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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
con Dorotea Trimuglio. All'osteria
Rosamora ei ritrova ed Arondello
che superbo gli dice villanìa.
Mentre fanno fra lor fiero duello,
le due belle un ladron portasi via.
Fan pace per seguirla i due lor drudi;
ma stramazzano al suol feriti e nudi.
I. Egli è pur saggio interessante ed atto
questo libro a formar lo spirto e il core:
della virtù qui vedi ad ogni tratto
il trionfo sul vizio e sull'errore;
qui l'ordin, qui l'onor de' forti intatto,
e il regal dritto e il femminil pudore;
e un giardin che t'incanta e nel suo bello
sempre si varia che non par più quello.
II. Dappertutto vi regna la modestia,
castità, de' bei fiori il fior più grato,
simile al giglio che la bianca testa
alza vergine al ciel che l'ha piantato.
Figli miei, figlie mie, leggete questa
morale elementar che Dio n'ha dato
per le mani del nostro gran dottore
don Tritemo, del suo tempo splendore.
III. Di Giovanna e d'Agnese l'avventura
per suo tèma pigliò questo erudito;
ed io l'ammiro, e stimo assai ventura
l'aver sempre altamente preferito
a quei romanzi di gusto scipito,
che, di vuoto cervel languenti aborti,
veggonsi nati tutto l'anno e morti.
IV. Di Giovanna al contrario la verace
famosa istoria trionfar vedrai
dell'invidia e del tempo: il ver mi piace,
e il solo vero non perisce mai.
Ma di questa eroina (abbilo in pace),
lettor, le imprese in altro tempo udrai,
ch'or Dunoè con Dorotea mi chiama
e quel Trimuglio che cotanto ell'ama.
V. Grandi sono i lor dritti al canto mio,
e schietto io debbo confessar che tu
n'hai del par di saper quale n'uscìo
da questo amor bell'opra di virtù.
Presso Orlean ricorderai, cred'io,
che Trimuglio, l'onor del Poitù,
pugnando con valor pel suo sovrano,
fino alla gola andò dentro un pantano.
VI. I suoi scudier con infinito stento
dalla gora tiràr di quel fossaccio
l'eroe contuso in cento parti e in cento,
un gomito dirotto e svolto un braccio.
Per le mura assediate a salvamento
portando lo venian brutto il mostaccio;
ma Talbò, che le cose antivedea,
precisi i passi d'Orleano avea.
VII. Per timor di sorpresa a Tursi addutto
fu il paladin per torte vie segrete;
città che il fato non iniquo in tutto
serbò fedele al re, come sapete.
Un veneziano ciurmador, condutto
lì dal caso, con sagge arti discrete
il braccio gli rimise che s'imperna
nell'ómero ed il moto ne governa.
VIII. Lo scudier, ch'era destro in avvertenza,
gli avvertì che in quel punto ei non potea
di Carlo ricondursi alla presenza,
perché il nemico ogni sentier chiudea.
Ma il cavalier, che viver non può senza
la sua diletta e bella Dorotea,
per uscir della noja in che languisce,
di cercar la sua donna statuisce.
IX. Fra mille rischi adunque al bel paese
de' Lombardi se n' corse. Di Milano
giunto alle porte il nostro poitese,
lo cinge, l'urta, il preme una gran mano
di popolo imbecille e discortese,
che con stupido sguardo e pie' villano
corre in città dai campi più vicini:
preti, frati, borghesi, contadini,
X. madre, figlie, ragazze; ed un fracasso,
un concorso, un subbuglio disonesto:
ognuno a gara precipita il passo:
e si cade, e si grida: – Facciam presto;
non avrem tutti i dì sì bello spasso. –
Dimanda il paladin: – Che vuol dir questo? –
e narrangli del rogo che la pia
lombarda gente a contemplar venìa.
XI. – Ciel! la mia Dorotea? – Dir questi accenti,
dar di sprone e partir fu un punto solo.
Il cavallo par ch'abbia al piede i vènti,
né l'occhio può veder se tocchi il suolo:
vola sopra la testa a quelle genti,
come sopra le frasche un calenzuolo,
e in quattro salti, o in meno, per dir vero,
trasporta nella piazza il cavaliero.
XII. Vede egli qui l'intrepido Bastardo
che lo stuol tutto di quei mostri ha spento,
e la sua Dorotea, che appena il guardo
osa levar nel suo desolamento.
