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X.
Arrivarono alla villa, poichè ben potea chiamarsi così la dimora, assai signorile, di Cristina.
La principessa e Diana dovettero scendere dinanzi a un cancelletto e fare a piedi una stretta, ripida salita; che avea a' due lati siepi di rose e di melagrani, e che metteva alla villa.
Cristina fu subito avvisata dal bel guardacaccia dell'arrivo della principessa.
Andò a indossare un bell'abito di seta nera e tenne intanto la principessa ad aspettarla, come s'ella fosse un'altra signora.
Enrica avea riconosciuto il bel guardacaccia di Mondrone: e gli avea subito dato un'occhiata, che avea lasciato perplesso quell'uomo assai risoluto e assai vizioso. Ma la principessa avea posto nella sua occhiata, come sapeva, molte e varie espressioni: fra le altre avea saputo significarvi ch'ella ben si ricordava del modo ond'avea sorpreso Cristina e il guardacaccia in un salotto del castello. Perchè il guardacaccia si trovasse lì, dava ad intendere l'occhiata della principessa, non era un mistero per lei.
Intanto che la principessa aspettava, il guardacaccia le offriva di che refocillarsi.
La principessa era gaia: avea sempre il suo vigoroso appetito, e accettò. Le destava curiosità il veder come Cristina l'avrebbe trattata.
Cristina scese, dopo che il guardacaccia era già salito a concertarsi con lei, ed entrò, tutta sorridente, nella stanza ove erano Diana e la principessa.
Subito fu stupita, mettendo gli occhi su Diana, della grande somiglianza che era fra lei e la principessa. L'antica serva, dandosi tutte le arie e il sussiego di una gran dama, ringraziava le due signore dell'onore che le facevano: onore da lei immeritato: le pregava con ostentazione a scusare l'umiltà di quella povera casetta, ma ella avrebbe tutto messo in opera perchè rimanessero soddisfatte.... quanto si potea soddisfare da chi avea, come lei, sì pochi mezzi, a persone di sì alto affare. Sarebbe andata ella stessa a impartire gli ordini.
- Cristina dà ordini? - pensava la principessa. - Che trasmutazione ha operato il mio denaro.... Quanta gente io ho arricchito a questo modo! - pensava, guardando i mobili, gli oggetti di non piccol valore, ond'era ornato, arredato il salotto. - Gli ho arricchiti, sì, - continuava fra sè, pensando con la rapidità del baleno, - ma sono stati tutti schiavi de' miei piaceri!
Non rifletteva che, forse, erano stati un tempo schiavi dei piaceri di lei, ma essa avea sempre finito per essere la loro schiava, per fornire ad essi, come in esempio a Cristina, il modo di soddisfare a' loro propri piaceri.
C'erano in tutta la casa immagini di santi, un non so che, a ogni tratto, rivelava la pietà, la devozione di chi vi abitava.
Enrica si rammentava le lezioni di Cristina: ingannar tutti con le apparenze, burlarsi di tutto: e in segreto godersi le più strane fantasie.
Venivano a trovarla monache: le più giovani le baciavan la mano come a una grande benefattrice: ella pregava, s'inginocchiava a dire orazioni con esse: fra la gente di quel contado passava per un'anima austera, esemplare.
La sera, chiusi gli usci, chiuse ermeticamente le finestre, dopo cena, dopo aver fatto una lauta cena, gli abiti discinti, attirava a sè il bel guardacaccia: e con lui rideva, scherzava su tutto, gettava, con scoppii di risa fescennine, con motti salaci, procaci, il ridicolo su tutte le persone più rispettabili, su tutto ciò che v'ha di più alto e di più puro. E il giovinetto, gigante, fortissimo, si stupiva sempre d'una cosa, della sapienza, delle novità in amore, che aveva e sapea trovar quella megera. Poi, sul far del dì, Cristina usciva, e andava la prima di tutti a udir la messa nella chiesa della parrocchia: talvolta si vedeva con la fronte toccar terra, si udiva sospirare, si agitava, come se si pentisse di atroci peccati.
