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Il re Carlo, undecimo di questo nome, ha la mina d'uomo impacciato e che ha paura d'ogni cosa: pare che non ardisca guardare nessuno in viso, e si muove in quel modo, appunto, come se camminasse sul vetro. A cavallo pare un altro, ed allora pare veramente il re: ha buona mina, è disinvolto, allegro, <più> risoluto di quello che apparisce in camera. Del resto veste pulito, però senza gala: tutto quello che porta è lindo, ma li piacciono i colori tedeschi, e tutto insieme è legato. Ha fondo di religione essendo stato educato col timor di Dio, il quale gli dura ancora. È liberale, ma più di quello che non conosce: talvolta piuttosto donerà 10 mila scudi d'entrata che 100 scudi. È costante nelle risoluzioni, cupo e riserbato, a segno talvolta di non poter cavar di bocca una parola: come seguì allora che, in concorrenza di due al tesorierato, avendo il senato rimessa a lui l'elezione quantunque fosse minore di 14 anni, per tre giorni continovi proccurarono di scoprire la sua inclinazione, ed altro non ne poteron cavare se non che gli sarebbero stati cari ugualmente tutti due. Di profonda simulazione e segreto fino all'eccesso, non ha mai ridetto quel che gli sia stato conferito: nondimeno è da esaminarsi se in una nazione poco tenace del segreto, questo che si trova in lui sia effetto di stolidità e d'astrazione piuttosto che di prudenza. L'opinione universale è che sia simulato, sebbene s'osservano delle dichiarazioni che non sarebbero necessarie: come per esempio, burlandosi de' conti in generale, disse ad un luogotenente delle sue guardie: «Che! vi date voi ad intendere d'esser capitano perché voi siete luogotenente di un conte? no del certo, non è più quel tempo».
Ora, come si può unire con una tanta simulazione questa dichiarazione così pubblica, che offendeva il primo grado del Regno, fatta senza proposito, a sangue freddo, e senza necessità?
Il suo forte è negl'esercizi cavallereschi: tira ben di spada e sta bene a cavallo. Si osserva però che vale più nel maneggio, dove si richiede maggior forza e vigore di corpo che arte o scuola, ond'è che fa meglio l'opere d'aria che quelle di terra.
Nel resto è ignorante di tutto: non sa la lingua latina né altra cosa, solamente parla bene nella lingua tedesca ed un poco intende la franzese. Una volta, essendo stato sentito parlare in questa lingua a un tale, vi fu chi pensò che quella confidenza potesse andare a parare più lontano, e se ne fece mistero. È stato educato nell'avversione alle cose straniere, né è stato difficile portandolo per altro il genio a non far nulla, ed essendo anche d'una straordinaria disapplicazione a tutto quello che ha da fare. Le sue inclinazioni sono alla guerra, sono alla caccia, sono agli scherzi; ond'è che egli ama i cavalli, ama i cani, ed ama coloro che han la mina a' discorsi <...> e talvolta per le loro millanterie gli paiono gravi, ed ha gusto che seco si burli: i suoi scherzi sono urtoni, minchionature grossolane, e nel suo spirito gli motti che offendono passano per galanterie. Sa benissimo fare gl'esercizi militari, tanto a piedi quanto a cavallo, squadronare le milizie ed ordinarle in battaglia, e lo fa così bene e con tanta disinvoltura, ne parla sì fondatamente e ne rende sì buon conto che vedendolo alla testa delle sue truppe pare un vecchio generale, vi si riconosce il genio che anima queste operazioni, ed insomma è nel suo centro e nella sua sfera. Mangia bene, ma non è ingordo, altre volte giuocava, ora non giuoca più: nel giuoco pare avido, conta e riconta, guarda e riguarda, ma non arriva a riscaldarsi ed a sconcertarsi. Finalmente egli ha delle inclinazioni, ma non delle passioni che effettivamente si riconoscano.
