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È dunque da sapere che anticamente quelli che possedevano queste cariche amministravano gl'affari più importanti del regno, i quali per la loro quantità e per poca applicazione venivano trascurati: onde, per rimediare a questi disordini, l'avo e 'l padre del re Gustavo vollero istituire i cinque di sopra accennati magistrati, de' quali costituendo però essi presidenti, venivano ad alleggerire loro il peso delle fatiche. Ma per vari casi allora succeduti non poterono mettere in esecuzione questi salutari consigli, che il re Gustavo, se gli fosse stata concessa e più vita e maggior quiete, voleva ultimare, come successe poi dopo la sua morte nella minorità della regina Cristina: poiché in tal tempo ritrovata una riforma di governo scritta dal gran cancelliere per ordine del re Gustavo, nella quale vi erano questi cinque magistrati, fu questa bene esaminata, e di poi ricevuta ed approvata dagli stati. Oltre il vantaggio che portano seco queste cariche, d'esser presidente, vi s'aggiugne ancora che tutti cinque insieme compongono in tempo di minorità la tutela regia, ed hanno in simile occasione o maggiore o minore l'autorità secondo le congiunture de' tempi e l'abilità delle persone, allargandosi fino all'amministrazione del danaro, pigliando cognizione di tutte le spese, anche della guardaroba e della casa. Nell'ultima reggenza non si sono radunati insieme come rappresentanti l'autorità regia se non nelle spedizioni delle lettere: nell'altra si radunavano qualche volta a parte, ed avevano le loro risoluzioni il vigor medesimo che hanno d'ordinario le regie.
<La giustizia.>
Il conte Pietro Brahe al presente ha il posto di gran Drossart che quasi corrisponde al gran giustiziere nel Regno di Napoli, ed è il presidente del supremo magistrato della giustizia, che decreta ciò che è sottoposto, o direttamente oppure per legittima appellazione, al giudizio regio. Compongono questo magistrato, oltre il sopraddetto capo, quattro senatori, sei nobili ed altrettanti leggisti che formano il numero di diciasette, ed a questi vengon subordinati i segretari ed i notai ed il fiscale regio, con tutti quelli che amministrano giustizia. Ha facultà di rivedere le cause degl'altri magistrati, di dar sentenza di morte in assenza del re, l'assistenza del quale è però sempre necessaria per graziare i condannati. Ma perché sarebbe impossibile alla gente più lontana, per la spesa del viaggio e per altri incomodi, il poter ricorrere a questo magistrato, hanno costituito tre altri tribunali col titolo di supremi in diverse parti del Regno, i quali abbracciano e si dividono tutte le province. Questo adunque, che per ordine e per dignità è il superiore a tutti, risiede in Stockholm e si distingue dagl'altri non solo per esser composto di persone riguardevoli e per distendere la sua autorità sopra tutti (quelli) che amministrano la giustizia nelle province e città del regno di Svezia, ma per esserli soggetti eziandio quelli che con particolar privilegio sono esenti dagl'altri giudizi. L'altro de' supremi magistrati risiede in Jenekoping, presidente del quale è un senatore, con l'aggiunta di sei nobili ed altrettanti leggisti, avendo i propri segretari, notai e fiscali, distendendosi la sua giurisdizione per tutta la Gottia. Nella città d'Abó è l'altro magistrato supremo, colla presidenza di un senatore e colla medesima qualità e numero di persone dell'ultimamente nominato: la Finlandia, e tutto quello che vien compreso dall'una e l'altra Carelia, è sottoposta alla di lui amministrazione. L'ultimo di questi è costituito in Dorpat, ed è composto come i due sopraddetti e comprende sotto di sé la Livonia e la Ingermania. Da questi tre tribunali supremi non si dà appello, e solo a chi si tiene gravato è salvo il ricorso al re per la revisione.
Si concede bene l'appello dagl'altri tribunali non supremi, e l'ordine col quale si procede è il susseguente: le sentenze de' giudici particolari d'ogni distretto, i quali aprono tre volte l'anno il loro tribunale, si devolvono per appellazione a' giudici della provincia che chiamano Lagmans, che per essere cariche d'annua rendita almeno di millecinquecento scudi, sono sempre nelle mani de' primi signori del Regno; questi però non l'esercitano che per sostituti, i quali tengono giustizia un tempo solo dell'anno. Da' Lagmans si devolvono al parlamento, il quale alle volte nelle cause più gravi e difficili le partecipa al re, che, se merita il conto, dà degl'aggiunti al parlamento. Dal parlamento hanno l'appello al re esaminandosi nel collegio delle revisioni, del quale ordinariamente è presidente il cancelliere della corte, e, secondo l'importanza della causa, vi sono deputati senatori o altri che intervengono al medesimo giudizio. Se poi alcuno di gran condizione e costituito nelle supreme cariche commetta delitto di lesa maestà, la cognizione del quale fosse propria degli stati, allora il re raduna i detti supremi magistrati col rimanente de' senatori, prefetti del Regno, consoli di Stockholm, d'Upsalia, di Gotteburg, di Norkoping, d'Abò e di Viburg, i quali sostenendo le veci degli ordini hanno l'autorità di sentenziare, e nessuno di qualsivoglia condizione può sottrarsi da questo giudizio: ed in tal congiuntura il sopraddetto viceré del Regno è il presidente, oppure per legittima causa non potendovi egli intervenire, sostiene le sue parti il gran cancelliere, assistendovi a' loro posti i senatori e gl'altri, secondo i lor gradi. La maggior parte delle occupazioni di questi cinque magistrati sogliono essere nell'inverno, rimettendo quasi ognuno a questa stagione i suoi affari per la comodità di viaggiare sopra le slitte, con le quali attraversandosi fiumi ed i laghi diacciati si abbrevia notabilmente la strada.