Burlarsi di tutto era il forte di questa perversa creatura: ed era lieta in tal giorno che la principessa fosse venuta a lei: non le avrebbe risparmiato beffe e umiliazioni. Ne voleva usare a suo diletto.
Sempre più osservava quanto Diana somigliasse alla principessa, anche parlando: la principessa, fanciulla, pensava Cristina, era proprio così.
La refezione fu pronta: per cerimonia la principessa invitava Cristina a porsi a tavola con loro. Non era apparecchiato per lei, ma Cristina aspettava l'invito: e non se lo fece ripeter due volte: sedette a tavola, e con gli ordini rumorosi che dava, con le preferenze che esprimeva, facea sentire alle altre due che essa era la padrona, e che le teneva sotto il suo imperio.
Qualche volta Diana fu irritata, ma la principessa la tratteneva con lo sguardo, con un cenno: Enrica si era poi pentita d'aver accettato l'invito. Vedea che Cristina abusava di lei: che godeva d'aver un'occasione di sfogare la sua malizia selvaggia. E già Enrica prevedeva la scena, che avrebbero insieme, fra non molto.
In fatti, finita la refezione, la principessa si alzò e disse a Cristina che la seguisse per un istante.
- Emilio, - disse Cristina rivolta al guardacaccia, - accompagna la signorina nel giardino e coglile i più be' fiori!
Quando furono in un salotto sole, la principessa disse improvvisamente:
- La bambina è molto lontana di qui?... Non ho mai saputo dov'era....
- Non lo avete mai domandato.... è molto lontana....
- Senti, m'e venuto un desiderio irresistibile di vederla!
- Oh, è impossibile! - replicò Cristina.
- E perchè?... - domandò, con veemenza, la principessa.
- È morta! - rispose Cristina, grave, e senza indugio.
- Morta?
- Morta, sì, e nel giorno stesso in cui era condotta dalla balia. - Cristina credea d'aver aperto una ferita nel cuore della principessa e si divertiva ad irritarla.
- Dici tu il vero?... - e la principessa, furibonda, avea preso per un orecchio Cristina e la faceva inchinare.
Cristina, livida dalla collera, esclamava:
- Potrei chiamar gente: potrei farvi svergognare; è la prima volta che voi osate abusare della vostra forza con me, sottopormi a una vostra prepotenza.... Ma se io avessi gridato e fosse qui accorsa la signorina, che avete condotto con voi, e in faccia sua vi avessi mostrato i documenti, che posseggo: l'uno prova il vostro matrimonio con Roberto, l'altro la nascita della bambina.... Que' documenti sono ora nelle mie mani e non ne usciranno.... Vi odio tanto che voglio farvi soffrire lentamente, e voglio godere, a poco a poco, delle vostre sofferenze.... E vi assicuro saranno atroci.... Per ora, io ho tenuto in me tutto il mio segreto.... ma se ne palesassi ad altri anche una parte?...
- Hai detto di odiarmi: ma vorrei sapere perchè mi odii? Non t'ho io sempre beneficata? - disse la principessa, che ardeva di collera.
- Beneficata, sì, come beneficate, come fate tutto voi, con sprezzo, con alterigia.... Fin quando servivo da ministra a' vostri piaceri, fin quando eravate nelle gioie supreme, che sogliono accomunare i corpi e le anime, voi eravate sdegnosa, pungente, trovavate un maggior godimento a darmi prove di spregio.... E quante altre umiliazioni ho poi sofferto da voi.... Insomma vi odio per cento altri motivi, che sento e non so spiegarvi. Vi odio perchè voi siete una persona trista, e, benchè io non sia nulla di buono, ho orrore del male.... negli altri. E sappiate per sempre che la concordia, l'unione fra due anime tristi non può durare: si muta in odio, in persecuzioni. Io voglio vedervi alle mie ginocchia, supplicante; e respingervi, insultarvi nella vostra umiliazione. Voi dovete servir da mezzana anche ai miei amori col guardacaccia: troverò uno stratagemma, a scusa innanzi agli altri, perchè voi abbiate ragione d'invitarci nella vostra villa, mentre siete sola, e dovrete subirmi! E non potrete sottrarvi da me. Vi farò pagar cara la stessa prepotenza, che avete voluto ora usarmi. Intanto.... vi annunzio che nello spazio di otto giorni, dovrete pagarmi lire ventimila. Quindicimila serviranno ad arrotondare una somma, che ho in deposito: con le altre cinquemila voglio far un viaggio in Italia e in Inghilterra con lui.... Non voglio rimaner sempre qui.... Ed è giusto che voi.... voi, la signora che ha tanta alterezza, paghiate le spese dei miei piaceri!
