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XIV.
La principessa non potea rintuzzare l'avversione che s'era in lei destata verso Diana.
Da varii giorni avea cercato ogni pretesto per riveder il Re, ma non vi era riuscita. Aveva scritto, ma senza ricevere alcuna risposta: s'infiammava sempre più il suo sdegno. Il Venosa non riusciva a comprendere la ripulsa di Diana, dopo che ella lo avea sì fortemente incitato a chieder la mano di lei al marchese. L'atto avrebbe meravigliato ben altri che lui, a dirittura inesperto delle cose della passione, degl'inopinati mutamenti dell'animo femminile.
Gli entrava in cuore un rimorso. Si diceva ch'egli non era stato, almeno in tutto il suo sentimento, fedele a Diana; e, se non sapea spiegarsi lo sdegno di lei, dovea riconoscere d'averlo ben meritato.
Invano avea cercato di rivedere la giovinetta: essa lo sfuggiva. Non si era più recato dalla principessa: nella sua indole buona, tra gli ardori di una passione male ispirata, cominciava a sentir la indegnità dell'aver cercato di tradir Diana. Voleva ad ogni costo riacquistar la stima, la fiducia di lei.
Una notte, tornato a casa, le scrisse una lunga lettera: le prime due pagine le scrisse e riscrisse di nuovo due e tre volte; non era mai soddisfatto. Aveva coperto il tavolino di foglietti stracciati.
Quando fu contento, o almeno quasi contento della lettera da lui scritta, erano le cinque del mattino.
Avea passato più di cinque ore a intrattenersi con la giovinetta, di cui s'era potuto persuadere più volte fin allora di non essere innamorato. Sentiva quanto l'amava, ora che gli pareva averla perduta!
Il giorno, verso il tocco, se ne andò al palazzo del marchese di Trapani. Avea veduto, non visto da essi, il marchese Pietro e Marco Alboni, che confabulavano insieme in un Caffè della via Toledo. Egli, timido, non poteva ormai incontrar più il marchese senza un vivo imbarazzo: l'aspetto di Marco Alboni pure lo turbava: non potea dirsi il perchè, ma quell'uomo non gli piaceva e l'ispirava insieme un certo disgusto e una certa soggezione.
Dopo che Diana avea respinto la sua domanda di matrimonio, egli avea sorpreso un sorriso sarcastico nel volto di Marco. Gli era sembrato che, con l'atteggiamento della sua fisonomia, gli dicesse: - alla fine, siamo liberati di te!...
E già si era accorto, non ostante che l'Alboni gli si mostrasse molto cerimonioso, secondo il suo solito, ch'egli non vedea di buon occhio le sue visite sì frequenti.
Il Venosa avea molto pensato alla difficoltà di ripresentarsi nel palazzo del marchese. La principessa, egli credea con la sua avventatezza, gliene avea chiuse le porte. Gli era corso alla mente uno stratagemma: andar a domandare della signora Teodora: prenderla a confidente de' suoi crucci.
Quella donna pretenziosa, sempre innamorata, lo avrebbe lasciato ben volentieri discorrere della sua passione: essa era irritata che pochi le parlassero: le sembrava esser troppo abbandonata, non ostante le sue vivaci conversazioni col giovinetto, di cui abbiamo parlato. Il Venosa non aveva se non a presentarsi a lei, anch'egli come un'anima derelitta: la fibra patetica era in lei commovibilissima.
Così fece: la signora Teodora lo accolse, vorremmo dire, a braccia aperte.
- Così quel caro angioletto non vuol più sentir parlare di voi.... Davvero? E lo credete sul serio?
- Allora siete molto semplice!... Ma io non voglio farvi soffrire.... vi consolerò subito; vi dirò che ho sorpreso ieri sera Diana, sola nella sua camera, mentre piangeva dirottamente. - Che hai? - le ho domandato. Ella mi s'è gettata al collo: e mi ha detto ch'era tanto, ma tanto infelice.... povera creaturina! - Due grosse lacrime rigavano le guancie vegete e dipinte della signora Teodora. - Mi ha detto che voleva uccidersi.... non poteva più sostenere la vita.... Insomma, mi ha confessato che vi ama, e non amerà mai altri che voi; che è inconsolabile della vostra assenza: e non può tollerare di rivedervi, perchè ha scoperto che la tradite.... - Ma la tradite davvero?... - domandò con una certa solennità la signora Teodora.
Si spinse, senza saper che facesse, verso una finestra aperta, rispondente su un balcone. Affacciatosi vide Diana seduta sotto di esso, nel giardino; e certo avea riconosciuto la voce di lui, poichè stava in attitudine di chi ascolta.
Egli le gettò subito, con mano tremante, la lettera che aveva scritto.
La lettera cadde a' piedi di lei.
Diana la guardò, per un istante, esitando. Poi la raccolse: avea riconosciuto le sue cifre: si alzò e disparve. Il Venosa non capiva più in sè dall'allegrezza.
Quell'atto era più che una garanzia di riconciliazione.
Si trattenne, per qualche tempo, a parlar con la signora Teodora: ma i suoi discorsi erano ben slegati.
Egli non pensava ad altro, se non che in tal momento Diana dovea leggere la sua lettera.
Avrebbe dato tutto al mondo: pure tremava alla idea ch'ella potesse comparire in quella stanza.