La collera pare la più veemente, ma non vi è eccesso: il maggior trasporto è stato, mentre era briaco, il tirar la spada ad un uffiziale delle sue guardie, il quale gli parlava impertinentissimamente, e fu l'anno passato nell'isola di Oeland. Grida, s'adira, strapazza di parole lacchè, paggi e tutti quelli che gli sono d'attorno. Non è sensuale, e se ha fatto qualche scappata è stato messo al punto da altri: si discorre d'una vecchia donna di camera della regina, la quale apparentemente l'aveva sollecitato. S'imbriaca di quando in quando, più secondo le congiunture che <per> vizio: briaco non fa pazzie, poche volte è entrato in collera, solendo ordinariamente dare nell'umore allegro, nel ridere e nel dare urtoni.
Quando è ritirato colla sua gente, è molto familiare con esso loro e con loro scherza: se egli conosce che l'adulino non ci ha gusto, ma non lo conosce sempre; non vuole che gli si ceda nel giuoco né che gli si porti rispetto nel tirar di spada. Non ha gusto a parlar con altri che con gli Svezzesi e con i Tedeschi, la conversazione de' quali è la sua più grande scapigliatura e il più gran regalo, giacché con gl'altri forestieri ci ha positiva avversione: come con i Franzesi e con gl'Italiani, i quali sprezza e teme, e per il loro spirito e perché gli sono stati figurati capaci d'intraprendere qualsivoglia cosa; e come con gli Spagnoli, i quali non stima così cattivi, ma teme come osservatori; o al più ci è indifferente, come cogl'Inglesi e cogli Olandesi, credute nazioni di meno intrighi e di meno cabale, de' quali i senatori temendone meno, non hanno preoccupato il suo spirito con sì cattive impressioni.
È tutto nella mani del senato. Il suo maggior desiderio sarebbe che il senato risolvesse di fare una guerra e che lo mettesse alla testa dell'armata, ristringendosi qui tutta la sua ambizione e replicando spesso: «Quando vorranno questi signori che si faccia una guerra?». Ciò nonostante non sa né quando né come si debba fare, nemmeno si mette in stato d'impararlo, sì come né anche è capace d'altri gran pensieri, come sarebbe di farsi padrone del senato. In queste massime di subordinazione al senato è stato allevato dal suo aio Cristofano Horn, senatore del Regno.
Questo è un buon uomo, che beve bene e che possiede tutta quella bontà che l'ignoranza può produrre. Ha però promosso, così semplice com'è, tanto bene gl'interessi del senato, che se non poteva dare peggiore educazione al re come re, non gliel'ha potuta dare meglio per il senato. È soldato, ma non sa del mestiere se non per capitano di cavalli. Egli si è perduto per quello che disse nel senato quando si trattava di dichiarare il re maggiore, avendolo figurato come non capace di esserlo: faceva il suo conto, come che ciò tornava bene al senato, che egli lo guadagnerebbe, e così prolongherebbe la sua autorità sopra la persona del re; ma il senato non avendo potuto resistere all'istanze degli stati, i quali domandavano che il re fusse liberato della tutela, non è stato dal medesimo sostenuto ed al re si è reso ridicolo.
Già che abbiamo parlato del re suggiugneremo qualche notizia intorno ad alcuni suoi servitori. Il maestro del re è figliolo d'un vescovo, professore d'Upsalia, che si chiama Frigelius, uomo al quale l'aria della corte non ha fatto perdere la pedanteria: semplice assai, ignorantissimo delle cose del mondo, ma di buoni costumi, che non s'imbriaca e che teme l'odio, o fa le viste di temerlo; quello in che più spicca è la perizia delle leggi del paese. Mostra di amare teneramente il re, il quale essendone persuaso ha gran fede in lui: egli però non sa approfittarsene. È stato fatto nobile, barone e senatore, e con questo riman soddisfatta la sua ambizione: non vede il re che di rado. I suoi figliuoli hanno studiato col re e s'intendono di medaglie, sono però d'ingegno assai limitato.