Cristina era sempre livida, col suo malvagio sorriso sulla sua larga bocca.
- Come, - insistè, - posso riscuotere questi ventimila franchi?... Ho fretta di partire, ricordatevelo! Un viaggio deve darmi forze nuove per nuovi piaceri.... Il mio amante è giovane e voglio distrarlo.... Vorreste voi, anzi, esser tanto compiacente da indicarmi su questa carta l'itinerario che dovremmo seguire?
E le accennava un mappamondo disegnato su un'ampia carta e attaccato alla parete.
- Vi prometto che parleremo anche di voi nel nostro viaggio.... La sera, quando saremo tornati agli alberghi, dopo cena, fra una risata e l'altra....
- Non m'irritare!... - disse la principessa, pallidissima, digrignando i denti. Poi, mutando stile:
- Se tornassimo amiche?
Credeva invescar l'altra. Ma Cristina era forse più trista e certo più astuta di lei.
- Ecco una prima concessione! - le disse. - Non vi trovereste umiliata d'esser chiamata amica da una vostra antica serva?
Poi gettò là alcune parole impertinenti e atte a turbar sempre più l'animo di Enrica.
- Lo so.... lo so.... che voi non cercate gli amici fra gente sì umile.... Il migliore vostro amico, - e sottolineava con malizia queste parole: - è il Re....
- Bocca di demonio! - disse la principessa irritatissima.
- A quando le ventimila lire, signora? - domandò Cristina, con le mani su le anche, un piede innanzi, e guardandola di sotto in su con aria spavalda.
- Se io andassi dal Re, gli provassi che voi siete la moglie di Roberto, che avete fatto morire la vostra bambina per allontanarla troppo presto da voi.... che avete accusato, denunziato, fatto imprigionare vostro marito....
- E se io ti uccidessi? - rispose la principessa, pallidissima, con una calma spaventosa. - Sai ch'io so preparare un agguato, sbarazzarmi di chi mi nuoce....
- Sarebbe inutile, ve lo avverto; ho già preso tutte le mie precauzioni. Ho già denunziato in un foglio, che può esser trovato subito dopo la mia morte, come voi abbiate interesse a sopprimermi.
- Ma io ti farò uccidere da persona, che m'è devota; e a cui posso comandar tutto, sicura d'essere obbedita! - disse la principessa con una risolutezza che ispirava terrore.
Ci fu tra quelle due donne, ambedue scellerate, un terribil silenzio. Il loro rapido dialogo era durato pochi istanti.
La principessa, cedendo alle gravi commozioni, che le parole di Cristina destavano in essa ad ogni istante, non avea potuto volgere a costei le domande che le cadevan dal labbro proprio nel momento nel quale Cristina s'era indignata per l'atto violento ch'avea dovuto sostenere.
- La mia bambina è morta? - riprese, a un tratto, con voce rauca, la principessa.
- Sì, - ribattè l'altra!
- E perchè allora tante menzogne, tanti raggiri, tante doppiezze?... Ma qual inferno ti ha vomitato sulla terra, demonio?... Qual è stato lo scopo di tutte le tue imposture?... Sfruttarmi?
