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Giorgio, arrivato come un fuggitivo a Borghignano, poche ore prima che incominciassero i funerali di Lalla, si era chiuso solo in camera sua. Non voleva nessuno: nè amici, nè parenti.
Quella camera, in fondo della casa, dava sul giardino; Giorgio spalancò i vetri e le persiane, perchè si sentiva soffocare e gli pareva che una grossa pietra gli si aggravasse sul cervello.
Egli credeva, sperava di essere vittima di un sogno terribile; il contrasto de' suoi sentimenti era così forte, da farlo diventar matto! Andava, veniva, tirava calci alle seggiole, le alzava afferrandole con violenza e poi le lasciava cadere di tutto peso sul pavimento, e richiamato alla realtà della vita, pensava, raccapricciando, ch'egli non aveva diritto di piangere, di lamentarsi; egli non doveva altro che imprecare e maledire. Il dolore, il suo dolore, era vile! Ma per maggior derisione chi lo aveva offeso era fuggito lontano, non si sapeva dove, e Lalla, che lo aveva tradito, era morta.
Dove, su chi poteva egli sfogare quell'impeto d'ira, tutto quell'odio che si sentiva nell'anima?... Egli non poteva lamentarsi, non poteva soffrire e nemmeno poteva vendicarsi!... Per Dio! che inferno!... che inferno!...
Così stordito dall'angoscia, ci fu un momento in cui pensò di correre fuori, di correre in mezzo alla gente e di confessare a tutti la sua vergogna, per sollevare la giustizia umana e divina contro quei due colpevoli!... Ma l'idea non era ancora balenata intera alla sua mente che già si stringeva la fronte per trattenerla, pauroso che l'aria sola l'avesse potuto indovinare. Affranto da quello spasimo e da quelle angoscie, restava lì per ore ed ore come trasognato; gli pareva impossibile di non rivedere in quella camera, riflessa da uno specchio o sorridente fra le cortine dell'alcova, la gentile figuretta di Lalla, e non poteva comprendere come mai quella morta che lo aveva tradito e che lo faceva misero, infelice, potesse essere la stessa donna ch'egli aveva amata con tanta passione e che gli era sempre apparsa nella vita come un sorriso! - No, no, non era la stessa! La sua Lalla era bella, era buona, era pia; invece l'altra la morta (la ricordava bene), aveva gli occhi torvi e sbarrati, le occhiaie livide; era deforme, era cattiva, era dannata!... No, no!... Non era quella sua moglie; Lalla non era quella! Ma dov'era andata dunque la buona, la soave; la sua Lalla dov'era andata?... E mentre si guardava attorno ritrovava quella camera piena di lei... Pareva che Lalla ne fosse uscita allor allora, e vi dovesse ritornare all'istante!
C'era il suo specchio che aveva avuto il suo ultimo sguardo: c'erano libri, che non aveva finito di leggere!... Appesa, al capezzale, c'era l'immagine della Madonna, ch'ella baciava sempre tutte le sere; e Giorgio sentì ancora quel sussulto, quel fremito di bambina freddolosa col quale ella si cacciava sotto le coperte. Allora, lusingato da tante memorie, alzò il capo... ed ebbe un sorriso che pareva quello che irradia, alle volte, la faccia d'un pazzo, che sia ammattito per una sventura d'amore.
Si avvicinò alla toeletta: c'erano le spazzole, le forbici ed anche i pettini d'avorio e di tartaruga. In uno, il pettine lungo, quello che Lalla aveva adoperato, ravviandosi i riccioli della fronte prima di uscire l'ultima volta per andare alla stazione, vide attortigliato alla dentatura un filo biondo, che pareva di seta. Giorgio lo staccò dal pettine tremando... poi se lo cacciò in fretta nel portabiglietti che aveva addosso, guardandosi attorno, come pauroso di commettere quella strana viltà.
