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Intrighi della corte d'Inghilterra
Entrando a parlare degli intrighi della corte d'Inghilterra mi bisogna fermare una massima, della cui verità o falsità mi dichiaro nell'istesso tempo di non poter rispondere. O vera o falsa, però certa cosa è che a me fu posta per indubitata. La massima è che in tutta la corte d'Inghilterra non vi fosse allora altra donna da bene che la regina, che però era universalmente in concetto di debole e poco accorta. Dicansi però quel che vogliono tutti quei maligni che non credono che in questi generi s'operi per virtù, ma attribuiscono ogni virtuosa astinenza dall'uso de' piaceri o a povertà di spirito o a freddezza di complessione: bisogna ricordarsi che la regina d'Inghilterra <è> di Portogallo, e tra le Portughesi può passare più di un temperamento straordinariamente caldo ed adusto; e che sia il vero, soprabbonda in lei in tanta copia e con tanta effervescenza il sangue, che è sottoposta spessissimo a purghe straordinarie, fors'anche in pregiudizio della sua fecondità, come ho accennato un'altra volta parlando di lei in queste memorie. È vero che ella non beve se non acqua, ma ciò che ella acquista col bere lo perde a sette doppie coll'uso smoderato delle spezierie spolverizzate nelle vivande, dell'ambra e del muschio nelle confetture. Ma quando tutte queste cose fosser vane per accreditare la sua virtù, la stessa moderazione ond'ella si tempra negl'abbracciamenti del marito ne fa irrefragabile testimonianza, e prova concludentemente ch'ell'è di sua natura fuor di modo sensibile ai piaceri. Vi trova il re provveduto dalla natura di strumenti molto propri per eccitarglieli: e che sia il vero, la dolcezza ne viene in lei così estrema che, dopo lo sfogo ordinario di quegli umori che la violenza del gusto spreme anche alle donne, dalle parti genitali ne viene in sì gran copia il sangue che talora non resta per qualche giorno. Con tutto ciò, può tanto in lei l'attenzione di non pregiudicarsi alla figliolanza, che recusa spessissimo gli abbracciamenti del re, che dorme ogni notte con lei; e quando si dispone a riceverli, vi si prepara con dieta straordinaria, e nell'atto medesimo proccura di sfuggire tutte quelle delicatezze che altri ricerca per muovere con maggior veemenza il caldo della lussuria.
Non è già per questo che manchino di quelli li quali la credon soggetta alle sue tenerezze, interpretando per effetto d'inclinazione amorosa tutte le dimostrazioni di cortesia e di familiarità ond'ella distingue da tutti gli altri milord Ossory, figliolo del duca d'Ormond. Questa opinione non è solamente ingiuriosa alla virtù della regina, ma anche al di lei buon gusto, non essendo questo cavaliere egualmente il caso per amante che per innocente amico, per una gran prencipessa, mentre, oltre all'esser piuttosto brutto, è anche ammogliato. Questo l'ho detto per non tacer nulla di quel che si dice: ma per farne altrettanto di quel che si crede, mi convien dire che non ci è nella corte, fra le persone di buon senso, che non creda questa una malignità e non confessi ed ammiri al più alto segno la savia moderazione di questa buona e virtuosa prencipessa.
Il re non è così scrupoloso, ed è già nota per ogni parte d'Europa la sua lunga e continua pratica con madama di Castel Main. Costei è in un posto che non può occultare le sue pessime qualità. Ella nacque protestante ed ebbe infuso il puttanesimo per antico retaggio della sua linea materna. Prima di venire alle mani del re passò per quelle di molti, e, fra gli altri, il duca di Buckingam con tutta la parentela non fu degli ultimi a prevalersene. Venutane voglia al re, ella s'abbandonò subito a' suoi piaceri senza fargliene quasi punto cascar da alto. Milord Gereest, che in quel tempo teneva la borsa privata e dormiva in camera del re, n'ebbe la prima confidenza; e perché da principio il re se la faceva venire in camera, avanti che se la mettesse in palazzo, intrigato una notte che s'attaccò il fuoco vicino alla sua camera, si trovò intornato dalle guardie e da tutta la corte accorsa per estinguerlo, mentr'egli si trovava la dama in letto, la quale convenne consegnare ignuda nelle mani di Gereest, che si prese il pensiero di metterla in salvo, profittando ancor egli, come alcuni vogliono, dell'occasione. Il marito di lei non volle mai acconsentire a godersi in pace la ricompensa del vituperio che il re gli offeriva in diecimila lire sterline l'anno, ma, abbandonata la moglie ed uscitosene dal Regno, è andato da per tutto pubblicando il suo disonore per troppo zelo di giustificarsi.
