Giulio Piccini (alias Jarro)
La principessa

PARTE SECONDA.

III.

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III.

 

Dobbiamo tornare a occuparci di uno de' nostri personaggi: il marchese Piero di Trapani; non abbiamo più parlato di lui, dacchè egli ebbe finito il suo colloquio con Marco, fra le rovine del casolare presso il parco di Mondrone, dopo il ratto della bambina.

Marco era entrato al servizio del marchese di Trapani: sempre tutto abbigliato di nero, in cravatta bianca, calzoni corti, era irriconoscibile per chi lo vedeva nel palazzo. Solenne, severo, impartiva ordini a tutti gli altri servitori e anche al padrone, su cui aveva un'assoluta autorità: poichè egli possedeva sempre la lettera del dottor Krag.

Quest'uomo misterioso e sinistro era il vero marchese di Trapani.

Non parlava mai con gli altri servitori, se non per dar loro comandi: mangiava solo: nelle ore di riposo lo vedevano seduto nel giardino, nei vestiboli, o nelle anticamere, sempre dove era facile qualcuno passasse, con un libro di preghiere in mano.

Andava con molta assiduità alla chiesa: usava larghezza nel far elemosine: i giorni di vigilia l'ex-galeotto si facea servir un pranzo, tutto magro, e ne rimandava in cucina più della metà; non bevea vino, per non rompere, egli dicea, l'astinenza: tanto era scrupoloso. I preti della parrocchia lo salutavano con un certo riguardo: si tenevano quasi di parlare con un uomograve e di tanta virtù.

Il vecchio uomo riappariva soltanto ne' colloqui che Marco avea col padrone.

Quando il marchese Piero meno se l'aspettava, lo vedeva comparir nella sua camera, nel suo salotto, pian piano, come se, in apparenza, temesse disturbarlo; e subito faceva domanda di grosse somme.

Costui operava verso il marchese Piero come Cristina verso la principessa.

Le due ricchissime parenti della defunta marchesa non si mostravan disposte a morire: passavano al marchese cospicui assegni, in riguardo della figliuola: assegni, che non erano sufficienti a quell'uomo vizioso: e che avea già sperperato tesori. Le eredità si faceano troppo aspettare.

Come la principessa, il marchese s'impazientiva dei continui ricatti; volea irritarsi contro sì forti estorsioni.

L'altro ripicchiava:

- Non rammentate ciò che mi diceste la sera in cui rapivo la fanciulla, e la ponevo nel letto, accanto al cadavere di vostra moglie?... Non mi avete voi... detto ch'io vi salvavo l'onore, la vita?... E oggi, da che traete i lauti assegni, che vi danno modo di menarbuona vita? se non dall'atto che io ebbi l'intelligenza, l'audacia, la premura di compiere in vostro favore?... Sono io, e non altri che io, l'autore di tutta questa prosperità che vi circonda.... E oggi, se voi pensate a innalzarvi, a chi lo dovete? Alla fanciulla, che io vi ho procurato.... Voi.... parliamoci franchi.... poichè le reticenze sono tra noi inutili.... e ci leggiamo l'un l'altro nell'animo, e siamo sì degni di comprenderci, voi vi preparate a speculare sulla grande bellezza della figliuola.... Alla Corte, lo so, si parla già molto di lei: si racconta sommesso ch'ella possa succedere all'attuale favorita.... bellissima sempre, ma un po' matura.... Il Re ha inviato alla vostra figliuola un vezzo di perle per l'onomastico di lei. E il fatto è un po' insolito.... Tutta Napoli conosce l'avarizia del Re.... Voi non m'avete detto nulla: avreste voluto che un tal fatto rimanesse un mistero per me....

Tali cose aggiungeva un giorno a' soliti rabbuffi ond'era avvezzo a torturare il marchese. E in quel giorno, appunto, proseguiva:

- Siete stato ispirato male.... Vi ricordate che io sono vostro associato: rammentate la nostra ditta: Marchese Piero di Trapani e Marco Alboni.... Voi non potete, non dovete stipulare nessun affare senza di me.... Non solo io debbo partecipare agli utili, ma voglio esser informato dei rischi.... E qui vi sono....

- Che rischi? - domandò il marchese, che poi, in fondo, riconoscea Marco un'autorità nel saper condurre a bene una bricconata.

- Che rischi?... Vero o no che sia, si dice in tutta Napoli che la ben accetta al Re è la principessa di Caprenne.... E quella donna deve aver un'arte somma per incatenare a chi l'ama: deve aver segreti, tutti suoi, per piacere.... Io non voglio dire che ella sia la favorita: non bisogna basar un affare sull'incertezza.... Ma, senza dubbio, ella ha nell'animo del Re predominanza.... Che si presenti una rivale, più giovane, e bella, la principessa, che è focosissima, si porrà subito contro di lei e contro di voi.... La principessa è capace d'ogni vendetta: anche di percuoter la giovane in pubblico, se fosse eccitata all'estremo.... il Re, disgustato, si ritirerebbe allora da un'avventura, che potrebbe arrecargli troppe molestie....

La porta della stanza fu aperta, senza che alcuno avesse bussato, e comparve una giovane di alta statura, di una incantevole grazia, una figura veramente ideale.

- Diana! - disse il marchese, alzandosi e andandole incontro.

E le dette un freddo bacio sulla fronte.

L'altra corrispose con un bacio anche più freddo.

Diana era in abito da passeggio.

- Babbo, - gli disse, senza l'affetto che i buoni figliuoli sanno metter di solito in tale parola, - vado a far visita alla principessa di Caprenne.... È oggi il suo giorno.

