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XXV.
A Santo Fiore, in questo frattempo, era successo un fatto molto importante: nientemeno che la signora Veronica e la bella Ottavia... erano rimaste incinte tutte e due, con grande contentezza e meraviglia del signor Domenico e del signor Niso, ai quali le rispettive consorti non avevano mai concesso un tanto onore.
Il nuovo segretario comunale, succeduto al povero Frascolini, morto da qualche mese, un giovinottino della città, tisicuzzo, giallo, biondo e un po' gobbetto, ma ricco di cuore e d'un pince-nez, era riuscito a rappattumarle fra di loro, tanto che adesso, tutt'e due, la Minerva e la Venere del paese, facevano disegni in comune, pei loro nascituri, e volevano essere chiamate zia, l'una e l'altra, dal rispettivo bébé dell'amica. Era un divertimento per tutto Santo Fiore quando la brigatella andava insieme e d'accordo per istrada, a fare la passeggiata igienica del dopo pranzo. Camminavano adagio adagio; ma il gobbetto rimaneva in mezzo, quasi nascosto dalle donne e dall'Omnibus, gazzetta di Borghignano che egli teneva spiegata, leggendone ad alta voce l'appendice. La bella e maestosa Ottavia, dondolante, la pancia gravida che risaltava sotto un grembiule scarlatto, voleva far la bambina, la vergognosetta, e arrossiva, frignando, ad ogni scherzo che le veniva diretto. E a quelle allusioni, quando il signor Niso si trovava presente, arrossiva anche lui, per una contentezza fiera e modesta. La signora Veronica, invece, superba del suo stato, camminava colla testa alta, la faccia arcigna, lanciando certe occhiate che dardeggiavano e parevan dire a tutti quelli che incontrava: - Fate altrettanto, se ne siete capaci!...
Ma, tuttavia, questo duplice e fortunato avvenimento, non era la sola novità importante di Santo Fiore: c'era ben altro!...
Sandro Frascolini era ritornato al paese, appunto in que' giorni, per raccogliere l'eredità paterna (una decina all'incirca di mille lire); e intanto, non volendo perdere il suo tempo, si dava attorno tentando di fondare il Circolo democratico degli Operai Agricoltori e cercava azionisti per un suo giornale politico di là da venire: L'Amico del Contadino. Il Frascolini, adesso, l'aveva a morte coi nobili e coi preti, ch'egli chiamava sepolcri imbiancati, poi prendeva spesso la sbornia, portava la cravatta rossa, il cappello alla Lobbia e usciva sempre con un nodoso bastone.
Egli aveva dovuto abbandonare il canto per la politica, dietro il consiglio di un classico pugno che aveva preso in un occhio, per amori e gelosie del dietro scena. Era però sempre un bel giovane, anche con un occhio solo; il vuoto lasciato da quell'altro, che se n'era ito, lo teneva nascosto con una benda di seta oscura. I crapuloni, gli oziosi e le birbe lo portavano in auge; ma aveva perduta la stima delle persone dabbene. Il signor Domenico, per esempio, il sindaco, gli aveva levato il saluto. Il medico e il veterinario lo schivavano, e il maresciallo dei carabinieri gli teneva gli occhi addosso. In quanto al signor Niso... Il signor Niso lo salutava sempre, ma poi se ne scusava, sospirando, colla moglie, che non voleva - vergogna! - e lo strapazzava per quella sua debolezza.
Invece don Vincenzo soffriva una gran paura del Frascolini, e quando usciva dalla canonica, faceva sbirciare dal nonzolo se lo scorgeva sulla piazza, e se c'era, sgattaiolava dalla porticina di dietro. Il Frascolini non lo insolentiva, e non lo minacciava: soltanto si levava il cappello, e inchinandosi profondamente gli gridava dietro ad alta voce: - Mi saluti la signora, reverendo!
La Veronica e l'Ottavia incontravano spesso il Frascolini nelle loro passeggiate, ma era tal e quale come se non lo avessero mai conosciuto. Tiravano via diritto, la Veronica guardandolo fiera, minacciosa, a testa alta, la Ottavia abbassando gli occhi, pudicamente, e stirandosi il gonfio grembiule colle mani. Quando poi erano passate innanzi, si scambiavano un'occhiata di sopra al piccolo segretario, il quale, alla vista dell'ex tenore, parea volesse nascondersi tutto dentro la gazzetta. In quanto al Frascolini, egli non ci badava, nemmeno per riderne! Si sentiva salito troppo in alto per occuparsi delle signore di Santo Fiore!