- Sì, sfruttarvi, - rispose impavida Cristina. - Sfruttarvi, sino a che io non ebbi i documenti. Da ora in poi sarebbe inutile che mi dessi la pena di mentir tanto, d'ingannarvi; ho ben altri mezzi per tenervi obbediente; perchè siate mia schiava.... Vedete a che conducono i vizii.... La vostra vita sregolata vi ha posto in balìa di tutti, non vi appartenete più; e che sarebbe, se molti conoscessero i vostri segreti?... Voi siete la moglie di due mariti: uno lo tradite, lo disonorate per mera vanità: l'altro l'avete tradito, calunniato, disonorato, lo avete voi stessa fatto chiudere in una prigione.... Ma - disse Cristina dopo breve pausa - non avete mai pensato ciò che vi potrebbe avvenire, se quella prigione si aprisse, se quell'uomo tornasse fra noi.... Che direste di trovarvi al suo cospetto?...
Diana s'era a dirittura esaltata in mezzo a' fiori del giardino. Erano sì belli, sì ben tenuti, scelti con tanta cura!
Il guardacaccia pareva, per la sua bellezza, per la persona aitante e svelta, non ostante la colossale struttura, un nume antico; avea un dolce sorriso e cortesi maniere per uomo adusato a star sempre nella campagna, allevato fra costumi contadineschi.
A poco a poco Diana prese ad amarne la franchezza e la dolcezza di modi, poichè l'una, per natura, temperava l'altra.
Ed entrarono in ragionamenti su' più varii soggetti. Diana si prestava ben volentieri a quella familiarità,
- Ho conosciuto la principessa, quando era giovinetta, - disse a un certo punto Emilio. - Mio nonno stava col padre di lei: la mia famiglia ha servito quella del duca per ottant'anni. Che buoni signori.... fino a che non è venuta questa pazzerella!... - soggiunse fra ironico e severo.
- Parlate così della principessa?
- Oh, io darei la vita per lei! - Cristina non gli avea mai detto nulla de' suoi segreti, non avea creduto prudente ispirargli i suoi odii; al contrario gli avea sempre finto gran rispetto alla famiglia del duca. - Ma l'ho veduta crescere con me, sebbene io fossi un po' più giovane, e l'ho veduta far tante stravaganze.... Le corse, le caccie della duchessina nel parco, le sue cavalcate; poichè essa maneggiava lo schioppo e stava a cavallo come i migliori tra noi: le sue visite improvvise nelle case dei contadini, a' quali faceva sempre qualche paura, o qualche dispetto, son sempre ricordate.... Era molto cattiva: percoteva, a volte, i vecchi, i bambini: un giorno io l'ho veduta con un ferro, che avea arroventato, bruciar la mano, per divertirsi, a un giovinetto contadino, che le stava sempre d'attorno: Roberto Jannacone.
- Roberto Jannacone.... l'avete voi conosciuto? - chiese Diana, la quale da molto tempo, senza che sapesse il perchè, si appassionava tanto pel disgraziato prigioniero.
- Se l'ho conosciuto? era mio camerata: un tempo, il mio migliore amico.... Ci confidavamo tutti i nostri piccoli dispiaceri, passavamo insieme le domeniche, e, negli altri giorni, ogni ora in cui fossimo liberi. Ma, dacchè la duchessina principiò a trastullarsi con lui, a volerlo a sè, a perseguitarlo, Roberto non fu più quello....
- E perchè?
- Non so: diventò taciturno, schivò ogni compagnia....
- E poi....
- E poi.... - replicò Emilio, - ma non voglio spaventarvi, raccontandovi cose, che forse non sapete, e potrebbero rattristarvi.
- No, no, dite, dite.... - incalzò Diana.
- E poi... ammazzò un signore.... il conte di Squirace, che si dicea dovesse sposare la principessa, gettandolo da un ponte altissimo, il ponte che avrete veduto, passeggiando pel parco, nel mare....
- Ma voi lo credete un assassino?...