Diana era accompagnata da una signora di oltre quarant'anni, parente del marchese, sprovveduta d'ogni mezzo e d'ogni scrupolo: allegra. S'imbellettava, si azzimava con la massima cura: avea sempre studio di allettare: era pretenziosa.

Tal donna avea dato il marchese per compagna e maestra alla giovane, che chiamava sua figliuola.

- Va', va' dalla principessa, - rispose il marchese alla ragazza, - va', e, fra non molto, io stesso verrò a riprenderti.... Saluta intanto la principessa....

Enrica in quel giorno riceveva: una sessantina di signore, e altrettanti gentiluomini, e forse più, l'aveano per varie ore costretta a quella tensione, a cui una padrona di casa deve sottoporsi per saper interrogare tutti, rispondere a tutti, ascoltar tutti, per andare dall'uno all'altro: per dir a tutti la cosa più grata, o più pungente, secondo l'intenzione. Molte donne non resistono a questa fatica, più grave che non si pensi. E, alla fine di certe giornate, si sentono spossate come un capitano la sera dopo una grande battaglia.

All'obbligo di parlare, di muoversi, di indovinare, di confutare le malizie delle amiche, di impedire che esse vi strappino dal labbro più di quello che vi piace far sapere su certi vostri atti, è da aggiungere il dovere di star stecchite, impettite, a disagio, in un abbigliamento di cerimonia.

Ma la principessa avea una salute di ferro: e resisteva felicemente a ben altre fatiche.

Diana arrivò al palazzo Gorreso, che era già tardi: verso le sei della sera. Le visitatrici, i visitatori aveano lasciato in pace la principessa.

Il cicaleccio era cessato in que' salotti, ove aveano echeggiato, poco prima, le voci più armoniose, più melodiose, nel conversare, che avesse Napoli.

Diana fu lasciata sola alla porta del palazzo dalla signora che l'accompagnava e che le allegò di dover fare molte piccole commissioni: sarebbe tornata a prenderla fra un'ora. Un giovinottino di vent'anni, del quale ella faceva l'educazione, l'aspettava in un luogo convenuto. Essa era tutta palpitante, impaziente d'arrivare. Anche senza il belletto, l'impazienza avrebbe colorito di rosso le sue guancie paffutelle.

Diana entrò nel salotto della principessa: la trovò sola con un giovane elegantissimo: Adolfo Venosa, di famiglia molto agiata e che avea impreso per amor della scienza lunghi, difficoltosi viaggi in regioni inesplorate, facendo, in sì fresca età, noto il suo nome a tutti gli scienziati.

Nella società napoletana il Venosa era ben veduto e apprezzato per il suo ingegno, il suo amore della coltura, per la serietà, la modestia, la vigoria del carattere.

D'impeti generosi, era quasi un fanciullo nelle cose del mondo, poichè toccava i vent'anni e gli aveva trascorsi, dalla prima età, nello studio e nelle imprese arrischiate.

Avea conosciuto Diana mentr'ella era nel convento di Santa Chiara, ove era pure la sorella di lui.

Quando Diana uscì dal convento, e Adolfo la rivide, i due giovani parlarono insieme d'amore: Adolfo, con tale gentilezza d'animo, Diana, con un sentimentosquisito e sì casto, che tutt'e due si trovarono affini a segno, da non dubitar più, come si dice in tali congiunture, che Dio li avesse destinati l'una all'altro.

Diana avea capito che il marchese di Trapani non vedea di buon occhio questo amore; nella onestà, nel carattere franco, leale di Adolfo, egli scorgea tante accuse a stesso: sentiva per lui una repulsione: mentre Diana e Adolfo si sentiano attirati l'un verso l'altra, appunto in forza della loro virtù, il marchese si sentiva ripugnante, alieno da Adolfo, inclinato ad allontanarsene: tutt'e due erano, ciascuno, all'opposto polo nel mondo morale.

Adolfo si era accorto della antipatia che ispirava al marchese, a Diana era sfuggita la ripugnanza di colui, che ella chiamava padre, verso il giovane che essa amava con tutte le forze dell'anima sua.

Però tenevano nascosto più che poteano il loro amore, ma già molti e molte se ne occupavano.

Quando entrò nel salotto della principessa e vide Adolfo in intimo colloquio con essa: le poltrone su cui eran seduti quasi si toccavano: Diana impallidì.

La principessa era di quelle donne che ispirano sempre alle altre una forte gelosia. Le donne, che sanno sì ben giudicare quali sieno i più irresistibili mezzi di seduzione, li riconoscono subito in chi li possiede.

Al rumore che fece Diana entrando, poichè il servitore L'avea accompagnata fin nell'attiguo salotto, aprendo l'uscio, e ciò avrebbe dovuto assicurarla sull'indole del colloquio fra Adolfo e la principessa, Enrica si voltò; e veduta Diana, dette in una risata argentina.

S'alzò di scatto per correrle incontro. Voleva dirle, come sempre, alcune di quelle parole con cui solea vezzeggiarla: angiolo mio; mia bellezza, figliuolina cara.... arrivava sino a chiamarla così, inconsapevole; ma si ritrasse subito al veder Dianapallida e sì vacillante.

Anche Adolfo si era subito alzato.

Diana, ritta in mezzo alla stanza, li guardava: un po' come si guardan due esseri di cui si ha paura, mentre pur si amano e se ne vogliono scrutare i veri intendimenti: un po' come un giudice, che esamina due, reputati colpevoli.

La principessa non sapea spiegarsi il terrore che si andava dipingendo sul volto di Diana: vedeva che ella era in preda a una grande sofferenza.

- Ma che hai?... che hai?... - le domandò correndole incontro, e cuoprendola di baci.

Diana avea scorto su un tavolino una lettera, il cui indirizzo alla principessa era scritto da Adolfo.

Essi erano, dunque, in corrispondenza fra loro?

