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Di lì a un'ora, Roberto si sovvenne che l'altro prigioniero lo aspettava.
Già udiva un piccolo rumore verso il punto ove le pietre erano state smosse.
Si levò: tolse le pietre, con ogni precauzione, apparve di nuovo la scarna figura dello sconosciuto.
Nella sua generosità, Roberto pensò tener ad esso nascosto il suo grande dolore e occuparsi piuttosto delle sofferenze di lui.
Il sopravvenuto si accasciò di nuovo sul misero letticello della prigione, e lì seduto, disse a Roberto:
- Vi racconterò la mia storia.... Io sono meccanico e incisore: e sono stato condannato col nome di ingegnere Amoretti. Pochi mi conoscevano in Napoli, avendo quasi sempre lavorato in Roma per ricchi forestieri, co' quali sopra tutto avevo contatto. Tornai a Napoli, mia patria; e fui pregato incidere alcuni emblemi.... Si trattava degli emblemi d'una setta: e credo si chiamasse de' carbonari.... Mi si fece pur incidere una specie di proclama contro il Re.... Un mio alunno mi tradì; egli era innamorato della mia moglie, donna virtuosissima, e che avea resistito a tutte le sue importunità.... Credette in tal modo sbarazzarsi di me, riuscire nel suo intento, e mi denunziò.... Fui arrestato, condannato.... Mia moglie cadde colpita da sincope, vedendomi passare, mentre mi riconducevano alla prigione, il giorno stesso della condanna. Essa mi avea dato un figlio, un anno prima; un figlio che era tutta la mia gioia, tutta la mia speranza per l'avvenire....
Fece una breve pausa, quindi riprese:
- Perchè mi condannavano?... Io era innocente. Alieno dalle cospirazioni, assorto nell'arte mia, per mera compiacenza avea fatto que' piccoli lavori.... La incisione degli emblemi era riuscita un capolavoro. Ci sono nelle mani di ricchi signori d'Europa e d'America incisioni mie, di cui si offrivano fin d'allora centinaia di sterline: e che a me pure erano state ottimamente pagate.
Feci professione di fedeltà al Re: chiesi la mia grazia e non ho ancor nulla ottenuto.... E notate che offrivo di tornarmene subito a Roma, ove avea passato quasi tutta la mia vita.
Che è divenuto mio figlio, rimasto solo, abbandonato nel mondo?... Vive egli sempre?... Lo scarso peculio da me lasciato, ha servito alla sua educazione? Ama egli suo padre; la gente che lo circonda gl'ispira la reverenza filiale, o l'orrore verso di me? Dov'è? Vive? Si trova in grandi pericoli, in grandi necessità, posso io salvarlo, soccorrerlo?
Ecco i dubbii che m'angustiano, ecco la mia tortura, una tortura indescrivibile, che ho sopportato per anni ed anni, che mi ha avvelenato i giorni e le notti, mi ha tolto la pace, il sonno, mi ha dato ogni strazio, mi ha ridotto come voi mi vedete. Mio figlio!... Siete voi padre?
- Ah, allora non potete intendere ciò ch'io ho sofferto.... Ed è inutile ve lo spieghi.... Mio figlio, il mio unico figlio!.... Tante volte, nelle notti, mi è parso veder un'ombra bianca, l'ombra della mia diletta sposa; mi è parso di udir susurrare al mio orecchio: va', non lasciar solo quel fanciullo, che ha bisogno di te; trova nel tuo affetto di padre le forze, il segreto, per fuggire.
Se sapeste che cosa sono queste memorie della famiglia per un uomo che si trova solo, in una squallida prigione!
Così pensai, tentai la mia fuga: la mia cara sposa sembrava m'aiutasse nel lavoro.... Aspettavo la grazia, e cercavo il mio scampo. Due speranze! Una di più che non occorra a consolar la vita del prigioniero.... E ora, ora le ho perdute tutt'e due.... Nel mio lavoro sotterraneo ho scambiato direzione.... La provvidenza non ha voluto potessi rivedere mio figlio.... E, dopo un lavoro prodigioso, che sembra sfidare le forze umane, e che ho superato per virtù d'amore di padre, rinunziar alla propria idea.... Se sapeste che immensa amarezza! Io non vi resisterò. Fatte sparire le traccie del mio tentativo di fuga, perchè non si raddoppino rigori, e non nuocere ad altri, m'impiccherò all'inferriata della mia prigione....
