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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
L'ardita Rosamora a Martinguerra,
tremando Dorotea, taglia la testa:
Trimuglio ed Arondel cercan per terra
e per mare in balìa della tempesta
le rapite lor donne. I lidi afferra
della Provenza quella coppia e questa,
e a tutti quattro avvien sul balzo arcano
di Maddalena un dolce caso e strano.
I. Due guerrier, che a cavallo od alla scrima
siansi portate aspre percosse e crude
col brando o tronco di ferrata cima,
le membra armate di lorica, o nude,
l'uno ha per l'altro una segreta stima,
e ciascun d'essi esalta la virtude
e i colpi mastri del rival suo degno,
soprattutto passato ogni disdegno.
II. Ma se dopo il duel qualche sciagura,
qualche rio sconcio avvien, qualche accidente
ch'entrambi li percota, ell'è sicura
che il disastro gli unisce immantinente.
Madre dell'amicizia è la sventura,
e due miseri eroi subitamente
son due fratelli. Il caso iniquo e fello
di Trimuglio lo dica e d'Arondello.
III. Questo Arondello da natura tenne
un'alma rozza, indifferente, altera;
ma per Trimuglio allor molle divenne
quel cor che prima tutto di bronzo era.
E il buon Trimuglio, che allacciato venne
da' bei modi che formano la vera
amistade, seguì l'impulso in questo
del suo tenero cuor franco ed onesto.
IV. – Oh quanto mi conforta, egli dicea,
dolce amico, la vostra cortesia!
La mia bella e diletta Dorotea
mi fu dai ladri, oimé, portata via!
Ma rintracciar colei che il cor mi bea,
m'aiterà la vostra gagliardìa;
ed io, per porvi in braccio a Rosamora,
contento affronterò la morte ancora. –
V. Partìrsi adunque di conserva, e tosto
i due novelli amici innamorati
drizzaronsi a Livorno, sul deposto
d'un falso avviso, e si trovàr gabbati.
E il rubator tenea cammino opposto;
sì che, mentre colà da disperati
correan gli amanti, il tristo senza pena
la ricca preda assesta e via la mena.
VI. Fuor di strada la mena in sicurezza
dentro squallida ròcca al mar vicina:
casa d'orror, di lutto e di tristezza
fra Gaeta sepolta e Terracina.
L'insolenza v'alberga e la schifezza,
l'indecenza la gola e la rapina
e la fervida ebbrezza co' suoi figli,
le discordie le risse e li scompigli.
VII. L'impudicizia sporca e violenta,
che le fiamme d'amor spegne più tènere,
e tutti in breve i vizi che fomenta
ne' cor vili il furor di Bacco e Venere,
a sé stesso lasciato, l'uman genere.
Di Dio stupenda immagine perfetta,
ecco come l'han fatta, poveretta!
VIII. Giunto in quella biscazza, lo sfrontato
corsar si mette al desco, e le due belle
senza riguardi fa sedersi a lato:
ei siede in mezzo e mangia a crepapelle.
Cionca alla lor salute, e avvinazzato
dice loro così: – Madamigelle,
convenite fra voi chi dée venire
stanotte di voi due meco a dormire.
IX. Quanto a me, per me tutto è indifferente,
tutto si aggiusta e fa lo stesso effetto:
sia bionda o bruna o bassa od eminente,
in Cristo creda o creda in Maometto,
francese o inglese, non mi cal niente.
Stiamo allegri e beviamo. – A questo detto
un rossor che più bella la rendea.
X. Singhiozza, e sui begli occhi all'infelice
densa una nebbia di dolor s'aggrava,
donde pioggia di lagrime si elice
che il bel naso le riga e il mento lava;
il mento dove Amor le fea, si dice,
una pozzetta un dì ch'ei carezzava
quell'angelico volto: or vi concludo
ch'ella è sepolta in duol profondo e crudo.
