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GIACINTO MENOTTI SERRATI L'ORIGINE DI PAGNACCA NARRATA DALL'ON. ODDINO MORGARI | «» |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Dove si comincia con una patata
– Che cosa? domandammo, inframmettendoci nel crocchio.
– Quella stessa patata! – rispose Serrati.
– Una patata! Ma a chi?...
– All'anarchico che me l'aveva tirata...
Questo bizzarro dialogo aveva luogo in Milano un pomeriggio dello scorso novembre, negli uffici dell'Avanti! dov'era appena terminata un'adunanza della Direzione del Partito socialista in cui era stata confermata l'espulsione del Mussolini.
Prima di separarsi uno degli intervenuti aveva detto a Serrati:
– Corre voce che Mussolini attaccherà te pure nel suo giornale a proposito di un'accusa che ti fu fatta in America. Ma come andò quella faccenda?
Serrati aveva risposto con un racconto di cui noi avevamo afferrato solo le ultime parole. Volemmo udire a nostra volta tutta la narrazione, che trovammo interessante. La riproduciamo sopra queste colonne perchè è diventata di attualità, adesso che Mussolini ha dato corpo alla minaccia ed anche perchè penso che i lettori dell'Avanti! – tranquillati e convinti dalle risposte pronte, documentate, esaurienti di Serrati e dalla fuga del suo accusatore davanti alla proposta di un giurì – devono essere però rimasti con la curiosità di sapere da quali circostanze più o men travisate potè originare una accusa così grave, sostenuta poi con tanto accanimento da qualche anarchico contro il nostro compagno.
Il racconto che segue si presenta pure opportuno come una serena, chiara e scorrevole cinematografia della vita dell'organizzatore socialista nei paesi di emigrazione, e di molti fra i casi ed i problemi che si incontrano in quegli ambienti così diversi dai nostri.
Prima conoscenza di un caratteraccio
– Sebbene sia «un caratteraccio», propongo Serrati a direttore dell'Avanti!... – aveva detto scherzosamente un membro della Direzione del Partito nella riunione del 20 ottobre u. s. in Bologna.
Qualche cosa di analogo ha scritto giorni sono nel Popolo d'Italia il sarto per signora Bartoli Sigismondo il quale ha dichiarato «di non aver mai creduto che Serrati fosse una vera e propria spia», ma di ritenere che «il suo temperamento intollerante e settario che nella polemica lo trae a perdere totalmente la serenità e l'obiettività, è stato certamente quello che gli ha procurato amarissimi dispiaceri».
Il lettore, poi che poco sopra ha appreso dalla stessa bocca di Serrati come questi abbia fatto mangiare una patata all'anarchico che glie l'aveva lanciata – il lettore, dico, non può che unirsi ai giudizi suesposti e ripetere:
– «Non è una spia, ma senza dubbio dev'essere un caratteraccio!».
Dove si crea una Federazione Socialista italiana negli Stati Uniti
Esaminiamo i fatti. È il febbraio del 1902. Una cartolina di Dino Rondani ha chiamato Serrati a sostituirlo nella direzione del Proletario di New York. Nel giro di una settimana Serrati si è deciso, ha sistemato le sue cose ed è partito. Viaggia in terza classe da Losanna per Bremerhaven, a New York. Trova l'ebdomadario in condizioni disastrose, organo di poche sezioni italiane del S. L. P. (Socialist Labor Party, sia detto sottovoce perchè quando parla di cose dell'America, il lettore deve servirsi di abbreviazioni ogni volta che può, gli americani non avendo tempo da perdere). Serrati crede opportuno riunire quelle poche forze in una Federazione la quale, pur rimanendo aderente al S. L. P., curi la propaganda fra i due milioni di italiani residenti nel paese, impieghi la lingua e i metodi più consoni alla nostra razza e difenda gli interessi della nostra emigrazione. Da questa fondazione della «Federazione Socialista Italiana» originano i primi dissensi. I dirigenti del S. L. P. vedono in essa una specie di tradimento a danno della corrente rivoluzionaria: accusano Serrati di riformismo. Inutile dire che invece la Federazione contiene socialisti italiani di tutte le tendenze. Inoltre essa, nel costituirsi, altro non fa che seguire l'esempio dei tedeschi, degli irlandesi e dei polacchi i quali – pur rimanendo aderenti al S. L. P. – si sono per l'appunto organizzati in Federazioni nazionali. Serrati scrive in questo senso nel Proletario tutto un programma di lavoro per la nascente Federazione.
– Cosa fai? – gli obiettano i dirigenti americani del S. L. P.
– Non si può!...
– Come non si può? Ritorno in Europa subito, se in America non si può scrivere quello che si pensa...
Segua il lettore il racconto e vi troverà molte altre prove che l'uomo di cui parliamo è uno di quei caratteracci i quali amano le situazioni nette e hanno per costume di dire quello che pensano.
