranieri che fan sembiante di aiutarle e poi si stanno. Ciò dunque spiega al tutto la mutata opinione di Dante. Ecco i luoghi di cui sopra io parlava:

 

Poi disse sorridendo: I' son Manfredi,

............

Vadi a mia bella figlia, genitrice

Dell'onor di Cicilia, e d'Aragona.

Purg., c. 3.

 

E qui Benvenuto da Imola notava: Idest honorabilium regum; Quia domnus Fridericus fuit rex Siciliae et domnus Jacobus rex Aragonum; può ammettersi ragionevolmente alcun'altra interpretazione:

 

Che non si puote dir dell'altre rede;

Iacomo, e Federigo hanno i reami:

Del retaggio miglior nessun possiede.

Purg., c. 7.

 

Vedrassi l'avarizia e la viltate

Di quel, che guarda l'isola del fuoco,

Dove Anchise finì la lunga etate:

E a dare ad intender quanto è poco,

La sua scrittura fien lettere mozze,

Che noteranno molto in parvo loco.

Parad., c. 19.

 

E quel che vedi nell'arco declivo,

Guiglielmo fu, cui quella terra plora,

Che piange Carlo e Federigo vivo:

Parad., c. 20.

 

Racha, Racha. Quid nunc personat tuba novissimi Federici! quid tintinnabulum secundi Caroli; quid cornua Johannis et Azzonis marchionum potentum; quid aliorum magnatum tibiæ? nisi: Venite carnifices, venite altriplices, venite avaritiae sectatores Sed praestat ad propositum repedare quam frustra loqui.

 

De Vulgari Eloquio, lib. 1, cap. 12.

 

E qui è da notare che Dante, mentre sì acerbamente detrae a Federigo, pur gli la tromba come guerriero, ma a Carlo II di Napoli il campanello come sagrestano; riscontrandosi appunto con la descrizione che fa il Neocastro, cap. 112, delle tende di questo Carlo II, e di Giacomo allora re di Sicilia, nelle pratiche della pace di Gaeta, l'anno 1291. V. nel presente volume, pag. 32.



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