La duchessina, lo stesso primo giorno ch'era arrivata in villa, lo vide subito, fermo sulla piazza della Stazione; ma, sul momento, non lo aveva nemmeno riconosciuto. Gli fu indicato da miss Dill, la quale era andata incontro alla contessa Della Valle, componendosi sulle labbra una smorfia, un sorriso, col quale voleva esprimere tutto il suo giubilo; ma invece, in fondo al cuore, la miss era molto seccata pel ritorno della duchessina. Ormai ci avea preso troppo gusto a spadroneggiare a Santo Fiore e ad essere libera de' fatti suoi.
A Lalla la vista del Frascolini non fece nessuna impressione; tant'e tanto, a lei non poteva far nulla di male!... La sua figura plebea, gli stessi ricordi dell'ultima scenata ch'egli le aveva fatta a Borghignano, tutti insomma i molti ricordi di quella scappatella sentimentale, s'erano via via dileguati dal suo animo, alla stessa guisa che i primi tepori d'un bel mattino d'autunno fanno dileguare dai cristalli della finestra i fantastici rabeschi, i fregi bizzarri che la nebbia e il freddo della notte vi avevano disegnati.
D'altra parte il Frascolini, per qualche giorno, non si lasciò vedere dalla duchessina; egli invece si ubbriacava più spesso, e le sue sfuriate contro le carogne aristocratiche si facevano più irose, più violente. Adesso aveva imparato a memoria lunghi brani dei Misteri del Popolo di Eugenio Sue, e spesso ripeteva le profetiche invettive dei figli di Gioele, il brenn della Tribù di Karnak, spacciandole come roba sua. Durante quelle sfuriate stringeva i pugni, si mordeva le dita, e schizzava foco dal suo occhio vivo, iniettato di sangue, con un'espressione di rancore, di odio, di ferocia, da non lasciare in lui nessuna traccia del buon Guglielmo (quello dei Due Sergenti) che tante lacrime aveva fatto spargere alle sensibili donnine di Santo Fiore. Ma, con tutto ciò, Sandro Frascolini non mostrava molto coraggio contro la casta esecrata: tutt'altro!... bastava ch'egli udisse, mentre stava predicando in piazza, la sonagliera dei due poney della contessa Della Valle, perchè fuggisse via, come un cane scottato!
Un giorno, per altro, rimase preso, lì, su due piedi, quando meno se l'aspettava. La contessa usciva dal palazzo a braccio di Giorgio per andare a salutar don Gregorio, e Sandro la vide passare vicina, tanto vicina, da udire ancora una volta il timbro della sua voce, tanto vicina, da vederla ancora una volta nella sua personcina vaga, sottile, tutta bianca e odorosa come un fiore, con quegli occhioni grandi e modesti...
Tutti s'inchinavano umili e riverenti; ella passava via leggera, tranquilla, simile alla visione di un sogno.
E dire ch'egli l'aveva stretta fra le sue braccia quella creatura superba che sembrava una regina!... e dire ch'egli l'aveva baciata in bocca, ch'egli le aveva cacciate le mani nei capelli, ch'egli avea confusa la sua propria colla voluttà di quella creatura vereconda... che sembrava una madonna!...
Quell'incontro di Lalla, inasprì la ferita sempre aperta. Sandro tentò di ubbriacarsi, prima col vino, poi co' liquori; ma non ci riuscì. Rimaneva freddo, cupo, coll'immagine di Lalla fissa dinanzi agli occhi. Imprecava contro di lei, la malediva, la copriva d'insulti, ma Lalla gli sorrideva cogli occhi languidi, la bocca umida, socchiusa, dalla quale usciva l'alito caldo e profumato, che gli risollevava nel sangue il ricordo dei fremiti lunghi e voluttuosi di quel suo corpicciuolo morbido di sensitiva. Sparuto e taciturno, viveva solo, lasciando in pace, per il momento, tutti i figli di Gioele, il brenn della Tribù di Karnak. Sfuggiva gli amici, i soci, i camerati, e mancò più di una volta alle sedute del Circolo democratico degli Operai Agricoltori.