- Se lo credo!... - esclamò Emilio, battendo una mano contro l'altra. - C'è chi lo vuol difendere, lo so: ma le belle parole sono inutili.... Bastava conoscere il conte di Squirace! Che volete che possano certi farfallini con uomini come Roberto, o come me! Gli stritoliamo fra le nostre braccia, a ogni nostro desiderio.... Roberto abusò della sua forza: chi sa.... non dico.... come l'altro l'avea fatto salire in furia.
Diana era rimasta molto pensosa.
Il linguaggio semplice, rude di quell'uomo la persuadeva più di tanti cavilli, di tanti discorsi contorti, studiati, reticenti, che avesse udito sin allora.
L'uno e l'altra continuavano, chinati, a cogliere i fiori.
Diana ripensava molto a quelle parole: il conte di Squirace, che si dicea dovesse sposare la principessa. La principessa poteva aver avuto qualche influsso su quel delitto? Volle tornare a sobillar Emilio.
- Mi avete detto, - ripigliò, a un tratto, alzando la testa, - che il conte di Squirace dovea sposare la principessa?
- Sicuro, si diceva: egli, almeno, le avea fatto e le faceva, anche in tal momento, una corte molto assidua.
- Possibile! possibile! - pensava Diana. - Come tutto si spiegherebbe! La presenza de' due uomini e di Enrica vicino al ponte nello stesso tempo.... Una disputa fra' due rivali!...
La giovinetta innocente vedeva il vero meglio di tanti altri uomini serii, pratici, come da sè s'intitolavano, che aveano studiato, discusso, ragionato tanto questo affare.
- Enrica, Enrica! - proseguiva a dir Diana fra sè. - Potrebbe ella esser consapevole di un tal delitto: e viver così tranquilla, sicura? - Ciò le ripugnava.
Ma, ammessa tale ipotesi, come tutto si spiegherebbe!... Anche il babbo di Adolfo, anche altri avrebbero avuto ragione, credendo Roberto innocente; in una mischia, il signor di Squirace era forse caduto dal ponte, senza che niuno lo spingesse, o per un urto che non gli era stato dato certo con l'intendimento di ucciderlo.
- Però, - continuava, esterrefatta, Diana nel suo ragionamento, - Enrica è stata la sola testimone sulla cui fede fu condannato quell'innocente.... Avrebbe essa potuto usar tanta crudeltà contro un uomo, il cui solo delitto era di averla troppo amata?
Volle stornarsi, per allora, da que' pensieri. Si mostrò gaia, disinvolta: guardò rapita, o finse, - era già la seconda volta che fingeva nella sua vita, - tutti i fiori che aveano raccolti.
- Ora, basta! - disse al guardacaccia. - Perchè sciupare tanta bellezza?
- Oh, ma domani, o dopo domani, signorina, saranno tutti appassiti. Meglio è, - disse il guardacaccia con una certa poesia, - che muoiano vicino a voi.
Diana sorrise di quel complimento.
La principessa, col volto appoggiato tra le mani, singhiozzava dinanzi a Cristina. Non era il solito pianto, di cui, come sa il lettore, si valeva ad arte.
Ella singhiozzava pensando alla sua bambinetta; la improvvisa notizia della morte di quel piccolo essere l'avea sopraffatta, affranta.
Cristina la lasciava piangere, senza affannarsi a dirle una parola di conforto e come se ogni soffrire di lei le fosse indifferente.
Alla fine Enrica sollevò la sua bella testa. Le lacrime erano rasciutte; essa avea ripreso tutta la sua fierezza.
- Brutto sogno ho fatto in pochi minuti, - disse, poichè soltanto da pochi minuti erano insieme ella e Cristina, - e ho veduto nella mia mente tante cose, e mi hanno atterrito, spaventato.... Sono ben sola nel mondo; ho destato e desto in molti le più forti passioni, ma nessuno mi ama. È il mio castigo!... Quando penso che tu mi odii, non ostante tutto il bene che hai avuto da me, e dopo aver passato insieme con me tanti anni, ora per ora....