Nella sua passione, quasi infantile, poichè Diana varcava di poco i sedici anni, essa, appoggiando la testa al seno della principessa, dette in uno scoppio di pianto.

Cercava, a studio, sfuggire gli sguardi del giovane.

La principessa si sentì veramente commossa.

Ella nutriva per quella fanciulla un affetto insolito, che non avea mai provato per alcuno: un affetto di una nuova specie.

Era tanto lieta, quando potea stringerla al suo seno: quando la guardava, la udiva parlare, si sentiva come scender nell'animo un influsso buono, che la consolava.

Da qualche tempo, conduceva spesso con Diana nella sua carrozza, al teatro, l'invitava talora a passare da lei intere giornate: giornate che alla principessa trascorrevano in una placidezza, in una contentezza indicibile.

Anche Diana voleva bene alla principessa: la credeva perfetta: le sembrava che tutti la dovessero amare, tanto era bella, affabile, seducente: un uomo solo non avrebbe ella voluto che la amasse.

Il marchese di Trapani, assiduo fra i parassiti che circondavano la principessa, avea voluto, o agevolato quella intimità.

Enrica avea presentato la figlia del marchese alla Corte, ove era stata benissimo accolta. I sovrani la trattavano familiarmente.

E la principessa le dava spesso consigli sul modo di diportarsi: ma tutto andava perduto: Diana era candidissima, non ostante che vivesse fra gentetrista, era di quelle nature a cui sembra che il male morale, tanto son di buona tempra, non possa appiccarsi.

La principessa avea fatto seder la ragazza su un sofà, e chinandosi su di lei, carezzandole la fronte, tutta premurosa, e tutta ansiosa, ripeteva:

- Che hai, angioletto mio? Vuoi venire nella mia camera?... Ti coricherò: ti assisterò io.

A quelle parole Diana parve rasserenarsi.

Un'altra volta essa, trovandosi un po' sofferente, era stata coricata per qualche ora nella camera della principessa. Ed è inesplicabile la felicità che ne avea risentito.

Ella nutriva per la principessa una simpatia vivissima: verso di lei la spingeva un'attrazione invincibile; rinchiusa nella camera di essa, si era data a toccare tutti gli oggetti, di cui la gentildonna si serviva; i pettini di tartaruga, le scatole d'argento, le fialette, a borchie d'oro, ov'erano le polveri, i profumi: avea fin baciato un accappatoio, che la principessa indossava allora, sovente, la mattina.

Un affetto misterioso, che non avea nulla di volgare, eccitava Diana ad amare la bella, elegante gentildonna.

- È così, - avea detto un giorno, - ch'io mi sono spesso figurata mia madre, che non ho mai conosciuto....

Il Venosa, mentre la principessa soccorreva Diana, era rimasto inoperoso. Che cosa egli poteva fare? Ritirarsi. E aspettava il momento opportuno.

Gli dispiaceva molto del malessere di Diana e non sapea spiegarsene il motivo. Al cospetto della principessa credea di cattivo gusto mostrare la intimità che univa l'animo suo a quello della giovane.

Non potea staccar gli occhi dal gruppo che avea dinanzi: le due bellissime donne, una sofferente, la testa appoggiata, gli stupendi capelli biondi sparsi sul cuscino d'un sofà in raso nero; l'altra curvata, tutta amorosa, su colei che soffriva.

Qual artista avrebbe potuto rendere un tal quadro, con tanta venustà di linee, con tanta vivacità di seduzione?

Per la prima volta, il Venosa, guardando le due teste di Enrica e di Diana, l'una sì presso all'altra, fu colpito dalla grande somiglianza di tratti eh'era in esse.

- Si direbbero due sorelle! - pensava fra : poichè la principessa si mantenevagiovane, per la naturale freschezza, per l'arte che certe donne belle hanno di conservar que' tesori che le rendoncare.

A poco a poco, Diana si rinfrancò.

Era in lei nato un disegno: non volea che i due, presenti, e che ella tanto amava, subodorassero il motivo del suo conturbamento: era meglio si porgesse loro con volto sereno: così avrebbe il destro di sorvegliarli tranquillamente.

- Non so, - rispose a una domanda della principessa, - mi ha colto a un tratto questo malessere: riesco a spiegarmene neppur io la cagione.... ma ora sto bene.

E si gettò al collo della principessa per darle i due baci, che le dava, e ne riceveva, di solito, ogni volta che s'incontravano.

Era la prima simulazione, che essa commetteva, la prima volta che fingeva, dacchè era nata. Ma nelle donne anche più candide è sempre latente, sempre facile a prorompere il potere di simulare.

È la grandissima forza del sesso, che non accadrebbe di chiamar debole, secondo alcuni, eziandio se pur non avesse altra arma a nuocere, che questa terribile del mentire, ond'è formidabile.

Dopo ch'ebber fatto altri commenti sull'accaduto, intavolarono una briosa conversazione.

La principessa si rallegrava tutte le volte che vedea la sua giovane amica.

Diana non perdea d'occhio Enrica, il Venosa. Vide che questi avea all'occhiello alcuni fiori: gli stessi fiori che erano in un magnifico vaso, smaltato d'azzurro, su uno stipo nel salotto. Era facile argomentare che la principessa gli avesse donati a Adolfo. Le parve che un momento, alzatisi, per guardare un non so che da una finestra, si stringessero le mani, in mezzo alle pesanti tende di stoffa color granato.

Ella soffriva e si mostrava ilare.

Si faceva buio nel salotto: la conversazione fra i tre durava sempre: Diana studiava Adolfo e la principessa: cercava dar un significato, non solo alle parole da lor pronunziate, ma alla inflessione onde erano pronunziate.