Il re ne ha avuto gran dispiacere, perché così si è resa più scandolosa la pratica di questa donna, e in Inghilterra gli scandali di questa sorte son capaci di produrre pessime conseguenze, tanto più che non è mancato tra i presbiterani chi abbia fatto fissare gli occhi del popolo e della plebe ignorante in questo abbandonamento del re a un sì sfacciato e palese adulterio, e fattolo considerare come un baratro dove si assorbiscono quelle ricchezze che con sì gran peso de' popoli vengono contribuite per la salute e la sicurezza del Regno. E a dire il vero, passa ogni misura e vince ogni fede la prodigiosa quantità del danaro dissipato da questa donna, la quale non ha regola né misura nelle sue voglie: tutto ha chiesto ed ottenuto, ed ottenuto l'ha speso, anzi non pure speso ma dilapidato e lasciatosi tòrre senza saper da chi, nutrendo un numero innumerabile di parenti, d'amici, di servitori, di serve, di uomini, di donne, di ragazzi e d'ogni sorte di generazione. Con tutto ciò si è trovata sempre in estrema penuria, tanto è stato in lei senza esempio il pessimo governo e la più profusa prodigalità. L'amicizia del re non l'ha tanto rimutata da' suoi costumi ch'ella non si sia presa delle licenze, secondo che le son venuti i capricci. Si dice di più d'uno, ma di Arrigo Germain, nipote del conte di S. Albano, non par che si revochi in dubbio ch'ei non l'abbia fatta vedere al re allora eziandio ch'egli era nel maggior caldo delle sue fervide inclinazioni.
La regina in sul principio ebbe con esso lei delle difficoltà, ma accortasi di non far altro che esarcerbarsi l'animo del re, si tolse giù dall'impegno ammettendola come l'altre donne d'onore alla sua presenza insieme co' suoi figlioli. V'è chi crede che quand'ella si fece cattolica intorno a quattr'anni sono, non avesse altro fine che di ripigliar la regina; ma io sono stato assicurato da chi può saperlo, che nissun fine politico si mescolò in questa sua resoluzione, insinuatale unicamente dalla paura della morte, alla quale in una pericolosa infermità si riconobbe vicina: anzi fu così pressante il timore e così estremo il pericolo, che gli furono amministrati i sacramenti della nostra religione senza istruirla sufficientemente, il che fu fatto solo dopo la malattia. Ho ben saputo che per la Pasqua ed altre feste solenni, in cui la regina, e per conseguenza tutta la sua corte cattolica, comparisce in pubblico a far le sue devozioni, madama di Castel Main ha avuto di gran difficoltà per non trovar confessori che si curassero di sentir la sua confessione, essendocene in Inghilterra pochi e quei pochi dependenti dalla regina, appresso la quale in quel paese importa troppo lo screditarsi. Quest'anno però son certo ch'ella s'è comunicata, avendola veduta co' miei occhi comunicare in coppia con Bernardino Guasconi, che furono gli ultimi due che s'accostassero alla comunione la mattina di Pasqua nella chiesa di S. James sotto gli occhi della regina. M'è stato detto per cosa certa che un gesuito le aveva dato l'assoluzione.