XI. Ma l'inglese Giuditta in suo pensiero
si raccolse un momento, e, riguardando
l'empio corsaro, con sembiante altero
certo moto di testa accompagnando,
– Vo', diss'ella, aver io l'onor primiero
di passar questa notte al suo comando.
Vedrem che puote nel letto alle prese
con un bandito una donzella inglese. –
XII. A questo dire il bravo Martinguerra
d'un gran bacio l'imbratta e la sparnazza.
– Viva, ei grida, le donne d'Inghilterra! –
poi la ribacia e vòta una gran tazza,
ne vòta un'altra, e incanna, e beve, e sferra
canzonacce e bestemmie, e poi sghignazza,
e villano, con man lubrica e rea,
XIII. Piange questa, ma l'altra né sembiante
cangia né loco e lasciagli far tutto,
finché, già tartagliando e barcollante,
s'alza, gli occhi di sangue e di vin brutto;
e con un gesto da corsar galante,
– State ai patti, – le dice, e caccia un rutto.
Così con lo splendor di Bacco in testa
alla pugna di Venere s'appresta.
XIV. Ma Dorotea confusa e stupefatta
dice all'inglese: – E voi, mia cara, in letto
oserete la voglia impura e matta
consumar di quel porco meledetto?
vi par che una beltà di questa fatta
debba abbassarsi al suo brutal diletto? –
– Io pretendo cavargli un'altra sete,
risponde Rosamora, e lo vedrete.
XV. La mia gloria il mio volto e l'adorato
mio fido amante vendicar vogl'io:
due braccia nerborute il ciel m'ha dato
per sua grazia, e Giuditta è il nome mio.
Aspettatemi qui senza trar fiato,
lasciate fare, ma pregate Iddio. –
Parte, ciò detto, e va con capo altero
a coricarsi accanto al masnadiero.
XVI. Già la notte d'un velo atro copriva
le marce travi di quel rio covile:
de' malandrin la turba digeriva
la crapula, sdrajati entro il cortile.
Soletta in quell'orror la si moriva
e il corsaro annegato avea i pensieri
nel vapore de' piatti e de' bicchieri.
XVII. Di sonno più che d'amor vinto, abbraccia
e con stupida man palpa la fiera
Giuditta, che profónde alla bestiaccia
di mentite carezze una miniera.
Ne' fili dell'amore alfin l'allaccia
stanco de' vani sforzi, di maniera
che, pria che venga all'atto nelle forme,
sbadiglia il crudo, volta il capo e dorme.
XVIII. Al capezzal pendea l'orrido brando
onde altrui sì temuto era il ladrone.
Rosamora lo snuda, ed invocando
Giael, Giuditta, Dèbora e Simone,
Simone Barion, quell'ammirando
d'orecchie tagliator, la manca pone
stretta all'ispido crin dell'animale,
che ronfar si sentia come un majale.
XIX. Gli solleva la testa, che pesava
qual se fosse di piombo o travertino,
e con la destra valorosa e brava,
ziffe, il capo recise al malandrino.
Il gran tronco, che largo zampillava,
tutto il letto allagò di sangue e vino,
e di sangue zampilli e di vernaccia
all'eroina imporporàr la faccia.
XX. Salta allor la magnanima dal letto,
e, stretta in man la testa sanguinosa,
se n' vola a Dorotea, che a quell'aspetto
le cade in braccio come morta cosa.
Alfin riprese i sensi e l'intelletto:
– Oh! giusto Iddio, che donna coraggiosa!
oh che impresa! che colpo! che periglio!
ove s'ha da fuggir? Cielo, consiglio!
XXI. Se qualcuno risvegliasi in quest'ora,
siamo uccise senz'altro. – Dite piano,
fate coraggio, datemi la mano:
la mia mission non è finita ancora. –
L'altra fa cuor, ma trema in modo strano.
In traccia loro intanto dappertutto
li due amanti correan, ma senza frutto.
XXII. Cerche per terra invan lor donne avendo,
per mar cercarle s'avvisàr dolenti.