<La milizia.>
Nel secondo luogo vien considerato il contestabile del Regno, da loro chiamato Marsk, e presentemente ha tal carica il conte Carlo Gustavo Wrangel, il quale presiede al magistrato che ha sotto il suo comando tutto ciò che appartiene all'ordine militare: cioè, tanto la cavalleria quanto l'infanteria e comandanti d'esse, e l'artiglierie, attrezzi ed altre provvisioni militari, sopraintendendo eziandio alle fortificazioni. Questo magistrato (che, come s'è detto, ha presidente il contestabile) è composto di due senatori che hanno aùto cariche di guerra, e d'altri quattro che l'esercitano attualmente, e per ordinario dal Campiductor (quando è forestiero), supremo capitano delle guardie. Sono subordinati a questo i suoi segretari, notai, copisti, che con ordine conveniente registrano le cose a questo luogo trattate.
L'ordine delle cariche militari in Svezia è questo: la prima è quella del gran contestabile; poi quattro marescialli di campo, posti occupati al presente da Gustavo Bannier, Enrico Horn, Cristofano Horn (che è stato aio del re) e l'Helmfelt; il gran maestro dell'artiglieria, che adesso è carica vacante; il generale della cavalleria, che è il conte Gustavo della Gardie (ben è vero che in oggi vi è ancora il vescovo di Heutin, generale della cavalleria alemanna, la quale non è carica permanente ma si provvede secondo le congiunture); il generale dell'infanteria, che è Pierre Sparr; un luogotenente generale della cavalleria, che è ora Aschemberg; per luogotenente della cavalleria alemanna è stato progettato il conte di Konigsmarck, che è in Francia da che cominciò questa guerra; luogotenente generale della cavalleria svezzese è Schultz. In Livonia hanno ancora un tal Fersen di detto paese, uno de' migliori uffiziali che comanda in tal posto in quella provincia; a Narva vi hanno un altro svezzese che si chiama Taube, gentiluomo di nascita, che è stato colonnello di cavalleria dopo maresciallo della corte ed è stimato assai ordinario.
Dopo questo succede quel posto che chiamano general maggiore, che corrisponde quasi a brigadiere. Il suo carico consiste in comandare un'ala, comando per altro troppo grande per un colonnello; tocca a lui portare il nome ed in sustanza egli è in una armata quel che è il maggiore in un reggimento, sempre ve ne è uno alla testa d'un'ala della cavalleria, e due o tre innanzi a' battaglioni dell'infanteria. Nelle truppe di cavalleria svezzese adesso è Wolmar Wrangel, nell'alemanne è Gisi, che ha servito di colonnello nel circolo della Bassa Sassonia. Il general maggiore dell'artiglieria è Sueblad, che è stimato un buon uffiziale e adesso quasi comanda interamente l'arsenale, per non vi essere il gran maestro dell'artiglieria. Per l'infanteria alemanna hanno due generali maggiori: Dellvik e Volfeg, tutti due buoni uffiziali; per la svezzese il general maggiore è Mortaigne, olandese, buon uffiziale ancor esso e soldato di fortuna. Gl'altri uffiziali sono: colonnello, luogotenente colonnello, maggiore, capitano, quartiermastro; ed in ciascun reggimento vi è il predicante, <il> segretario, <il> preposto. Questi generali, eccettuando il contestabile, non hanno servito che di tenente colonnello o capitano.
Le guerre che fece il re Carlo Gustavo nella Danimarca e Pollonia consumarono quasi tutti i buoni e vecchi soldati avanzati a quella dell'Alemagna, e non bastarono a farne de' nuovi, e di quelli che erano rimasti, in sedici anni di pace, la maggior parte si sono ammogliati: onde avendo le loro famiglie, difficilmente si potrebbono rimettere al mestiere. Inoltre porta gran pregiudizio alla milizia la massima, forse più radicata in questa nazione che nell'altre, che la sola nobiltà abbia le cariche eziandio di capitano, e perché ciò puntualmente si è osservato nella reggenza, di qui è che è come impossibile che la gente di fortuna sia avanzata e si cimenti, avendosi solo riguardo alla nascita e punto al merito.
Tale è l'ordine delle cariche militari in Svezia, ove è molto facile operando bene essere avanzato, poiché la vasta giurisdizione de' comandanti primari dà loro luogo di farsi, quanto in altro paese, delle creature, essendovi ogni giorno congiunture per tenersi sempre, anco in tempo di pace, molte milizie in piedi, le quali consistono in questi reggimenti, intendendoli per ora della cavalleria: (1) d'Uplandia, (2) di Vestrogotia, (3) di Smolandia, (4) di Schonen, (5) di Ostrogotia, (6) di Bohus (della Svezia); (7) il primo, (8) il secondo, (9) il terzo di Finlandia; e (10) quello della nobiltà, il quale ordinariamente non esce di Svezia21; (11) Blecking ed Halland insieme fanno un solo reggimento.