A un tratto, udirono un gran rumore nell'anticamera: servi che parlavano insieme: alzavano la voce: qualche cosa di molto grave dovea esser accaduto.

Fu aperto l'uscio del salotto attiguo: e un servitore, con un passo accelerato, rosso in volto, ansante, venne ad annunziare alla principessa che era arrivato l'intendente della tenuta di Mondrone e domandava di parlarle.

Dall'aspetto del servitore, dal rumore che avea udito, la principessa indovinò trattarsi di qualche sinistro: rimase impassibile, e disse che avrebbe subito ricevuto l'intendente.

Entrò un uomo di alta statura, asciutto, la pelle abbronzata, gli occhi neri, i capelli e la barba neri, foltissimi.

Fece una specie di genuflessione dinanzi alla principessa: e le baciò una mano.

Poi, con rozza familiarità, esclamò:

- Eccellenza, abbiamo cattive nuove!

- E a quale proposito? - domandò la principessa con l'alterezza che usava con i suoi e onde solea sfidare i colpi della fortuna.

- Si prepari Vostra Eccellenza a udire una brutta notizia.

- Parlate! - disse la principessa già in collera.

L'uomo cercava in una tasca del suo abito.

La mezza oscurità in cui eran rimasti sin allora e che erapropizia allo stato di animo, alla disposizione al fantasticare in cui tutti e tre si trovavano, prima che giungesse il campagnuolo, conferiva ora solennità alla scena.

- Stamani, - continuò l'intendente con accento fiero e scolpito, - abbiamo trovato un uomo impiccato a una inferriata del castello.... È provato che egli s'è impiccato, durante la notte, mentre imperversava l'uragano tra le raffiche del vento e una pioggia fortissima.... Aveva posto sotto una pietra su la soglia della gran porta di mezzo questa lettera....

E porse alla principessa un gran plico, che teneva in mano già da qualche istante.

La principessa esitava.

- La lettera è indirizzata a V. E., - proseguì l'intendente.

- E chi è l'impiccato? - disse negligentemente la principessa, prendendo il plico.

- Ciccillo Jannacone!

La principessa si alzò. Niuno potè veder in quell'istante la fisonomia di lei.

Con un tono di voce, che si sforzava render sicuro, disse:

- Non voglio che tu ti spaventi, Diana, coi ragguagli di questa storia.... Poco fa eri già tanto abbattuta!... Vado a finir di parlare con l'intendente in un altro salotto.... Voi, Venosa, tenete a Diana un po' di compagnia....

Mentre la principessa si alzava, era giunto nel salotto attiguo il marchese di Trapani, che veniva a riprendere la figliuola.

S'incontrò con Enrica e la salutò appena, inchinandosi: già avea saputo dal maggiordomo che la principessa in quel momento dovea aver ricevuto una tristissima notizia: ed egli mostrava non volerla disturbare.

La principessa rispose al saluto cerimonioso con un cenno che significava quanto ella fosse angustiata.

- Povera principessa! - esclamò il marchese, entrato nel salotto ove Diana e il Venosa eran rimasti soli appena un secondo.

- Sì, povera Enrica! ella deve aver ricevuto un bel colpo da questo fatto.... L'ho capito al tono della sua voce, - rispose Diana.

I servitori entravano coi lumi.

La principessa, nella sua concitazione, aveva veduto illuminata la sala da pranzo e vi era entrata, facendo segno all'intendente, che la seguiva, di richiuder la porta. Un'altra porta, di rimpetto, era chiusa.

Enrica si accasciò su una sedia e disse all'intendente:

- Continuate!

- Poco ho da aggiungere a V. E. Il nominato Ciccillo Jannacone, da qualche tempo, era pazzo. Avea, da molto, lasciato il suo lavoro, e girava sempre intorno al parco: si recava spesso, sopra tutto di notte, alla casetta ove avea passato tanti anni: e vi è stato visto più volte, seduto sugli scalini della porta.... Un contadino l'ha veduto arrampicarsi al muro e baciar più volte il davanzale della finestra della camera, già abitata dal suo figliuolo. In breve, Ciccillo Jannacone tre settimane or sono entrò nel parco e vi è rimasto, nutrendosi non si sa come.... Non si sa ove passasse le notti.... si vedea talvolta sgattaiolare fra gli alberi, nella foresta, come un animale inseguito, si perdeva d'occhio....

Era lacero, scarmigliato, e avea varie ferite.... I cani del castello l'aveano un giorno addentato. Stamani, io, per il primo, ho esaminato il corpo del vecchio per accertarmi s'egli era morto; assicuro V. E. che quel corpo erastraziato dai denti degli animali, dalle punture degl'insetti nocivi, forse dai rovi che il vecchio nella sua demenza non sapeva scansare, dalle stesse intemperie, ch'io ho detto, se non si fosse impiccato, avremmo trovato uno di questi giorni Ciccillo morto lungo la strada della foresta.... E debbo aggiungere un particolare a V. E. Sembra che il povero Ciccillo non avesse idea di uccidersi.... Il casiere del castello dice che stanotte ha udito dare varii colpi sull'uscio, ma ha creduto fosse il vento che smuoveva i battenti. Certo il fragore, lo scrosciare dell'uragano ne attuavano i colpi.... Si crede fosse l'infelice Ciccillo, il quale, non potendo più sostenere la crudezza della tempesta, fosse venuto a chieder asilo, soccorso.... Chi sa.... può darsi.... Tutti piangono la morte del vecchio: tutti maledicono al figliuolo assassino, causa di tanta desolazione.

L'intendente, come ligio alla casa del duca, e fino allora anima dannata, cieco schiavo della duchessa, non era fra quelli che credevano all'innocenza di Roberto.

Egli singhiozzava.

La principessa era rimasta imperterrita.