Serrati gira tutta la parte orientale degli Stati Uniti e vi tiene centinaia di conferenze, in media una per giorno. Smuove le masse, le entusiasma con una lotta a coltello contro, il camorrismo che disonora il nome italiano negli Stati Uniti. Grazie a quest'opera, le sezioni, da due o tre che erano, raggiungono in capo a un anno, il numero di quarantadue. Gli operai italiani cominciano a mettere fede nel movimento socialista.
Più giornalisti di così non si può essere.
Da settimanale il Proletario diventa quotidiano, grazie ad una sottoscrizione che frutta 4100 dollari e grazie ancora... al caratteraccio coriaceo di Serrati, che, nei primi giorni, scrive il giornale tutto da sè, lavorando dalle cinque del mattino a mezzanotte, aiutandosi colle forbici, traducendo dall'inglese che non sa, e contentandosi di 10 dollari settimanali, la paga di un bracciante in America, equivalente a 100 lire mensili in Italia, se si tien conto del differente costo della vita.
Il barsottismo in America.
Il settimanale socialista si trasforma in quotidiano anche per la necessità di continuare una polemica incominciata da Rondani e da Serrati, e di rispondere colpo per colpo al Progresso italo-americano, un giornale in cui potete vedere pubblicati per vari giorni degli avvisetti del genere di questo:
«Dottor tal dei tali. – Abbiamo delle interessanti rivelazioni sul conto vostro».
Ad un dato punto l'avviso non si vede più, ma le rivelazioni non compaiono; il dott. tal dei tali si è presentato in redazione. Ne è proprietario il cav. Barsotti, famoso per la sua bravura nell'aprire sottoscrizioni per monumenti a grandi italiani, senza poi dare i conti; e famoso inoltre per il fallimento col quale ha abbassato il saliscendi di una delle non poche banche-trappole che raccolgono i risparmi dei cafoni italiani negli Stati Uniti d'America.
La polemica si svolge violentissima, e nel corso di essa Serrati schiaffeggia il direttore del Progresso ne' suoi locali, fornendoci una novella prova di quel caratteraccio intollerante che gli viene rinfacciato dal sarto per signora Sigismondo.
Un doveroso rimedio per gli eccessi polemici.
In alcune località il movimento incontra la molestia degli anarchici italiani con cui Serrati ha un primo incontro a New York in un comizio di solidarietà pei martiri di Montjuich, durante il quale gli anarchici di altre nazionalità espongono le proprie idee, mentre quelli italiani vuotano il sacco delle solite insolenze contro i fratelli nemici socialisti. Serrati fra l'altro è costretto... a difendere Turati dall'accusa di essere intervenuto ai funerali di Re Umberto portandovi una corona di fiori.
– Di' la verità – abbiamo chiesto al narratore –: non vi è fumo senza almeno un poco di arrosto. Quando ti attaccano violentemente, come rispondi?
– Io rispondo rincarando la dose.
Ora chiunque ha qualche pratica delle colonie sovversive italiane sa che esse sono infestate da gente che si chiamano anarchici o magari socialisti, mentre sono niente, quando non sono vagabondi o bari, ladri o spie o sfruttatori di donne; e che nei comizi di quei paesi gli anarchici pretendono il monopolio esclusivo di un linguaggio polemico che consiste nel qualificare i socialisti come vigliacchi, poliziotti, venduti, traditori, ecc.
A questo punto il lettore ci permetta di aprire una parentesi per dire come nel passare, anni or sono, per New York chi scrive incoraggiasse vivamente quei compagni a continuare nel sistema adottato di sopprimere questi sistemi polemici degli anarchici e dei sindacalisti italiani con colpi di bastone e di sedie: ricominciando i pacifici contraddittori solo dopo che tale cura avrebbe portato il suo effetto.
Eppure noi passiamo per caratteracci!
– Polemiche degli anarchici – riprende a narrare Serrati – c'erano state prima del mio soggiorno in America e ci furono dopo e continuano. Naturalmente divennero più vive contro di me, perchè la mia presenza coincise col periodo più florido e combattivo del movimento socialista italiano negli Stati Uniti.
Nonpertanto Serrati non aspetta di essere invitato quando scocca l'ora della solidarietà. Scoppia a Paterson uno sciopero di migliaia di tintori, nel quale Serrati non si intromette fino a quando l'autorità dello Stato di New Jersey, in cui Paterson si trova, tenta di sopprimere la Questione sociale, diretta da Luigi Galleani, cioè il foglio con cui gli anarchici capeggiano il movimento. Serrati si reca a Paterson per mettere il Proletario a disposizione degli anarchici, per la loro difesa e per quella della libertà di sciopero. I compagni socialisti del luogo lo dissuadono da questo passo perchè ritengono il movimento male impostato e mal diretto, ma Serrati insiste...
– Perchè questo fu sempre il mio torto – esclama a questo punto del racconto – di voler far ragionare da gente irragionevole!...
Avvicina gli anarchici, ma avendoli trovati freddi e diffidenti, se ne ritorna a New York.