Il nostro eloquentissimo piccardo
don Tritemo, con tutto il suo talento,
darne mai non poté giusto natura
di sì tenero quadro la pittura.
XIII. Lo stupor dico e il gaudio a cui s'aprìa
quella bell'alma nel veder l'amante.
E qual pennello colorir potrìa
mosse d'affetto così dolci e tante?
il dolor che nel volto le morìa,
il giubilo che inonda il cor tremante,
la vergogna e il pudor che a poco a poco
dànno all'ardente tenerezza il loco?
XIV. Ebbro d'amor Trimuglio lunga pezza
tiensela in braccio, dolce peso e caro,
stanca, languente e in mezzo alla dolcezza
molle i rai tuttavia di pianto amaro.
Abbraccia ei quindi e bacia di allegrezza
or l'amante or l'amico ora il somaro,
mentre tutto il bel sesso alle ringhiere
batte le palme e piange di piacere.
XV. Per mezzo al rogo, che atterrato e spento
nuota nel sangue, il resto della corte
episcopal fuggìa per lo spavento;
sopra quella ruina il grande e forte
Bastardo sembra Alcide al portamento,
che, incatenato Cerbero e la Morte,
rimette Alceste al suo dolente sposo,
benché fosse in segreto un po' geloso.
XVI. Dorotea tra onorata e nobil gente
in lettiga s'addusse al proprio tetto,
dai due guerrier guidata. Il dì seguente
a veder si recò cortesemente
l'amante coppia che si stava in letto,
e disse: – Amici, inutile qui fia
ai piacer vostri la presenza mia.
XVII. Al suo fianco Giovanna mi rappella
e al fianco del mio re: forza è partire.
Io sento che mal debbe la Pulcella
del suo ronzin la perdita soffrire.
San Dionigi, non conto bagattella,
m'è comparso nel meglio del dormire,
m'è comparso stanotte, e visto ho lui
tutto d'un pezzo come veggo or vui.
XVIII. Per servir dama e rege, al mio valore
ei die' la santa sua cavalcatura.
Servita ho Dorotea, grazie al Signore;
or vo' Carlo servir con egual cura.
Voi godetevi lieti il vostro amore;
io pel mio prence e per le patrie mura
vado a morir. Vi lascio; il tempo affretta;
l'onor mi chiama, e l'asino m'aspetta. –
XIX. – Io vi seguo a cavallo in sull'istante, –
Trimuglio ripigliò. – Lo bramo anch'io,
soggiunge tosto la sua bella amante:
la feconda d'eroi corte galante,
e Carlo e la Giovanna, a cui fe' Dio
dono di tanto ardire, e la cortese
arbitra del suo re tenera Agnese.
XX. Certa io son che voi due senza discorsi,
o miei cari guerrier, mi condurreste
pur del mondo alla fin. Ma quando io corsi
rischio d'esser qui cotta, e lo vedeste,
segreto un vóto alla Madonna io porsi,
che, se per suo favor dalle funeste
fiamme alfin salva mi foss'io rimasa,
visitata n'avrei la santa casa.
XXI. La gran madre di Dio l'ardente e casta
mia prece intese dall'eteree sfere,
e il valor vostro, a cui non si contrasta,
scender qui fece sul divin somiere.
Voi mi toglieste alla feral catasta,
per voi vivo, e il mio vóto ho da tenere;
tutta ragion di castigarmi avrìa. –
XXII. – Il vostro ragionare è giusto e saggio,
le rispose Trimuglio; assai m'aggrada;
e per me questo pio peregrinaggio
fassi sacro dover, sebbene ho spada.
Permettete ch'io pur sia del viaggio;
amo Loreto e vi farò la strada.
Voi levatevi, amico, alle stellate
pianure, e al campo di Blois volate.
XXIII. Dentro un mese colà v'arriverò
con madonna. E tu vieni, alma beltà,
a sciorre il vóto. Un altro io qui ne fo,
che de' begli occhi tuoi degno sarà.
Per tutto a lancia e spada io proverò
a chiunque dinanzi mi verrà
che niuna al paragon donna o donzella
fra le più chiare è così saggia e bella. –
XXIV. Chinò i begli occhi, e a quel parlar divenne
tutta vermiglia Dorotea. Leggero
ponta i piedi frattanto e sulle penne
ratto s'inalza il volator somiero,
e porta in men che non si dice un'enne,
del Rodano alle fonti il cavaliero.