Salpan dunque da Genova, correndo
a chiederne notizia ai quattro vènti;
e i quattro vènti, a mo' di saliscendo,
or portanli a' bei lidi obbedienti
al buon padre del popolo cristiano,
che umil tiene del ciel le chiavi in mano,
XXIII. or nel fondo dell'Adria, ove con Teti
si sposa il vecchio Doge in berrettino,
or di Napoli ai lidi ameni e lieti,
u' Sincero a Maron troppo è vicino.
Questi dèi gonfiagote irrequieti,
che non son più d'astreo seme divino,
gli sbalzano a capriccio e alla ventura.
XXIV. Gli sbalzano allo scoglio infame e reo,
ove inghiottiva ed or più non inghiotte
Cariddi il mare, e dal latrar scilleo
non son più l'aure spaventate e rotte.
Gli sbalzan dove sotto Etna Tifeo
più non gitta dal sen piogge dirotte
di cenere di foco e fumo immondo.
Tanto cangia il cangiar degli anni il mondo!
XXV. Di là procede quella coppia errante
che più non mena a quella dell'amante
l'onde di canne or tutta circonfusa;
poi la costa scoprìr dall'ignorante
mussulmano tiranno oppressa e chiusa,
or nido di ladron, ma illustre riva
ove Cartago ed Agostin fioriva.
XXVI. Della vaga Provenza alle dilette
beate sponde il vento alfin li posa:
sponde liete d'olivi, ove al ciel mette
le sue torri Marsiglia, opra famosa,
e bella ancor d'antiche alme dilette
dalla Jonia venute. Oh gloriosa
città, libera un dì, libera e greca;
or di questo splendore e di quel cieca!
XXVII. Meglio t'è star de' regi alla catena,
che, siccome san tutti, è una dolcezza.
Ma de' bei colli tuoi ricca è l'arena
d'un tesor che più giova e più s'apprezza.
Conosce ognun la bella Maddalena
che, ad amor dato il fior di giovinezza,
la rosa che appassia diede al Signore,
e la sua vanità pianse di core;
XXVIII. e, lasciato il Giordan, venne in Provenza,
ove nell'antro sacro a Massimino
le chiappe si frustò per penitenza.
Da quel momento un balsamo divino
empì quell'aria di soave olenza.
Più d'una putta e più d'un libertino
monta lo scoglio e fa d'amor l'abjura,
che spirto è detto di malizia impura.
XXIX. Fama è che un dì la penitente ebrea,
sentendosi morir, chiese una grazia
quella bell'alma già del mondo sazia.
– Ottenetemi, padre, ella dicea,
che, se allo scoglio mio mai per disgrazia
vien qualche amante coppia ad abboccarse
con voglia (che so io?) di sollazzarse,
XXX. m'ottenete da Dio ch'estinto pèra
l'impuro foco d'amendue nel petto,
e che una forte avversion sincera
sia de' cuori cangiati il solo affetto. –
Così parlò la santa avventuriera.
La prece il confessor trasse ad effetto,
e quel luogo d'allor santificato
l'odio vi desta dell'oggetto amato.
XXXI. Poiché i due paladini ebber Marsiglia
visto sino a far stanca la persona,
e rada e porto e ogn'altra maraviglia
di che loro l'orecchio ognor s'introna,
v'ha chi veder la balza li consiglia
San Balsamo nomata, di cui suona
tanto la fama e tanto il frate ciancia,
e che tutta d'onor empie la Francia.
XXXII. Curioso desìo spinge l'inglese,
divozion Trimuglio. I paladini,
salendo il sasso, videro prostese
persone assai dal basso, sui gradini
vicino al tempio a dir le preci intese,
e due donzelle in mezzo ai pellegrini,
sdegnosa l'una e in pie', ma inginocchiata
con le man giunte l'altra ed inchinata.
XXXIII. Oh dolce vista! oh inopinato istante!
Riconoscon lor donne i due felici.
Eccoli dunque al fatal tempio innante
giunti in un peccatori e peccatrici.