Dopo pochi giorni gli anarchici ritengono possibile di risolvere lo sciopero colla violenza. La massa attacca le fabbriche coi sassi; ne nascono tumulti e tafferugli colla polizia, qualcheduno va in carcere, non pochi fuggono. Fugge tra gli altri Luigi Galleani. Gli scioperanti riprendono il lavoro.
Uno sciopero sconfitto a getti d'acqua.
Contemporaneamente al movimento di Paterson e come contraccolpo di esso, scoppia lo sciopero dei tessitori di West Hoboken, i quali abbandonano il lavoro per venire in aiuto dei tintori di Paterson, colla formula discutibile: «Noi non tessiamo affinchè i fabbricanti di West Hoboken non abbiano tessuti da far tingere a Paterson».
Accaduta la sconfitta di Paterson, lo sciopero di West Hoboken, che aveva carattere di solidarietà, si muta in isciopero per rivendicazioni proprie; e siccome a West Hoboken i socialisti hanno la prevalenza, Serrati è chiamato ad assistere gli operai. Egli interviene ai loro comizi ogni giorno.
È uno sciopero meraviglioso e veramente internazionale perchè comprende italiani, americani, ebrei, polacchi, canadesi, irlandesi. Dura vario tempo. La solidarietà si mantiene fin quando giungono da Paterson gli anarchici sconfitti. Da questo punto si comincia a discutere sulla opportunità di mutare quel movimento tranquillo in movimento violento. Gli anarchici sostengono la necessità di adottare una nuova tattica: dimostrazioni ci vogliono.
Serrati si sforza di dissuadere la massa dall'accettare quei consigli, tenuto conto che si sono cominciate le trattative e che i padroni danno segni di incertezza. Però la massa, che forse è stanca, crede opportuno di aderire, e marcia contro le fabbriche. Essa viene accolta dai getti d'acqua dei pompieri. Bisogna aver provato l'effetto deprimente di questo metodo di repressione, che vi umilia, vi fa divenire ridicoli. Gli scioperanti, bagnati come cani in fregola, non possono resistere; si disperdono e perdono lo sciopero, essendo penetrato tra di essi lo sconforto.
Come avviene sempre in questi casi, si accende una polemica per stabilire a chi spetta la responsabilità del disastro. I socialisti si trovano fra due fuochi: quello del Progresso italo-americano, del citato Barsotti, e quello degli anarchici.
Nel frattempo il Galleani si era rifugiato a Barre, nello Stato di Vermont, fondandovi la Cronaca sovversiva, dalle cui colonne tirava a palle infuocate contro i socialisti.
Barre, la città del granito, è un ambiente curioso. Di fondazione recente, essa contava 2060 abitanti nel 1880 e già 16.000 nel 1900; italiani, svizzeri, francesi, scozzesi, scandinavi, canadesi, irlandesi, americani, dei quali 2500 erano operai del granito, che lavoravano con arnesi modernissimi: seghe meccaniche e scalpelli ad aria compressa, e che nel ramo degli scalpellini erano in gran parte italiani, provenienti specialmente dal Varesotto e dal Carrarese: socialisti i primi ed anarchici i secondi.
I nostri compagni avevano fondato in Barre una Casa del Popolo, una Cooperativa di consumo con panificio, delle scuole di disegno ed altre istituzioni di immediata utilità... Pure essendo inscritti alla Federazione italiana, essi operavano in pieno accordo col partito socialista locale, e poichè molti italiani residenti in Barre si erano procurata la cittadinanza americana, la loro partecipazione alla vita politica della città presentava un valore anche numerico.
Per completare questa dipintura dell'ambiente dove accaddero i fatti che diedero origine all'accusa contro Serrati, diremo che i socialisti di Barre erano tutti proletari, mentre tra gli anarchici, insieme ad elementi certamente sinceri, ve ne erano di quelli che nascondevano dietro l'anarchismo i loro interessi personali, padroni di laboratori e birrai o «baristi».
Pro e contro la vendita degli alcoolici.
Il principale argomento delle battaglie elettorali nello Stato di Vermont era quello della proibizione o non proibizione della vendita pubblica delle bevande alcooliche. Come è noto, nei paesi anglo-sassoni molte persone presumono di combattere efficacemente l'alcoolismo col vietare la vendita in pubblico della birra, del vino, dei liquori; misura che presenta vari inconvenienti, il maggiore dei quali è che, evitato il malanno in pubblico, esso dilaga in privato. Le botteghe sono chiuse, ma ogni casa diventa uno spaccio e ogni famiglia operaia cerca di aumentare i propri guadagni colla vendita serale e specialmente domenicale delle bevande, per cui se della famiglia fanno parte ragazze giovani e belle, lo spaccio è maggiormente frequentato, dalla qual cosa vengono scandali e dissoluzione dei legami familiari.
A Barre avevano avuto luogo le elezioni comunali. Fra i socialisti italiani che propugnavano il mantenimento del divieto di vendita, d'accordo coi compagni americani, può darsi ve ne fossero alcuni mossi dall'idea di conservare a se stessi il beneficio dei detti spacci privati. Gli anarchici italiani – cinque dei quali erano dei piccoli padroni di laboratori di granito e tre dei bottegai – stavano invece per la libera vendita e sebbene astensionisti, partecipavano alla lotta elettorale contro i socialisti, spingendosi fino ad accettare che uno dei loro – certo Albisetti – fosse portato candidato ed eletto.