Uscì alfine dalla sua gola come un ruggito: un che di terribile e di indistinto: crollò la testa, e i suoi belli e lunghi capelli si arruffarono un istante: non altrimenti un leone tien irta la criniera nel procinto di avventarsi ad alcuno.

- Siete licenziato dal mio servizio! - mormorò, per tutta risposta. - Dite qual rimunerazione volete, qual compenso vi spetta, ma desidero lasciate fra due giorni e, se si può, domani, il vostro posto.

L'intendente era trasecolato.

- E che, - continuò la principessa, alzandosi, - dovrò io tollerare quello che il principe, mio marito, non tollererebbe, se fosse qui?... Si abusa troppo di me, della mia bontà, lo so, - e fingea accento commosso. - Il parco di Mondrone è doventato un nido di scandali: scandali, che sono per noi spiacevolissimi! Vi avvenne un assassinio, anni or sono, - qui la voce della principessa tremava, e non per istudio. - Sarebbe accaduto, se una delle nostre guardie si fosse trovata ? Non debbono esse vigilare nella foresta? E ora si lascia che, per settimane, un uomo erri, fuor di , nel parco: si lascia che i miei cani l'addentino, non si pensa.... non dico a scacciarlo.... ma a nutrirlo, a soccorrerlo, a persuaderlo di far meglio.... no.... no.... si aspetta che quest'uomo.... già pazzo.... commetta la più grande delle follie. E voi sapevate chi era quest'uomo. Il padre di uno che avea contaminato il nostro parco con un altro delitto!

La principessa era tutta impetuosa di collera, sublime: commediante perfetta, sapea valersi della passione, della forza che naturalmente erano in lei.

L'intendente allibiva: non sapea trovar parola da rispondere.

Egli aveva già contribuito a rovinare la principessa, con una mala amministrazione e con rapine: ma non gli pareva d'avere ancor fatto abbastanza.

Devoto alla principessa sino ad arrischiare per lei la vita, non le era stato mai devoto sino all'onestà. Bizzarrie che si danno: facile è trovar uomini che si affezionino altrui soltanto in proporzione dell'utile che ne ritraggono, e ciò non è poco, o da dispregiare: assai più sovente trovate chi vi spoglia e vi odia, vi vitupera, pel bene onde gli siete origine.

L'intendente facea atto d'inginocchiarsi dinanzi alla principessa, per supplicarla: ella, con un gesto rabbioso, gl'impedì di fornire quel movimento e gli accennò che uscisse.

Mentre l'intendente si ritirava, la principessa suonava il campanello, e accorse il maggiordomo.

- Ho licenziato l'intendente, - gli disse; - entro due giorni egli non deve esser più al castello. Gli sieno date tutte le indennità che chiede.... Accomodate voi tutto col mio procuratore.... Farete attaccare una carrozza e andrete a portar un mio biglietto al conte Guicciardi.

- Ma il pranzo, Eccellenza?

La principessa guardò la tavola apparecchiata per diciotto persone; e, fra tre quarti d'ora, gl'invitati doveano arrivare.

Ella avea tutto dimenticato, e non si era ancora abbigliata.

Quale contrasto fra la tavola, tutta splendente di fiori, di argenterie; i ricchi menus accomodati sul dorso di graziosissimi nani d'argento, dalla schiena ricurva: le piramidi di frutti canditi: la varietà dei bicchieri posti dinanzi a ogni convitato, e la tristissima sorte di Ciccillo Jannacone, freddo cadavere, penzolante alle intemperie nel bel parco di Mondrone!

La principessa avea posato sulla tovaglia, tutta tessuta di corone e d'iniziali, il plico, quasi lurido, lasciato da Ciccillo.

- Va bene, - aggiunse, rispondendo al maggiordomo, - mandate un altro.... Intanto, io vado a scrivere il biglietto che deve essere recapitato al conte....

Ella volea sapere qualche cosa sul suicidio del povero contadino; volea sapere che ne pensasse il giudice inquirente.

Si era rivolta, non senza un perchè, al conte Guicciardi.

Sapeva che, nel giudizio contro Roberto, egli le era stato un po' avverso: volea conciliarselo: e col cercar sempre mezzo di vederlo, mostrare che ella non aveva alcuna ragione per temere di lui.

Non lasciava nulla d'intentato nel lottare a pro della sua salvezza.

In tutto il palazzo, dalle cucine, sotto il pianterreno, ove eran raccolti i servitori sino all'ultimo piano ove erano le cameriere, occupate a riordinare la guardaroba, si parlava del suicidio di Ciccillo Jannacone: e si rammentava il delitto commesso dal figliuolo di lui.

E su tali argomenti si parlava anche nel salotto, ove il marchese Piero, Diana e il Venosa aspettavano la principessa, si accorgeano del tempo che passava.

Diana stava attentissima: non perdeva una sillaba.

Il marchese Piero insisteva nel dire che la famiglia degli Jannacone avea voluto tribolare in ogni modo i duchi di Mondrone e la loro gente.

- Tutti noi, - continuava il marchese, - rammentiamo lo spavento che ebbero il duca ed Enrica, allora non maritata, e tutte le persone al loro servizio, quando il figlio di colui che la notte scorsa s'è impiccato, uccise il vostro cugino: il conte di Squirace!

Il Venosa sospirò.

- Mi duole - ripigliò il marchese - aver forse commesso un'indiscrezione, nel tornare su tali memorie.