- Nessuno vi ama, perchè non sapete farvi amare.... - rispose Cristina, - perchè nessuno ama gli orgogliosi: e l'orgoglio vi ha sempre dominato!... Il bene che avete fatto non fu apprezzato da alcuno perchè mescolato con troppo scherno, con troppo prepotente alterigia.... Ma, tali discorsi sono inutili.... Vi ho già detto ciò ch'io desidero.... ch'io voglio, anzi, signora principessa!
- Ah, sì, tu vuoi nuovi denari....
- Se non desiderate ch'io sveli tutto.... mostri i documenti....
La principessa si contorceva.
- Io non ho denaro in questo momento; non posso disporre della somma che tu domandi. Aspetta.... la troverò!
Pensava al Weill-Myot. Era sicura ch'egli le avrebbe anticipato ben volentieri quella somma. Non le pareva degno di affliggersi, di molestarsi per così poco; voleva vivere gaiamente il più che poteva, stordirsi nei piaceri.
Già in pochi istanti avea di nuovo dimenticato la bambina: era entrata in un altro ordine d'idee; tornava al suo amore della vita leggera, alla sua spensieratezza.
Cristina si lasciò supplicare dalla principessa, per un pezzo, poi acconsentì.
Come se nulla di terribile fosse accaduto tra loro, Cristina si studiava atteggiare il suo bieco volto al sorriso più ilare, più affabile che potea, cominciò a mostrare alla principessa le delizie della sua casa: poi la guidò nel giardino ov'erano Diana e il guardacaccia.
Anche la principessa, commediante perfetta, appariva tranquilla; serena, disposta al celiare.
Cristina volle a lei pure offrir un mazzo di fiori.
Mezz'ora dopo, la principessa e Diana risalivano in carrozza per tornare a Napoli.
Enrica era assai silenziosa: pensava alla visita che doveva fare al Weill-Myot, già che credeva necessario quest'atto a vieppiù persuaderlo: e di tratto in tratto il pensiero le correa al motivo di quella sua gita.
Perchè era venuta a domandar notizie di una bambina, della quale per tanti anni non s'era curata? I migliori sentimenti a lei costavan bea caro! Ora intanto era obbligata ad una bella umiliazione: andare da quel Weill-Myot: chiedergli un favore! Da molto tempo, egli non le parlava più della sua passione per lei: non pronunziava parola, non facea atto che gliela potesse menomamente ricordare: era con essa compassato; glaciale: avea un tono cerimonioso nel quale le pareva indovinare una certa lieve ironia. Non si sentiva punto inclinata a far del Weill-Myot un suo amante: sentiva, anzi, per lui ripulsione, benchè egli fosse uomo di molta prestanza, e ricercato dal comune delle femmine. Ma le doleva di veder ch'egli si alienava da lei, che usciva dal gruppo de' suoi adoratori. Certe donne sono vaghe d'imperare su un piccolo regno e tengono a non perder niuno de' loro sudditi.
- Che hai? - le domandò più d'una volta Diana, prima che arrivassero a Napoli.
- Sono un po' stanca.... Ho dimenticato fare qualche cosa e temo ne possa nascere un inconveniente.... Stanotte non ho abbastanza dormito.... - ecco le risposte date dalla principessa.
In verità, ella ora si rimproverava d'aver fatto una gita sì lunga, per parlar a Cristina, per informarsi della creatura.
Chi le avrebbe mai detto che la creatura, di cui avea un istante pianto la morte, e alla cui perdita si era subito rassegnata, la figliuola sua e di Roberto, le stava accanto, che ella ne stringeva le mani, ne udiva la voce, ne avea le carezze? Chi le avrebbe detto che fra breve si sarebbero ritrovati tutti e tre insieme, e in quali angosciose congiunture.
Tornata nel suo palazzo, Enrica ebbe una vera sorpresa. Trovò, fra le lettere, una lettera del principe, suo marito: non le aveva scritto da varii mesi e le annunziava che sarebbe arrivato in Napoli entro quindici giorni.