Verso Ancona Trimuglio in via si pone
con la dama, amendue col lor bordone.
XXV. Copre il capo un cappel da pellegrino
guarnito di conchiglie benedette;
pende al fianco il rosario che d'òr fino
frammischiate di perle ha le pallette.
Lo recita sovente il paladino,
e, com'egli dice ave, ella vi mette
un sospiro in risposta, ed – Io t'adoro –
è il ritornello degli oremus loro.
XXVI. Passano Parma e la città del Potta,
Bologna, Urbino, e accolti in liete fronti
dentro alteri castelli, allorché annotta,
sono da duchi, cardinali e conti.
Per tutto il Paladin, senza che rotta
fosse mai l'asta, o ch'altri se n'adonti,
provò che il mondo beltà non avea
più saggia e più gentil di Dorotea.
XXVII. Niuno osò contraddir l'affermativa
di sì grand'uom; tanto erano garbati
del paese i signor, tanto appariva
aver costumi a cortesia formati.
Alfine, del Muson giunti alla riva,
su la via che conduce a Recanati,
vider la Santa Casa a manca mano.
XXVIII. Queste son le famose e sacre mura
di Nazarette, al Papa e al ciel sì care,
cui gli angeli di Dio che l'hanno in cura,
fecero un dì per l'aria alto volare,
simiglianti a una nave che sicura
fende col soffio di buon vento il mare.
A Loreto fermàr gli angeli il volo,
e il sacro muro si piantò nel suolo.
XXIX. Da sé stesso piantossi e prese fondo;
poi quanto aver di raro e di pregiato
e di bello può l'arte in quadro e in tondo,
tutto vi s'impiegò per farlo ornato
mercé i papi, padron veri del mondo
e vicarii di Dio, com'è provato.
I nostri amanti di cavallo scesi
contriti si gettaro al suol prostesi.
XXX. Quindi il suo vóto ognun sciolse con pia
offerta di bei doni, a larghe mani
e da' suoi reverendi cerretani.
Si recàr per lo pranzo all'osteria;
e fu qui che trovàr dei più balzani
cervelli il fiore, un duro e brusco inglese,
che a niun pensiero mai facea le spese.
XXXI. Venuto per ispasso a dar di naso
in Loreto era il tomo ch'io vi dico,
di quelle storie nulla persuaso,
e tutto il resto non curante un fico;
perfetto inglese, che viaggia a caso,
il moderno comprando per antico,
che tutti guarda come un barbassoro,
e i santi ha in tasca e le reliquie loro.
XXXII. Mortal nemico de' Francesi, avea
nome costui Cristoforo Arondello:
pien di noja l'Italia trascorrea
senza mai rider né cavar cappello.
ancor più irosa e rustica; un cervello
che poco parla, ma, per vero dire,
fatta sul tornio, e bella da stupire;
XXXIII. in letto agnella, a tavola serpente,
e, secondo che mette il suo lunario,
mansueta, stizzosa ed insolente;
alfin, di Dorotea tutto il contrario.
Trimuglio, che sapeva intero a mente
delle buone creanze il dizionario,
con molta grazia ad amendue fe' tosto
un complimento, a cui non fu risposto.
XXXIV. Poi parlò della Vergine Maria,
poi raccontò siccome avea già fatto
a san Dionigi un vóto in Lombardia,
di sostener dovunque a brando tratto
di sua donna l'onor la leggiadria;
poi soggiunse a quel fiero: – Io non ribatto
della vostra i gran pregi, e credo ch'ella
soprattutto sia saggia al par che bella:
XXXV. credo inoltre (sebben la vereconda
d'un solo detto ancor non ci consola)
ch'ella di spirto e d'accortezza abbonda:
ma Dorotea di merto la sorvola.
Nol negate; del resto, irne seconda
la può senz'onta sulla mia parola. –
Il truce inglese, alla favella onesta,
dai piedi lo squadrò fino alla testa.
XXXVI. – Per Dio, poi disse, non m'importa un'acca
il tuo vóto a Dionigi; e, se mi frulla,
m'importa meno se giovenca o vacca
o saggia o pazza sia la tua fanciulla.
Ciascun deve del ben a cui s'attacca,
ir pago e non si dar vanto di nulla.