- Oh, potete immaginare - replicò il Venosa - ch'appena quell'uomo pronunziò il casato Jannacone, già subito il mio pensiero corse al delitto, commesso nel parco sedici anni or sono, e al delinquente.... Volete vi dica tutto l'animo mio?... e anche a voi, Diana.... - seguitò il Venosa, con la sua voce simpatica, e strinse, nella sua eccitazione, la mano della fanciulla, - mio padre non credette mai che Roberto Jannacone avesse ucciso mio cugino.... Era sicuro che egli, incauto, avesse incontrato a caso la morte: e fosse caduto da nel precipizio, se pure non ve l'avesser gittato altri che quel Roberto.... E non per dire: voleva bene al suo nipote, al conte di Squirace, come ad un figliuolo.... Ne sapeva i difetti, ma li scusava, - secondo ripeteva, - perchè erano conseguenza più della sua educazione che d'un'indole cattiva.... La sua morte, così repentina, così tragica, lo colpì tanto ch'ebbe una lunga malattia.... Egli volle parlare col supposto assassino....

- Supposto? - interruppe il marchese.

- Vi dirò....

- Ma io non so nulla del fatto, - esclamò Diana. - Datemi qualche ragguaglio.

Il Venosa le raccontò con molta commozione l'assassinio del conte di Squirace nel modo si credeva, generalmente, fosse avvenuto e ch'egli stesso, cresciuto in età, avea udito raccontare più volte nella sua famiglia.

- Mio cugino, figuratevi, - aggiungeva Adolfo, - era un bel giovane, elegante, uno di quei giovani che non si curano d'altro, se non di far una vita allegra... almeno essi la chiaman così... era conosciuto da tutta Napoli....

- E l'assassino? - chiese Diana, ben lungi dall'immaginare in quale stretta, sin allora ignota relazione, ella fosse con lui.

- L'assassino, anch'egli un bellissimo giovane, e di più... un valoroso. Avea compiuto atti eroici; avea salvato la vita, e le ricchezze a molti; uscito da una condizione oscura, si era inalzato, si era fatto amare per la sua virtù....

Diana piangeva.

- O come mai, - ella disse, - questo giovanebravo, sì buono, potè assassinare vostro cugino?

- Ecco il gran punto... cara Diana, - esclamò il Venosa, e la voce gli tremava. - Mio padre, ripeto, nutriva l'assoluta convinzione che costui non avesse assassinato il conte.

- È strano che Giacinto Venosa... vostro padre... ch'io ho ben conosciuto, potesse pensare che un uomo, senz'alcuna colpa, sia per anni e anni sottoposto alle più atroci sofferenze, chiuso in una prigione.

- Fu questo un segreto martirio della sua vita... ed è per ciò appunto che or ora io ho sospirato.... Chiamatomi a , durante la sua lunga malattia, un giorno ch'egli avea potuto alzarsi e la poltrona su cui si adagiava era stata spinta nel giardino, fra quelle piante, che gli piaceva tanto di rivedere, mi disse: - Ti ho già parlato più volte di quel giovinetto che deve esser ormai un uomo maturo... forse un vecchio per i patimenti del carcere.... Egli non è un assassino: è una vittima.... Sono sicuro che il conte di Squirace non avea mai avuto alcun rapporto con lui.... Sento impossibile una causa di rancore fra loro. Quando la nostra famiglia volle costituirsi parte civile, io mi opposi, come potevo, senza urtare certi legittimi sentimenti, poichè non avea nulla, se non la mia opinione, da metter a contrasto con certi gravi indizi.... L'animo mi diceva che un avvocato accusatore sarebbe stato una nuova e valida forza a intorbidare quella causa, a impedire, contro un infelice che si scoprisse il vero!

E prendendomi per mano, - continuava il Venosa, - il mio vecchio padre mi affermò ch'egli avea lavorato molto, pensato molto, dacchè il giovane era in prigione, allo scopo di porne in luce l'innocenza.... Che era già su una traccia... che non volea confidarmi nulla, poichè si trattava di meri sospetti; e, sentendosi vicino alla sua fine, non voleva lasciar la vita, accusando e forse calunniando taluno. Ma, - mi disse, - tu, figliuolo mio, promettimi che ti adopererai allo stesso scopo, in cui mi sono io adoperato indarno; al trionfo di un innocente....

- Ma che contegno tenne il giovane accusato durante il processo? - domandò Diana trepidante e che, nel suo carattere, si commovea, come sempre, per ogni motivo generoso.

- Un contegno nobilissimo, - rispose l'amante di Diana, - a quanto diceva mio padre: evitò di scolparsi: cercò ogni modo di aggravare la sua posizione: pareva dicesse: sbrigatevi a condannarmi, ho fretta di uscire dalla tortura delle vostre domande per timore che mi sfugga una parola compromettente.... Compromettente per chi? Questo, diceva mio padre, era il segreto del suo riserbo; e mio padre aggiungeva che tutto il mistero di tal affare dovea essere in mano d'una donna.

- Ma la testimonianza della principessa? - osservò il marchese.

- Oh... - rispose il Venosa, agitando in aria un braccio, - mio padre si meravigliò sempre, e lo disse nei crocchi, che i giudici annettessero tanta importanza a una tale deposizione... si tratta, egli diceva, di una fanciulla, paurosa, che ha veduto un uomo cadere nel precipizio... I ragguagli, da lei dati, sono molto incompiuti.... Nella età, nella condizione di salute in cui era, può darsi ella abbia asserito di aver veduto ciò che non ha mai veduto, ciò che forse le è apparso, come un'illusione destata dall'eccitamento de' suoi nervi.... Mio padre avea studiato legge, e profondamente, nella sua gioventù: che questo Jannacone fosse innocente, era una sua idea fissa.

Poco prima di morire mi disse di nuovo:

- Quel giovinetto era soldato, e valoroso.... Egli ha taciuto, si è immolato per una donna.... Tu devi cercare questa donna, che è forse fra le tue conoscenze: impadronirti del suo segreto: costringerla a far rendere la libertà, l'onore a un innocente. Ah fossi stato io giovane come te: sarei riuscito: e già sento che ero vicino a riuscirvi.... Però non posso dirti altro....

