Lorenzo Magalotti
Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia

RELAZIONE DEL REGNO DI SVEZIA

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RELAZIONE

DEL REGNO DI SVEZIA

dell'anno 1674

 

 

 

<Governo e stato universale del Regno di Svezia>

 

Scrivendo della Svezia, vengo subito assoluto dall'osservanza di quella superstiziosa esattezza che si prescrivono la maggior parte di quelli che intraprendono a scrivere d'imprese, benché notissime, i nomi antichi e moderni, i tempi e le ragioni perché variarono, le sue prime popolazioni d'onde venissero; quindi i costumi, le leggi, il governo, la religione, le guerre, le descrizioni geografiche, insomma tutte quelle più minute particolarità che vengono in mente a chi pretende di far passar per zelo d'appagare il lettore quel che è compiacenza di scrivere quant'ei sa. Io non mi stenderò in alcuna di queste cose, essendo stata mia cura, nel tempo che mi son trattenuto alla corte di Stockholm, il proccurar di fissarmi nell'aspetto presente senza molto darmi pensiero dell'erudizione delle cose passate, a fine di poterlo ritrarre così alla macchia, in una forma tanto riconoscibile da non avervi a scriver sotto: «Questa è la Svezia». Dicendo inoltre che tra le molte imperfezioni che si troveranno in questo discorso, una sarà la disuguaglianza con cui son trattate diverse materie, tra le quali parrà talvolta che io abbia fatto più caso di quelle di minor rilievo in concorrenza di più importanti: il che accade perché non di tutte averò la medesima informazione e gli stessi riscontri per appurarle. E così, non il troppo diffondermi in quelle ma la necessità di passar leggermente sopra di queste, farà apparire quella sproporzione che io dico.

Ora, di quelle che non ho saputo a segno di poterne trattar con quella distinzione che richiederebbe la materia, mi sarà necessario il dirne incidentemente, or qua or , quel tanto che m'è pervenuto alla mia notizia, secondo che mi caderà in acconcio. E per accennar prima qualche cosa in generale, il governo presente di Svezia, non quale apparisce ma quale egl'è, non direi che fusse altro che una pura aristocrazia mascherata con l'apparenza d'un governo monarchico, che per una né affatto immaginaria né affatto real repartizione della sovrana autorità tra 'l re e i sudditi potrebbe forse da' politici speculativi chiamarsi misto. Così il governo non è qual doverebbe essere, perché le concedono agli stati maggior autorità di quella che effettivamente posseggono, né qual potrebbe essere, perché il re, che è ereditario ed ha l'armi in mano, potrebbe depender manco.

Ora, quello che defrauda del momento della loro legittima autorità gli stati ed incanta la forza del re, è il senato: a quegli sotto 'l manto di mediatore tra essi e l'autorità regia, a questo sotto 'l titolo di suo consiglio. È invero il senato per ragion d'uffizio l'un'e l'altra di queste due cose, ma non per verità. Non mediatore, perché si fa sempre avvocato del re, nelle mani del quale cerca sempre di condurre l'arbitrio e l'avere de' sudditi: l'arbitrio, acciò che sostenga appresso al re il credito della sua mediazione e fortifichi in conseguenza l'opinione della necessità ch'egli ha del senato, e nello stesso tempo gli serva di merito o di pretesto alla partecipazione del secondo (dico l'avere), il quale fintanto che non è nelle casse del tesoro regio non può il senato in alcun modo appropriarsi. Nemmeno può dirsi che 'l senato sia consiglio del re, ma in quello stato che di man in mano torna meglio alla grandezza, all'utile e all'autorità di esso senato, e ciò a qualsivoglia prezzo. Anzi, valendosi di questo titolo di consiglio del re, viene a tenere chiuso l'adito a tutti quelli che, non essendo interessati nella suggezione del re a questo fantastico tribunale, potrebbono consigliarlo secondo l'esigenza del suo vero interesse.

