Nicola Valletta
Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura

CICALATA IN DIFESA DEL FASCINO VOLGARMENTE DETTO JETTATURA

10. Gli antichi credettero alla jettatura che deriva dalle parole

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10.

Gli antichi credettero alla jettatura
che deriva dalle parole

 

Ma per dir la cosa come la va, spiattellatamente ed a minuto, vedete omai, uditori, che gli antichi credeano a vari generi di jettatura, che dalle varie parti del corpo si diffondeva. Quanto a quella che dalla lingua si tramanda, Catullo scrisse cosí:

 

Quae nec pernumerare curiosi

Possint, nec mala fascinare lingua.50

 

Specialmente per le lodi eccessive (che meglio a' marmi sepolcrali si riserberebbero)51 nasce la jettatura. Il perché si credeano piú al fascino soggette le cose che troppo si lodavano.52 Qui appartengono quei versi di Marone:53

 

Aut si ultra placitum laudarit, baccare frontem

Cingite, ne vati noceat mala lingua futuro.54

 

Quindi è che i greci ed i latini, prendendo ad incensar altri colle lodi, diceano ἀβάσϰαντως, praefiscine, o praefiscini che significa non te la jetto.55 E Titinnio, antico poeta:56 «Pol tu ad laudem addito praefiscini; Ne puella fascinetur». D'ond'è il costume che chi è lodato volta la faccia, non tanto per dinotar la sua modestia, quanto per guardarsi dalla jettatura.57 Di tal parere è pur Geronimo Fracastoro.58 In fatti alle parole tanta forza e potestà si attribuiva, che alla volontà degli antichi jettatori i fulmini stessi si credea che ubbidissero. I romani perciò, secondo l'etrusca disciplina, aveano in città i sacerdoti, che procuravano i fulmini e li frenavano a lor talento.59 Or se mai qualche onnipotente jettatore facesse un fulmine scrosciar su di noi, o su di qualche tempio, il mio dottissimo D. Vito Caravelli ricorrerebbe invano al filo conduttore dell'elettricità.

Finalmente alla virtú delle parole Cesare Dittatore ancor credea; in guisa tale che, dopo aver una volta sofferto nel cocchio suo un pericolo per una jettatura, sempreché in esso entrava, a sé stipulava con alcune parole la sicurtà del camino.60

 

 





50            Ad Lesbiam., VII, dove nota Scaligero che gli antichi credettero soggetto alla jettatura il numero finito: «Itaque laudantes, aut numerantes dicebant praefiscini : hoc verbo omnem invidiam se amoliri putabant : ut quum in culleum primam urnam vini indidissent, dicebant multa: nam multum non est numerus praefinitus».



51            Ausoni, carm. penult. Profess.



52            Plinio, lib. 7; Tertulliano, de virginibus velandis.



53            Ecl. 7.



54            E Tertu Lesbia carm. , lib. 7.lliano, de virg. vel., scrisse: «nam est aliquid, etiam apud Ethnicos metuendum, quod fascinum vocant; infeliciorem laudis, et gloriae enormioris eventum».



55            Quel prae significa sine: e vale quella parola, absit verbo invidia. Plaut., Asinar., act. 2, sc. 4. V. Carisio, lib. 4, Instit. Gram.



56            In Setina.



57            V. Plinio, VII 2; Eliano, I, Hist. animal., cap. 36; Aristotele, sect. 20, problem. 34; ed Alessandro Afrodisiense.



58            Lib. de antipath, et sympath., ove scrive: «Legimus et familias quasdam fuisse in Creta (per il passo di Plinio dianzi recato dovrebbe leggersi «in Africa») quae laudando fascinum inferebant, quod certe uti possibile recipiendum est. Existente enim natura quorumdam (uti dictum est) perinde ac venenosa, et eiaculatis ex oculis eorum spiritibus perniciosis, nihil prohibet, non solum infantes, sed et grandiores fascino offici. Laudando autem maxime quoniam laus propria laetitiam parit. Laetitia autem, ut diximus, dilatationem tum cordis, tum et spirituum facit, tum ex totius faciei, et praecipue oculorum. Unde aditus quodammodo aperitur veneno, quod a fascinatore ejaculatur. Quare forte natum est illud, quod praefamur, cum aliquos laudare volumus, bene prius ominantes, verba nostra, dicimus, tibi non noceant. Quin et aliqui sunt, qui dum laudantur faciem avertant, non tantum, ut indicent molestam sibi esse laudationem, sed ut a fascino caveant. Jam enim in opinione est, per laudationem fascinum fieri».



59            Appellavansi fulguratores. Cicer., de divinat., I 33, II 53. Si credea ancora, e l'abbiam dianzi accennato, che il Cielo concorresse alle magiche parole. Orazio, Epod., 5, 17, 18, parlando con volgar maniera di Canidia famosa strega: «Quae sydera excantata voce Thessala, / Lunamque Caelo deripit». E fece dire a lei: «Quae movere cereas imagines, / Ut ipse nosti curiosus, et polo / Deripere Lunam vocibus possum meis».



60            Vair., de fascino.



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