I reggimenti d'infanteria sono i seguenti: (1) d'Uplandia; (2) primo, (3) secondo, (4) terzo di Vestrogotia; (5) primo, (6) secondo, (7) terzo di Smolandia, (8) di Ostrogotia, (9) di Vermeland, (10) di Sudermanland, (11) di Dalarne, (12) di Vermeland, (13) di Jemteland, (14) di Nordwestbotten, (15) d'Osterbotten, (16) di Helsingeland, (17) di Schonen, (18) di Halland e di Blecking, (19) di Mineurs, (20) di Dragoni, (21) un reggimento di Svezzesi ed (22) un altro di Finlandesi. Genti per l'artiglieria: un reggimento di Svezia, un reggimento di Pomerania, un reggimento di Livonia, e questi tre reggimenti non hanno mai il loro numero se non in tempo di guerra.
Stipendio della cavalleria: un solo colonnello ha millecinquecento scudi d'argento di Svezia; un tenente colonnello 700; un maggiore 240; un maistre des logis 160; due scrivani hanno per uno 40; capitano 240; luogotenente 170; cornetta 170; due caporali hanno per uno 40; scrivano 40; furiere 30; predicante 30; proposto 30; cerusico 30; due trombi hanno per uno 15. Il maresciallo è pagato com'un altro soldato.
In ogni compagnia sono 150 soldati, e questi non hanno altro assegnamento che un paesano, che li paga a ragione di scudi 30, per il quale aggravio detto paesano gode qualche piccola esenzione. Oltre questa paga gl'uffiziali hanno altri vantaggi, cioè il mantenimento de' cavalli ed altre piccole cose, ma il semplice soldato non ha altro che i sopraddetti 30 scudi.
Gl'uffiziali dell'infanteria che hanno stipendio in danari sono: il colonnello, che ha 1.500; tenente colonnello 750. I seguenti non hanno alcuna paga in contanti se non entrano in guarnigione o in guerra: maggiore, maistre des logis, predicante, cappellano, scrivani (due), auditore, barbiere (con tre compagni), proposto (con tre compagni), furiere, capitano, luogotenente, alfiere, sergente, scrivano, Rustmester (maistre des cuirassiers vermeils), sei caporali, due tamburi, settantadue moschettieri per compagnia, settantaquattro picchieri per compagnia.
Tutti gl'uffiziali, come si vedrà ancora de' soldati, hanno terre, una parte però della lor provvisione l'hanno in contanti dalla camera de' conti, ma questo a stento, spartendosi il più delle volte o la metà o 'l terzo o 'l quarto, secondo che vanno l'annate e le spese del re.
Nel far nuove leve d'infanteria, sì come nel reclutarla, si tiene lo stesso ordine come appresso, colla sola differenza che nelle reclute non vi è bisogno del consenso degli stati, come nell'altro caso. Da ogni dieci o venti contadini si cava un soldato, secondo da qual de' due numeri hanno stabilito; e se l'eletto vuol esentarsene, tocca a lui a proporre un cambio, quale s'accetta o no secondo che viene giudicato abile per la professione. In alcune province i soldati hanno qualche cosa invece della paga, in alcune non hanno niente di positivo, godendo solo qualche piccola esenzione: nelle prime i soldati hanno terre a loro destinate, ed ad ogni otto soldati viene assegnato un paesano che diventa loro contadino. Il podere di costui è una tenuta di terra, che per la parte del padrone frutta in grasce intorno a dodici talleri d'argento; così quel podere è spartito in otto porzioni, delle quali ogni soldato riconosce la sua. Per ordinario uscendo dalla casa propria va ad abitare sopra quelle terre, ove si fabbrica una casetta di legno in mezzo d'un campo capace di starvi a diacere, e niente più, e quivi s'industria servendo per opera al proprio contadino nel lavoro delle terre proprie o d'altri, tanto che possa sostenersi. In ciascuna provincia vi sono de' contadini esentati, come si dirà in altro luogo, che addimandano Roer, onde in quelle province ove vi sono molti Roer non si fa quasi soldato alcuno, e nell'altre più. Di qui viene che non si può mai sapere precisamente il numero dell'infanteria svezzese, perché i reggimenti di quelle province ove sono pochi Roer saranno di duemila uomini; per lo che questo modo di far reclute cagiona che alcuni reggimenti s'aumentano strabocchevolmente, e degl'altri il numero è pochissimo. L'infanteria non tiene appresso di sé l'arme, ma le vengon fatte dare dal re quando deve marciare, onde non è per conseguenza esercitata, e gl'uffiziali d'essa non sono obbligati di stare al reggimento fino a tanto che non sono per uscire.
Nella cavalleria vi è un numero fisso, e non cresce né scema, e in occasione di guerra, che vogliono aumentarla, si fa tamburo battente come negl'altri paesi. Il semplice soldato a cavallo ha la terra d'un contadino, il quale è obbligato a menar buono al padrone a ragione di trenta scudi l'anno, come s'è visto di sopra. Il cavallo, la sella e l'armi sono dati la prima volta dal re, rimanendo sempre alla casa del soldato, il quale morendo, la moglie è obbligata a fornire un nuovo soldato al re, trattenendovi in quel posto chi ella vuole senza farlo arruolare: il che passato l'anno si deve fare. Onde, se ha figliuoli in età competente ed abili, sì come essi sono eredi così ancora uno di essi bisogna che sia soldato; se non ha figliuoli o non sono abili, allora si rimarita, ed il marito volendo è soldato, altrimenti fa di mestiere mantenere uno, verbigrazia un servidore, al quale d'ordinario dà dieci scudi l'anno. Se muore il cavallo, se si perdono l'armi e la sella, tutto è a carico del proprietario della terra, ed in tal modo la cavalleria è sempre compita, perché i successori o sono soldati per sé o gli mantengono.