Ma, poiché tu qui vuoi con impudenza
sovra un inglese aver la preferenza,
XXXVII. voglio insegnarti, pazzo scimunito,
il tuo dover: ti mostrerò di botto
ch'ogni inglese in tai casi a qual più ardito
siasi francese fa pagar lo scotto;
che la mia donna, in viso e colorito,
sen, braccia e cosce, e quanto ella tien sotto,
anche in senno ed onor, senza jattanza,
questa zingara tua di molto avanza.
XXXVIII. Ancor ti proverò che il mio sovrano
(del qual, ti giuro, non fo stima alcuna),
quando voglia davver metterci mano,
abbasserà di Francia la fortuna,
e quel tuo re tre volte cristiano,
e l'eroina sua panciuta e bruna. –
– Or ben, riprese il buon Trimuglio, usciamo
tosto di questo loco, e combattiamo.
XXXIX Sostener mi lusingo a vostre spese
il mio re la mia patria e la mia dama.
Ma, perché vuolsi ognora esser cortese
e villania tra noi non die' mai fama,
del modo di finir nostre contese
lascio la scelta a tutta vostra brama:
a pie', a cavallo, tutt'uno mi fia:
la vostra scelta sarà scelta mia. –
XL. – A pie', per Cristo, a pie', disse il Bretone:
non vo' che parta meco la fatica
e l'onor della palma uno stallone!
A casa l'elmo, a casa la lorica.
Queste son armi tutte da poltrone:
fa troppo caldo, e battersi all'antica
non è caso. Alle corte, senz'arnesi
e nudo voglio sostener la tèsi.
XLI. Le due belle cagion di nostra lite
meglio dei colpi giudicar potranno. –
– Ben volentieri, – dignitoso e mite
rispose il buon Francese al fier Britanno.
Ma Dorotea, le rie disfide udite,
misera di timor trema e d'affanno,
benché, a dirla, in vedersi essa l'oggetto
del duello, in suo cor gode un pochetto.
XLII. Teme che d'Arondello una stoccata
non fóri e squarci al suo gagliardo Achille
il bacia e lava di dolenti stille.
All'inglese l'inglese imperturbata
porge ardir con secure alte pupille:
non conobbe mai lagrime il suo ciglio,
né il cor fiero esultò che nel periglio.
XLIII. I suoi graditi passatempi ognora
fur le zuffe dei galli in Inghilterra:
di Cambridge e Bristòl cara alla terra.
In campo chiuso e mozza ogni dimora,
ecco i nostri guerrier pronti alla guerra,
di rischiar lieti, in generosa lite,
alla patria e all'onor le proprie vite.
XLIV. La persona in profilo, alta la testa,
il ferro dritto, il braccio teso e il piede,
ciascun la spada incrocia, e con tempesta
in terza e in quarta fulminar si vede;
or si rannicchia, or s'alza, ora s'arresta,
or si copre, or si mostra, or cresce, or cede,
para e salta e fa finte; e si dàn bòtte
belle a vedersi, or scarse ora ridotte.
XLV. Tale in queta talor notte serena,
che veder chiaro in ciel lascia le stelle,
quando di Sirio il sol l'ire disfrena
e al celeste Lion scalda la pelle,
tutto d'intorno l'orizzon' balena
di mille sottilissime fiammelle
che fan barbaglio e, appena passa un lampo,
ratto un altro lo segue e riga il campo.
XLVI. Drizza Trimuglio un colpo di bravura
del superbo Cristoforo alla barba,
poi salta indietro e in guardia s'assicura:
Cristoforo, a cui poco il colpo garba,
risponde in terza, e, stretta la misura,
un altro all'avversario ne rimbarba;
lo ferisce alla coscia, e di sanguigne
stille il candido avorio gli dipigne.
XLVII. Mentre ognun più s'infuria e farsi uccidere
vuol nobilmente onde acquistar la stima
della sua donna, e per tal via decidere
qual debba di bellezze andar la prima,
un bandito del papa ecco a dividere
vien nel più bello quella calda scrima,
con la sua truppa entrato in quei cantoni
sol per farvi le sue devozioni.
XLVIII. Martinguerra il furfante era nomato,
ladro al chiaro e all'oscuro, e prode al ballo
di corsal, ma devoto e a dire usato
il rosario ogni giorno senza fallo,
onde mai non peccar. Vede nel prato
le due belle, e con lor più d'un cavallo
con bellissime selle, e cinque o sei
muli carichi d'oro e d'agnusdei.
