Giulio Piccini (alias Jarro)
La principessa

PARTE SECONDA.

VII.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

VII.

 

Egli sapea chi avea rubato la bambina e perchè era stata rubata.

Ma un timore acuto, un vero spavento lo colse:

- La bambina vivrà sempre?... E, vivendo, che sarà divenuta tra le mani di que' manigoldi?

E pensava al marchese di Trapani e a Marco Alboni. Guardò le sbarre della prigione, fissandosi sulla sbarra che avea sì ben limato e che si dovea staccare col muover di un dito.

Ah, che sorpresa per tutti il rivederlo, quando egli, dopo aver gioito dell'incognito, si fosse dato a conoscere!

Enrica credeva lui seppellito per sempre nella tomba di una prigione: dovea aver saputo da Cristina che la sua bambina era morta.

Qual effetto, allorchè egli le sarebbe tornato dinanzi, tenendo per mano la sua figliuola!

Egli ricordava quasi parola per parola il dialogo fra il marchese e Marco Alboni, la sera in cui egli si era nascosto tra le rovine presso il parco di Mondrone.

Non poteva desiderare d'aver indizi maggiori.

Già avea conosciuto a Mondrone il marchese: sapea dove abitava: sarebbe andato dritto in Napoli alla sua dimora.

Ma come farsi riconoscere a sua figlia?

E le avrebbe disvelato chi era sua madre?

Ah, se Roberto avesse saputo l'intimità che correva fra Diana e la principessa, senza che l'una l'altra potessero immaginare come le unisse un vincolo più stretto di quella loro profonda, scambievole simpatia che, secondo vedremo, per parte della principessa dovea mutarsi in odio furibondo!

Roberto tornava sempre più fervido al pensiero della fuga. Comprendea d'avervi troppo facilmente rinunziato. Ma la promessa da lui fatta all'altro prigioniero? Dovea esser mantenuta: Roberto non era uomo da mancar alla parola data a un infelice.

Bisognava compor le cose in modo che la fuga fosse possibile ad entrambi. In tal guisa, ciò cadeva dall'animo di Roberto, aumentavano i pericoli dell'impresa, si facevano quasi insormontabili; e ciò nel punto in cui la fuga era divenuta più necessaria, più ardentemente desiderabile.

S'illudeva che tutto sarebbe ben riuscito; che la buona azione da lui compiuta avrebbe avuta la sua ricompensa.

Con l'altro prigioniero eran rimasti d'accordo che egli tornasse da lui la prima notte in cui facesse molto scuro e vi almeno un po' di burrasca.

Per ben due notti aspettarono, ansiosamente.

Il cielo era minaccioso, ma non scoppiava il temporale.

Roberto era tornato al suo ufficio: il soprintendente gli volea maggior bene, dopo aver ricevuto la notizia del modo ond'era morto il padre di lui.

S'era sempre più convinto che Roberto fosse nato in mal punto, ingiustamente perseguitato dalla fortuna.

In que' giorni gli avea ripetuto:

- Caro Roberto, io e la mia famiglia vi siamo affezionati, come se voi foste uno de' nostri; il mio desiderio più vivo è sempre lo stesso; poter rendervi il contraccambio dell'immenso beneficio da voi ricevuto.

L'indugio al fuggire dava a Roberto molta impazienza, ma comprendeva che non sarebbero state mai troppe le cautele nell'effettuale il suo atto.

La terza notte imperversò la burrasca.

Roberto fece tutti i suoi preparativi: ogni tanto gli sgorgavano dagli occhi lacrime di commozione.

Era giunto il momento, che, per sì lunghi anni, aveva agognato.

Sentì un rumore nel punto della muraglia ove le pietre erano già smosse, e pochi istanti appresso comparve lo scarno, scarmigliato prigioniero.

- Vi dovrò la vita! - disse, appena entrato inginocchioni nella prigione. E protendeva le braccia verso Roberto.

- Alzatevi! - egli disse. - Vi sentite abbastanza forte?

- Oh, sento un'energia, che mi renderebbe capace delle più grandi azioni.

Il momento era solenne. Roberto non proferì più parola e stette in ascolto. La pioggia scrosciava al di fuori. Di tratto in tratto un baleno rischiarava la prigione ove Roberto avea spento il lumicino abbacinato di cui s'era servito fin allora.

- Devono mancare pochi secondi allo scocco dell'ora! - mormorò Roberto al compagno.

Aveva già staccato la sbarra dall'inferriata.

L'orologio suonò, a un tratto, i suoi rintocchi.

- Presto, tocca a voi.... La sentinella a quest'ora si deve essere allontanata.

L'ingegnere Amoretti avea già scavalcato la finestra e afferrata la scala.

- E ora a me! - disse Roberto.

E già i due prigionieri in cuor loro si vedean liberi, salvi.

Il bagliore di un lampo rischiarò in quell'attimo tutta la campagna.

Roberto, dall'alto, vide il gruppo delle sentinelle, che parlavano fra loro, a breve distanza.

- All'armi! - gridò una sentinella.

- All'armi! - gridò un'altra sentinella.

Furono immantinente sparati quattro colpi di fucile.

Subito tutti si svegliarono.

Il primo ad accorrere fu il soprintendente, che udì il rumore degli spari, mentre recavasi a portar una buona notizia al prigioniero che stava vicino a Roberto, all'ingegnere Amoretti, il quale avea ottenuto la grazia, che gli riconcedeva la sua libertà!

 

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License