Nicola Valletta
Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura

CICALATA IN DIFESA DEL FASCINO VOLGARMENTE DETTO JETTATURA

11. E dagli occhi

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11.

E dagli occhi

 

Circa la jettatura dagli occhi scagliata, oltre delle storie rapportate di sopra61 da Gellio, ed oltre di alcune donne jettatrici della Scizia, chiamate Bythiae,62 e di un genere Thibiorum in Ponto,63 reco in mezzo i noti versi di Vergilio:64

 

His certe neque amor causa est, vix ossibus haerent:

Nescio quis teneros oculis mihi fascinat agnos.

 

E credeano jettatore gli antichi specialmente coloro che aveano doppia pupilla:65

 

Oculis quoque pupilla duplex

Fulminat, et geminum lumen in orbe manet.66

 

Quindi il nostro elegantissimo Iacopo Sannazzar, che alle Camene / Lasciar fa i monti, ed abitar le arene67 scrisse cosí: «Guarda i teneri agnelli dal fascino de' malvagi occhi degl'invidiosi».68 E altrove:69 «E si dilegua, come agnel per fascino». Plutarco l'occhio jettatore chiama ὁϕθαλμόν βάσϰανον. Ed è antico adagio: ti ha veduto qualche jettatore, Mantis te vidit; di cui fa menzione Celio Rodigino:70 mentre dice μαντιν essere un genere di locusta, che se guarda qualche animale subito gli produca del male. Tra' piú recenti Geronimo Vida descrive elegantemente un vecchio jettatore cogli occhi.71

L'invidia specialmente, consumando se stessa, offende ancora l'avversario, e produce la jettatura degli occhi. Quindi fu l'uso antico che, se alcuno mangiava, dicea, come noi oggi diciamo, a chi guardasse: restate servito, prendete, acciò non me la jettate: ne me fascines.72 Il Veronese Triumviro di Amore, dico Catullo, nell'Endecasillabo V a Lesbia, che incomincia Vivamus, parlando di moltitudine di baciozzi, conchiude:

 

Dein quum millia multa fecerimus,

Conturbabimus illa, ne sciamus,

Aut ne quis malus invidere possit,

Quum tantum sciat esse basiorum.

 

Sulle quali parole i dotti notano: «Putabatur fascinatio iis rebus nocere non posse, quarum vel nomen, vel numerus ignoraretur». Ed il dotto Mureto aggiunge: «Nostrates quidem rustici poma in novellis arboribus crescentia numerare hodieque religioni habent». Quindi diceano gli antichi che chi è grande nelle sue cose soffra non so quale occulta invidia. Ecco quel che scrisse Quintiliano:73 «Quod observatum fere est, celerius occidere festinatam maturitatem, et esse nescio quam, quae spes tantas decerpat, invidiam; ne videlicet ultra quam homini datum est, nostra provehantur».74 E voleano gli antichi che, per timore della jettatura, non molto si lodasse, né si esponesse soverchio ciò ch'è grande, e bello. Marziale:75

 

Immodicis brevis est aetas, et rara senectus

Quicquid amas, cupias non placuisse nimis.

 

Qui appartiene un bello epigramma greco di Platone, rapportato da Laerzio, e da Apuleio nell'Apologia, sulla bellezza di Alessi, acciò non troppo si fosse mostrata; sull'esempio di Fedro, che perciò ne morí. Gli Ateniesi erano infallibilmente jettatori tremendi: perciocché Eliano76 parlando della satira di Aristofane contra Socrate, scrisse: «Αθηναῖοι Βασϰαίνειν ἄριστοις προαιρὅμενοι (Athenienses ad invidendum optimis proclives)».

 

 





61            Gellio, IV 4; Plinio, Hist. nat., VII 2; Gio. Wechero, de secret., lib. 4; Olao Magno.



62            Apollonide; Ciceron.



63            Simiolis Majoli, Dierum canicularium.



64            Eclog. 3.



65            Ovidio, I, amor., eleg. 8; lib. I de art. am.; Gell., Noct. Attic., IX 4.



66            Cosí erano alcuni Popoli ancora dell'Isola di Rodi, detti Thelchini, Ovid., metam., 7, fab. 10: «Phoebeamque Rhodon, et Jalysios Thelchinas / Quorum oculos ipso vitiantes omnia visu / Jupiter exosus, fraternis subdidit undis».



67            Ariost., cant. 46, stanz. 17.



68            Arcad., pros. 3.



69            Eclog. 6. Elegantemente, a suo modo, Erasmo nel Colloquio Proci et Puellae scrisse: «Maria: Quo tandem veneficii genere perdo homines? Pamphil. Fascino. Mar. An igitur vis, ut posthac abs te deflectam noxios oculos? Pam. Bona verba. Imo magis afflecte. Mar. Si mihi sunt oculi fascinatores, qui fit, ut non contabescant et caeteri, quos obtueor? Itaque suspicor, fascinum istud esse in tuis oculis, non in meis».



70            Antiq. Lect., XXX 22; Theocr., Idil. K.



71            Lib. 2, bomm ocst.,cadg. 6. Lect.bic.:

         Quandoquidem memini Tusci alia in rupe Viterbi

         Ipse senem vidisse ferum, cui dira rigebant

         Ora, gravesque oculi, suffecti sanguine circum,

         Fronsque obscoena situ, hirtique in vertice cani

         Ille truci (scelus!) obtutu genus omne necabat

         Reptantum, teneras animas, parvasque volantes.

         Quin etiam si quando hortos ingressus, ubi annus

         Exuit expleto turpem novus orbe senectam,

         Floribus et passim per agros incanuit arbor

         Ille hortis stragem dedit, arboribusque ruinam,

         Spemque anni agricolae maesti flevere caducam.

         Nam quocumque aciem horribilem intendisset, ibi omnes

         Cernere erat subito afflatos languescere flores.



72            Arist., sect. 20, cap. 34; Daniel Sennertus, Medicinae Practicae, lib. VI, p. 9.



73            Praef. lib. VI.



74            Anzi dicea Catone il Censore, che sien segni di prematura morte «Pensier canuti in giovanile etade»: «senilem juventam praematurae mortis esse signum», Plinio, VII 51. Presso Erodoto in Thalia Policrate, cui in vita nulla era avvenuto che voluto non avesse, gittò nel mare per consiglio di Amasi un anello, che caro avea oltremodo e lo gittò ut Deorum invidiam extingueret.



75            Epigr. 29, lib. VI.



76            II 13.



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