Presentemente questa dama non è molto bella, benché se gli riconoscono i vestigi d'una bellezza maravigliosa. Non si può portar mai peggio la vita di quel ch'ella fa: il che è veramente difetto comune di tutte le dame inglesi, le quali, come se si muovessero per una virtù interna solamente dal mezzo in giuso, si trascinano dietro le coscie e le gambe in una forma ridicolosa. In lei, spero, c'è questo di vantaggio: che non solo nel portamento, ma in ogni gesto delle braccia e delle mani, in ogni atteggiamento del viso, in ogni girata d'occhi, in ogni movimento di bocca, in ogni parola vi si riconosce la sfacciataggine e il puttanesimo. Alle volte dà in terribili crepacuori, e la gelosia che aveva della reintegrazione della duchessa di Richmont, di cui con tutte l'apparenze dei passati sdegni ha ella sempre creduto il re fieramente acceso, le attossicava l'animo di così mortale amarezza, che spesso in su quelle furie si chiudeva nelle sue camere, ricusando di cenar col re: l'obbligava a mangiar solo o dalla duchessa di Monmouth, il che da quattro mesi in qua ha poi sempre seguitato a fare.
L'uso è così: s'apparecchia una tavola con la sola posata del re; sulla credenza però ne stanno molte, le quali si portano di mano in mano che il re chiama la gente con cui vuol cenare. Gli <ospiti> fermi sono il duca, quand'è in Inghilterra, e la duchessa di Monmouth e madama di Castel Main. Gli altri poi sono dame e cavalieri, secondo che al re piace chiamarli. La duchessa di Buckingam tra le dame vi va assai frequentemente, tra gli uomini il principe Ruberto, il duca di Buckingam, milord Gerard, Ruvigny, Flammarens ed altri della corte indistintamente. Or quivi il re relascia, quivi è interamente nella sua bocca, quivi insomma tanto si ricord'egli d'aver un Regno quanto il più privato cavaliere che sieda in quella mensa. Le visite che si facevano a mio tempo a madama di Castel Main erano regolarmente due volte il giorno. Il re n'era stufo al maggior segno, ma pure tirava innanzi, parte per impegno e parte per violenza di quella sua buona e piacevol natura che non sa scuotere il giogo che altri ardisce una volta metterli. Credo veramente che il gran scalpore che faceva di questo scandolo per tutto il Regno quella devota canaglia de' presbiterani gli facesse qualche motivo nell'animo, e, non meno in riguardo di questo che del raffreddamento della sua propria concupiscenza verso di costei, avesse cominciato da qualche tempo certe più pubbliche dimostrazioni, come quella di farsi vedere del continuo in carrozza seco al passeggio di Haid Parc e alla commedia sul suo palchetto.
Era anco un pezzo che si discorreva che egli avesse pensiero di comprarle un palazzo, con un vasto giardino, vicino alla casa di S. James, e per conseguenza comunicabile con Whitthall per via del parco; ma essendogli, per quanto mi fu detto, messo in considerazione quanto averebbe dato che dire una siffatta compra, in tempo che il Regno sanguinava per ogni parte delle piaghe ancor fresche di tante e sì gravi contribuzioni, e ciò nel tempo medesimo che si stimolava il parlamento ad imporne delle nuove, parve che il pensiero si raffreddasse: ed a me fu detto da persona ben informata, la sera avanti alla mia partenza: «Sentirete presto lo sfratto delle nostre puttane, avendo il re risoluto in ogni maniera di liberarsene». «Come?» soggiunsi, «dunque il re s'è confessato?». «No», mi fu risposto, «vuol far peggio che prima, ma come lo fanno tutti i galantuomini, segretamente e senza tener la puttana sotto il baldacchino».