Per sottrarre i re da questa sorda tirannide bisognerebbe, o che nascessero fuori di Svezia o che almeno venissero alla corona con educazione straniera. Il re Carlo Gustavo, che fu padre del re d'oggi e che ebbe l'un e l'altro di questi vantaggi, fu in altra forma re perché fece sempre quello che volle e, secondo che stette continovamente con la spada in mano, tutto fece e non si trovò mai ch'ei contravvenisse alle leggi. Se fusse vissuto averebbe forse mostrato questo bel segreto al figliuolo, il quale per sua disgrazia educato sotto la tutela ordinaria delle leggi non prescritta dall'arbitrio e dall'educazione del padre, non so se arriverà mai a ritrovarlo, essendosi auto grandissimo riguardo a non lasciargli far provvisione di quegl'ingredienti che ci vorrebbono per lavorar da sé, onde non può trovarlo che per azzardo.

Ma basti aver dato questo cenno di quella realtà che, trattandosi del governo di Svezia, rimane occultata sotto 'l misterioso apparato di tante formalità: perché, a considerarle senza la contracifra di cui ho cominciato a dar la chiave, farebbon credere che in Svezia si fosse trovato il modo di ridurre in pratica le massime di quel perfetto governo che, scompartendo con discreta e non incompatibil maniera la suprema autorità tra 'l principe e 'l suddito, è stato sempre considerato o per affatto impraticabile o per seme di ribellioni o di tirannide.

Io non mi fermerò qui in rappresentare qual sia il di fuora di questo governo, giacché si potrà meglio vederlo nella copia che metto a parte dell'ordine e della forma di esso, ed anco in qualche modo si riconoscerà dalle notizie sparse in questa scrittura; ma per darne ora qualche saggio, dirò che il di fuori del governo di questo Regno apparisce depender dall'assemblea dei quattro stati, cioè nobili, ecclesiastici, burgesi e villani. Senza di questi non pare che il re possa levar sussidisoldatesche, non poter da sé solo determinare della pace e della guerra, e molt'altre cose di simil natura: ed è così ben concertata in ogni sua esterna formalità questa apparenza, che quei medesimi che hanno parte nell'opera credono d'essere in realtà quegli stessi personaggi che rappresentano, senza accorgersi di recitare in commedia. La convocazione degli stati si fa ogni tre anni, o più spesso se i bisogni del re, cioè a dire nozze, coronazioni, guerre, preparamento di vicini, armamento di flotte lo richieggono. Allora si radunano nella sala grande del palazzo regio, nel fregio della quale son dipinte l'armi delle province e delle città della dominazione di Svezia, e quivi s'unisce il corpo della dieta, alla quale inviano tutti i territorii, non escluse le più remote province della Lapponia. In questa assemblea non hanno luogo se non quelle province che sono aggregate al Regno: la Livonia, l'Estonia e la Carelia, come paese conquistato, non vi hanno sessione; la Pomerania, le terre di Meklemburg e l'arcivescovado di Brema sono trattati come membri dell'Imperio. Nell'apertura della dieta, alla quale sempre suole intervenire il re, il cancelliere arringa il primo; poi ordina a un segretario di legger la proposizione del negozio, in cui si pretende che consista la mente del re, che sempre è un indovinello. Dopo letta la a esaminare al maresciallo della nobiltà, che viene a essere appress'a poco quel che è negli Stati Generali il pensionario d'una provincia, carica riguardevolissima e che suole servire di scala ai posti maggiori. Intanto che la proposizione si dibatte tra la nobiltà, informata e guidata per lo più dal suddetto maresciallo, tutti gli altri stati fanno i lor deputati per esaminare successivamente la medesima proposizione e riferire ciascuno al suo corpo. Sodisfatta, la nobiltà la manda alla burgesia, la burgesia agli ecclesiastici, questi alla gente del contado. Vero è che tutti riportandosi egualmente ai propri deputati, ne segue che costoro rigirano, se sanno, il loro corpo conducendolo dove vogliono, cioè dove vuol la corte: perché nella forma del presente governo niente ci è da sperare dall'aura popolare, ché se ci fusse lo stato capace di tenere assindacata la corte, certa cosa è che farebbono per lo stato quello che fanno ora per il re, da cui ci è d'attendere tutte le ricompense. Per esempio, il maresciallo della nobiltà aspira, finita la sua funzione, a esser fatto senatore: costui fa appresso i nobili l'avvocato del re, se non quanto talvolta si danno delle congiunture nelle quali, credendo egli di far meglio i fatti suoi con accreditarsi per cervello torbido e strepitoso, si getta a tal partito facendo apertamente broglio contro la corte, per dar motivo al re di levarlo tanto più presto di avanzandolo a posto maggiore, più per paura che non gli guasti i suoi disegni che per gratitudine d'esserne stato ben servito. Dalla forma dunque d'agire dei deputati coi loro corpi risultano le risoluzioni degli stati, i quali per ordinario non si scostano mai da ciò che quelli dispongono. Non è per questo che non apparisca che tutti abbiano mano ai più rilevanti consigli e alle più importanti risoluzioni: e de fatto se lo danno ad intendere, se n'appagano e se ne gloriano, benché in sustanza il tutto sia opera di quei pochi che gli rigirano, che vuol dire de' sentimenti della corte e del senato.