Con brevi detti d'Arondel l'amante
narra in che modi le sue mani ultrici,
soccorrendo al pudor, stesero a terra
coll'ajuto del cielo Martinguerra.
XXXIV. Com'ebbe antiveggenza al tempo stesso
di pigliarsi un borsotto di gran pondo,
che al morto appartenea, fatto riflesso
che il denaro non serve all'altro mondo.
Così, il mal chiuso muro nel più spesso
bujo varcando del recinto immondo,
col ferro in pugno, alla vicina riva
la compagna menò che sbigottiva.
XXXV. Poi come in un caicco si raccolse,
e il capitan destando e i marinari,
nel tranquillo Tirreno il legno sciolse
presto presto, pagati assai denari.
Così del vento, che a guidar li tolse,
il capriccio, o più presto il ciel, che i vari
casi pel meglio ne dispon, li mena
tutti quattro dinanzi a Maddalena.
XXXVI. Oh virtù sovrumana, oh gran portento!
A ogni motto che il labbro proferisce
di Giuditta, ogni dolce sentimento
nel gran cor dell'amante intepidisce.
Che disgusto, Gesù, che increscimento!
e quant'odio in un tratto ribadisce
il più tenero amor! Ma vi so dire
ch'ella gli rende pane da bollire.
XXXVII. E quel Trimuglio, a cui già Dorotea
del sol più bella un dì solea parere,
or la ritrova sucida e babbea,
storta, sgarbata, e voltale il messere.
Ella il re de' minchioni in lui scorgea,
l'odia lo schifa e più nol può vedere:
e Maddalena da una nube, a questa
conversion, mettea lieta la testa.
XXXVIII. Ma Maddalena, oimé, restò gabbata;
ché il ciel, gli è vero, gli accordò l'effetto
che qualunque persona innamorata
a capitar venisse al suo ricetto,
la cagion di sue fiamme avrìa scordata
finché stésse in quel luogo benedetto;
ma questa santa nelle sue dimande
un punto omise d'importanza grande.
XXXIX. Dico il patto che in nuovo amor non fòra
il guarito amadore unqua caduto:
e Massimino, benché santo, allora
questo caso non ebbe preveduto.
Fu perciò che l'infida Rosamora
corse in braccio a Trimuglio, e il suo liuto
Arondello accordò con Dorotea,
che con dolce tenor gli rispondea.
XL. Anzi vuolsi (e pretendelo di fatto
don Tritemo, scrittor sempre verace)
che Maddalena, visto quel baratto,
ne sorrise dal cielo e si die' pace.
E ben creder si puote un cotal fatto,
giustificarlo ancor: la virtù piace;
pur, malgrado il suo impero, a parlar giusto,
mai del primo mestier si perde il gusto.
XLI. Di San Balsamo appena si partiro
i quattro amanti, che cessò l'incanto,
il qual non operava che nel giro
e nello speco dello scoglio santo.
Appiè del monte Trimuglio, deliro
dell'odio avuto a Dorotea cotanto,
alla beltà di lei resa la stima,
la ritrovò più tenera che prima.
XLII. Più di prima le feo carezze e festa;
ed ella, in preda al duolo che l'accora,
ogni suo fallo ad espiar fu presta
nei cari amplessi dell'eroe che adora.
Anche Arondello, toltasi di testa
ogni stizza, riprese Rosamora:
tutti amor come prima; e Maddalena
(dir lo posso) gli assolse senza pena.
XLIII. Con le lor donne in groppa frettolosi
a Orleano avviàrsi i cavalieri,
e raggiunger ciascuno i suoi guerrieri.
Buoni amanti e nemici generosi,
fean viaggio siccome amici veri,
senza di nuovo perigliar la pelle
pel re loro, e neppur per le lor belle.
Il testo: Où Sannazzar est trop pres de Virgile.
La Rocca di san Massimino è vicinissima a Marsiglia, su la strada che mena alla Sainte-Baume.