Tanto l'infanteria, però, quanto la cavalleria di Svezia non è delle meglio esercitate, perché non gli fanno fare gl'esercizi se non una volta l'anno, reggimento per reggimento, e al più al più qualche uffiziale subalterno esercita la sua compagnia, ma ciò non è praticato da tutti. Nondimeno sono assai considerabili le forze della Svezia, sì perché il popolo è proprissimo per la guerra, sì perché vi è sempre una grand'armata in piedi e sì perché vi sono molti nobili che non sanno fare altro mestiere che quello del soldato. Il popolo è proprio per la guerra, come quello che tollera facilmente le fatiche ed è parco e frugale nel vitto; inoltre ogni soldato s'adatta meglio d'ogn'altra nazione a tutto ciò che li può far di bisogno, tanto d'intorno la sua persona che del suo cavallo. Vien però detto dal medesimo contestabile che sieno più ardite le truppe nuove svezzesi che le vecchie, poiché per mancanza di spirito non apprendendo il pericolo, lo vanno ad incontrare, il quale conosciuto in qualche occasione forse troppo lo temono. E per verità non si può dire che per natura sua questo popolo sia bellicoso, non riconoscendosi in esso una fierezza tale che li possa far meritare questo nome: di radissimo vengono tra loro alle mani, dicendosi dell'ingiurie colla spada accanto, la quale staranno gl'anni senza adoperare, dal che si può conoscere il temperamento della nazione. E ciò supposto per vero, mi pare che gl'Italiani siano di genio più bellicoso del loro.
In qualsivoglia modo che sia, la Svezia si rende fortissima per il sito, e sebbene ella non ha molti luoghi fortificati, quali appresso accennerò, nondimeno si può dire che ella sia come una piazza che non può esser presa; tutto quello che si può fare è bloccarla: questo segue ogni volta che Danimarca, Brunswich e Brandemburg siano in lega contro di lei. Solo due piazze si possono considerare per buone: l'una è Carlestatt sul Weser, due leghe sotto Brema verso il mare, l'altra è Wismar, che è il Carlestatt di Lubecka, la quale nel 1664 implorò la protezione di Svezia contro la Danimarca, appunto vent'anni dopo che aveva mandato un araldo in Svezia ad intimar la guerra al re Enrigo congiuntamente colla Danimarca, e che aveva messi in mare sedici vascelli, de' quali per la tempesta sulla fine della campagna se ne persero tredici, e fu allora che il re diede quella bella risposta all'araldo, interrompendolo dopo la dichiarazione fatta per parte della Danimarca, dicendo: «Reges regibus bellum indicunt, civitates civitatibus»; e, voltategli le spalle, lo mandò al senato acciò la repubblica di Lubecka intimasse la guerra al senato di Stockholm.
L'altre fortezze poco vagliono, e per particolarizzare qualche cosa sopra di esse dirò che in Norvegia vi è Bohus, che è un castello che non vale niente; lo stesso si può dire di Gotteburg in Svezia; in Halland vi è Halemstatt, e fra questo e Gotteburg è situato Varberg che ha un castello assai buono. Laholm ha il fiume ma con poco fondo, ed il castello è piccolo; Elsinborg non è quasi niente; Landskron è in Schonia. La città di Malmoe è assai forte, e la cittadella benissimo fortificata. È di poca stima Cristianstad in Schonia, come Cristianopoli in Blecking. Calmar è benissimo fortificata, ma non è finita. Le montagne che sono per tutta la Norvegia le servono di fortezza, non v'essendo per altro se non qualche piccolo ridotto. In Livonia le principali sono Riga e Reval, molto considerabili; nell'Ingria Narva, in Finlandia Wiburg ed il castello d'Abó, <che> è mediocre.
<L'ammiralità.>
Il terzo magistrato è quello che soprintende all'ammiralità, che ha per presidente il grand'ammiraglio conte Gustavo Ottone Stembock, e per assessori due senatori, i quali per ordinario hanno servito in mare, come anco quattro vice grand'ammiragli oppure capitani anziani dell'armata, uno de' quali è sempre il comandante dell'isola. Vi sono ancora i segretari, notai e copisti, i quali registrano quanto occorre conforme gl'altri magistrati. Da questo si ha cura di tutte le navi regie da guerra e d'altri piccoli legni, siano in qualsivoglia luogo, toccando a esso a provvedere quanto fa di bisogno per il mantenimento di essi. Da questo medesimo magistrato dependono i marinari ed insomma tutto ciò che appartiene all'ammiralità, avendo il grand'ammiraglio più largo campo d'arricchirsi d'ogni altro uffiziale del Regno, mentre egli ha l'amministrazione del danaro assegnato alle cose del mare e alla paga de' marinari, il numero de' quali e il loro soldo è in arbitrio suo il regolare, il che egli fa a misura delle contingenze che corrono e della propria discrezione. È certo che presentemente l'ammiralità è nel migliore stato che sia mai stata, mercé d'un giovane nominato Clerck che n'è maggiore. Questo giovane essendo buon meccanico ed economo ha migliorato la propria abilità coll'osservazioni fatte in Olanda e in Inghilterra, e colla sua applicazione ha ridotto le cose in buon stato, di pessimo che si trovavano tre anni sono. Vien notato per difetto considerabile nell'ammiralità di Stockholm che tutti i vascelli stanno nell'acqua dolce, il che è certo che apporta loro gran pregiudizio.