Qui cade a proposito il parlar del senato, il quale, in luogo di formare un quinto corpo nell'adunanza degli stati, fa una figura a parte e una figura doppia, poiché, dopo aver servito di consiglio al re nell'eleggere i <partiti> da proporsi e nel regolare le domande da farsi agli stati, serve di mediatore tra essi e 'l re, per ottener loro quelle modificazioni che maggiormente desiderano; benché in questo giuoco, come ho già due volte accennato, tutto il suo negozio o fine consista in far valere al re il credito della sua interposizione appresso i popoli, e a' popoli il frutto della sua mediazione appresso il re, facendo apparire, particolarmente dove si tratta di levar sussidii, d'averlo indotto a contentarsi d'una somma molto più limitata di quella che da principio aveva fatto le viste di bisognarli o di volere. È il senato antichissimo in Svezia, rappresentando quel corpo de' magnati del Regno co' quali conferivano quegl'antichi re le materie di stato, formando, per così dire, d'alcuni pochi del corpo della nobiltà il loro consiglio. Da principio fu molto ristretto: poi in diversi tempi accresciuto, fu dalla regina Cristina, se non erro, ridotto a venticinque, e dal re Carlo Gustavo suo successore (che volle fomentarne la divisione e riempierlo di fazioni) al numero di quaranta, come è al d'oggi. È adunque il senato, a parlar propriamente, un consiglio del re, eletto e creato o dal re medesimo o da quelli che rappresentano l'autorità regia nelle minorità. Egli è anche vero che, sebbene questo consiglio è eletto dall'assoluta autorità del re, non lascia nello stesso tempo d'essere una spezie di consiglio della nazione, la quale rimette implicitamente al re il provvederla di questo tal consiglio: il che apparisce manifestamente nel giuramento che prestano i senatori in qualità di senator regis regnisque Sueciae, e nel non poter il re deporgli senza l'assemblea e 'l consentimento degli stati, facendo una specie di deputazione di due o tre di ciaschedun ordine, davanti a' quali hanno a processarsi e ha da risolversi, per comune accordo di tutti gli ordini, che 'l preteso reo, in virtù delle leggi del Regno, merita d'esser deposto.