Lalla aveva l'abitudine di ritornare da Santo Fiore al Villino tutte le sere a piedi, dopo di aver preso il perdono in chiesa, con miss Dill e con don Vincenzo. La strada, larga e dritta, era tutta chiusa da folte siepi di pruno selvatico, rese più fitte dagli ontani che vi si spesseggiavano. Solo ad una metà circa del cammino, venendo dal paese, le siepi erano aperte da due passaggi, l'uno di contro all'altro, che mettevano nei campi.
Lungo quella strada non s'incontrava mai anima viva: una sera Lalla sentì camminare al di là delle siepe, ma non vi fe' caso. La sera dopo, invece, avvicinandosi dove si apriva il passaggio, appoggiato ad uno de' cancelli vide un uomo fermo, immobile, colle braccia incrociate sul petto. Lo indicò agli altri e lo riconobbero subito: era Sandro Frascolini, Si consultarono a bassa voce: tornare indietro non si poteva, dunque, per amore o per forza, bisognava tirare innanzi e passargli proprio sui piedi.
Lalla aveva una gran paura, il cuore le batteva fortemente, e colla coda dell'occhio guardò se il Frascolini si levava il cappello, perchè gli avrebbe fatto anche lei, di ricambio, un salutino gentile, tanto per non irritarlo maggiormente. Ma il Frascolini non si mosse.
A don Vincenzo tremavano le gambe, non fiatava. Il povero prete si faceva curvo, piccino, piccino, sperando, quasi, lui così grosso, di potersi nascondere dietro alla miss, che camminava impettita, dura come fosse di legno.
Gli passarono davanti adagio adagio, poi a mano a mano, senza accorgersene, affrettarono il passo sempre di più, e quando furono in vista del Villino si può dire che andavano di corsa, tutti e tre stretti insieme, senza mai voltarsi, senza mai parlare, colle sottane svolazzanti, innalzando mentalmente una preghiera al buon Dio in tre lingue diverse: in italiano, in inglese e in latino. Giunti a casa, al sicuro, miss Dill bevette subito un bicchierino di acqua di tutto cedro, ed ordinò al credenziere di sturare una bottiglia per don Vincenzo. Lalla non prese nulla; passato il pericolo, era passata anche la paura, e scherzava e rideva raccontando a Giorgio quanto le era accaduto, e metteva in burletta don Vincenzo e l'istitutrice. Ma disse al marito che le altre sere sarebbe andata a Santo Fiore in carrozza e che lui l'avrebbe dovuta accompagnare. Giorgio ne fu ben contento, quantunque in pericolo, in tutto ciò, non vedesse altro che le spalle del Frascolini.
Quando la duchessa Maria e il duca Prospero erano venuti in campagna, avevano condotto seco anche la Giulia che, in quegli ultimi giorni, aveva dovuto abbandonare i Della Valle per casa d'Eleda. Era stato Prospero Anatolio a consigliare ed a voler così, non trovando nè conveniente, nè divertente per la ragazza, quel dover correre dietro a far da comodino fra marito e moglie. Pier Luigi, senz'altro, aveva approvato ed accettato il cambiamento, ed era partito per Varese. - Sarebbe poi ritornato a Santo Fiore, sarebbe, a riprendere la pupilla, in ottobre, dopo le corse, dopo.
Le due famiglie, unite e d'accordo, vivevano sempre insieme. I Della Valle andavano a pranzo - dalla mamma - quasi ogni giorno e dopo, accompagnati dai d'Eleda, a piedi, avendo i medici consigliato alla duchessa qualche breve passeggiata, ritornavano al villino, dove passavano la sera giocando e facendo un po' di musica.
In quelle piccole gite, Lalla dava il braccio a miss Dill. Fra la vecchia istitutrice e la contessa Della Valle era nata di fresco una grande intrinsichezza: la mattina andavano insieme alla messa di don Vincenzo (don Vincenzo la diceva apposta un po' più tardi) e insieme combinavano molte altre divozioni. Miss Dill, aveva sempre qualche notizia, qualche pettegolezzo da riferire in segreto e fu lei che fece prendere una sgridata solenne alla Nena, raccontando alla contessa di averla veduta col Frascolini, poco lungi dalla villa.