Quello che sia succeduto dopo quel tempo io non lo so: ho ben sentito la reconciliazione con la duchessa di Richmont e le frequenti visite che il re le va quotidianamente facendo. Vi è chi dice che ella serva di pretesto, e che in realtà tutta l'inclinazione presente sia per mademoisella Stuarda, sua sorella. Può esser ogni cosa: ma reflettendo io all'antichissima fiamma che sentì per lei il re quand'ella era in corte fanciulla e semplice figlia d'onore, le smanie che egli menò nel suo non saputo accasamento, le gelosie di Castel Main, che ben si posson credere appoggiate a saldi fondamenti, le cabale del conte di Bristol per reintegrarla nella grazia del re, dopo aver guadagnato con un'assidua servitù e confidenza gli animi di lei e del marito, e finalmente sopra ogni altra cosa la di lei angelica maravigliosa bellezza, non punto offesa dal passato vaiuolo, e la mediocrità di quella della sorella, mi rendono affatto inverisimile questo supposto. M<olti> vogliono che sia un effetto di scrupolo e fermo proponimento di staccarsi affatto e di non inciampare un'altra volta in un secondo adulterio. La prima cosa, o egli è scrupolo di religione o egli è di politica. Se di politica, c'è pronto il rimedio nella tolleranza e nella presenza del duca, la quale è sufficiente a levare alle persone sediziose la materia di insinuar lo scandolo; e dalla di lui tolleranza tengo per fermo che il re si potrebbe quasi promettere le sue voglie, attesa la sua estrema debolezza ed il suo disastratissimo stato, incapace di regger per lungo tempo alle sue prodigalità, dopo aver sostenute quelle del zio. Se poi lo scrupolo si riduce a esser tutto di mera religione, torno a dire che tutto può essere: ma io non stimo di far torto al re a non creder in lui tanta virtù quanta ne bisognerebbe a un uomo, come gli altri, impastato di carne, a mantenere in un quotidiano cimento ferma e costante la saldezza di questa religiosa resoluzione.
L'opinione che corre della duchessa è stata sempre di somma virtù e di somma saviezza co' privati: col re, si discorreva diversamente. Dopo l'accasamento, infino al tempo ch'io stetti in Inghilterra, non si sospettava nemmeno per ombra, anzi ed ella e il marito erano in positiva disgrazia: e sebbene a lui un mese avanti la mia partenza fu permesso il venire alla corte, a lei si continuò l'esilio inremissibilmente. Nel tempo ch'ella stette in corte, si sa che il re n'era innamorato fieramente e che passava molt'ore del giorno, da solo a solo, nelle sue stanze. Questo basta ad alcuni per pronunziare temerariamente contro la di lei onestà, aggiugnendovi il motivo che dà loro infinita estrema passione, ond'ella sopportava la sua disgrazia e la sua relegazione dal palazzo. A me però fa molto più forza la qualità delle persone che m'hanno assicurato del contrario in avvantaggio della sua saviezza, per quanto si può assicurare in materie così occulte e segrete.
Ha poi il re qualche altra volante inclinazione, di cui non si può render conto, variando di continuo senza arrivare a risplendere agli occhi della corte. Di ciò due soli potrebber render conto: l'uno è il Mais, l'altro Cephin. Il primo è il tesoriere della borsa privata e primo assistente della seggetta, carica di grandissima confidenza e capace da esser esercitata da ogni privato cavaliere. Quest'uomo è di buona natura, di massime onorate, voto di malignità e pieno di discretezza: si dice che egli occupa presentemente il posto di milord Fiscardin, che morì nella prima battaglia contro gli Olandesi, nella grazia della contessa di Suffolk della casa Howard, donna oramai di quaranta e più anni, e cameriera maggiore della regina. Cephin è un semplice valletto di camera, di condizione assai ordinaria, ma vecchio ed affezionato servitore del re: anzi l'unico, forse, che vuol bene a lui e non alla corona. Costui ha un casino nel parco di S. James, dove si fanno tutti i minuti contrabandi, a' quali non è ammesso <alcuno> fuori che i due sopraddetti e le mercanzie che di mano in mano si trafficano.
Dicono che il re tra la gente bassa di rado si mescoli con donne che non sian fanciulle, di che credo aver qualche riscontro. Era in voga tre mesi sono una commediante inglese, non straordinariamente bella ma graziosissima ballerina. Al re ne venne voglia e le fece anticipatamente un regalo di mille lire ed un altro d'un anello di diamanti. Finalmente fattasela condurre, quando egli volle abbracciarla, ella piena di timore se gli gettò a' piedi e piangendo gli dichiarò di non esser vergine. Il re volle sapere chi l'avesse deflorata: ed inteso essere stato il duca di Monmouth, se ne partì turbato senza mai più cercarne. La corte però credeva che il re l'avesse conosciuta, e molti averebbero giudicato che la pratica ancor durava: ma la verità credo di poter dire che non sia altrimenti.