Ora, come tutti i re pretendono d'avere sui loro popoli qualche jus di più di quelli de' quali i medesimi popoli vanno d'accordo, e per lo contrario, si trova che il re di Svezia pretende che il senato non abbia che il puro voto consultivo. Il senato s'oppone, allegando che non occorrerebbe ch'ei consigliasse quando il suo consiglio, particolarmente in caso di una generai conformità di voti, non dovesse obbligare il re a seguirlo. Questa disputa sta sempre in piedi; è ben ver che i re sono in possesso di farsi buona la loro ragione, toltone alcune cose le quali il re senza controversia non le può fare, e non le fa. Verbigrazia, il re non può descriver soldati (intendendo però di quelli <descritti> secondo l'ordinanze consuete delle milizie del Regno), perché le province hanno a pensare al mantenimento di essi, e non gli descrive. Il re non può levar le contribuzioni straordinarie, e non le leva. Non può pigliar moglie senza l'approvazione degli stati, e non la piglia. Non può assumere il governo prima di venticinque anni finiti, e non l'assume. Finalmente non può farsi coronare senza il consenso degli stati, e non si corona. E de fatto, non può il re dispensarsi dall'aver molta considerazione per il senato, poiché, sebbene egli fa senator chi ei vuole, fatti che gli ha non li può più disfare, entrano subito a parte di quella pretensione che mira a metter limiti all'autorità reale, appoggiandosi sulle leggi del Regno, l'aperta infrazione delle quali non può non essere sempre pericolosa: perché, sebbene i popoli odiano generalmente le persone de' senatori per ragion del loro fasto, della loro arroganza e della loro venalità, amano nondimeno le loro leggi, e non saprebbono facilmente comportare di vederle conculcate in pregiudizio del senato, più di qualsivoglia altra cosa. Insomma bisogna considerare il re in ordine al senato, come quel seme che è il principio, anzi l'unico e necessario principio dell'albero, e senza 'l quale l'albero non verrebbe mai; ma egli è ben vero che, una volta l'albero n'è uscito, getta subito le sue radici nel terreno e s'affermisce in quello, senza che per sussistere gli sia più necessario né l'appoggio né il nutrimento del seme che l'ha prodotto.

Del resto il re non solo fa tutte quelle cose che non cadono in controversia, come sono l'amministrazione della giustizia, che si fa sempre in suo nome, la distribuzione di tutte le cariche della corte, della milizia e del Regno, fabbricar vascelli, levar soldati del suo, gratificare colla donazione delle terre che appartengono alla corona, disporre liberamente delle proprie finanze, far nobili, conti e baroni; ma ne fa ancora molt'altre, le quali forse, a bene esaminarle, non potrebbe fare, come sarebbe a dire: non potrebbe fare allianze straniere, e le fa, non può alterare i privilegi delle città, e gli muta, non può mover la guerra e la muove, come fece il re Carlo Gustavo nella seconda rottura con Danimarca, la quale pretese poi di far passare per una dependenza indispensabile della prima, che era preceduta con consentimento degli stati (e de fatto, durante la detta guerra tenne sempre la dieta in Gotteburg). Il fatto è che nelle parole del giuramento regio si pretende che vi sia equivoco, atteso un certo senso ambiguo, e che trattando dell'autorità del senato par che metta una cosa di mezzo tra consiglio e approvazione dei senatori; a' quali, sì come tocca far trovar buono agli stati ciò che di mano in mano torna comodo al re, secondo che aspettano, come s'è detto, dal re tutt'il loro bene o tutt'il lor male, così ancora s'ingegnano di servire al re, e trovando facile accordo co' deputati di ciaschedun ordine, sotto il manto di mediatori, come dissi da principio, fanno la parte d'avvocati del re servendo al suo e al proprio interesse.

Non è dubbio che questi arbitrii del re nelle materie controverse più delicate vengono regolati da molti riguardi: e presentemente il re, benché pretenda d'aver il voto decisivo, in ogni modo, quando la pluralità de' voti è in contrario, la segue, essendo questa una cosa che depende egualmente dal temperamento de' re e dalle qualità de' tempi, de' casi e delle congiunture. Torna anche in favor del re che, sebbene in generale a ognuno deve premere il proccurare l'estensione dell'jus popolare, in particolare però si trovan sempre molti a' quali non dispiace di veder depender le cose piuttosto da un solo che da quaranta. Inoltre non torna alle volte male l'avere il re per debitore di qualche sorta di trasgressione, servendo il lasciarlo impegnare a un arbitrio per tenerlo a freno in un altro e per impinguarli il processo in caso di maggiori attentati, come fecero a Sigismondo re di Pollonia, al quale fecero querela, fra l'altre cose, che egli avesse dato delle cariche senza il <consiglio> del senato.