Sullo scrittoio, in un elegante vasetto di porcellana, che rappresentava un amorino stanco sotto il grave peso d'una rosa, c'erano alcuni fiori disseccati. Guardandoli, fissandoli, l'occhio di Giorgio tornò a sfavillare. Ma per Dio!... non gli cadrebbe nelle mani quell'uomo maledetto?... - Voleva cercarlo in capo al mondo. Gli avrebbe piantata la spada nel cuore; voleva vederlo spasimare prima di vederlo morire, e quando fosse agonizzante, allora gli avrebbe detto che Lalla era viva, era sua che si amavano pazzamente... così l'infame sarebbe morto disperato!... Ma poi, ritornato più calmo, pensò che quei fiori non potevano essere di colui: Lalla non li avrebbe dimenticati!... Li prese, li cacciò in tasca, finchè pentito della sua debolezza, distrusse i fiori e strappò, stracciò anche il portabiglietti con tutto ciò che vi era dentro!... Ma fu un impeto d'ira... molti agguati lo attendevano ancora. Tutto all'intorno, sulla poltrona, vicino al letto, sul divano, c'erano i lavori di Lalla, i trapunti, i ricami... Erano i suoi regali; e ognuno ricordava un giorno di festa, una sorpresa cara, uno scambio dolcissimo di carezze e di baci. Come erano mutati quei giorni!... Non poteva nemmeno rimpiangerli; non gli doveva restare nemmeno il dolore di averli perduti!
Fra quei ricordi c'erano ricami a fiori sul fondo tenue, color di cielo, ed egli adesso, vedeva uscire tra le foglie, sotto i bottoni delle rose e i calici delle campanelle selvatiche, sottili serpentelli dalla bava velenosa. Trine antiche, preziose, coprivano il letto; ma guardando fisso quel bianco, quei distacchi, quei disegni, ne usciva al suo occhio un ondeggiare di linee che si sbattevano le une contro le altre, così che la tinta pallida del filo intrecciato a poco a poco diventava cupa e nera come il ricamo di uno strato mortuario.
- Maledetta!... Un'ora, un'ora sola fosse stata ancor viva quella donna!... avrebbe voluto insultarla... farla soffrire!... Lo aveva tanto offeso, e soffriva tanto, lui!... Ma pure, doveva essere stata vinta, ingannata, chi sa con quali artifici diabolici... Egli la aveva amata, adorata... non aveva rimorsi!... Il suo cuore, la sua mente, la sua anima, tutto era stato in balìa di quella donna!... Perfida, infame!... Non era bastato tutto il paradiso ch'egli le avrebbe dato!... Era corrotta nell'anima!... Aveva il vizio nel sangue!... Ma... E se quelle parole fossero state il delirio dell'agonia?... No, no, no! Era la verità!... Era la verità!
Intanto, a poco a poco, di lontano, giungeva al suo orecchio un confuso mormorio, un borbottare di preci. - Ah, venivano a prenderla. La portavano via!... Lalla!... - Giorgio si precipitò sull'uscio; poi si arrestò come fulminato. - Ebbene? - Che doveva importarne a lui? - Come era morta, alla vita, non doveva esser morta anche al suo cuore?... Sì, sì; via, fuori, lontana, lontana dalla sua casa! Dovevano seppellirla profondamente sotto terra! Così profondamente, che il suo cuore non dovesse sentirla più!... Piangevano? Pregavano per lei?... Ingannava la gente anche dopo morta!... E avrebbe voluto correre in mezzo a quelle donne genuflesse, avrebbe voluto rovesciare quei ceri, riempiere de' suoi gridi quella desolazione, ridere in faccia a quegli addolorati e impedire che la croce le fosse stesa sulla bara!
Ma là, vicino alla morta, fra la gente che piangeva, avrebbe veduta una donna pallida, muta, senza lacrime, con un bambino fra le braccia... Era l'immagine di quell'angelo di madre, di quella martire sublime, che gli appariva circonfusa di un divino splendore! Se pensava a ciò che di grande, di temerario aveva fatto quella donna per salvare sua figlia, una figlia così perfida, da permettere che la propria colpa ricadesse sulla madre, sentiva, per Maria, più che ammirazione, sentiva una devozione viva, profonda.
Egli la vedeva scendere per un dirupo irto di sterpi e di spine, coi piedi che le sanguinavano, colle vesti lacere e lorde di fango. Pure, procedeva coraggiosa, con un sorriso di speranza e di fede, cogli occhi e col cuore in alto, nel sereno, ne' cieli, come una santa che aspetta la sua palma di martirio. E dinanzi a quella immagine, Giorgio si sentiva più calmo e più tranquillo. Il tumulto si acquetava, e quel sentimento nuovo, indefinito, dolcissimo di pace e di amore ch'egli sentiva per Maria si diffondeva anche là dove imperversava l'odio contro chi lo aveva ingannato.