Origine dell'accusa di spionaggio.
Le elezioni, la casa socialista, la scuola di disegno, la costruzione di un palco per danze campestri, nel bosco, ogni atto, ogni azione della vita di quella colonia di emigranti, anzi che segnare armonia e collaborazione fra quei lavoratori, diventava cagione di sempre rinnovantisi e sempre più aspri dissensi.
Da ciò nuove polemiche fra il Proletario e la Cronaca sovversiva, in seguito alle quali alcuni anarchici aggrediscono quello che suppongono essere il corrispondente del Proletario da Barre, l'abruzzese Vincenzo Coscioni.
La notizia dell'aggressione viene pubblicata sul Proletario e commentata da Serrati nel senso che quegli anarchici – invece di assaltare chi ritengono senza certezza il corrispondente locale – dovrebbero ricordare che vi è sempre un responsabile di tutto quanto si stampa sul giornale, ed è il direttore (come spunta fuori da ogni parte il suo caratteraccio!) per cui li invita a rivolgersi a lui.
Contemporaneamente il Proletario fa appello al Galleani – che tutti sanno essere l'intellettuale, il leader degli anarchici italiani nel Nord America – affinchè richiami i suoi correligionari di Barre a una maggiore serietà di condotta.
Apriti cielo ! bastò questo invito al Galleani perchè Serrati fosse chiamato da allora in poi una spia. Se ne stupisca quanto vuole il lettore, ma la grave accusa non ha altra base che questa.
Il Galleani, si faceva credere perseguitato e nascosto, sebbene molti sapessero che abitava in Barre, ove pubblicava la Cronaca sovversiva e Barre fosse situato nel Vermont, cioè in uno stato diverso da quello di New Jersey, dove il Galleani era forse sconosciuto e fosse gratuitamente ingiurioso supporre in Serrati l'intenzione di denunciare il Galleani all'autorità giudiziaria, e come stolido il mezzo della pubblicità che avrebbe scelto a quello scopo, e come altresì fosse assurdo il ritenere che la noticina del Proletario – giornale che usciva in New York, in lingua italiana – dovesse cadere sotto gli occhi dei magistrati anglo-sassoni di Paterson: i quali poi non si arguisce come da quella noticina avrebbero potuto apprendere la residenza del Galleani, che non vi era minimamente accennata.
A questo punto Serrati interrompe la narrazione per abbandonarsi ad uno sfogo confidenziale:
– Io ho coperto sempre colla mia responsabilità i miei collaboratori. È doveroso.
Serrati ha per consuetudine di non declinare la responsabilità di tutto quanto compare nel giornale che dirige, e da ciò risulta sempre maggiormente provato che è fornito di un cattivo carattere.
Un nuovo nemico: il Sindacalismo.
In questo frattempo anche negli Stati Uniti erano cominciate a serpeggiare le polemiche fra socialisti e sindacalisti che tanto straziarono il nostro partito in Italia.
Il Proletario quotidiano si era arricchito di due redattori – Virgilio Tedeschi di Bologna e l'avv. G. Di Palma Castiglione di Napoli – e andava diventando un'azienda, per cui gli appetiti si destavano intorno a lui. Mentre Serrati, per il salario di un manovale, facchinava a dirigere il giornale, a provvederlo di mezzi ed a condurre la propaganda tra le masse, alcuni della nuova corrente sindacalista – e precisamente tra gli altri quel Caminita e quel Raimondo Fazio i cui nomi ricorrono fra gli accusatori di Serrati nelle colonne dell'organo mussoliniano – si erano messi attorno al Proletario per viverne, e in due modi creavano la zizzania.
Questi dissensi intimi amareggiarono Serrati più degli scontri con i nemici esterni, per cui non essendogli neppur riuscito di portare la sua famiglia in America, decise di tornarsene nel vecchio mondo. Verso l'agosto del 1903 si dimise da direttore del Proletario, e fu soltanto in seguito alla più viva insistenza dei compagni che accettò di conservare la carica finchè gli si fosse trovato un successore.
Chi si tentò di assassinare in Barre.
Poichè nell'ottobre Serrati doveva finalmente ritornare in Europa, i compagni di Barre, che gli avevano sempre voluto molto bene (purtroppo, certi caratteracci non spiacciono!... ) desiderarono che, prima di partire, si recasse ancora una volta a visitarli.
Egli giunse a Barre il 2 ottobre e venne alloggiato in casa di certo Garetto piemontese, socio della Cooperativa, ma non iscritto al Partito, che Serrati non conosceva affatto. Noti il lettore questo punto di partenza della seconda accusa contro Serrati, che come vedremo, è di mandato d'omicidio. Il Garetto in quel momento teneva una camera libera. Serrati fu condotto in casa di costui a notte tarda.