Il duca Prospero, invece, dava il braccio alla Giulia e le confidava, sospirando, di essere un marito infelice: sua moglie, la Madonna di neve, non sapeva comprenderlo e tanto meno apprezzarlo. Maria e Giorgio venivano gli ultimi, un po' discosti dagli altri, perchè Maria, più debole, si stancava più presto.
Dopo che Lalla aveva fatto capire alla mamma di essersi accorta della sua freddezza per Giorgio, Maria aveva creduto bene di mutare contegno e di mostrarsi col genero assai meno riservata. Ella temeva che quella bizzarra figliuola potesse sinistramente interpretare la rigidezza fino allora mantenuta ne' suoi rapporti col conte Della Valle. Ne parlò prima, in proposito e lungamente, con don Gregorio, e il buon prete pure la persuase che, ormai, essa non aveva più nulla da temere, che ormai, tutte le prove più aspre erano state superate e che però poteva, anzi doveva espandere in una nuova tenerezza, tutta quella grande passione che l'aveva colpita, senza riuscire ad abbatterla.
- Non hai più nulla da temere... No... consolati... hai vinto! - diceva a Maria don Gregorio. - Per quanto possa essere grande la tua tenerezza, io ti conosco bene, tu lo amerai coll'affetto di una madre.
Maria, a quelle parole, chinava il capo e sospirava.
Sì, lo avrebbe amato come una madre; ma sentiva pure che nessun figliuolo al mondo sarebbe stato amato come Giorgio Della Valle!
Un'altra voce più intima, segreta, consigliava a Maria quel mutamento: una voce le diceva, consolandola, che molto ancora non le rimaneva da vivere; e Maria non voleva... aveva diritto di non lasciare una memoria che non fosse cara, un rimpianto che non fosse duraturo. Non era tutto per lei?... La sua consolazione, la sua felicità, il premio suo che sospirava, che domandava a Dio, per le angosce sofferte?
E in quelle indimenticabili passeggiate, era sempre Lalla il prediletto argomento d'ogni loro discorso. Giorgio confidava - alla mamma - tutto l'amore, tutta la passione che gli traboccava dall'anima e le confidava (a lei, a lei sola) premendole il braccio teneramente, - ch'egli sperava sempre... che il suo sogno dorato non era del tutto svanito... insomma... quella sua felicità così grande sarebbe stata compiuta soltanto da un bambino... un bambino della sua Lalla!...
Maria, pallidissima, ma col volto irradiato da un sorriso mesto e soave, riusciva, forse lacerandolo, ad aprire il suo cuore a quell'eloquenza dolce e appassionata!... E mentre Giorgio, lietissima di riacquistare così la sua buona sorella, ma dolente di averla in quegli anni tanto sconosciuta da non rifuggire dinanzi a un sospetto mostruoso, esprimeva con calda espansione la stima profonda che le professava. Maria, che non voleva desiderare di più, innalzava sospirando gli occhi al cielo, ancora scintillanti di lacrime. E anche Maria faceva voti, anch'essa, la povera martire, perchè il desiderio di Giorgio fosse esaudito. Del resto, quel bimbo (e maschio, s'intende) era un po' il desiderio di tutta la famiglia; ma le speranze parevano diminuire con ogni giorno, anzi, con ogni mese che passava.
Anche Lalla n'era contrariata, e non voleva farlo capire. Ci teneva ad essere invidiata anche nella sua perfetta felicità, e perciò ripeteva a tutt'andare che l'aver figliuoli non era altro che una seccatura!... Ma poi... Pier Luigi ghignava, la Giulia sorrideva e il duca... povero duca! Egli era addolorato più di tutti!... Aveva ottenuto che il primogenito dei Della Valle avesse a portare riuniti i nomi delle due famiglie e chiamarsi Prospero Giorgio Maria Anatolio conte Della Valle e duca d'Eleda, ma... ma come per fare un arrosto di lepre occorre per lo meno la lepre, così per ottenere un futuro duca d'Eleda, occorreva... un contino Della Valle!...