Per certe conversazioni di mera allegria si è alle volte servito il re d'un casino di milord Arlington, posto fuori del barco di S. James: ma quivi non ho mai saputo che abbia condotto donne, ma semplicemente qualche cavaliere, che egli ha voluto trattare con domestichezza. Così fece due anni sono all'ambasciator di Spagna, il quale bevé bravamente come tutti gli altri; ed io so da uno, che verso il giorno s'abbatté nel parco a vederli tornare dopo cena a Whitthall, che il re e l'ambasciatore e una mano d'altri, gettate via le parruche, se ne venivano ballando e saltando al lume della luna, preceduti da tutta la banda de' violini, ad imitazione del re David innanzi all'arca, e che per la strada
chi gettò 'l vino per diversi spilli,
e chi arrivò facendo billi billi1.
Prima di uscir del discorso del re mi convien dire d'un certo lacchè inglese chiamato Booten. Costui m'ha dato di terribili apprensioni circa quello che potesse essere il suo mestiere. Egli è un paggio di sedici anni, bello, sbarbato, spiritoso, impertinente, fornito in qualche parte più da gigante che da ragazzo, e che ha l'adito della camera del re a tutte l'ore, tratta familiarmente seco ed insomma ha tutte le cattive apparenze. Finalmente mi son certificato la sua prima introduzione essere stata per la vivezza d'uno spirito pronto e d'una chiacchiera buffona e piacevole, ed osa dilettare anche maggiormente col racconto di tutte le avventure che la prerogativa delle sue gran parti gli fa trovar con le dame di Londra, nelle case e alle tavole delle quali il favor del re lo fa esser ben visto e ricevuto come ogni galantuomo. Tra questo e tra le frecciature che egli dà di continuo per la corte, gli riesce di mettere insieme una quantità considerabile di pezze d'oro. Svanitomi questo sospetto, non solo non ho osservato cosa atta ad insinuarmene alcun altro in questa materia, ma ho preso indubitate riprove della purità virginale in cui si trovano il re e il duca in ogni altra specie di concupiscenza fuori della naturale.
Di H<aid> York ci sarebbe da dir molto, anche dei tempi passati, quand'ella era al servizio della prencipessa reale, essendovi anche l'opinione che il duca non fosse il primo a conoscerla. Io non ho preso informazione di cose oramai scordate. Le più fresche sono le chiacchiere sopra la stretta amicizia col cavaliere Cidney, bellissimo e graziosissimo giovane servitore del duca, il quale al suo ritorno dalla battaglia data agli Olandesi si stimò in necessità di licenziarlo dal suo servizio e rimandarlo a' suoi luoghi. La morte di madama di Nam, seguita poco dopo, diede occasione all'altro discorso del veleno fattole dare da H<aid> per vendicarsi del discacciamento di Cidney; e quest'inverno si dubitava che il parlamento, sotto la licenza chiesta al re di parlar con libertà, non volesse pigliare informazione di questo fatto, in odio del sangue del cancelliere. Non trovo però che appo agl'uomini sensati la cosa del veleno s'ammetta per indubitata, tanto più che vi è fino opinione che revoca in dubbio se la pratica tra il duca e la dama passasse più <in> là del corteggio e della galanteria. In questo però sarei più proclivo a credere qualche cosa di più. Per dir tutte le chiacchiere, v'è anche chi dice che il duca per una seconda vendetta della morte della dama pigliasse apposta del mal franzese per attaccarlo alla moglie. Questa però al presente è divenuta meno gelosa del marito e pare che abbiano fatto un accordo a lasciarsi vivere in pace, senza disturbarsi l'uno e l'altro. De fatto il duca si divertisce allegramente con mademoisella Cercill, e quando partii cominciava a spuntare una nuova inclinazione con mademoisella Libonard, l'un'e l'altra assai belle e figlie d'onore della duchessa.
Questa all'incontro, conoscendo di non poter avere tutte le cose a suo modo, si sodisfà della libera sopraintendenza da poco in qua ottenuta sopra tutta la casa del duca e dell'amministrazione di tutta la sua azienda; e bisogna credere (ché così dicono i maligni) che la stretta domestichezza che ella ha col marchese di Blancfort, capitano della guardia del duca, sia tutta in ordine alla buona direzione economica, come quello che tiene la borsa privata del suo signore.