La sera del 3 ottobre Serrati doveva tenere in Barre una conferenza sui «Metodi di lotta del Partito socialista». (Il lettore ricordi questa parola lotta, che avrà parte ulteriore nel racconto). Serrati passa la giornata nella Cooperativa aiutando il gerente a far dei pacchi ed a servire i clienti. Verso sera, alle 6, è avvicinato in strada da certo Sassella, uomo di condotta equivoca, sfruttatore della moglie, stato cacciato dalle file dei socialisti e contro il quale il Serrati aveva altra volta messo in guardia il Galleani, facendogli notare che se gli anarchici ricevevano elementi bacati come questo, erano inevitabili degli attriti disgustosi.
Il Galleani si era mostrato propenso a provvedere...– ma ecco ora il Sassella venire addosso a Serrati con uno scalpello in pugno, accusandolo di aver messo in guardia gli anarchici di Barre contro di lui.
Due passanti accorrono, Serrati si schermisce ed esce incolume da questa prima fase della battaglia di Barre.
Cena, si avvia verso il locale dove dovrà parlare, accompagnato da Giovanni Brusa, e dal già detto corrispondente Coscioni. Scoccano le 7,15 per cui, data la stagione, è già notte da un pezzo.
Giunta ad un punto in cui la strada fa un gomito, la comitiva è aggredita da quattro uomini di cui le tenebre impediscono di distinguere i lineamenti. Coscioni e Brusa, messi sull'avviso dal precedente gesto del Sassella, estraggono le rivoltelle. Serrati si china e si arma di un sasso. La collutazione, violenta, è subito sospesa perchè dai due capi della strada accorrono delle persone gridanti. Da questa parte è giunto, con il cavallo della Cooperativa, il compagno Angelo Ambrosini, vociando a Serrati di fuggire; dall'altra è arrivato di corsa Cesare Brusa, fratello di Giovanni, che urla anch'egli: – Scappate!
Ma Serrati non è pratico dei luoghi, non sa ove dirigersi, Coscioni lo afferra per una mano e, sempre tenendo la rivoltella spianata, lo guida verso la sala dove doveva essere tenuta la conferenza.
Quando Serrati vi giunge, trova già avvenuto il «fattaccio».
Il "fattaccio".
Per bene intendere, facciamo un passo addietro, trasportiamoci in quella sala al momento in cui – pochi minuti avanti la seconda aggressione contro Serrati, ad ore 19 precise – l'incaricato Bernasconi apre la porta per lasciar entrare il pubblico.
La sala viene subito invasa dagli anarchici, i quali da tempo avevano dichiarato di boicottare la Cooperativa, ma che quella sera intervengono non certo col proposito di discutere serenamente. Occupano i primi posti e cominciano a dileggiare il locale, il suo custode Bernasconi, i ritratti di Marx, Ferri, Alesini che guarnivano le pareti, ed a lanciare minacce contro Serrati.
Il custode rimbecca, nasce una disputa fra lui, gli anarchici e alcuni giovani socialisti che nel frattempo sono giunti. Il Bernasconi è colpito gravemente al capo con un corpo contundente. Brusa Cesare, ferito pure alla testa, corre incontro a Serrati per ammonirlo di stare in guardia, come vedemmo. Altri sono feriti.
Mentre la mischia ferve entra nella sala il Garetto – fabbro di professione, un uomo aitante, forte, vivo – che ferito a sua volta al collo da un colpo di scalpello, sembra abbia estratta la rivoltella e sparato un colpo. Il fatto sta che un colpo viene effettivamente sparato, ferendo al basso ventre l'anarchico Elio Corti, che muore poco dopo.
Un preteso mandato di omicidio.
Il locale si vuota in un batter d'occhio. Fuggono anche i feriti, impressionati dalla gravità dell'accaduto, Serrati, arrivando, trova la sala deserta. Se fosse giunto pochi minuti prima avrebbe forse potuto evitare l'eccidio (se non sarebbe piuttosto rimasto colpito egli stesso).
Mentre sta nel negozio della Cooperativa, dove il banconiere – Attilio Pochetti, bresciano – gli narra i particolari del fatto, giungono alcuni detectives, guidati da certo Luigi Cassi, anarchico, il quale, additando Serrati, lo fa arrestare.
Come il lettore ha visto. questi non è stato presente all'omicidio, che evidentemente non fu preordinato da alcuno; ma gli anarchici sostengono che Serrati deve essere processato come mandante di omicidio.
Per essi Serrati è spia ed assassino: spia per quelle poche righe nel Proletario; assassino perchè ha dormito in casa di Garetto, il quale ha ucciso. Dunque è Serrati quello che ve lo ha spinto.
Agli Stati Uniti chi uccide è ucciso, e viene giustiziato colla sedia elettrica. Serrati è tradotto nelle carceri di Barre e poi di Montpellier, la capitale del Vermont. Dopo pochi giorni è però rilasciato, previa cauzione di 500 dollari, deposta da certo Zanetti, varesotto, il quale non conosce l'imputato, ma si interessa al suo caso perchè la propria moglie, che assistette alla aggressione notturna contro Serrati, è in grado di affermare che assolutamente questi non può essere responsabile del fatto che gli imputano.