Giorgio, dal canto suo, si guardava bene dal lasciar trasparire neppur l'ombra del dispiacere; e ciò, primieramente, perchè egli voleva troppo bene a sua moglie, e poi perchè, sua moglie aveva finito coll'imporsi in tutto e per tutto e coll'avere su di lui un grande predominio. Quasi quasi, certe volte, si sentiva intimidito, aveva un po' di soggezione, specialmente a doverla contradire. Essa faceva tanto presto a montare in collera!... E le collere di Lalla, ad onta della sua dolce soavità, ad onta della sua compostezza tranquilla, erano sorde e ostinate. Non gridava, non faceva scene, ma non gli rivolgeva più la parola, e a qualunque cosa che egli le dicesse rispondeva con un - come vuoi - immutabile di espressione e di tono, mentre alle sue carezze essa si faceva di ghiaccio.
La più ostinata di quelle collere bianche - era Pier Luigi che le chiamava così - il Della Valle l'ebbe appunto da combattere nei primi giorni che erano arrivati a Santo Fiore. Appena Lalla fu persuasa che suo marito non aveva alcun sospetto fondato e che ormai la credeva più candida di un'innocente colombella, pensò subito a difendersi per l'avvenire e anche un pochino a vendicarsi, per lo spavento avuto. Giorgio tentò ogni mezzo per acquetarla: la dolcezza, le carezze, le preghiere, i rimproveri; - niente: non c'era verso di smuoverla! Lalla ci teneva troppo a far sì che quella lezioncina fosse ricordata ben bene, e quando cedette finalmente, e solo perchè cominciava ad essere seccata lei stessa della propria ostinazione, volle ancora stravincere, e ci riuscì.
- Ebbene, io dimenticherò e perdonerò - disse a Giorgio che la supplicava, - ma ad un patto.
- Quale?... tutto ciò che vuoi!...
- Devi essere sincero e rispondere sì o no, francamente, ad una mia domanda.
- Ti dirò tutto!
- Fu tuo zio, fu Pier Luigi, non è vero, quello che s'è presa la briga... - e Lalla sorrise con malizia birichina - quello che s'è preso il bel divertimento di aprirti gli occhi?
- Scusa, ma prima di rispondere bisognerebbe...
- O sì o no!...
- Ma...
- Sì o no?
Giorgio la guardò facendole capire ch'essa aveva indovinato, ma non volle dirlo apertamente.
- Lo sapevo, sai, oh lo sapevo!... Quello invece che non sai tu, è perchè il tuo caro zio mi odia.
- No, Lalla, non ti odia; anzi, ti vuol molto bene!
- Troppo... troppo bene!... - esclamò Lalla, diventando rossa, palpitante di vergogna e di collera. - Sai, Giorgio? ho dovuto difendermi a viva forza! Mi ha baciata a tradimento!... L'ho scacciato dalla mia stanza!... Per questo si vendica!
- Lui?... Pier Luigi?... Pier Luigi?! - esclamò Giorgio balzando in piedi.
- Sì!... Soltanto perchè era lui... Pier Luigi... perchè era tuo zio, ho taciuto... ho soffocato tutto dentro di me!... Ma quanto piangere, Giorgio! Piangevo sola, di nascosto, piangevo di vergogna, di collera, di ribrezzo!... Dio, Dio, che giorni, che notti orribili! Ma speravo di poter risparmiare, almeno a te, questo gran dolore! Invece ora... non posso più tacere; mi sento il dovere, ho il dovere di dirti tutto. Speravo che il modo col quale l'ho trattato potesse bastare; invece no; mi sono ingannata! Cattivo e perfido, quanto è brutto, ributtante! Approfittò della mia stessa bontà per farmi del male, per avvelenare il nostro amore! È un'infamia!... È infame! - E Lalla, tutta tremante per l'urto dei singhiozzi, finì scoppiando in un pianto dirotto.
Giorgio, pallido, smorto, non disse una parola. Oh, se Pier Luigi gli fosse capitato dinanzi in quel momento, egli lo avrebbe schiaffeggiato... ammazzato.
Ma poi non potè reggere a lungo: quel miserabile che aveva insidiato il suo onore, insidiata sua moglie, era il fratello di sua madre!... E si buttò sopra una poltrona coprendosi il volto con le mani.