Della regina madre non si può dir altro se non che ella è presentemente piena di tenerissima devozione e d'indiscretezza. La sua passata vita è assai nota e note son l'arti ond'ella, venuta in assoluto dominio del povero re suo marito, aderendo ai sentimenti della Francia, l'imbevé di massime così tanto perniciose al suo vero interesse quanto dimostrò la sua fine infelice. Sono inauditi li strapazzi che ella gli fece poi che lo vidde preso così tenacemente dall'amor suo, ed io sono stato assicurato da buona parte che spesso gli conveniva comprare i diletti col <danaro>. Nota è parimente la lunga pratica col conte di S. Albano, il quale, dopo la riforma de' suoi costumi, gli divenne marito di coscienza. Con tutto questo non lascia il conte di procacciarsi di altri sfoghi: ha una pratica con una dama che egli si tiene, fattala sposare a un suo maestro di casa, chiamato Vonel. Di questa ha due bei figlioletti d'undici e dodici anni, i quali tiene al suo servizio in qualità di paggi. Era cosa stomachevole vedere il re e i fratelli in stato di mendicarsi il pane mentr'erano in Francia, e nell'istesso tempo che nella corte si faceva borsa per sostentarli, sentir perdere al conte di S. Albano mille e millecinquecento dobble per sera.
Il prencipe Ruberto ha fatto nella sua gioventù le sue caravane. Ora non lascia di divertirsi, ma non vuole che i suoi piaceri gli costino gran danaro né grand'applicazione. Ama dunque di concludere e di spender poco, e così ogni sorte di persone gli attaglia. Le sue più nobili pratiche che egli avesse dieci mesi sono erano una tal mademoisella Barthe, la quale non ho veduta, ed un'altra, Cecil, maritata (e se non erro, al figliolo del conte di Salisbury), la di cui maggior beltà consiste nella vita e nella bianchezza. Di questa raccontano un bell'accidente, ed è che stando alla commedia allato al prencipe sur un palchetto che non aveva altro parapetto che di balaustri, egli, gettatovi sopra un ferraiolo a uso di tappeto, credesse di poter operare sicuramente con le mani sotto la veste della donna; ma secondo che la cornice, sporgendo in fuori, teneva assai discosto il ferraiolo dai balaustri, fu potuto comodamente osservare da una mano di cavalieri di corte tutto il progresso di una così bella e galante operazione.
Del duca di Monmouth chi volesse raccontare tutte le scapigliature, ci vorrebbe una troppo lunga perquisizione. Di lui basterà il sapere che egli e il duca di Richmont sono stati i due più fieri sbordellatori di Londra. Il duca ha sudato cinque o sei volte per curarsi il mal franzese dell'ossa, di cui non è maraviglia che egli abbia fatte così buone raccolte, non avendo mai rifiutato posta di quanto la canaglia de' suoi lacchè glien'ha messo per le mani, senza sdegnarsi d'intingere dove assai avevano prima intinto e dovevano intingere dopo lui: anzi, il suo gusto maggiore è stato vedergli operare in sua presenza e di bere in loro compagnia a mezzo il divertimento. M'è stato detto che, essendo venuto l'anno passato in Inghilterra quel bastardo del duca di Bellegarde, appresso il quale egli fu educato in Francia, ed avendo condotto seco una sua puttana, il duca se ne innamorò; e non essendo potuto arrivare a cavarsene la voglia, non per altro motivo che per iscapricciarsi, se ne passò in Francia in compagnia di milord Russel, figliolo del conte Bedfort, e finalmente gli riuscisse d'espugnare la di costei pudicizia. Sento poi ch'ella abbia scritto di lui grandissimi vituperi in Inghilterra, ma non ho potuto penetrare le particolarità: è ben vero che, per quel poco di lume che ho delle maniere del duca, m'immagino che tutto consista in non averla pagata. Un simil gioco fec'egli a una tal demoisella Greers, dama di gran condizione, cavata di casa il padre dal duca di Richmont e tenuta parecchi giorni in una villa con promessa di sposarla. È ben vero che, accortasi ella della sua semplicità, se ne fuggì da lui e, non arrischiandosi tornar in casa il padre, si ricoverò in casa un medico chiamato il cavalier de Veuz. Questi è figliolo di padre franzese, ma abituato in Inghilterra: ha viaggiato in Italia, e con tutto il suo privilegio di dottore credo che sappia pochissimo di medicina. È creatura intrinseca di Enrico Howard, di Norfolck, e credo che egli serva piuttosto a medicar le passioni dell'animo che le infermità del corpo. Mi do anco ad intendere che questa sua refugiata donzella si guadagni largamente le spese del suo vivere. Egli me la fece vedere e conversare: ma sentita da un altro amico un'intonatura di venti dobble, fu subito rotta la conversazione. Ora a costei promesse il duca di Monmouth cento lire sterline, ed avutone quel che volle non le dette nulla.