Fu così, colla tempesta nell'anima, chiuso al buio, come un condannato o come un pazzo, senza dormire, senza prender cibo, senza svestirsi, colla febbre nelle ossa, il pianto in gola e la disperazione nel cuore, ch'egli passò due giorni interi. Non voleva veder nessuno. La gente gli faceva tedio e paura: non voleva essere compianto e temeva di essere deriso!
Il duca Prospero era partito col bambino e con Maria per Santo Fiore: il duca gli aveva già scritto che lo aspettava, ma Giorgio non voleva muoversi.
Quando entrò nello studio, la prima volta, si fermò un'ora, cogli occhi fissi sul suo fermacarte antico. Gli pareva ancora di vederci sotto quella lettera fatale...
- Perchè non aveva creduto a quella lettera? Perchè non aveva sentito subito che gli diceva la verità?... Perchè mai non era corso in quella casa maledetta, perchè non era penetrato in quella camera infame?... Ah, per Dio, li avrebbe uccisi sul colpo!... Come il suo disonore era stato diffuso pubblicamente! Ed egli aveva creduto che non fosse altro che una calunnia del Frascolini!... No:, no; era stato qualche suo amico... qualche suo amico che voleva salvarlo dal ridicolo, forse qualche suo parente... Pier Luigi forse... Pier Luigi?... no!... - Perchè no?... Che cosa era successo fra lui e Pier Luigi?... Che cosa?... - E Giorgio rimaneva fisso, immobile, cogli occhi istupiditi per ore ed ore, ma non era più capace di ricordarsi perchè era andato in collera con Pier Luigi.
Una cosa sola egli aveva sempre dinanzi alla mente: Lalla. Di notte non poteva dormire; dormiva di giorno, e se voleva avere un po' di calma, un po' di riposo, doveva pensare a Maria e riandare il grande sacrificio compiuto da lei, dal suo cuore. Sì... sì. C'era pure chi lo amava sulla terra.
E il bambino?... suo figlio? - Lo aveva veduto in un momento in cui la sua ragione e il suo cuore erano troppo sconvolti; ma poi, anche quel bambino cominciò a farsi vivo e a tormentarlo come la memoria della madre... - -Della madre?... sì... della madre sola... perchè non era suo quel bambino!
Ogni volta che a Giorgio balenava questo orribile pensiero, gli salivano le fiamme al viso, e gli battevano i denti con uno spasimo strano. In quel momento non faceva più pietà; faceva paura.
Ma un giorno gli si fisse in mente di volerlo vedere. Sì. - Voleva vederlo per cercare su quel visino appena abbozzato un indizio, una verità, una accusa. Titubò molto tempo prima di risolversi: - avrebbero creduto ch'egli s'illudesse, e gli volesse bene; che lo credesse suo!... No... no! Lo odiava; ma lo voleva vedere. Chissà che non avesse rassomigliato a Lalla!...
Capitò a Santo Fiore una mattina25, prestissimo. Tutte le finestre del palazzo erano ancora chiuse. Attraversò il giardino, il portico, aprì la porta del tinello, entrò e fece chiamare la Luigia. Si guardarono senza dir motto; ma la Luigia indovinò subito perchè il signor conte capitava lì a quell'ora, e lo condusse nella camera dove dormiva il figliuolino.
La culla, ricchissima, era in un canto, vicina ad una grande finestra che lasciava entrar il sole allegramente.
Il bambino dormiva, rivolto, colla bocca piegata all'ingiù e colla cuffietta riversata all'indietro: egli lo prese e lo alzò colle due mani; il bambino aprì gli occhi e cominciò subito a strillare. Giorgio lo guardò fisso fisso, corrugando la fronte... gli pareva che quella testolina s'ingrandisse a poco a poco... - Aveva i capelli lunghi... biondi... era Lalla!
Lo ricacciò nella culla fuggì via dalla camera.
- Riparte così subito, signor conte? - gli gridò dietro la Luigia.
- Sì.
- Non vuol vedere la signora duchessa?... Sta molto male, signor conte!... Da due giorni non si alza più dal letto.
Giorgio fissò la Luigia, che abbassò il capo e si mise a piangere; ma tuttavia egli non si fermò a Santo Fiore.
Ritornando a Borghignano era affranto, avea il cuore spezzato; eppure si sentiva più calmo. Maria stava male! Questo nuovo dolore, al quale poteva abbandonarsi senza rimorso, senza vergogna e senza collera, penetrava come un'aura di pace nella sua anima sconvolta.