Danno fuora una gran lista che contiene un numero considerabile di vascelli, ma per verità non son tanti, non potendosi far capitale presentemente di più di ventiquattro o ventisei, riducendomi a far questa tara perché io, oltre gl'altri riscontri, non ho mai trovato nell'ammiralità più di duecento persone a lavorare, compresovi tutte le maestranze, intagliatori e maestri d'asce e simili. Il maggior vascello che abbiano è quello che chiamano la Corona di Svezia, ed è tanto grande che io non ho veduto l'eguale né in Olanda né in Inghilterra. Porta da 120 pezzi ed è di bellissima proporzione, pretendendosi di aver unito tutto il buono della fabbrica olandese e dell'inglese, e per verità è stimatissimo da tutte le nazioni. Il capomastro che l'ha fatto era inglese, ed è partito disgustato; quello che vi è adesso è parimente inglese, ma non è grand'uomo: in ogni modo, se il maggiore continua a starvi, e <avviene> che gli somministrino danaro e che lascino d'invidiarlo per non esser di nascita (essendo la nobiltà in possesso d'aver tutte le cariche, nelle quali è in propria libertà l'accrescersi l'utile), è capace di metter le cose in buono stato. Vi è però apparenza che non possa durare, considerato il poco zelo ed attenzione che hanno quando si tratta del servizio del re.
Il miglior vascello dopo la Corona è la Spada, e poi i Sette Pianeti, de' quali chi porta 100, chi 90 e chi 80 pezzi, e fuori di cinque o sei tutti gl'altri son rifatti, essendo una gran parte di quelli presi a' Danesi nella battaglia del Sundt. Sopra le navi da guerra hanno i timballi (e le lor casse son di rame) coperti con incerati: e benché i pezzi appariscano tutti di bronzo, nientedimeno sono stato assicurato che ve ne sono moltissimi di ferro, dipinti e datogli sopra una tal vernice che regge all'acqua. Di questi son ben provveduti, sì come di cordaggi e vele; stanno però male di monizioni e altri attrezzi da guerra.
I marinari formano tre reggimenti e son provvisionati come i soldati a cavallo, avendo circa a trenta scudi l'anno, che vengon loro dati da otto o dodici contadini. Il grand'ammiraglio comanda ad un reggimento, e i due ammiragli agl'altri due, ed i capitani e tenenti fissi di queste compagnie sono anche capitani e tenenti de' vascelli da guerra.
Due compagnie stanno ordinariamente all'Holm (nel qual luogo, posto sopra tre scogli, ci è l'ammiralità, come nel disegno seguente numero 2222), e queste servono in quel che occorre, ed in specie per far salve e cose simili. Gl'altri reggimenti stanno alle lor terre e sono cinquemila persone, delle quali non so se mille sieno state una volta sola in mare, e tutti sono obbligati a venire al servizio ad ogni cenno dell'ammiralità. Non è però maraviglia se sono ignorantissimi, non perché la nazione non sia propria per questa professione, ma perché non sono esercitati, non facendo se non piccoli viaggi per il Baltico e pochissimi in Inghilterra, Olanda, Francia e Portogallo, e quelli che escono dal Baltico navigano per lo più con legni piccoli senza carta23, fidandosi d'una tal pratica che hanno nel riconoscere le stelle: ma essendo gente di poco giudizio e il più del tempo ubriachi, di qui è che si possa far poco conto di loro, superandoli in questo i Danesi, poiché, sebbene questi hanno meno mercanzia, hanno bisogno di più vascelli per trasportarla, calcolandosi che per il solo pesce d'Islanda vadano 24 navi l'anno, e nel regno di Norvegia vi faccino 2.400 viaggi.
I capitani ed i tenenti de' detti marinari in Svezia in tempo di pace non hanno altro se non che le divise e quei contadini che mantengano un soldato tutti in comune: gli danno non so se un quarto o mezzo scudo, onde hanno tanti quarti o mezzi scudi quanti sono i marinari nelle loro compagnie, e questo non sempre in danaro ma in caci, burri, pollami e cose simili, il che fa che si proccurano qualche approveccio nel cassare e nell'arrolare di nuovo.