Non ha il re di servitori vecchi che l'abbiano servito dall'infanzia, che un filandese aiutante di camera. Ora l'ha fatto gentiluomo: vuole nondimeno che lo serva nel medesimo posto, orpellato con questo titolo d'onore. È molto ignorante, non parla altre lingue che la tedesca e la svezzese. Non ha cavato dal re se non qualche danaro, e il poter render buoni uffizi per gl'amici e cattivi per i nemici: non è capace di far gran passata, perché il re non fa gran caso di lui, fuori di quello che riguarda il suo servizio. Adesso vi sono due aiutanti di camera, che gli sono subordinati e comandati da lui.
Sono considerati per favoriti: nel primo luogo, Aschemberg. Questo è un gentiluomo irlandese, che fu colonnello nell'ultime guerre d'Alemagna, e generale maggiore in quelle di Pollonia e di Danimarca. In Pollonia vicino a Conitz fece una buonissima fazione, il che gl'acquistò credito; dopo fu mandato a Sonderburg in Holstein, dove fu battuto dalle truppe ausiliarie pollacche ed obbligato a ritirarsi su delle barche, le quali si trovaron vicine alla fortezza, con una sola parte della sua gente. Del resto, egli ha operato bene altre volte, ed è uno de' migliori uffiziali che abbiano nella cavalleria: conosce però quel che vale, ed ha dato saggio della sua vanità nell'aver fatto dipignere in diversi quadri tutte le sue imprese. Il re l'ha fatto barone e gli dà speranza del governo di Bohus.
Schultz è gran scapigliato: amatore delle donne, del vino e del mangiar bene, è stato maestro di casa del cancelliere presente, il quale, senza che l'avesse molto servito, gli proccurò un reggimento, e dopo l'ha sempre protetto. Fu all'assedio di Riga, dove fece qualche cosa contro i Moscoviti. In un anno è stato avanzato ai posti di general maggiore e di luogotenente generale dell'infanteria, senza che abbia servito in altre guerre. Si crede che tal sorta di gente abbiano ottenuto cariche perché hanno dato ad intendere al re, altre volte datosi tutto alla nobiltà vecchia, che per bilanciare le cose bisognava far così, senza aver riguardo al merito d'alcuno.
Wolmar Wrangel è uno stordito, che nelle guerre di Danimarca fu capitano di cavalli, ed ora è sergente generale della cavalleria.
Rutercranz è gentiluomo delle nuove famiglie: ha insegnato cavalcare al re, dove consiste il suo forte: è amico di Stembock.
Tornando ora alle persone reali: la regina madre, Eleonora della casa d'Holstein-Gottorpp, è una buonissima principessa, devota e che non fa male a nessuno, ma leggera, incostante e che si diletta del mangiar bene. Quantunque non sia ambiziosa ha di molto credito col figliuolo, il quale l'onora infinitamente: anzi, egli non si ferma in Stockholm se non vi è lei, perché crede di non poter vivere senz'essa. Il re gli paga ogn'anno 10 mila talleri incirca, maneggiati da Gustavo Soop, senatore del Regno, il quale chiamano governatore della regina: e veramente dispone de' suoi beni come se fossero propri. Ella non ha alcun credito nel senato, nemmeno ne aveva nel tempo della sua reggenza, fuorché per il voto doppio. Le divisioni de' senatori gli averebbono posto in mano l'arbitrio delle cose, se ella fosse stata altra donna. Non può dunque niente, se non quanto l'accredita la confidenza col figliuolo; per la sua casa hanno tanto rispetto quanto comporta l'interesse di stato.
Li principi del sangue reale sono: il principe Adolfo, zio del re, la moglie del gran cancelliere, la moglie di Friz d'Hessen, sorelle del medesimo, e l'ultima madre di tre principesse: la moglie del duca di Wolfenbuttel, la principessa Giuliana e la maritata a un principe d'Helle, della casa di Sassonia. Quella che è in Wirtemberga è figliuola del Langravio d'Assia regnante, e una sorella della regina.