Serrati, libero, rimane come testimone a disposizione della autorità giudiziaria – prendendo stanza in Northfield nella casa di Andrea Bernasconi, varesotto anche questo – durante tutto il periodo della «prima istruttoria» (quella che stabilisce se l'imputato è colpevole, oppure no, del delitto che gli è stato attribuito. La «seconda istruttoria» – cioè il vero processo, che deve stabilire la natura giuridica del delitto, il grado di colpevolezza, e l'entità della pena. – si farà solo in seguito).
Gli scabini, o giurati, quasi tutti modesti agricoltori, con in bocca delle pipe ricavate dalle pannocchie del granoturco, odono per la prima volta parlare di socialismo, e nei due gruppi di italiani, di cui sono chiamati a giudicare la baruffa, sono quasi tratti a vedere due «Mani nere» in gara di concorrenza per il predominio sulla colonia italiana di Barre.
Fa da interprete una servetta d'osteria, irlandese, che ha imparato un poco... di dialetto lombardo traverso la sua clientela varesotta.
Invitata a tradurre il titolo della conferenza che Serrati doveva tenere nella Casa del Popolo – «metodi di lotta del Partito socialista» la servetta traduce lotta con fight (si legge fait, che in inglese significa combattimento, mischia, partita di pugilato, battersi e simili).
– Siete venuto ad insegnare agli italiani a battersi? – domandano gli scabini con tanto d'occhi.
Serrati risponde protestando contro il fatto che l'interprete di italiano sia una servetta irlandese. Il giorno dopo gli viene accordato un traduttore francese, traverso il quale può dire agli scabini: – « Badate che io non mi sono recato a Barre per insegnare a fare i pugni o le rivoltellate».
L'istruttoria si chiude collo stabilire che Serrati non ha avuto alcuna parte nei fatti. Egli ritorna a New York riprendendo la sua opera di propaganda, ed avvisando sul quotidiano che rimarrà in America fin dopo la discussione definitiva della causa Garetto e coimputati.
La causa si discute nel dicembre. Nell'interrogatorio vari anarchici negano di essere tali. A otto anni di carcere è condannato il Garetto, che evita la sedia elettrica perchè gli viene ammessa la circostanza attenuante della provocazione grave.
Mesta partenza dal Mondo Nuovo.
Cogli anarchici naturalmente continuano le polemiche vive, inasprite dal fattaccio di Barre, ma Serrati trova la solidarietà di tutto il suo Partito. L'ordine del giorno contro di lui della sezione di Old Forge Pa – citato dal Popolo d'Italia, unico del resto fra tutte le quaranta e più sezioni italiane viene ispirato da un tale che con Serrati aveva della vecchia ruggine e che più tardi fu espulso non per ragioni politiche.
Il Proletario quotidiano apre una sottoscrizione di protesta che raccolse migliaia di firme e di dollari a beneficio del Garetto.
Serrati si imbarca per l'Europa esattamente cento giorni dopo i casi di Barre. Ma siccome possiede quel carattere urtante e che gli conosciamo, vuol dare una lezione al già accennato gruppetto di opposizione più o meno sindacalista, formato di persone che stanno attorno al quotidiano perchè appetiscono l'impiego, il posto. Rifiuta lo stipendio nella parte che corrisponde ai giorni trascorsi in carcere, e non accetta i denari necessari per il suo viaggio di ritorno in Europa, che si procura mediante un prestito personale ottenuto dal compagno avvocato Di Palma Castiglione.
...E triste arrivo nel Mondo Antico.
Si trattiene alcuni giorni a Parigi, dove alcuni compagni insistono affinchè resti per costituire la Federazione fra i socialisti italiani in Francia.
Arriva in Svizzera. Scende a Ginevra con venti centesimi in tasca. La bibita che beve nella birreria che serve di locale alla sezione socialista italiana, esaurisce i suoi mezzi.
Si trasferisce a Lausanne; dà qualche lezione di italiano; mette al Monte di Pietà il cappotto e una valigia di cuoio portata dall'America. Vive con un panino e una tazza di birra per giorno e cogli aiuti dei compagni di Barre, di Northfield, di Williamstown... aiutando a sua volta anche Mussolini, che si trova in frangenti non migliori dei suoi.
Il Partito incarica Serrati di un giro di conferenze in Svizzera. Di luogo in luogo egli incita ad organizzarsi gli operai italiani, ciascun dei quali è un riccone in confronto dell'oratore. Collo stomaco vuoto, addita loro le vie del socialismo.
Il saluto della lontana America.