Carlo undecimo regna presentemente, nato a Holmitz a' 24 di novembre 1655, figliolo del morto re Carlo Gustavo di Svezia e di Hedviga Leonora, della casa de' duchi d'Holstein, ancora vivente. Non ha il re alcun fratello o sorella, ed i principi del sangue reale sono il principe Adolfo, suo zio, la moglie del gran cancelliere, altresì sua zia, sorella del re morto, la moglie di Friz d'Assia, ancor essa zia, ed è madre di tre principesse, cioè della moglie del duca di Wolfenbuttel, della principessa Giuliana, della moglie del principe di Stel, della casa di Sassonia. Non mi fermerò qui a parlare delle inclinazioni o passioni di essi, riservandomi a farlo a parte nel fine di tutto questo discorso, insieme con quelle de' senatori e di qualche altro, di cui ho creduto bene ed ho potuto investigare qualche cosa di particolare.

Fa il re la sua residenza ordinaria in Stockholm, città popolata da ventimila persone, capitale di quel Regno, benché senza muraglie o fortificazione alcuna, situata in suolo ineguale ma praticabile da carrozze, dove la terra orientale di Svezia per uno spazio di sei leghe si fende in una infinità di scogli, e per la gola di essi riceve da ogni parte l'acque del Baltico, finché, incontrandosi coll'acque dolci del Meller, si forma insensibilmente un confine incerto e dubbio di lago e di mare. Quivi ha il suo palazzo assai bello e grande detto Slott, che vuol dire arx, fabbricato dal re Giovanni, la maggior parte piuttosto colle proporzioni d'Italia che secondo le barbare <e> antiche del paese. La torre, con quella poca di fabbrica che v'è intorno, era la vecchia abitazione de' re e fu di Cristierno il Tiranno, cacciato da Gustavo primo. Va il re cercando d'aggiugnervi quelle cose che posson servirli e di comodità e di delizia e di sodisfazione, e adesso fa fabbricare una stalla, nella quale potranno tenersi sessanta cavalli di maneggio, che saranno tutti abbeverati alle loro medesime poste, facendo a ciascheduna di esse la propria fonte: le mangiatoie, del marmo del paese, unirà col medesimo palazzo per un corridore di legno; ed è certo che per una stalla sarà assai bella, non potendosi però dire né questa né l'altre fabbriche fatte con il buon gusto italiano, perché gl'architetti svezzesi vengono in Italia e, benché vedono il bello ed il buono, nondimeno, prevalendo in loro il genio cattivo alla buona scuola e l'ambizione dell'inventare non cedendo alla ragione, fa che s'appiglino molte volte al peggio. Con tutto ciò, chi arriva a Stockholm vi trova delle fabbriche che non solo non hanno le compagne in Alemagna, ma, mi sia permesso il dire, anche in Francia e, salvo che in Italia, in nessun'altra parte d'Europa; non dico né per la moltitudine né per la grandezza, dico per la regolarità dell'architettura, nella quale s'accostano più che altrove all'italiane, e per conseguenza all'antico; e ciò perché, sebbene vogliono sodisfare ancor essi al proprio genio d'inventare, nondimanco si contentano, se non del tutto, più degl'altri d'imitare.