Il principe Adolfo non è molto conosciuto da chi non è stato alla corte se non dopo il suo esilio. Quel che se ne sa per sentito dire è che sia fedele verso gl'amici, ma strapazzatore de' servitori anche di qualità; disuguale, stravagante, odioso cogli Svezzesi; è povero, ha qualche tintura d'erudizione mal accordata. È maritato colla sorella del conte Nils Brahe, che gl'ha portato qualcosa oltre l'appannaggio che ha dal re, il quale non è più di 9.000 talleri; di quella moneta vive sempre in campagna, alle sue terre.
La moglie del gran cancelliere è trattata da tutti d'altezza: è una buona signora, savia e di somma virtù, che ha sempre teneramente amato il marito, né mai s'è mescolata nelle cabale.
La Langravina, d'età di 40 anni incirca, è una donna stizzosa, vana, stravagante, superba, malinconica: vive in Alemagna a' beni che erano del marito, immersa nella devozione. Di Svezia non ha nulla: è malvista dalla regina, alla quale quando va in Svezia parla con pochissimo rispetto.
La duchessa di Wolfenbuttel dicono che sia bella, e sarà intorno a dieci anni che è maritata. Quando il duca venne in Svezia si rese ridicolo per la sua gelosia, come anche per l'altre sue qualità, fisonomia, portamento, vestire, alterezza. Le gelosie furono principalmente con quel Konigsmark che è morto, il quale lo disfidò: ma la regina impedì. Sugl'occhi della corte trattò malissimo la sposa.
La principessa Giuliana stava alla corte sotto la cura e ne' medesimi appartamenti della regina, dalla quale la divideva la sola guardaroba comune; ebbe la disgrazia che ognun sa, più detestabile per il rimedio che per l'eccesso. Diceva bonariamente, fino a pochi giorni avanti il parto, di sentirsi ingrossare, talmente che le donne di camera riferirono alla regina che bisognava che ella fosse veramente gravida. La regina entrò in camera e gli disse di voler sapere quel che c'era: la principessa se gli buttò a' piedi in ginocchioni ed impetrò la sua protezione. Ad ogni modo, tutto andò al palio, sì per debolezza di condotta sì ancora perché i nemici del conte Gustavo Lilli vollero mettere il re in stato di non gli poter perdonare, chi per cacciarlo (come tutti gli gentiluomini della camera del re, che non eran conti, come sono la maggior parte), e chi per ottenere le sue cariche, le quali erano considerabilissime, essendo egli colonnello di due reggimenti di guardia. Sento che ancora la N.N. per odio contro la madre di lui, abbia contribuito alla pubblicità del negozio. La principessa fu mandata a casa la moglie del cancelliere a Lecko, dove partorì. Di lì fu condotta da una signora, tenuta per figliuola naturale di Gustavo Adolfo, maritata a un gentiluomo svezzese che si chiama Marchal, il quale si trattiene in campagna. Ora il re ha deputato al suo servizio una donna e gl'ha dato una casa, dove vive da per sé, col necessario per appunto. Lilli si trova in Amburgo, disgraziato, senza cariche e di più condannato a morte, benché la sentenza non sia stata pubblicata. La principessa è semplice, non è brutta, ma né anche bella, e non ha aria nobile; non si può sapere ciò che ne sarà in questo paese: se morisse la moglie del conte Lilli, s'aggiusterebbe il tutto.
Pochi giorni avanti che la cosa si scoprisse la moglie del conte ebbe un male stravagante con grandissimi vomiti, non conosciuto da' medici; con tutto ciò si è governata benissimo verso la principessa, portando acqua <sul fuoco>. Osservano che il parto ha gli occhi turchini, ed il padre e la madre neri; quindi i belli spiriti vogliono dedurre altre conseguenze.
La terza principessa è bella, ma forse più graziosa che bella, perché i tratti del viso non sono regolari; è grande e di bella presenza. Sono due anni che è maritata e non ha aùto niente: dopo maritata non è stata verbigrazia che venti giorni insieme con suo marito, il quale dopo se la condusse in Alemagna.