XLIX. Li vide, e tosto non si vider piue:
e le donne e i cavalli e i muli attrappa
lesto lesto il ribaldo, e, delle sue
prede esultando, come lampo scappa.
Seguian lor pugna tuttavolta i due
combattenti, e ciascun si fóra e strappa
coll'impugnate fulminanti lame,
e tutto per onor di quelle dame.
L. Fu Trimuglio che avvidesi primiero
della sua dolce Dorotea sparita:
correr vede lontano il suo scudiero,
La sua spada, il suo braccio, il suo pensiero
pèrdon subito e moto e forza e vita:
Arondello è di sasso, e come allocchi
restano tutt'e due con tanto d'occhi.
LI. Stati un pezzo co' bracci ciondoloni,
l'un contro l'altro con aperta bocca,
– Oh oh! (disse il Breton) Dio mi perdoni,
n'han rubate le donne; e noi qui sciocca-
mente ci diamo orrendi stramazzoni.
Corriam dietro al ladron che ce l'accocca;
racquistiamle; e, trovate che l'avremo,
pe' lor begli occhi all'arme torneremo. –
LII. Piacque l'avviso, differìr la festa
da buoni amici di lor donne in traccia.
Ma, fatta poca strada alla foresta,
l'un grida: – Oimé la coscia! oimé le braccia! –
– Oimé il petto! quell'altro, oimé la testa! –
e mancar vedi sulla smorta faccia
quello spirto animal che, i vasi in noi
irrigando del cor, forma gli eroi.
LIII. L'ardor che gli accendea, perduto elli hanno
col sangue che pugnando s'è consunto:
rotti, deboli, entrambi per l'affanno
cascano a terra ad un medesmo punto,
e rossa l'erba di lor sangue fanno.
Intanto gli scudier, perché raggiunto
sia Martinguerra, con veloci piante
n'inseguono la pésta e vanno avante.
LIV. Così que' nostri eroi senza vestito,
senza valletto, e più senza quattrini,
stesi a terra e di tutto a mal partito,
all'ultim'ora si credean vicini;
quando a ventura nel deserto lito
passò una vecchia, e, visti i due tapini
nudi, secchi, arrabbiati, avvicinosse,
e di lor stato a pietà si commosse.
LV. Alla sua casa sopra una barella
portar gli fece, e con ristorativi
lor fe' tosto tornar fiorita e bella
la carne e i sensi vigorosi e vivi.
Oprar potea la buona vecchierella
questo raro prodigio, perché quivi
ella avea quell'odor, con buon rispetto,
che odor fra noi di santità vien detto.
LVI. Né beata, né santa avvi per tutto
in cui la grazia del Signor con frutto
si palesi più chiaro e sovrumano.
Predice il tempo buono e il tempo brutto;
con olii e preci vi rimanda sano
d'ogni ferita, s'è leggera, e il core
spesso converte ancor del peccatore.
LVII. Le contaro i lor casi i due guerrieri
E la pregàr che il suo consiglio aprisse.
Raccolse la vegliarda i suoi pensieri,
la Madonna invocando, e così disse:
– Ite in pace ed amate, o cavalieri,
le vostre donne ognor, ma senza risse;
non vogliate ammazzarvi a lor cagione,
e amatele con santa intenzione.
LVIII. So dirvi intanto che in un brutto affare
or si stan elle. La lor sorte ria
compiango e voi; perciò d'uopo è trovare
tosto abiti e cavalli e tornar via.
Ma badate il sentier non isbagliare.
Il ciel si degna per la bocca mia
farvi aperto saper che per trovarle
non altro s'ha da far che seguitarle. –
LIX. Trimuglio del discorso fu incantato.
– Credo al suo profetar, disse l'Inglese:
il ladro seguirem, poiché trovato
avrem buoni cavalli e buon arnese. –
– Il tutto vi sarà somministrato,
la vecchia replicò, con poche spese.
Per vostra sorte è qui un figliuol d'Abramo
fatto per far servizi, e ve lo chiamo. –
LX. Chiamato comparì questo portento
d'onestà, questo fior de' sprepuziati,
e gentilmente al quaranta per cento
duemila scudi a lor ebbe prestati,
giusta gli us che nel vecchio testamento
al popol santo da Mosè fur dati;
e il ritratto profitto fu diviso
fra quella santa vecchia e il circonciso.
Don Tritemo è il Turpino del Voltaire. V. Il principio del c. XV.