Gerolamo Rovetta
Mater dolorosa

XXXV.

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XXXV.

 

Il duca d'Eleda al conte Pier Luigi da Castiglione:

- Senato del Regno -

 

«Carissimo Pier Luigi,

 

«Vi scrivo ancora sbalordito, ancora più di che di qua, affranto, ammalato, per tante sventure che in quest'anno terribile mi spezzarono il cuore.

«Se mi vedeste, non mi riconoscereste più: certo, farei pietà anche a voi: non posso mangiare, non posso vedermi in mezzo alla gente, e solo, non faccio altro che piangere. Basta; il Signore ha voluto così; sia benedetta la sua santa volontà.

«Però, credetelo, caro Pier Luigi; noi abituati alle gioie pure e serene della famiglia, noi, che consideravamo come giorni d'esilio tutti i giorni che eravamo obbligati a starcene lontani, quando ci troviamo a dover sopravvivere ai nostri cari, proviamo uno sgomento, una desolazione che ci mette addosso le vertigini. Ed io sono solo, spaventosamente solo!... Giorgio si è lasciato vincere, dominare interamente dall'egoismo del suo proprio dolore, ed ha dimenticato questo povero padre, questo povero marito, che piange disperato, in una casa deserta e senza echi. Egli presentò le sue dimissioni da deputato, e chiuso in una villa, su quel di Bergamo, conduce una vita monastica e lo dicono preso dalla monomania religiosa.

«A rinunciare alla politica ha fatto bene; in lui non c'era la stoffa di un uomo di Stato. Era timido, debole, irresoluto; tanto debole da cadere sfinito, affranto, sotto il peso della sventura, senza sentirsi capace di rialzarsi mai più, nemmeno pensando di essere padre.

«Che cosa succederebbe, - ditelo voi, caro Pier Luigi, - che cosa succederebbe di quel povero bambino, se io facessi altrettanto? Se anch'io mi abbandonassi ad una disperazione inconsulta?... No! - no! - Finchè Dio mi vorrà quaggiù, relegato in mezzo ai triboli, quella povera creaturina, tutto ciò che mi resta della mia Lalla e della mia povera Maria, troverà in me la tenerezza di un padre.

«Nulla di meno, per quanto un padre possa essere sollecito e affettuoso, quella creaturina non sentirà il bisogno di un affetto più gentile, di un bacio più dolce, di una mano più delicata che la accarezzi? Non avrà bisogno, insomma, di tutte quelle cure, che soltanto il cuore amoroso della donna prevede e comprende? Questo mi domando, giorno e notte, perchè giorno e non ho altro pensiero.

«Miss Dill?... Miss Dill non è una donna: è una strega! E fatta apposta per spaventarli, per farli piangere i bambini, e non per consolarli. È stata la mia povera moglie ad ostinarsi, a volerla prender per Lalla: fin d'allora, io non la potevo soffrire; ma la mia Maria la voleva e... Come si fa?... - Sentite, caro conte, nella sventura ho un solo conforto; ma è un grande conforto; quello di essermi sempre sacrificato alla volontà, fin anco ai capricci, parlando come se da viva ne avesse avuti, di quella poveretta. E poi, adesso, miss Dill (ingrata come tutto il mondo) sicura della pensione che la mia povera moglie le ha lasciato, per intercessione mia, si è fatta stizzosa, bisbetica, prepotente.

«Per ora, si sa bene, il mio Prosperino non ha bisogno di nessuno; la nutrice pensa a tutto e basta a tutto; ma fra qualche anno, anzi, fra qualche mese?... Devo condurlo con me, al Senato?... E a casa, a chi potrei affidarlo con animo tranquillo? A nessuno.

«Tutto ciò ben calcolato, e rinunziando per mio figlio ad altri e più gelosi sentimenti del mio cuore, e ripensando a quanto voi mi avete già scritto, cioè ch'Ella sarebbe disposta a sacrificare la sua gioventù con un povero vecchio, nel quale troverebbe però un padre e un servitore umile, rispettoso e devoto, vi domando la mano della contessina Giulia di Rocca Vianarda. Ma... siamo intesi: per un anno, almeno, non se ne deve discorrere: il mio cuore, prima di esserle offerto, bisogna che si ritempri nello stesso dolore che lo ha colpito, poi... Poi darò al mio piccino una sorella maggiore.

«Fra qualche giorno verrò a Firenze per baciare la mano alla contessina Giulia e per sentire da lei stessa s'ella acconsente di unirsi a me nel consolare e nel proteggere quell'angioletto che non ha più la mamma, e che il babbo ha dimenticato.

«La contessina era molto cara a quelle poverette, ed è perciò la sola donna che può entrare nella mia casa senza offendere la loro memoria.

«Vi saluto e vi stringo la mano.

 

«Tutto vostro»

«Prospero D'Eleda».

 

«P. S. - Non per voi, ma per la contessina Giulia, vi mando l'ultimo numero dell'Omnibus, nel quale troverete un articolo biografico che parla diffusamente della mia vita politica. Sono piccolezze alle quali non ho mai tenuto, essendo sempre stato un nemico acerrimo della réclame; la quale, del resto, non è mai stata tanto sfacciata e impudente come lo è al giorno d'oggi. L'articolo qui unito, è per altro un'eccezione: è sincero. Lo ha scritto il cavalier Frascolini, il direttore dell'Omnibus; un bravo ragazzo intelligente e abbastanza galantuomo.

«Qui si lavora attorno alla famosa legge elettorale. Molto probabilmente il mio voto sarà favorevole al progetto. Caro mio, che cosa volete fare?... Se vogliamo essere ostinati a tirar indietro per la coda il così detto progresso, la democrazia, più forte di noi, ci trascinerà per forza, e faremo la figura dei vinti: è meglio risolversi a tempo e saltare lesti alla testa... per tentare, se è ancora possibile, di mettervi un freno, o almeno per guidarne i movimenti.

 

«Roma, 15 dicembre, 1881

 

Fine.


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