<La cancelleria.>
Il gran cancelliere del Regno è il presidente del quarto magistrato che si chiama della cancelleria, possedendo presentemente questa carica il conte Magno Gabriello della Gardie, al quale sono aggiunti quattro senatori per assessori, il cancelliere della corte, due segretari di stato della principal nobiltà. Appartiene a questo magistrato tutto quello che riguarda i consiglieri aulici, ambasciadori, residenti, agenti, segretari, referendari, copisti, tanto del Regno quanto quelli che assistono giornalmente alla cancelleria. In esso si formano i decreti, statuti, editti concernenti a' privilegi personali, alle città, alle province e a tutto il Regno, conservandosi appresso il gran cancelliere il gran sigillo, ed il sigillo delle firme ordinarie appresso il cancelliere della corte, oppure, in sua assenza, appresso l'anziano di segreteria: e tutti gl'atti pubblici, prima che si presentino al re per firmarsi, si devono sottoscrivere dal gran cancelliere o suo luogotenente, andando gl'altri sottoscritti dal cancelliere di corte o dal segretario, che gli presentano. Nella cancelleria si distendono anco le plenipotenze, se ne spiccano tutte le spedizioni, si fanno i trattati cogl'amici e vicini. Per essa passano i negozi cogli ambasciatori stranieri, ed insomma ha la direzione totale degl'affari politici, e di più anche in essa si determinano quelle cose che ordinariamente richieggono tutti i senatori, i quali sempre si adunano per mezzo del gran cancelliere in un luogo più appartato della cancelleria. Vi si conservano tutte le scritture, le quali per l'addietro si trovavano tenute molto scarse e confuse per tutto il Regno: perché, in tempo che vi era la religion cattolica, i frati francescani erano allora i segretari ed i cancellieri, non essendovi molti che sapessero fare altro mestiere che servirsi della spada, onde tutte le scritture e registri restavano appresso di loro in vari conventi, tenendogli assai ordinariamente. Ma nello sconcerto grande del cambiamento della religione tutto fu disperso, e molti s'appropriarono quelle scritture che crederono poter loro star bene l'averle piuttosto appresso di sé che ne' pubblici archivi. Di qui nasce la grand'oscurità nella quale sono molte cose del Regno e delle famiglie, al che con gran fatica e pena ha proccurato e proccura di riparare quanto può il gran cancelliere.
L'aver parlato della cancelleria, alla quale, come s'è detto, è commessa l'amministrazione del politico, mi dà congiuntura di trattare degli interessi della Svezia, il maggiore de' quali, sì come il discreto lettore può assai facilmente intendere e pianamente credere, sarebbe la conquista della Danimarca, sì come, all'incontro, della Danimarca sarebbe la conquista della Svezia, con questa differenza: che la Svezia è tanto superiore di forze alla Danimarca che ella da sé sola potrebbe tentarvi sopra qualche cosa, il che non potrebbe farsi dalla Danimarca sopra la Svezia, se non fosse unita con Brandemburg e con Brunswich, nel quale caso si ridurrebbe la Svezia in grandissime angustie. Il maggior pericolo però degli Svezzesi sarebbe quando conquistassero la Danimarca, perché il re di Svezia averebbe allora comodità maggiore di mettere in esecuzione uno de' modi più facili per rendersi assoluto monarca nel suo paese valendosi dell'armi (come abbiamo osservato) della Danimarca: perché, soggiogata che questa fosse, non averebbe di chi temere che l'investisse nel tempo che gli fusse occupato negli affari del suo Regno, come facilmente potrebbe seguire stando le cose nella forma presente. Se il re Carlo, quando ruppe colla Danimarca la pace poco prima fatta seco con quel trattato che gli portò la provincia di Schonia e Blecking, avesse assediato in cambio di <...> Coppenaghen, gli riusciva facilmente d'impadronirsi di tutta la Danimarca, perché era allora quel re disarmato ed occupato in aggiustare quel Regno a suo modo, ed averebbe Carlo potuto allora perfezionare l'opera di ridurre la Svezia a più stretta servitù. Ed è comune opinione che, dopo seguita di nuovo la pace, fosse egli quello che suggerì al re di Danimarca il valersi della congiuntura, per l'armi che si trovavano per la guerra in piedi, per farsi sovrano, sì come fece, non con altro fine se non per fare all'altrui spese esperienza di ciò che egli medesimo, o in un modo o in un altro, disegnava di fare. Onde la cognizione che hanno gli Svezzesi, che ogni progresso del loro re sopra la Danimarca può essere il veleno della loro libertà, doverebbe essere d'impedimento al tentar cosa alcuna sopra quel Regno. Oltre di che, dalle guerre del re Carlo Gustavo si può anco dedurre che generalmente siano inclinati alla guerra solo quanto richiede la necessità e la reputazione del Regno: poiché, potendo questo re raccorre i frutti delle sue armi vittoriose in una pace che gli portava tutta la Prussia e tutto il danaro della Pollonia, e volendo (anzi che contentarsi di ciò) seguitare avanti la sua conquista, facendo venire nello stesso tempo di Svezia la corona per coronarsi re di Pollonia, dal che conoscendo gli Svezzesi che la sua ambizione andava più in là del semplice nome di vendicatore dell'onore della Svezia, si raffreddarono gl'animi loro in quella guerra e conquista; ond'egli vedendosi a risico di perdere la propria reputazione, stimò bene desistere dall'impresa abbracciando l'occasione che impensatamente incontrò di una guerra contro la Danimarca, come quella che per allora scopriva meno la sua ambizione e che era più plausibile al Regno, perché aveva una tale apparenza di necessità per l'attacco che dalla medesima Danimarca veniva fatto. Non per questo però ardirei d'affermare che gli Svezzesi non volessero mantenere una guerra che non avesse altro fine che il conquistare: prima, perché conosco che son poche le massime che si possono stabilire infallibilmente per vere, e che fra le più sottoposte alla variazione sono quelle che si formano intorno a ciò che sia o appare uno stato, potendovi essere infinite cagioni, e nascere mille incidenti bastanti a produrre mutazioni; secondariamente, perché mi convincerebbono l'imprese di Gustavo Adolfo e le conquiste che in diversi tempi si sono fatte, come della Livonia e dell'Estonia sopra i Pollacchi, dell'Ingria, di Kexholm, di Narva e di Neuslot sopra i Moscoviti, e della Pomerania, del Bremese e di Werden nell'Imperio.