Lalla cessò dal piangere, si strinse al petto di Giorgio e lo coprì di baci.
- Nino mio, Nino mio! La tua Lalla ti vuol tanto bene!...
Giorgio sospirò, scrollando il capo; Lalla, tenera, affettuosa, sedendosi sulle sue ginocchia, stringendolo colle belle braccia odorose, tornò a baciarlo, continuò a baciarlo, sussurrandogli parolette care e deliziose ch'erano altrettante carezze:
- Oh, Nino mio, tu sei stato ingiusto colla tua piccola Lalla e l'hai giudicata a torto; hai dubitato di lei, del suo affetto per te: l'hai sgridata, l'hai spaventata con una scena terribile; l'hai costretta a scappar via da Borghignano a precipizio, e tutto ciò per che cosa?... per chi?... Per un brutto cattivo!... Ma d'ora innanzi crederai sempre alla tua Lalla, vero?... alla tua Lalla che ti vuol tanto bene!...
- Sì.
- Crederai sempre a me?... E a nessun altro?...
- Sì!... Sì!... - rispose Giorgio vinto, consolato, innamorato; e Lalla, in compenso di una tale promessa, lo fece delirare con un furore di baci.
In quella commozione e in quel trasporto la duchessina era spontanea e sincera. - Povero Giorgio, tanto buono! - Era contentissima di non aver rimorsi e il Vharè non lo voleva più vedere, sentiva che non lo amava più. No, no; non voleva più saperne di sotterfugi: aveva avuto troppa paura. Sentiva ancora, come in quel malaugurato venerdì, i passi di Giorgio, quando si avvicinava al salottino: - Dio, Dio! Che angoscia!... che momento terribile...
Ma, dopo qualche giorno, ormai pienamente sicura di suo marito, ricominciarono le inquietudini per via del Vharè. - Come avrebbe egli accettata quella scomparsa improvvisa e, sopratutto, quel suo continuo silenzio?... - Lalla, appena a Santo Fiore, aveva pensato se gli doveva scrivere, tanto per calmarlo. - Ma, poi, per mandargli la lettera? - Di chi si sarebbe fidata? - Della Nena?... E se Giorgio l'avesse spiata e scoperta?... Allora... allora suo marito avrebbe avuto ragione di credere anche quello che non era, perchè lei, infine, non aveva rimorsi! - Non sarebbe stato prudente nemmeno il valersi, come al solito, dei libri. Giorgio, che non era uno stupido, avrebbe capito subito il contrabbando. - Era meglio lasciar correre l'acqua per la sua china... - e lasciò correre.
Per altro, passato molto tempo, quando fu sicura che il Vharè non pensava, nè avea mai pensato di correrle dietro, allora si sentì un po' mortificata.
- Ma dunque?... non era innamorato come diceva?... Si rassegnava a perderla, e per sempre, senza ribellarsi, senza fiatare?... Oh, - allora, per ripicco, voleva mostrarsi indifferente anche lei!... - E per ciò, quando arrivarono le prime visite della Bertù e della Calandrà, la contessa Della Valle fu di buonissimo umore, raccontando che vedeva molta gente, che andava alla caccia, che andava a cavallo, insomma che si divertiva dalla mattina alla sera. E tutto ciò perchè il Vharè lo sapesse e fosse convinto che se lui si era subito confortato, anche lei non moriva di dolore!... In tal modo, senza che Lalla se ne fosse accorta, il bel marchese, uscitole dal cuore da una parte vi rientrava dall'altra; sempre, è vero, per stradette oscure e recondite chè, direttamente, lì dentro per la strada maestra, non vi entrava nessuno.
Cessati tutti i timori, quella rottura col Vharè le spiacque anche per un'altra ragione: Pier Luigi, la Bertù, la Calandrà, Gianni Rebaldi, tutti insomma i pettegoli maligni di Borghignano, avevano ragione di stare allegri; avevano ottenuto il loro scopo; quello, cioè, che il Vharè non le andasse più in casa, e non le facesse la corte.