Enrica non mostrò alcuna gioia nel partecipare a Diana tale notizia. Mentre essa guardava le lettere, Diana ripensava a ciò che il guardacaccia le aveva detto della reità di Roberto. Costui le avea perfin raccontato come Roberto era entrato di notte nel parco, ed egli avea sparato contro di esso un colpo di fucile mentre si avvicinava alla villa ove dimorava Enrica e come, scoperto, si desse alla fuga.
La fanciulla innocente cominciava ad aver i più strani presentimenti. Teneva i suoi occhi fissi sulla principessa: la studiava, la scrutava.
Enrica si volse, mentre Diana era appunto assorta in uno di questi attentissimi esami.
- Perchè mi guardi così? - le disse.
- È proibito guardarti? - rispose Diana, le cui parole non corrispondeano punto al pensiero.
- Tu rimani a pranzo con me stasera?
- Con piacere.... se vuoi!
- Sicuro che voglio: e scriveremo intanto per darne annunzio a casa tua.
- Ma, dimmi, - esclamò a un tratto Diana. - Ti ricordi che in questo stesso salotto io una sera t'invitai a unirti con me per scoprire la persona malvagia, che avea cagionato co' suoi intrighi la perdita del povero Roberto Jannacone?...
Enrica, colta così all'improvviso, vacillò; non ebbe la forza di rispondere subito: e Diana scorse che gli occhi di lei esprimevano lo spavento.
- Non è vero, - continuava con la sua innocente baldanza, - che tu potresti dir qualche cosa su tale persona?
Il turbamento di Enrica aumentava.
Ma Diana l'attribuiva a ben altro motivo di quello che aveva: immaginava che Enrica, giovanissima, avesse avuto per Roberto qualche simpatia, forse assai viva, e il ricordo di lui forse la amareggiasse.
Ma la principessa fu scossa da un gran tremito; si pose un fazzoletto alla bocca ed uscì dalla stanza, mormorando in fretta verso Diana:
Andò nella sua camera, le ci volle del buono a rimettersi. Quella fanciulla innocente le avea dato un colpo fortissimo, di pessimo effetto, poichè essa non era preparata a riceverlo.
Niuno, da anni, le avea mai parlato con tanta franchezza, con più crudele giustezza dell'atrocissimo fatto. Che quella fanciulla candida, inesperta, stesse per riuscire a carpirle il suo gran segreto?
- Un uomo, - disse, - di aspetto molto grave, vestito di abiti che lo faceano somigliare ad un bandito, era stato due volte nella giornata a chiedere della principessa.... Non aveva voluto dire il suo nome.... La seconda volta avea affermato che non potea ritornare, poichè altri affari lo chiamavano altrove. Ma - avea concluso - mi rivedrete presto!
- E non rivelò quello che desiderava?
- Non volle dirlo ad ogni costo.... Era tutto avviluppato in un grande mantello.... avea la barba incolta.... una strana capigliatura.... il volto emaciato dalle sofferenze.... Desidera V. E. - proseguì il servitore, che dirigeva tutti gli altri servitori della casa, - io le dica ciò che ho pensato, riflettendo alla fisonomia di quell'uomo, alla premura ch'egli ha mostrato d'allontanarsi, al modo sospettoso onde si guardava attorno anche nella via?
- Ti sto a sentire!...
- Ho pensato che sia qualche prigioniero fuggito e che Roberto mandi a supplicare V. E. per lui....
Il servitore lasciò la porta della camera aperta come l'aveva trovata: e la principessa, che lo aveva incontrato quasi presso la porta, mentre stava per uscire, tornò nella camera e vi si trattenne ancora alcuni istanti.
- Possibile! - esclamava, - sia lui!... sia lui!...
Si rammentava in qual modo Cristina le aveva ricordato ch'egli potesse tornare a chiederle conto.
Ma, di nuovo, si fece animo, si riebbe: non voleva attristarsi per ombre, invano: aspettiamo, - ella si diceva, - e intanto godiamo.