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Erano trascorsi due mesi dalla morte di Lalla, quando una sera a Santo Fiore tutte le campane del piccolo villaggio sonavano lentamente e lugubremente. Da vari giorni venivano innalzate al cielo pubbliche preci con un fervore sincero, che vinceva l'uniformità fredda e convenzionale delle pompe solenni, ma tutto inutilmente: - la duchessa Maria peggiorava, peggiorava sempre! Era giunta all'agonia. Dio voleva richiamare quella sua martire, e non ascoltava più altro, oramai, che una preghiera fioca e debole, che gli domandava la pace e che saliva fino a Lui non confusa dal frastuono del tempio, ma solitaria, da un letto di dolore.
Imbruniva appena: dai cancelli spalancati del palazzo entrò un gran carrozzone chiuso e nero, come un carro mortuario, e ne discese il conte Della Valle curvo, scarno, coi capelli quasi bianchi: in due mesi era invecchiato di dieci anni. Nella prima sala a terreno fu incontrato dal duca Prospero, anche lui dimesso e colla faccia sbattuta, che lo abbracciò singhiozzando.
- Tutt'e due!... Tutt'e due, in così poco tempo! È troppo!... È troppo!
Giorgio lo guardò colla faccia istupidita, senza dire una parola.
- Va... Va... se vuoi vederla, - -e il duca con una mano, indicava l'uscio che metteva alla scala. - Non ti riconoscerà nemmeno. Io non posso resistere; sono ammalato; questi colpi ammazzano un pover'uomo. - Così dicendo, sospirando e singhiozzando, si buttò sopra una poltrona, presso il camino.
Giorgio salì la scala lentamente. Il suo volto non esprimeva nessuna emozione; egli non sembrava nè commosso, nè addolorato; era soltanto attonito, sbalordito. Attraversò l'anticamera con un passo grave, pesante, senza nemmeno badare che era piena di donne inginocchiate, che recitavano preghiere. Erano le sorelle della Scuola Cristiana. Nel mezzo, non inginocchiate per terra come le altre, ma appoggiate a due seggiole, si scorgevano la Veronica e l'Ottavia, tutte e due vestite di nero, tutte e due col manuale di Filotea fra le mani, tutte e due colla medaglietta del Patronato puntata sul petto. La Veronica si guardava intorno dispettosa, interrompendo le orazioni con degli zitt... lunghi, rabbiosi che parevano sferzate, quando l'una o l'altra delle donne alzava un po' troppo la voce; ma il rimbrotto veniva poi mitigato dall'Ottavia, che confortava la malcapitata, colpita da tanta collera, con un sorriso beato, da dopo pranzo. Miss Dill, stanca, era seduta in un angolo oscuro; don Vincenzo, in piedi, pregava a bassa voce, leggendo il breviario.
Quando Giorgio attraversò la stanza, tutte le donne gli tennero dietro cogli occhi, e quella sua figura, quel fantasma cupo del dolore, sembrò raddoppiasse il fervore delle loro preci.
Miss Dill, vedendolo, fece per alzarsi e muovergli incontro; ma poi si fermò, e con un cenno del capo chiamò don Vincenzo.
- Non credereste, - gli disse piano, - di parlarne anche al conte Giorgio?
- State tranquilla, miss Dill: ve l'ho già detto; chi ha fatto fare il testamento alla signora duchessa è stato il duca Prospero; e voi vi siete ricordata.
- Non vorrei si facesse come l'altra volta. Nemmeno una memoria!... E sì che la contessa avea molte obbligazioni con me.
- È inutile, vi ripeto. Ormai, quel ch'è fatto è fatto. E poi, il signor conte, dicono, è diventato mezzo matto.
Intanto il Della Valle aveva attraversato un lungo appartamento tutto buio, attratto dalla luce rossastra, che veniva dal fondo.
Quando fu giunto sulla soglia della camera di Maria, si fermò: allora il suo volto sembrò animarsi e il suo respiro diventò affannoso. La Nena singhiozzava vicina all'uscio; don Gregorio pregava ai piedi del letto.