Ogni volta che pensava a questo fatto, e nella solitudine di quella sua vita uniforme e noiosa Lalla ci pensava troppo di sovente, si sentiva rodere per un po' di rabbietta. A poco a poco, essa cominciò a dir male del mondo e della società; le sue parole erano piene di amarezza; tutti erano - cattive lingue - tutti erano - maligni - e quando la Calandrà e la Bertù ritornarono a Santo Fiore - perchè d'autunno e di primavera esse andavano in giro per le ville, a scroccare pranzi e colazioni - furono ricevute da Lalla tanto freddamente, che non osarono ripetere l'improvvisata.
Un altro signore che si ebbe un'accoglienza non molto cordiale in casa Della Valle, fu Pier Luigi; questi, come aveva promesso a Prospero Anatolio, era venuto dopo le corse di Varese a Santo Fiore, per riprendere la Giulia.
- Allontanare Pier Luigi da Giorgio!... - Lalla trionfava; ma col marito si mostrò dolentissima di essere la cagione innocente di quella rottura, e lo consigliò, lo pregò, lo supplicò a non fare scene, e lasciar correre.
- Quello che gli stava ben detto, glielo aveva saputo dir lei; ma non conveniva inimicarselo; ormai lo conoscevano, e perciò del male non poteva più farne.
Giorgio le promise tutto ciò, ma non andò a prendere lo zio alla stazione, e anche al Villino gli fece un'accoglienza glaciale.
- Ah, ah!... la colombina, ha confessato, la colombina! Sicuro, ha confessato il peccato mio per nascondere il proprio! - borbottava Pier Luigi, che aveva tutto indovinato. - Me l'ha fatta; ma me l'ha fatta bene, ed a tempo. Eh, c'è sangue, c'è!... Un po' che volesse ingrassare, sarebbe una perfezione, sarebbe! Io mi tenevo sicuro che non avrebbe parlato! Diabolo... Diabolo!... Se ho cercato di saltare il fosso, la spinta, per altro, me l'ha data lei e secondo le buone regole avrebbe dovuta tacere! Ad ogni modo... è carina; e perciò bisogna accordarle le attenuanti. Ha parlato solamente quando ha capito che era utile e necessario. Sono stato un imbecille, sono stato, a voler predicare la morale. Forse, colla pazienza e perseveranza chi sa?... Povero Giorgio! Per lui sarebbe stato molto meglio se avesse sposata la Giulia... Per lui, e per me. Almeno io avrei finito di fare il padre nobile, avrei finito.
Di questa rottura, chi ne sentì più forte il dispiacere, fu Prospero d'Eleda. In famiglia, è naturale, si notò subito la freddezza fra Giorgio e lo zio, e il d'Eleda si adoperò a tutt'uomo per sapere che cosa diamine fosse accaduto!
Era un dovere per lui, in quel caso, di mettersi in mezzo e far da paciere. E si arrabbiava con Maria perchè non lo secondava con bastante calore; ma la duchessa sospettava intorno la verità e, troppo delicata per parlarne con chicchessia, approvava in cuor suo la condotta di Giorgio. Il duca, invece, borbottava e smaniava, dichiarando energicamente che se il signor conte era matto, buon padrone! Lui non voleva seguirlo sul terreno delle sgarbatezze, e fu fissato che Pier Luigi, in dicembre avrebbe ricondotta Giulia a Borghignano per tener compagnia alla duchessa quando i Della Valle sarebbero ritornati a Roma.
La duchessa, infatti, aveva bisogno di compagnia e di svago, perchè andava peggiorando di giorno in giorno. Santo Fiore e le passeggiate le avevano fatto più male che bene, e invece di andare a Roma coi figliuoli, come sarebbe stato il primo disegno, doveva rimanere a Borghignano per curarsi. Prospero Anatolio sarebbe rimasto a Borghignano anche lui e finalmente in marzo o in aprile, avrebbe potuto tornare a Roma per i lavori del Senato. Povero duca!... Egli si sacrificava (e lo diceva a tutti, sospirando) a cagione della salute di sua moglie, e degli studi di un nuovo progetto sulla riforma e sulla cessione in appalto del Dazio consumo, che aveva sollevato, nel Consiglio e fuori, un forte partito avverso all'Amministrazione d'Eleda.