Le case di Stockholm sono tutte fabbricate di muraglie, assai alte e in strade larghe, ed il fabbricare qui costa molto meno che in Francia. Degna cosa però è da sapersi che né in Stockholmquivi intorno si fa calcina, non essendo il sasso di quelli scogli né altra pietra a proposito, onde vien tutta di Gottland, di Finlandia e di Pomerania, e viene nelle navi bella e spenta: e questo per sfuggire l'evidente pericolo che vi sarebbe di dar fuoco al legno, sempre, o che facesse acqua o non si potesse difendere dalla pioggia la calcina, che sopra vi fosse non spenta. I borghi e la più gran parte delle case sono di legname, e le più nobili sono come si vede nel seguente disegno n. 1710, perché quelle della povera gente e le case de' contadini sono d'una struttura assai più ordinaria, non facendo altro che il camino di mattoni; coprono il tetto con scorze di betulla e sopra vi pongono pietre di terra con erba, la quale rinverdendosi nella primavera e nell'estate forma quivi una tale apparenza di prato che rende, per quanto si può pretendere da una tal cosa, vaghezza all'occhio, ed è col disegno notato n. 1611. I camini poco sopra nominati son posti sempre negl'angoli  delle stanze, e dall'aggiunto disegno n. 1812, si può riconoscere che essi mettono ad ardere le legna non a giacere, ma in piedi e che si servono di quella lamina di ferro che è nella gola del camino detta spiell per chiudere, fermata la fiamma, lo sfogo al fuoco, acciò più si diffonda per la stanza, essendo pochissimo l'uso delle stufe ed introdotto da poco in qua, e quelli che l'hanno le fanno accanto al camino per aver l'uno e l'altro, come nello stesso disegno è espresso. Vi sono bene le stufe pubbliche per lavarsi, ove servono tutto punto le donne, e sono parate di tela bianca, essendo in esse diversi scaglioni o gradini per porsi dopo lavato, o sugl'alti o sui bassi, secondo che più o meno si vuol pigliare l'aria calda per sudare, e per poter meglio comprenderlo ne ho fatto formare l'aggiunto disegno n. 1513.

Non sono in Stockholm molte piazze, e la maggiore è quella del mercato del nort, ove ordinariamente si vende. Tra le chiese la più bella è quella degl'Alemanni, ove spesso si porta il re; quella poi del palazzo, ove si fanno le funzioni della corte e vi si depositano i cadaveri de' signori grandi, finché si portino alle loro terre, sarà di grandezza <...>.

E considerando il lusso di questa città, non solo nelle fabbriche ma nelle carrozze, ne' cavalli, in qualche tavola, nelle spese e nell'industria de' giardini, nello studio delle mode, nella curiosità delle galanterie di Francia e delle manifatture d'Inghilterra, nell'uso e nella stima, se non veramente nel gusto e nel diletto, degl'odori d'Italia, piglierei la città o, per dir meglio, la corte di Stockholm per una delle più illustri colonie che l'industria o la fortuna della Francia abbia piantato nel discoprimento della bellezza del presente secolo. Fra le mode che sono qua giunte di Francia, una è quella del vestire, onde, benché le donne della borgesia prima avessero un abito proprio com'è quello disegnato n. 814, nondimeno oggi è ridotto a praticarsi solo fuori di Stockholm, o pochissime l'usano in detta città. Il re e la nobiltà hanno formato un misto di franzese e svezzese, pigliando qualche cosa dalla moda di quella nazione ed aggiugnendovi molto del loro proprio gusto e capriccio, tale appunto qual è il disegno n. 1015. Hanno carrozze e slitte, e secondo che la stagione, il tempo e 'l luogo lo richiede o permette, praticano anche le barche16: le carrozze sono tutte fatte sul taglio franzese, ma di quelle che sono coperte e a due cavalli i borgesi non posson servirsene; usano bene slitte con un cavallo, come al disegno n. 117. Le slitte poi con le quali si corre ordinariamente sul Meller quando è diacciato sono come il disegno n. 518, portando la gente un fazzoletto al naso e sotto i piedi tenendosi pelli d'orso per ripararsi il possibile da' gran rigori del freddo: e delle barchette colle quali si va in tempo di primavera e di state a spasso sul Meller, eccone altresì il disegno n. 419; servon queste eziandio per traghettare acqua (la quale poi portano le donne come nel disegno n. 320) e sono sempre guidate tutte da donne, e giovani e vecchie alla rinfusa, delle quali è assai comun opinione che s'adattino secondo l'età a qualch'altra professione di cattiva fama.

 

 

 





10 T. 17.



11 T. 16.



12 T. 18.



13 T. 15.



14 T. 8.



15 T. 10.



16 T. 20.



17 T. 1.



18 T. 5.



19 T. 4.



20 T. 3.



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