Ma quando pure la Svezia volesse applicare all'impresa contro la Danimarca, cert'è che questa potrebbe farla con più vigore e facilità d'alcun'altra: perché, attaccando la Norvegia, ella può inondare sopra questo Regno con tutte le sue forze e senza l'aiuto d'alcuno, mentre i medesimi stati che permettessero al re il fare la guerra lo fornirebbono a' confini delle cose necessarie, delle quali nessuna gli manca fuori del denaro, sì che non resterebbe da pensare ad altro che al modo di far marciare le truppe. Vi sono però le sue difficultà, come strettezze di passi e la sterilità del paese, onde si rende difficile il mantenimento dell'armate, ché, se sono grandi, manca loro il necessario per la propria sussistenza, se sono piccole possono esser battute da' paesani, gente più robusta e più riposata di loro. Se si considera la guerra contro l'isole, gli costerebbe molto più per ragion del trasporto, mentre non fosse diacciato il mare; e poi si tirerebbono addosso incontinente le forze dell'Olanda, la quale non permetterebbe mai che la porta del Baltico fosse chiusa da così gran potenza, e che tanto diventerebbe maggiore dopo un tale acquisto. Di qui è che si dice non esser capace la Svezia sola di farne da se medesima l'impresa. Ciò nonostante, il morto re fece quel che fece senza assistenza d'alcuno, e benché non facesse tutto fece però assai, e si vedde allora che anche tutto si poteva fare: per lo che non è impossibile che se ne trovi un altro il quale col vantaggio di questi lumi, col credito, co' suoi popoli, e col pigliare meglio le sue misure ponga felicemente ad effetto quel che finora o è stato creduto impossibile o si è vanamente tentato.
Presentemente la Svezia ha pace con tutti, solamente co' Moscoviti corrono pendenze sopra i confini, di niuna importanza però, e da farne strepito solamente in caso che o l'una o l'altra parte cercasse pretesti per far la guerra; per la quale la Svezia è molto forte, sì perché ha buone piazze di frontiera, le quali essi non sanno espugnare, sì perché le è molto facile il trasporto delle sue truppe in Livonia, le quali essendo molto bene disciplinate, prevalgono in campagna a quelle de' Moscoviti che non hanno disciplina. Tutto ciò è vero nella guerra difensiva, giacché quanto all'offensiva non è cosa da pensarci, quantunque per altro molto desiderino gli Svezzesi di allargarsi per quella parte: poiché i Moscoviti abbruciano tutta la loro campagna, avvelenano l'acque e si serrano nelle piazze, le quali difendono egregiamente. Tutto quello che si potrebbe fare sarebbe il prepararsi per quella banda alla guerra: mostrare di volere invadere la Moscovia e poi gettarsi sopra la Prussia, non senza speranza di buon successo, perché l'espugnazione di Danzica non è cosa impossibile a riuscire, stante che le sue fortificazioni non si possono difendere con poca gente, ed il terreno è ottimo per aprire la trinciera. E presentemente la congiuntura sarebbe bellissima, mentre i Pollacchi sono intrigati nella guerra col Turco, la quale gli rende incapaci di porgere assistenza a' loro confederati, né gli lascia pensare ad alcuna delle vecchie pretensioni contro la Svezia, le quali anche furono composte nell'ultima pace.
La Danimarca si vede aliena dal tentar cose nuove senza gl'impulsi o dell'imperatore o dell'Olanda, i quali considereranno prima molto bene se compla loro l'accendere questo fuoco, per il quale la spesa delle legna averebbe a farsi tutta o quasi tutta col loro danaro. Solo dunque nelle congiunture presenti i Franzesi possono far nascere delle novità a questo stato, mentre hanno per il loro partito il gran cancelliere del Regno, che vien considerato come loro mallevadore nelle operazioni della Svezia, tutti i pensionari e creature de' medesimi, che per mezzo di loro essendo entrati in senato vengono costretti a mantenere le medesime massime (questi avendo sopra di ciò, conforme l'uso, dato il voto in scritto, non sono in grado né ardiscono di mutarsi): per altro non vi è alcuno che creda che compla l'esser franzese ed agir per la Francia. Di questo partito, benché egli non sia bisognoso come per lo più i pensionari, è il conte Nils, genero del gran cancelliere: ma ancor egli ha i suoi fini, fra i quali considerabile è quello di mettere in voga il mestiere che arroge maggior autorità al suocero; ma è di maggior considerazione quello che viene dal figurarsi povero e dall'altre conseguenze che ne possono derivare. Il gran cancelliere stimò di fare assai a stipulare ultimamente il trattato colla Francia, e se non lo concepì in termini più chiari in quel che riguarda l'obbligo d'agire, fu perché non credeva di poterlo rendere plausibile altrimenti: lo fece dunque con apparenza del fine unico di conservare la pace dell'Imperio, con animo però d'interpretarlo secondo l'esigenze delle congiunture, come ha sempre proccurato di fare.