Tale fu l'ultimo colloquio che ebbi con mio padre su questo argomento.

Cercare la donna - ecco il punto ove dovea volger le mire - la donna che avea spinto quel giovane innocente nel carcere per tutta la vita.

- Non avrei creduto mai che Giacinto potesse nutrir tali fantasie! - esclamò il marchese, in tono di compassione.

- Io, - rispose Adolfo, - che ebbi per mio padre l'affetto più sviscerato, e ne venero la memoria, non potei partecipar mai sinceramente a queste sue convinzioni.... Mi mancò sin ora l'animo, e forse il tempo, per i miei studii, di farmi nella società l'avvocato dell'assassino di mio cugino....

- Del supposto assassino, come diceva vostro padre, - interruppe Diana.

- Ecco Diana... testolina esaltata, - esclamò il marchese, - ella ormai simpatizza col prigioniero....

- Sicuro, - rispose Diana. - Chi soffre ha sempre la mia simpatia... E quell'infelice non avea una moglie, una figlia?...

- No, egli non avea se non il padre: uomo rispettabilissimo, cattolico fervente, il cui suicidio, appunto per le idee religiose da lui professate con tanto zelo, deve aver molto turbato i suoi amici e compagni.... Mio padre dicea sempre di lui: è una grand'anima....

Diana rifletteva a questo vecchio cristiano, spinto dalla follìa, cagionata dal dolore, al suicidio: rifletteva a quel giovane valoroso, stimato, condannato a un tratto come assassino, per un fatto inesplicabile.

Le sue simpatie crescevano per questa famiglia di sventurati: uno de' quali sceso con violenza nel sepolcro: l'altro chiuso vivo in una tomba d'altra specie.

- C'è qualche cosa d'incomprensibile, - disse, - di straziante nella sorte che perseguita questa famiglia. Il padre è lasciato solo, senza cure, senza conforti, a errare nei boschi, non trova pace altro che nel suicidio; ed è un uomo che tutti dicono virtuoso, esemplare: il figlio è condannato, senza che si difenda... e da uomini ragguardevoli, com'era vostro padre, è creduto innocente.... L'opinione di vostro padre ha per me maggior peso della vostra, - disse Diana, bellissima nella sua indignazione, volgendosi al Venosa. - S'io avessi conosciuto quel vecchio, che s'è tolta la vita in modostrano, lo avrei aiutato a vivere, soccorso, consolato; accetto io l'incarico, che a voi affidava vostro padre.... Una donna vi darà l'esempio che certe debolezze sono intempestive.... Bisogna, mio caro amico, saper lottare per chi soffre: bisogna saper inchinarsi verso gl'infelici: bisogna, sopra tutto, saper vincere con energia certi pregiudizi, certi egoismi, che ci rendon cattivi....

Il marchese sorrideva di quell'entusiasmo: egli non era uomo che potesse comprenderlo.

Diana, in un istante, credeva esser guarita dalle sue gelosie verso la principessa e il Venosa: paragonava grandi dolori, de' quali avea udito parlare, con certi suoi risentimenti; e questi ultimi le parevano inezie.

Dopo un breve silenzio, ella disse a Adolfo:

- Non voglio esser sola nel far un'opera buona: voi mi aiuterete a compiere ciò che vostro padre desiderava: a provare, se è possibile, l'innocenza di Roberto Jannacone.... Mi sembra quasi appartenere alla sua famiglia, aver un dovere di amarlo, di proteggerlo, dopo ciò che ho udito di lui....

- Diana! Diana! - interruppe il marchese, - tu non conosci misura: ti esalti per il più strano motivo.... Il nostro modo di sentire è sempre così diverso!

La fanciulla, senza badare a quella interruzione, e come seguendo sempre un suo pensiero, continuò:

- E troveremo la donna, se c'è, che ha cagionato la rovina di questi disgraziati....

In quel punto entrò la principessa.

Il Venosa si alzò per andarle incontro, e metter fine alla importuna conversazione.

Egli aveva per la principessa una devozione senza pari, e tutto avrebbe fatto pur di risparmiarle un disturbo.

Ma Diana, che non conosceva malizie, avvicinandosi alla principessa: - Qui si parlava, - le disse, - del caso di quel pover uomo che s'è impiccato la notte scorsa, e della prigionia del suo figliuolo.... Non te l'avrai per male? Io mi voglio accingere a provare, se è possibile, l'innocenza di quel prigioniero; a metter in chiaro che tutti i guai avvenuti, e di cui tu pur soffri stasera, si debbono all'influsso di una creatura malvagia, che scopriremo.... Vuoi anche tu aiutarmi a scoprirla?

- Ben volentieri! - rispose la principessa; col suo più maligno sorriso.

- C'è chi crede, - insistè Diana con la crudeltà della inesperienza, - che tu stessa nelle tue testimonianze ti sia lasciata ispirare da allucinazioni, e tu abbia detto quello che la paura ti faceva vedere anzi che quello che tu avevi veduto; se pure eri in condizione di poter ben vedere i ragguagli d'una tale scena.

La principessa avea un grande dominio sopra di ; pure riuscì a stento a simulare l'acuto dolore che le procuravano le parole di Diana.

Per la prima volta, qualcuno, al suo cospetto, osava metter in dubbio, discutere la sua deposizione nel famoso processo.

- Ah... tu sei una bambina, - le disse amorevolmente la principessa, - e spieghi molto zelo in cose, che spesso non lo meritano... probabilmente, tu non fai se non ripetere ciò che ti fu detto da qualche malvagio, e credi sia vero nella tua semplicità....