Appena Giorgio apparve sull'uscio, don Gregorio si alzò, gli andò incontro, gli prese una mano, che strinse colle sue mani tremanti, e con un cenno, scrollando il capo, indicò Maria. Il povero vecchio pensò che era stato il Signore a parlare al conte Giorgio, a farlo arrivare in quel momento, e si ritirò in un angolo, benedicendo alla sapienza e alla bontà infinita.
La camera era mezzo al buio: soltanto una lucernetta, nascosta da un fitto cappuccio, gittava una luce sinistra sul letto e intorno alla morente.
Giorgio dal lugubre silenzio che lo aveva seguito a mano a mano che attraversava tutte quelle stanze fredde e deserte, avvolte nelle tenebre, non aveva ricevuta nessuna sensazione; ma quando si trovò dinanzi al letto di Maria, il suo cuore, da tanto tempo insensibile, tornò a commuoversi e a palpitare.
Maria, prima di vederlo, lo aveva sentito. Da alcuni minuti l'ammalata, col viso intento, battendo le palpebre, pareva cercasse qualche cosa in quella luce rossastra e ristretta, serrata nelle ombre cupe.
Chi cercava, chi aspettava era Giorgio: Maria, colla sensibilità dei morenti, aveva udito la carrozza entrare nel palazzo; aveva seguito i passi di Giorgio che si avvicinava, e il desiderio di vederlo ancora, l'ultima volta, le aveva ridato un nuovo alito, una forza nuova, un vivo desiderio di luce, un rimpianto, il primo e il supremo, alla vita che le fuggiva.
Maria lo fissò ostinatamente, colle pupille arse, ma nelle quali l'amore aveva raccolta tutta l'anima sua. Lo fissò con tanto affetto, che le trasfuse nel sangue un nuovo calore; la vita ritornò per un momento a riaccendersi e un'ondata di rossore imporporò quel povero volto distrutto...
Giorgio, che l'avea veduta tanto bella, non l'avrebbe più riconosciuta; ma parlavano l'occhio di lei e i battiti del suo cuore, e non poteva essere in dubbio. Si avvicinò, come preso da tremori convulsi, e un tanfo umido, greve, lo avvolse mentre il lume rischiarava l'agonizzante con riflessi così strani e foschi, da sentirne a tratti perfino paura.
Ed era lei. Maria, un giorno tanto bella!... Ma un improvviso, un prepotente pensiero superò ogni titubanza: Maria moriva per amor suo!... E a questo pensiero Giorgio sentiva anche dinanzi a quello spettacolo d'orrore delle intime seduzioni, e guardandola ancora, gli sembrò che tinte rosee incarnassero quelle guance scarne, affilate, e che vi risplendesse come un ultimo bagliore della sparita bellezza.
Allora si buttò sopra di lei, piegando le ginocchia e baciandole le mani con fervore disperata... Ma anche allora la povera donna ricordò di essere madre: avea capito, indovinato, letto sul volto di Giorgio ch'egli tutto sapeva; e vincendo e dimenticando l'orribile strazio della sua vita balbettò con voce fioca e rotta:
Giorgio fu vinto da quell'atto sublime, divinamente grande, e fissando la morente con uno sguardo d'affetto profondo e appassionato le rispose:
- Sì, Maria, perdonerò... per te! - e avvicinandosi ancora di più e sollevandole la testa colle mani, la baciò sulla bocca.
Maria lottava adesso per trattenere la vita e colla vita la voluttà di un primo bacio, ch'ella, nel suo delirio, confondeva coll'estasi del Paradiso; di un bacio, che viva l'avrebbe forse uccisa e che morente le innalzava l'anima a Dio, staccandola dalla terra con un fremito d'amore. In tal modo ella morì: coi brividi di quel bacio che le correva per ogni fibra mutando la suprema agonia in una gioia suprema; compensando coll'ebbrezza purissima di quell'ultima ora, tutta intera la sua vita di dolori. Morì col sorriso sulle labbra e la felicità nell'anima, la sua fede e il suo amore indivisi nel cuore. Morì, passò dalla vita, senza strazio, tranquilla, come una fanciulla che si addormenta stanca, posando la testa sul petto del suo fidanzato.