Ed è in Svizzera che lo raggiungono i volantini pubblicati in America, contenenti quelle accuse di spia e di assassino di cui vedemmo le origini. Egli ne avverte il primo effetto in Zurigo quando si presenta per parlare agli italiani che gremiscono la grande sala del «Colosseum». Gli anarchici vi si sono dati appuntamento in gran numero. Al suo apparire viene fischiato, urlato, apostrofato colle più atroci ingiurie. I pochi socialisti intervenuti, che non conoscono i precedenti della questione, rimangono sorpresi, non osano difenderlo... Serrati deve far uso di tutta la sua energia per tener fronte a quel linciaggio, ed è soltanto in seguito alla sua accanita resistenza che sorge di tra la folla un romagnolo il quale chiama incivile quella violenza contro un uomo che domanda di difendersi e propone un giury.
Ma l'indomani Serrati deve parlare a Baden, presso Zurigo. Quegli stessi anarchici i quali hanno accettato di risolvere la quistione con un giury seguono Serrati a Baden, lo urlano, lo fischiano, rinnovano le contumelie atroci. L'accusa è tanto viva ed insistente, il volantino scritto è tanto abile ed efficace, lo sdegno degli anarchici sembra così terribile, che i socialisti di Baden, come la sera prima quelli di Zurigo, rimangono impressionati ed inerti.
Serrati si trova solo di fronte al mondo. Quella notte egli teme di perdere il cervello. È inverno, ma non gli basta di aprire la finestra: è costretto a frizionarsi il cranio e la faccia con delle manate di neve in un unico intento, di evitare la follia....
Altre vicende in Isvizzera ed in Italia.
Rimane tutto il 1904 in questa necessità di doversi battere come una belva in difesa di se stesso. Gli anarchici persistono nella loro campagna con cui contrastano utilmente il terreno al Partito socialista, infamando la persona del suo principale esponente. In quasi tutte le conferenze che Serrati tiene attraverso la Svizzera, esce fuori l'anarchico che lo costringe a difendersi, a rinnovare il racconto dei fatti di Paterson e di Barre. Oltre ciò le colonie operaie italiane sono molto instabili, e dove Serrati ha dimostrato una volta con successo che l'accusa è balorda e malvagia, dopo cinque o sei mesi deve ricominciare la dimostrazione3.
Il lettore si è già convinto che Serrati... ha un caratteraccio che non rifiuta la lotta e non scantona volentieri quando è davanti al pericolo. Tuttavia alcune volte egli pensa a cambiar aria, ma dove andare? E di che vivere nella nuova sede?
In Francia potrebbe rimanere solo nascostamente, in quanto espulso nel 1897 per una conferenza sulla Comune di Parigi che dette luogo a incidenti. Se poi rientra in Italia, dovrà scontarvi quattordici mesi di carcere, guadagnati in Oneglia su querela del Consiglio di una Società Operaia di M. S. che Serrati attaccò per aver essa rifiutato di aderire all'agitazione indetta dal Partito socialista per l'abolizione del domicilio coatto.
Il lettore constata una volta di più quanto ha ragione quel sarto Sigismondo, là dove afferma che Serrati ha un carattere settario. Ma è forse necessario di prendere le faccende del Partito tanto sul serio? E, poichè siamo sull'argomento, aveva bisogno Serrati di farsi condannare nel 1894, precisamente a diciotto mesi di domicilio coatto, scontati nelle isole Tremiti e Ponza?
Più tardi il nostro compagno è chiamato a coprire il posto di amministratore dell'Avvenire del Lavoratore e di propagandista e bibliotecario del Partito socialista italiano in Svizzera; posto ambito da un Sabbatino Lauriti che, camuffato da rivoluzionario e secondato da altri, fa comparire a mezzo di uno Spanàzzi la nota accusa sulle colonne dell'Avanguardia socialista. L'Avanti! ha già pubblicato la lettera con cui il Labriola riconosce che la buona fede dei redattori dell'Avanguardia fu sorpresa.
Nel 1906 ha luogo ancora un'altra ripresa degli attacchi quando Serrati viene ad urtare gli interessi di molti sedicenti anarchici o di persone che si chiamavano tali – per la sua campagna contro la Fingerverein, l'ignobile «Società del dito» di cui pure si è detto giorni sono nell'Avanti!, l'organizzazione che addestra gli operai italiani nell'arte del truffare la legge sull'assicurazione contro gli infortuni, e che dà da vivere grassamente a molte birbe le quali occupano i loro ozi residui con certi giuochi di carte e vendite di orologi catene ed altro con cui imbrogliano gli emigranti inesperti.
Fritta, non cruda, e per buon cuore!...
Ed eccoci di nuovo all'episodio... della patata, col quale abbiamo incominciato. Serrati si reca a Losanna per una conferenza su «Socialismo e neo-malthusianismo». Mentre ha già cominciato a parlare, davanti ad un pubblico di duecento persone, entra nascostamente nella sala un operaio, un anarchico, che tratte dalle saccocce due grosse patate, le lancia successivamente contro l'oratore.
La prima sbaglia il bersaglio, la seconda colpisce all'inguine Serrati, che continua a parlare.
L'anarchico viene tosto cacciato violentemente dalla sala. Serrati raccoglie il proiettile che l'ha colpito, lo mette in tasca e lo porta seco a Lugano come una memoria.