Il marchese redarguì Diana aspramente: si dolse di non aver alcun impero sull'animo della figliuola. Non voleva, per nulla al mondo, la principessa sospettasse ch'egli l'avesse sobillata,

Il Venosa rimase male; non ebbe il coraggio di fiatare. La principessa non volea ferir lui, ma il colpo lo investiva.

Enrica raccontò che avea licenziato l'intendente: e prese una sfuriata, parlando della negligenza della sua gente cui si doveva la morte del vecchio; gente barbara, essa diceva, idiota, senza costume.

- Avevo conosciuto, da bambina, quel povero vecchio!

E le lacrime, le sue solite lacrime, la soccorsero. Vi aggiunse un po' di tremito; il preludio d'una convulsione.

Diana le cinse la vita con un braccio per soccorrerla; le loro labbra s'incontrarono: e si baciarono.

Poco dopo, la principessa era sola nella sua camera e finiva di abbigliarsi per il pranzo. Ravviava le pieghe del suo abito color di rosa, dinanzi allo specchio. Ma, a un tratto, uscì dalla camera quasi di corsa. Le pareva di veder, a ogni istante, dinanzi a il gramo corpo di Ciccillo, pendente dall'inferriata, e la faccia pallida di Roberto, esprimente la disperazione.

Arrivarono gl'invitati; nessuno di loro sapeva nulla del tristissimo fatto avvenuto a Mondrone. La principessa li accolse tutti con la solita affabilità.

Finito il pranzo, addusse in iscusa che era indisposta e si ritirò subito nelle sue stanze.

Il conte Guicciardi, il giovane magistrato, a cui aveva scritto, le veniva a far visita, in ora assai tarda.

Egli la studiava!

L'allegra parente del marchese di Trapani, che, di solito, accompagnava Diana, giunse a prenderla a casa della principessa nel punto in cui la fanciulla ne usciva, insieme col Venosa e col marchese Piero.

- Arrivate sempre tardi! - le disse il marchese.

- Oh se sapeste, - rispose, - quante cose ho fatto in questo tempo. - E ne avea fatte davvero.

Il marchese sorrideva: si compiaceva di quella corruzione, poichè immaginava qualche galante scappatella della cugina.

- La vostra pettinatura, - le disse, - è molto disfatta!

E, a un'indicazione del marchese; gli protendeva il suo collo grasso e bianco, e che era stato in altri tempi bellissimo, affinchè egli vi accomodasse alcuni riccioli.

Dall'altro lato della strada era il giovinottino di vent'anni. La donna matura l'avea condotto con nella carrozza del marchese, dopo il loro convegno, ed egli la guardava, beandosi.

Avea alla cravatta uno spillo, che essa gli avea poco prima donato, in segno della sua alta soddisfazione pel profitto nelle lezioni che da lei gli erano date.

Fra tali pericoli cresceva immacolato il candidissimo fiore della innocenza di Diana: il Venosa stesso però non si spaventava; conoscendone l'illibato, forte carattere, della corruttela ond'era attorniata e dalla quale sperava toglierla presto.

Ma il marchese non voleva, come sa il lettore, tale unione: e Diana stessa avea provato verso il Venosa le punture della gelosia, della diffidenza.

L'acerbo sentimento, per un poco attutito, dovea presto risvegliarsi.

La principessa, col suo furore di vanità, era destinata a contristare anche il cuore di Diana: a disputare ad essa come avea fatto ad altre il suo unico amore.

Chi le avrebbe detto ch'ogni legge di natura vi si opponeva?

In casa del marchese quella sera, durante il pranzo, fu parlato del fatto di Ciccillo Jannacone.

La signora Teodora, così si chiamava la parente del marchese, si commosse tutta.

Furon ricordate, con ogni ragguaglio, le due tragedie avvenute nel parco di Mondrone.

- Povero conte di Squirace! - esclamava la signora Teodora, - era un discreto giovinetto.... Ma l'altro: quello che fu condannato come assassino, che bell'uomo: un uomo come oggi se ne vedono pochi!... E che spalle!... Per me era innocente!

Il marchese crollava la testa.

- Oh, allora lo dicevano molti, - soggiunse la signora Teodora.: - Anche mio zio, che era un avvocato di molto grido....

Diana facea sempre qualche domanda intorno a Roberto Jannacone.

La sera ne riparlò con la signora Teodora, accompagnandola nella sua camera.

- Per me, - le diceva costei, - quel giovane non era colpevole.... Ho sempre desiderato che scappasse dalla sua prigione. Venisse qui, lo accoglierei a braccia aperte. Povero giovinetto! Eh che bel giovinetto! A tempo della condanna, pensai molto a lui, a tutti i ragguagli di quel processo.... Ora me n'ero, da anni e anni, dimenticata.... Però, un innocente, dover stare tanto tempo in prigione, dovervi morire... poichè il suo processo, fu detto, non ammettea revisione.... Ma che condizione terribile! Sentirsi senz'alcuna colpa, e dirsi: nessuno mi giustificherà mai, non potrò uscir mai di qui.... Speriamo che riesca a fuggire!

- Oh, vorrei poterlo aiutare io nella sua fuga! - esclamò Diana. - Povero prigioniero! non lo scorderò mai, d'ora in avanti, nelle mie preghiere!

Ella sentiva verso di lui una simpatia inesplicabile.

Già le pareva, per quella corrispondenza misteriosa che è tra certi cuori amanti, eziandio senza si conoscano, ch'egli aspettasse da lei il suo massimo conforto, e le tributasse un culto, nel quale il rispetto arrivava all'adorazione.

In quella notte ella pensò molto a Roberto, e i discorsi da lei uditi, poche ore prima, pinsero i suoi sogni di strane immagini.

 

 

 


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