Questo inverno s'abbatté a essere a Parigi nell'istesso tempo che v'era il conte Vaudemont, bastardo del duca di Lorena, giovane ancor egli benissimo fatto: la decisione delle dame fu che Monmouth fosse più dilettoso a vedere e Vaudemont più utile a godere. E veramente bisogna credere queste tali ben informate, perché Monmouth in qualche parte del suo corpo è in istato troppo meschino e compassionevole. Suo gran confidente è un certo cavaliere Verne, persona di condizione assai ordinaria, ma che passa per gentiluomo, non meno per l'ordine che egli ha del Bagno che per uno stato di sette in ottomila lire sterline di rendita. Egli è un cotal biancastronaccio morbido e senza pelo, che a prima vista pare un buonissimo copertoio per una dama. L'amicizia del duca l'ha grandemente insinuato in quella della duchessa, quindi nascono subito le chiacchiere, tanto più credendosi che Verne metta fuora del danaro per dar campo al duca di cavarsi qualche capriccio. Quel che sia in verità non lo so, né m'induco a credere tutto quello che m'è stato detto in questo particolare sulla fede delle persone che me ne hanno dato i ragguagli.
Di milord Arlington è opinione che abbia una stretta dimestichezza con madama Scrup, dama d'atours della regina, subentrato, per quanto si dice, all'abate d'Aubigny, grand'elemosinario, di cui ho inteso con mia gran maraviglia che, oltre al divertimento delle dame, ammettesse anche il trastullo de' giovani, che in questa materia tenesse uno strettissimo commercio col duca di Buckingam. Questa opinione è tanto contraria al concetto che io avevo della virtù di questo degno ecclesiastico, che non potendone con tutto ciò la stima e la venerazione, fo violenza al mio intelletto obbligandolo a non prestar fede a così iniqui rapporti, e mi dichiaro di scriverli come eccessi della calunnia, non come ritratti del vero.
Qui si riducono gli intrighi più nobili della corte. L'entrare adesso per minuto nei rigiri e negl'amori particolari di tutte le figlie d'onore e delle dame che frequentan la corte, sarebbe opera di non venire a capo; ed io confesso, prima, di non saperli tutti, e di molti che mi sono stati detti averne perduta la memoria, come di cose che consiston nella notizia di due soli nomi -- il tale con la tale, e non altro -- , senza portare alcuna conseguenza né avere alcun legamento con gli interessi delle persone reali.
Mi par bene di poter fermare una massima senza far torto a chicchessia: che trattandosi delle dame di corte e di Londra, ci sia poco del netto. Nel resto del Regno mi dicono esserci più innocenza; ma nella città dominante passa per povertà di spirito, e non per virtù, la moderazione nelle donne. Amano però gente nobile, perché son superbe, e gente linda e ben fatta, perché lo fanno per gusto loro, toltone quelle che son spinte dalla necessità, le quali sono universalmente appestate. Onde in Inghilterra è tutto il rovescio del proverbio che dice: «Chi non paga la puttana paga il medico». Ve n'è qualcuna di quelle che vogliono dei lacchè, ma guai a loro se arriva mai a risapersi, poiché perdono subito il credito e la reputazione, non meno tra le donne che tra gli uomini.