Ed al vero ei s'appose nel giudicare che il trattato con la Francia, in termini che costrignessero al maggior obbligo, sarebbe riuscito a molti poco caro ed accetto, poiché quelli del partito contrario non hanno tralasciato di farsi forti, dicendo che per avere i Franzesi rotta la pace di Osnabrugg niun obbligo correva alla Svezia d'operare; che si trovavano le frontiere d'Alemagna deboli; tutti i vicini armati, né potersi sapere quel che fosse per portare la fortuna delle armi; e che sarebbe di loro se i Franzesi si ritirassero, rotti e disfatti, alla fine della campagna? Doversi radunare il parlamento d'Inghilterra e chiaramente conoscersi dove mirasse l'inclinazione del popolo: onde, se costrignessero il re a dichiararsi del partito opposto alla Francia, che sarebbe del loro commercio? che non farebbono dieci navi olandesi o inglesi all'imboccatura del Sundt? ed a che termine allora si ridurrebbono l'entrate regie, e chi ne risarcirebbe loro il danno? La Francia in questo caso assai farebbe a fornire i sussidi promessi, i quali non sarebbero bastanti a mantenere in Alemagna l'armata necessaria ad assistere i Franzesi e coprire le terre della loro giurisdizione: soccorsi maggiori non potersi sperare, sì perché allora non potrebbono, sì perché ancora, quando la fortuna è loro favorevole, vogliono regolare il tutto a loro piacere, pretendendo di sforzare a quel che loro più torna utile e comodo, e di pagare uomo per uomo come se avessero a trattare co' Tartari. Inoltre, come si potrebbono schermire da una guerra che necessariamente moverebbe loro la Danimarca, Brunswich, Brandemburg ed il Moscovito? In essa non può apportare alcun vantaggio la religione, trovandosi tutte le potenze protestanti congiunte coll'imperatore, anzi il solo ramo cattolico di Brunswich essere co' Franzesi. Aggiugnendo ancora esser pendente per la reciproca sicurezza un trattato colla Danimarca: potersi pure aspettare di vederne l'esito, piuttosto che renderne disperato il successo con una guerra fuor di tempo e precipitosa, che indugiando potrebbe farsi con avere guardato il fianco almeno dalla parte di Danimarca. Doversi anco aspettare il risultato della solenne imbasciata spedita a Vienna per vedere se con maniere amichevoli si potesse lo stesso conseguire: doversi sostenere la mediazione, né doversi deporre così facilmente un carattere che può conciliare stima e rispetto appresso tutte le potenze interessate in questa guerra, per gettarsi in un partito che non si sa di che condizione sia per divenire.
Dall'altra parte il partito franzese non aveva alcuna ragione che potesse agguagliare l'accennate, e forse la cosa si riduceva solo al punto dell'onore e dell'impegno, facendolo un interesse politico del Regno quando che non può esser considerato per tale che da un privato. Accresceva però il vigore a queste deboli ragioni l'ardore e l'inclinazione che ha il re alla guerra, a tal segno che gl'animi stavano sospesi considerando che fine potessero avere le cose; pure alla fine il voto del re ha operato che queste truppe si mandino in Alemagna sotto il pretesto d'assicurarsi da' vicini. E non poco a ciò averà contribuito il gran cancelliere, il quale è molto avanzato nel credito appresso 'l re e, secondo l'apparenza, sempre più vi si stabilirà, ed a misura secondo che il re anderà assaporando il comando egli crescerà in stima. Il che è stato da lui ben preveduto, e l'ha fatto apparire nell'affaticarsi più d'ogn'altro a far dichiarare il re maggiore, nel quale maneggio si è fatto forte sull'esempio della regina Cristina, che uscì della minorità di diciotto anni, contro la disposizione delle leggi che vogliono che ciò segua nell'età de' ventiquattro. Ci ha però fatto la sua parte la regina madre, alla quale rappresentarono il vantaggio d'avere a depender piuttosto dal re suo figliuolo che da tutto il senato.
Il quinto ed ultimo magistrato è la camera de' conti, a cui il gran tesoriere del Regno (che oggi è il barone Stenone Bielcke) presiede: due senatori del Regno gli sono assessori, altrettanti nobili e due de' più vecchi camerati, un segretario, referendario e notaio; appresso di questi si conserva il danaro, ed a loro si rendono i conti. È loro particolare sollecitudine che si facciano le riscossioni e le spese a debiti tempi, e che l'entrate non si diminuiscano ma più presto s'accrescano: laonde l'ispezione si compete loro nelle cause del fisco e di tutte le cose che si dicono de regalibus. Deve essere suo pensiero che le spese bilancino l'entrate e che a suo tempo corrispondano gl'assegnamenti, che la fede pubblica e 'l credito si mantengano appresso i mercanti, acciocché astretti dal bisogno possano essere sovvenuti da loro e provveduti.
Ma perché si possa vedere in un'occhiata in che consistono l'ordinarie spese della corona e quali sieno gl'assegnamenti per farle, porto qui il bilancio dell'anno 1669 e 1670, con la valuta delle monete, per venir poi a discorrere più diffusamente sopra ciaschedun capo dell'entrate.