L'ultimo giorno che i Della Valle rimasero in villa, pareva ancora un giorno tepido di ottobre. La campagna anch'essa ha le sue civetterie e molte volte, quando noi siamo sulle mosse per abbandonarla, ella sembra adornarsi, farsi più bella, più gaia, ringiovanire, quasi volendo lasciare nel nostro cuore, col suo ultimo ricordo, un desiderio e un rimpianto.
La Giulia e Pier Luigi, se n'erano andati da vari giorni e a Prospero Anatolio, dopo quella partenza, erano capitati addosso tanti conti da regolare e da rivedere, da non lasciargli nemmeno il tempo, assicurava lui, lamentandosi, di respirare. La brigatella si trovava dunque ridotta a due sole coppie: a Lalla che camminava davanti con miss Dill, e a Giorgio con Maria un po' più indietro.
Giorgio, durante quella passeggiata che, in certo modo, si poteva dire di commiato, scherzava amabilmente intorno a quell'avversione che Maria, negli anni passati, sembrava nutrire per lui.
Maria, scherzando a sua volta, si schermiva con molta finezza, ma poi, fatta più seria, concluse che quelle accuse non avevan ombra di fondamento: se gli fosse stata nemica e se, invece, non lo avesse molto stimato, non gli avrebbe mai concessa in moglie la sua figliuola.
- Oh, in quanto alla stima, siamo d'accordo! ma fu la vostra confidenza, fu la vostra affezione che mi toglieste ad un tratto. Perchè?... Questo è il problema!
Maria, tornò a ripetere che non era vero, che si ingannava; non si sentiva bene e ciò la metteva spesso di malumore.
- No, no, - insisteva l'altro, - voi non mi dite tutto; no, non posso ingannarmi, vi conosco troppo bene. Forse, adesso, vi siete ricreduta, forse adesso mi avete quasi perdonato, e soltanto per il grande amore che sento per vostra figlia.
- Sì, sì; vi sono molto riconoscente di... del vostro affetto per Lalla; per mia figlia. Giuratemi, giuratemi che l'amerete sempre così!
Giorgio, premendole il braccio, la guardò lungamente, in un modo che valeva assai più di qualunque risposta. - Voi credete, non è vero, che al di là... Voi credete che ci sia un al di là?
- Oh, se ci credo! - rispose Maria levando al cielo gli occhi umidi e lucenti, con un'espressione che rivelava tutto il suo favore e tutta la sua fede.
- Ebbene, - continuò Giorgio, indicando Lalla amorosamente - anche al di là... io l'amerò sempre così, perchè la mia anima è piena di lei, come il mio cuore.
- Grazie... grazie. - Ma la poveretta non potè continuare, interrotta da un urto di tosse forte e doloroso come un singulto.
Giorgio si fermò guardandola colpito.
- No, no; è passato;... anzi, mi sento meglio; molto meglio. Le vostre parole... il sapere che voi amate mia figlia... Sono contenta, mi sento tanto felice - è la mia gioia più grande, questa; è la gioia che mi farà forse, guarire.
- Allora, in cambio della mia promessa, ne voglio un'altra, da voi.
- Quale?... Quale?... - La voce di Maria si era fatta tenue come un sospiro, come un gemito.
- Quando ritorneremo da Roma, vi troverò buona, come siete buona... adesso?
- Sì; fate felice mia figlia, amatela sempre sempre, e sarò buona, ve lo prometto.
- Grazie, mamma, grazie!... Oh se sapeste quanto vi voglio bene! - E Giorgio, così dicendo, - erano soli nella stradetta, - l'abbracciò con improvvisa tenerezza e le baciò i capelli e la fronte. Maria gettò un grido; Lalla e miss Dill si fermarono voltandosi; ma Lalla indovinò tutto e correndo presso la mamma e abbracciandola, come aveva fatto suo marito, finse amabilmente d'esserne un po' gelosa.
- Sì, sì, - esclamò Giorgio, - l'amo più di te! assai più di te! - E presale una mano, si tirò Lalla sul cuore, e la baciò, la strinse con tanta passione, da rendere ancor più evidente il giuoco di quelle parole.
Miss Dill, commossa e muta dinanzi a quella scena si tolse il pince-nez, e colla punta del dito mignolo si asciugò lentamente due lacrime: una per occhio.