- Oh, - esclamò Roberto inorridito da quella risoluzione, esaltato dal dolore cui era in preda, per la notizia avuta.
Gli si offriva alla mente ch'egli poteva compiere un'azione generosissima: una di quelle azioni, cui suo padre l'avea educato, e ch'egli, nella sua semplicità, avea saputo compier sì spesso: sarebbe stato il miglior omaggio alla memoria di lui.
Il dolore, sì recente e sì forte, aveva purificato l'animo di Roberto: l'avea inalzato a Dio, staccandolo da tutte le miserie della terra.
Sentì vergogna di sè. A che egli avea preparato con tanto studio, una fuga? Per soddisfare una vendetta. E alla sua fuga tutto sembrava promettere un esito felice.
Invece quel prigioniero avea lavorato, e indarno, mosso dal più nobile, dal più puro de' sentimenti: l'amore paterno.
S'egli avesse avuto un figlio, una figlia, la prigionia gli sarebbe riuscita mille volte più dura, incomportabile: no, non avrebbe potuto sostenerla!
Poi, - rifletteva, - quel prigioniero era davvero innocente. La tirannide che non si placava mai, la diffidenza politica, che ingigantiva la colpa, paurosa di pericoli, lo aveano gettato in quel carcere: a terrore, esempio d'altri, anzi che ad equa espiazione di un suo fallo.
Ma egli, egli, che avea tanto imprecato, la sorte, era davvero innocente quanto si credeva?
Nella sua passione focosa per Enrica, nel modo con cui l'avea dominata, conquistata, nella forza brutale ch'avea spiegato contro di lei, non v'era già una trasgressione delle leggi morali?
La sua espiazione era eccessiva, ma era sempre più meritata di quella dell'altro.
Egli non aveva più alcuno al mondo che lo amasse; non potea indovinare ciò che Diana, la gentile fanciulla, facea, perchè trionfasse la innocenza di lui; e sapeva che, morto il padre, non gli restavano altro che nemici.
A che pro una lotta con essi?
Il sacro dolore che l'opprimea gli dava a sentir più forte la vanità della vita.
- No, no, - ripetè al prigioniero, - non dovete disperarvi di più.... rivedrete il vostro figliuolo!
- Che dite?... - esclamò l'altro, scendendo dal letto, e rimanendo in piedi. La sicurezza con cui Roberto parlava lo aveva scosso. Splendeva a lui di nuovo un raggio di speranza. E, sia pur debole, gli uomini infelici sono sempre sì pronti ad accoglierlo. - Che dite?...
- Anch'io ho preparato la mia fuga.
E gli spiegò della scala di corda, e della sbarra limata, che dovea lasciarlo passare.
- Ho osservato - soggiunse - che allo scocco delle tre si mutan le guardie. Arriva qui dinanzi un picchetto di soldati. La sentinella che è sotto l'inferriata va a parlare, alla distanza d'un cinquanta passi, col picchetto.... Fa il suo rapporto, scambia alcune parole di consegna.... In otto o dieci minuti, la sentinella torna al posto.... Preparata la scala, rimossa la sbarra, in una notte buia, tempestosa, come questa, ecco lo spazio di tempo che deve servire alla mia fuga....
- Ma allora potremo fuggire insieme.
- No, poichè la distanza da percorrere, per arrivare dalla inferriata sul suolo sottoposto, è assai lunga, e non si può scendere se non con molta cautela: e, quando la sentinella ritorna, bisogna essere già lontani dalla muraglia della torre.
- O dunque? - disse l'altro, di nuovo piombato nella costernazione.
- Fuggirete voi solo!... io non ho motivi serii come voi per desiderare sì pronta la libertà.
- E quando potrò fuggire? - rispose l'Amoretti, senza pensar ad altro, baciando le mani del suo benefattore.
- Io aveva stabilito di fuggire stanotte.... Fra poche ore, potete esser fuori.... Ma guardiamo.
Si fece all'alta finestra: la pioggia era cessata: le nubi erano spulezzate dal vento: si rasserenava.
- Il cielo è contro di noi, - disse Roberto. - Torna il bel tempo; stanotte si vedrà chiaro: sarebbe imprudente, dannoso tentare una fuga.... Ma la stagione è instabile; una di queste notti, forse nella notte di domani, potrete mettervi in salvo....
- Grazie, grazie: e Dio vi rimuneri con le sue benedizioni!
- Oh, se anch'io fossi stato padre, sento che il mio cuore sarebbe scoppiato fra le mura di un carcere.... Vi sarei soffocato!