Pochi mesi dopo lo stesso anarchico disoccupato è di passaggio per Lugano, e viene a batter alla porta di Serrati per aiuti. Si presenta francamente:
– Son proprio quello! – gli dice. – Sai, i dissensi politici non hanno nulla da vedere coi rapporti personali. Sebbene agli antipodi in fatto di idee io ti ho sempre stimato. Credo non avrai difficoltà ad aiutarmi!...
A questo punto Serrati interrompe il racconto per spiegare che per qualche anarchico delle colonie italiane, dare delle spie ai socialisti significa fare dell'opposizione politica. A loro giudizio, i socialisti sono gli alleati della borghesia dunque poliziotti, venduti, farabutti, ecc.
– Sono incoscienti, non sanno! Il torto è piuttosto di coloro che se ne valgono!... – conclude Serrati.
Il quale risponde al disoccupato che, nella propria veste di amministratore del Partito, egli, Serrati, può dare sussidi soltanto a socialisti o ad operai organizzati. Se il suo interlocutore ha veramente bisogno, può accettare un pasto in casa sua.
E prega la propria compagna di friggere alcune uova e di preparare la tavola. Mentre impartisce questa disposizione, apre a caso il cassetto dove conservava la famosa patata. Gli balena un'idea. Prende la patata e la consegna alla moglie, che la taglia a fettine, la fa friggere e la serve all'anarchico come contorno alle uova.
Serrati però non dice al suo invitato:
– «Mangi il proiettile che mi lanciasti a Losanna!». No, egli tiene la sua vendetta tutta per sè. Lascia l'anarchico mangiare in pace: è un uomo che ha fame, è un proletario disoccupato al postutto!
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Chi scrive si è offerto spontaneamente di compilare questa minuta esposizione, che non è soltanto un racconto dell'imputato, suscettibile d'essere accusato... di partigianeria, ma corrisponde alle risultanze di varie inchieste ed alla conoscenza che i socialisti della vecchia guardia hanno del compagno Giacinto Menotti Serrati.
Chi scrive sì è sobbarcato a questo non breve compito per un concetto di giustizia distributiva, considerando che i direttori precedenti sono saliti all'alto incarico tra il fumo dei turiboli di un Congresso nazionale che consegnava la luccicante spada dell'Avanti! osannando alla loro illustre personalità, mentre la figura di Serrati – direttore di fatto dell'Avanti! per designazione dei suoi due colleghi nel Comitato di redazione, Lazzari e Bacci – si presenta oggi alla ribalta della scena nazionale sotto la fosca luce proiettatagli contro dal Popolo d'Italia. Ecco perchè era bene che i socialisti italiani fossero messi in grado di giudicare direttamente (e non solo traverso i vari lodi già emessi) che il compagno Serrati, pur senza titoli di professore o di avvocato, è all'altezza del difficile e pericoloso posto di battaglia che gli è stato affidato «precisamente a cagione del suo caratteraccio».
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Così Oddino Morgari – narratore efficace e preciso – concludeva nel febbraio 1915 la cronistoria dei miei casi americani. Da allora sono passati quasi cinque anni, durante i quali – tranne un periodo di nove mesi passati in carcere – io ho tenuto la direzione del nostro Avanti! Fu questo indubbiamente il periodo più grave che il quotidiano del Partito abbia mai attraversato nella propria esistenza di battaglia. Siamo stati soli contro tutti, mentre intorno a noi infuriava la più grande tempesta che il mondo abbia mai visto. Mille pericoli ci circuivano, mille insidie, mille lusinghe. Ottimi compagni, pei quali ho sentito sempre affetto e rispetto, suggerivano attenuazioni. Altri, meno buoni, taluni pessimi – dei quali il Partito s'è finalmente liberato – tentavano di imporre addirittura il cambiamento di rotta.
Qualcuno nel retroscena sorrideva di questo nuovo venuto, senza titoli, senza lauree, che scrive non badando alla forma, tutto e soltanto inteso a mantenere integra e diritta la linea politica del giornale, che non si lascia condurre per le vie traverse, che non ha alcuna fiducia nelle capacità riformatrici della borghesia, che solo spera e crede nella forza del proletariato organizzato. Ed io so dei sorrisi compassionevoli dei vanesii che più stimano una bella frase che un bel carattere; e so anche che questo nostro paese è fatto piuttosto per i traditori, che scrivono e parlano bene, che per i devoti che non usano, non vogliono usare lenocini di forma.
Dopo cinque anni io posso dire con orgoglio di avere dato la più chiara prova di tutto l'affetto che mi lega al Partito. Posso soggiungere di avere provveduto, come era mio dovere, a difendere il nostro grande patrimonio ideale attraverso il buio e violento ciclone della guerra. Posso affermare con sicurezza che altri avrebbe potuto superarmi per accortezza d'ingegno e per profondità di studi, nessuno per la costanza, l'energia, la tenacia con cui ho tenuto in alto questa nostra bandiera purissima: l'Avanti!
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